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Autore: Bloomsbury    06/07/2014    10 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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"Night, night after day
Black flowers blossom
Fearless on my breath
Black flowers blossom
Fearless on my breath

Teardrop on the fire
Fearless on my..."

Teardrop- Massive Attack 


 
 



20. Teardrop
 
 
Poco per volta avrebbe sentito meno dolore.
Ogni secondo passato sarebbe stato come un piccolissimo passo verso la guarigione, così gli avevano detto.
Erano passate tre settimane dalla morte di Izaya e tutto quello che Jay era riuscito a fare non coincideva affatto con ciò che in molti gli avevano prospettato.
Di fatto, nessuno riusciva a capire cosa gli passasse per la testa perché, apparentemente, viveva come qualsiasi comune mortale sulla terra; ciò che risiedeva sotto la sua pelle era un mistero per tutti.
Già dal primo giorno, dopo l’arrivo a casa di Lizzie, Jay sembrava normale, come se non fosse successo nulla.
Certamente, i suoi sorrisi aperti e solari erano diventati un ricordo, ma l’apparente normalità riusciva a mettere nel sacco chiunque.
Ogni sera, dopo aver cenato, il divano del salotto di Lizzie si riempiva della presenza di Jay che, davanti alla tv, guardava attento ogni tipo di programma gli venisse propinato, commentando con Robert ogni stranezza tipica di certe emittenti televisive.
Era diventato un appassionato di X Factor.
A Robert pareva un modo inusuale per distrarsi, ma comunque efficace. Lizzie, invece, lo osservava sospettosa, come se cercasse di carpire da ogni movimento il suo reale stato d’animo.
Sebbene il ragazzo riuscisse ad aggirare ogni discorso con naturalezza, ciò che più era evidente agli occhi della ragazza era il palese tentativo di dimenticarsi di ciò che era accaduto, rifugiandosi nei gesti ordinari che in sé non racchiudevano alcun significato o ricordo.
Jay non si era rintanato al buio in una stanza, non aveva pianto inconsolabilmente su qualche fotografia, non aveva parlato di lui come se fosse di vitale importanza.
Una bomba ad orologeria stava consumando inesorabilmente il suo tempo prima di esplodere e l’unica a percepirne distintamente il ticchettio era proprio Lizzie.
«Che ne pensi degli One Direction, Jay? È una band giovane.» chiese Robert sorseggiando una birra, tenendo ben saldo il collo della bottiglia.
Jay, schiacciato pancia sotto sul divano, fissando il televisore, rispose stancamente: «Cacca.»
«Potresti argomentare un po’ di più?»
«Cacca e basta.»
«Non ti piacciono, ho capito. Ma mi piacerebbe sapere il perché.»
«Esiste un uomo al quale piace la cacca?»
«Evidentemente, sì. A me non dispiacciono questi One Direction.»
«Ognuno ha i suoi gusti. Ciò che ci differenzia in fatto di musica è che io ne capisco e tu no.»
«Però, da bravo intellettualoide, guardi X Factor.»
«Non c’è niente di meglio da fare.»
«Certo che c’è: esci, vai a farti un giro, studia, vai all’università.» esordì Lizzie intenta a sparecchiare la tavola.
«Serve concentrazione per certe cose. Adesso non ce l’ho.»
Spazientita dalle risposte formulate apaticamente, la ragazza alzò gli occhi al cielo, rintanandosi nella cucina da dove, dopo poco, uscì con una crostata di mele, ostentando un sorriso fin troppo studiato per sembrare naturale.
Aveva scelto di osare, con la paura di commettere un errore.
«Chi vuole un pezzo di crostata? L’ho fatta come piaceva ad Izaya.» accentuò un nome che per ben tre settimane non aveva mai marchiato le bocche di nessuno dei presenti.
Robert, colto di sorpresa, spostò l’attenzione su Jay, attendendo una reazione.
Aveva compreso le intenzioni di Lizzie e non aspettava altro che quel tentativo sortisse gli effetti auspicati.
«No, grazie. Non mi va».
Risposta secca.
Un sospiro afflitto tagliò l’aria pesante che, in un sol colpo, aveva avvolto il soggiorno nel quale, poco prima, si respirava un’abbozzata serenità.
La ragazza si lasciò cadere sul divano e, ignorando la sconfitta, tagliò a spicchi la crostata della discordia, per poi darne un pezzo al suo uomo.
Il vociare della tv, il rumore delle auto fuori, la brezza leggera che, ad intervalli regolari, sfiorava le tende sollevandole, per poi lasciarle ricadere morbidamente sul davanzale della finestra erano le uniche cose udibili poiché un silenzio incessante aveva bloccato il tempo, fermato le parole, immobilizzato i cuori.
La guancia di Jay, formicolante per la pressione impressa sui cuscini del divano, si sollevò sfiorata dai capelli arruffati e mai pettinati in venti giorni.
Si accomodò sul divano con le gambe divaricate e fissando Lizzie con aria rassegnata raccolse le forze per alzarsi.
Non appena fu in piedi, le vertigini gli annebbiarono gradualmente la vista, suggerendogli che era arrivata davvero l’ora di alzarsi da quel divano che, per giorni, era stato il suo letto, oltre che l’unico posto dove avesse sostato.
Si diresse al bagno senza pronunciare parola, chiudendo silenziosamente la porta dietro di sé.
Lizzie rimase inerme per qualche secondo, per poi puntare gli occhi su Robert «Pensi che io abbia sbagliato?»
Il bontempone, gustando la crostata paciosamente come se nulla fosse, minimizzò:
«No! Non hai detto nulla di male. Hai solo detto un nome. Che sarà mai un nome?»
«Robert» lo richiamò alzando gli occhi al cielo «Non ho detto un nome a caso. Lo capisci che in tutti questi giorni non abbiamo mai parlato di lui? Quando è morta mia nonna Ilse non abbiamo fatto altro che parlare di lei per ore, in famiglia. “Ilse di qua, Ilse di là”. Jay, dopo aver riconosciuto il cadavere…»
«Cadavere: che brutta parola.»
«Che ti piaccia o no, Izaya era un cadavere e Jay l’ha visto, capisci? È corso in ospedale e per tutto il tragitto biascicava: “Non è vero, non è vero. Non ci credo”. Sai cosa deve essere stato per lui vedere l’uomo che amava su una lastra di un merdoso obitorio?»
«Per fortuna non era messo male. Anche io l’ho visto. Aveva una grossa protuberanza sulla fronte, ma sembrava addormentato. Un po’ pallido, sì, ma era intatto.»
Lizzie, in quell’istante, avrebbe picchiato selvaggiamente Robert se Jay non fosse stato in casa.
«Come fai ad essere così cinico?»
«Non sono cinico. Sto solo completando le tue riflessioni, sto aggiungendo particolari, non sto minimizzando ciò che ha vissuto Jay.»
«Lo stai facendo.» concluse Lizzie, totalmente disarmata dal brutale realismo del suo uomo.
Finita la crostata, Robert si avvicinò a lei seduta difronte e, dopo averle afferrato le mani, la guardò comprensivo.
Sorrise brevemente, accarezzando il grembo nel quale cresceva suo figlio e si arrese.
«Izaya era mio amico. Il dolore è così forte che, a volte, faccio prima a non pensarci. So che se ci penserei troppo potrei arrabbiarmi e pensare che questa vita sia fatta solo di pura ingiustizia. Quando, invece, guardo te, che custodisci nostro figlio, mi rendo conto che, purtroppo, siamo mortali. Si nasce, si vive, si muore e a Jay serve il tempo di capirlo. Deve avere davanti agli occhi un miracolo, come ce l’ho adesso io, e accorgersene. Al momento, di miracoli ce ne sono ben pochi nella sua vita. Aveva riposto nelle mani di Izaya tutta la sua esistenza e adesso l’ha perso. Dagli tempo.»
«Spero solo di essergli d’aiuto.»
«Lo aiuti come puoi, non crucciarti.»
Prima che Lizzie potesse rispondere, il rumore della porta del bagno la frenò.
Ciò che vide la fece ben sperare.
«Esco. Vado a farmi un giro. Vi serve qualcosa?» chiese un Jay perfettamente sbarbato e vestito.
La ragazza lo fissò imbambolata, come se avesse davanti una bella copia, ma fittizia, del Jay originale che aveva imparato ad amare.
«No. Non ci serve niente.»
«Bene. Non so a che ora torno, prendo le chiavi. Non inserite il passetto.» recitò meccanicamente, mentre si avvicinava alla porta di casa con estrema fretta.
Non appena la aprì, salutò distrattamente, senza voltarsi, lasciando Lizzie e Robert muti, incerti se interpretare quell’improvvisa resurrezione come una cosa positiva o come un modo, ancora diverso, di scappare.

***
 
Non credeva sarebbe tornato così presto, eppure, il rumoreggiare nel salotto non lasciava alcun dubbio: Jay era ritornato a casa.
Lizzie spostò l’attenzione sulla sveglia, scostando il braccio di Robert che, addormentato, le cingeva la vita.
Si incamminò lungo il corridoio per raggiungere l’unico che, per ore, aveva occupato i suoi pensieri.
Desiderava vederlo, accertarsi che tutto andasse bene e scorgendo la sagoma sottile e asciutta di Jay intento a spogliarsi per la notte, liberandosi dei jeans dei quali aveva dimenticato la consistenza a contatto con la pelle, si fermò di scatto. Tuttavia, non tornò indietro, ma seguì con lo sguardo ogni suo movimento, aspettando di vederlo adagiarsi sul divano, finalmente al sicuro. In realtà, non fece ciò che Lizzie si aspettava perché, anziché stendersi per concedersi un po’ di riposo, si sedette sul pavimento poggiando i gomiti sulle ginocchia, con gli occhi persi nell’oscurità di quella stanza.
Il buio non fu più un mistero per Lizzie perché, adesso, riusciva a vederlo meglio e anche se faticava a distinguere i lineamenti del suo viso, poté capire che gli occhi di Jay stavano piangendo.
Percepì quelle lacrime come un miracolo, d’altronde non ne aveva ancora mai versate, ed indecisa se avvicinarsi o meno rimase impalata dietro al muro in attesa di un consiglio valido dal suo stesso giudizio.
Ciò che prima era stata una semplice intuizione si tramutò in certezza: Jay stava davvero piangendo e così silenziosamente da fare male.
Non riuscì a resistere oltre, così si avvicinò a lui che, contro ogni aspettativa, non si fermò, ma cominciò a farlo sempre più forte e sempre più inconsolabilmente.
Tutto ciò che poté fare Lizzie era stargli accanto, accomodarsi accanto a lui cingendogli le spalle.
Sebbene fosse difficile resistere al dolore che provava per lui, il sollievo alleggerì il suo cuore.
Ciò che doveva fare consisteva nel consolarlo, non avrebbe potuto fare altro e sperò di esserne in grado, anche se flebilmente.
«Bravo, Jay.» sospirò, togliendosi il peso che per giorni le aveva mozzato il respiro.
Lo accarezzò stringendogli le mani, asciugandogli le lacrime ogni volta che ne scorgeva una particolarmente grande da poter essere assorbita.
«Bravo? Non sono così bravo se non riesco neanche a mettere piede fuori casa per più di due ore. Lizzie, quello stronzo non era capace neanche di guidare una fottuta auto.» ringhiò sommessamente, tastandosi le lacrime che gli imperlavano il viso, come se volesse modificarne il contenuto.
Se avesse potuto le avrebbe riempite di rabbia e di rancore così da riuscire a trovare un motivo per continuare a vivere.
«No, per questo non l’aveva. Spiegami un po’ dove sei stato.»
Tra le lacrime una risata prese forma.
Una risata amara e di scherno per se stesso.
«Vuoi saperlo davvero?» chiese guardandola negli occhi.
«Se ti va di dirmelo…»
«Qui fuori, sul pianerottolo. Praticamente non sono uscito» scoppiò a ridere, asciugandosi le lacrime.
Lizzie non poté fare a meno di ridere a sua volta «Sei un impiastro, Hahn.»
«Sono davvero un coglione irrecuperabile.» biascicò, sfumando il tono della voce sulle ultime sillabe «Lizzie, il tuo bambino… non chiamarlo Izaya sperando di fare una cosa che potrebbe farmi piacere. Se lo facessi mi rovineresti la vita.»
«Se lo facessi non rovinerei solo la tua, ma anche quella della creatura. È una femmina.»
«Quando lo hai saputo?» chiese stupito.
Dopo aver ricevuto la notizia, mesi fa, aveva promesso a Lizzie che l’avrebbe supportata, accompagnata ad ogni visita e aiutata in qualsiasi circostanza, invece, non l’aveva fatto.
Si rese conto di essersi perso tante di quelle cose da sentirsi un completo buono a nulla e nel contempo capì di aver vissuto quell’ultimo mese come un automa senza accorgersi di lei, di Lizzie, l’unica che ancora stava cercando in ogni modo di prendersi cura di lui.
«Non è certo, sono ancora delle ipotesi ma, come avevi previsto, sarà femmina e mi tocca cambiare tutto. Avevo preso anche lo spazzolino da denti di Iron Man. Temo preferisca qualcosa di più femminile.»
«Credo sia l’ultimo problema lo spazzolino da denti. Apprezzo la tua lungimiranza, ma mi sembra un tantino eccessiva.» concluse abbassando gli occhi sul pavimento.
Aveva disperatamente fatto appello a tutte le sue forze per intraprendere un discorso che fosse diverso da quello che l’aveva torturato in quelle ultime ore da solo, in attesa di chissà cosa seduto sui gradini poco sotto il pianerottolo dell’appartamento.
Si era allontanato da casa neanche quattro metri, nonostante ne avesse avute le buone intenzioni.
Finito il pacchetto di sigarette era ritornato indietro sconfitto, per poi ritrovarsi su quel divano, in compagnia dell’unica donna che sentiva di amare e che, sebbene provasse in tutti i modi di consolarlo, stavolta, non riusciva a farlo, soprattutto perché Lizzie, impensierita, aveva compreso che per salvare Jay avrebbe dovuto trovare un modo per svegliarlo e costringerlo a guardare in faccia la realtà.
Lui, però, aveva scelto di rifiutarsi e di fingere di dimenticare.
Sapeva che il prossimo passo sarebbe stato ritornare a casa, raccogliere le cose di Izaya e ricominciare una nuova vita.
Avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche, somatizzare il colpo ed essere abbastanza forte per vivere dentro quella casa che aveva condiviso con lui; avrebbe dovuto studiare e trovare un lavoro per pagare le spese, ma con quale cuore? Con quale testa?
Si sentì schiacciare sotto un peso impossibile da sorreggere da solo.
Sapeva di essere riuscito ad uscire da momenti realmente difficili, ma solo grazie ad Izaya, non per merito di se stesso.
Lui aveva solo aggiunto determinazione, Izaya tutto il resto, cominciando dalle cose pratiche.
«Onestamente, Lizzie: credi che io sia forte?»
«Hai dimostrato di esserlo più di una volta.»
«Tutta facciata. Sai perché ho detto ai miei la verità? Non per orgoglio, non per coraggio, ma solo perché ero abbastanza ingenuo da credere che mi avrebbero capito e supportato. Ero stanco di nascondermi, di portare il peso dei miei segreti solo sulle mie spalle, desideravo parlarne con mia madre, avevo bisogno di loro e mi ero illuso di essere amato per ciò che ero, ma non è stato così.» si fermò per prendere fiato; di fatto, stava sviscerando la verità sul suo conto, strappandosi dal viso la sua ultima maschera. «Quando ho conosciuto Izaya mi sono aggrappato a lui. Mi chiedeva continuamente di concedergli la possibilità di prendersi cura di me, ed io, ragazzino senza arte né parte, ‘cresciuto nello zucchero filato’ come diceva lui, ho semplicemente accettato permettendogli di costruire la mia vita da zero con le sue mani. In questi due anni con Izaya ho imparato un sacco di cose, non sapevo neanche rifare un letto, l’unica cosa che non ho imparato è vivere. Sono sicuro di me, quando dico la mia sono sempre certo di dire ciò che ci si aspetta da un ragazzo sveglio, straparlo di vita, di concetti astratti con un’esattezza ragguardevole ma, alla fin fine, sono solo parole. A parte amarlo, non mi ha insegnato niente sulla vita. Non gliene faccio una colpa, la morte è arrivata troppo velocemente senza darmi il tempo di costruirmi una vita al di fuori di casa nostra, da solo, senza il suo supporto. Dopo tutti i casini credevo di aver raggiunto una maturità ed una forza tale da permettermi di rialzarmi ad ogni scossone, invece mi ritrovo qui a non riuscire neanche a pronunciare il suo nome senza stare male. Chiunque direbbe che ne ho viste e superate tante, ma quante volte un uomo può rialzarsi? Quante ferite può sorreggere un corpo senza morire? Io credo di essere arrivato al mio limite…»
«Non è così!» lo interruppe Lizzie, prendendogli il viso nelle mani, fissandolo negli occhi con determinazione «Tu sei più forte di quel che credi. Io capisco il tuo discorso e da un certo punto di vista hai anche ragione, ma non sei solo. Ci sono io, c’è Robert…»
«Non so come dirti che non mi basta.» rispose, sottraendosi alla stretta «Tu e Robert siete stati di vitale importanza, ma non so come spiegarti come mi sento…» si fermò brevemente, stringendo gli occhi e cercando di trovare le parole giuste «Mi sento morto. Come se non provassi niente di diverso dal dolore e mi conosco abbastanza per dire che quando qualcosa mi fa troppo male tendo ad allontanarla. È come se crescesse in me una sorta di menefreghismo nei confronti di me stesso, come se non mi interessasse della fine che farò. Accetto passivamente ciò che mi accade senza più impegnarmi a fare i conti con me stesso. Ecco: non voglio più fare i conti con la mia coscienza, con la mia sofferenza e, di conseguenza, con la mia vita, con le mie scelte. Sono un… un invertebrato, ecco.»
«Più te ne convinci e più sarà così.»
«È già così. Però, ho un favore da chiederti: accompagnami a casa domani, aiutami a liberarmi delle sue cose.»
«Liberarti delle sue cose?!»
«Voglio dare via tutto, non voglio avere niente di suo tra i piedi…»
«Te ne pentirai, Jay.»
«Come potrei pentirmi di non averlo fatto, se non lo faccio.»





Angolo Autrice.
Ciao! Aggiorno dopo più di un mese e spero di farlo più velocemente in futuro. Ho avuto un blocco pazzesco dopo gli ultimi capitoli e spero di non averne scritto, adesso, uno deludente.
Detto questo, voglio precisare che non ho nulla contro i One Direction. Non li ascolto e basta, ovviamente neanche Jay li ascolta.
Voglio ringraziare Bijouttina, Ladywolf, Babbo Aven ed Elsker. Poi Ghost, Malaria, Mrs. Burro. Voglio ringraziare, anche, chi si è messo in pari con la storia con una velocità davvero pazzesca, Sorella Grimm prima di tutti, perché l'adoro, non ci posso fare niente. Risponderò presto alle recensioni. Purtroppo il blocco l'ho avuto in ogni cosa :(. Ringrazio InMidnight che è stata davvero un tesoro. Ha cercato in tutti i modi di incoraggiarmi. Ringrazio Hime che ha iniziato la storia.
Ringrazio tutti quelli che hanno messo la storia nelle preferite, ricordate e seguite.
Il mio angolo autrice, oggi, è particolarmente orribile, quindi taglio corto :P
Grazie di tutto il supporto che mi date.
Ah!!!!! Come dimenticare Moloko? Un ringraziamento calorosissimo va a lei perché è stupenda e basta.
Poi, dimenticavo, dedico questo capitolo ad InMidnight perché ho perso una scommessa XD
Se dimentico qualcuno o qualcosa, chiedo perdono.
Un abbraccio.
Bloom.

p.s. chi volesse iscriversi al gruppo dedicato a questa storia, l'indirizzo è nella pagina autore.
Grazie ancora.

 
   
 
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