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Autore: alessiacroce    07/07/2014    10 recensioni
"Riemersi con la testa e presi di nuovo fiato, ma Harry era pesante, non ci riuscivo. Mi chiesi se sarebbe stato meglio non averlo mai conosciuto. Tutto questo sicuramente non sarebbe mai successo. Adesso non starei per morire. Adesso lui non starebbe per morire."
Genere: Dark, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Trailer ufficiale:
 http://www.youtube.com/watch?v=w8YIoKs97YQ

Capitolo 10
 


“Come ti senti?” mi chiese Harry, mentre passeggiavamo lungo il parco, senza meta.
 
Mi girai a guardarlo. Sembrò veramente interessato a come mi sentivo. Non mi aveva posto una di quelle domande che ti senti in obbligo di fare, ad esempio quando stai mangiando qualcosa e ti senti in dovere di chiedere alla persona che ti sta vicino se ne vuole un pezzo. Il suo tono aveva una sfumatura di preoccupazione. La fronte era corrugata in un’espressione un po’ buffa, gli occhi erano socchiusi e le sopracciglia erano inarcate. Mi venne da ridere e soffocai in un grugnito la risata.
Harry se ne accorse.
 
“Be’, vedo che stai meglio” disse, spostando la testa da un lato.
 
Non sapevo se stavo un po’ meglio. Voglio dire, dopo tutto quello che era capitato neanche un’ora prima mi sentivo tutto tranne, probabilmente, bene. Vedere mio fratello picchiare in quel modo James, fissare i suoi occhi venati di rabbia, percepire l’ira dentro il suo tono mi aveva sconvolto, e non poco. Liam era sempre stato un ragazzo calmo, non di certo uno di quelli che vanno in giro a cercare rissa. Mi chiesi cosa fosse cambiato in lui. Perché si fosse comportato in quel modo. Forse era a causa dei sei mesi passati in America? Cos’era successo?
 
“Ehi, Less? Ci sei?” Harry mi sventolò una mano davanti agli occhi e io scossi la testa per risvegliarmi dai miei pensieri.
 
“S-si, ci sono” risposi, un po’ incerta.
 
Lui alzò le spalle, un ghigno divertito sulle labbra.
Mi chiesi che ore fossero.
 
“Sono ormai le otto di sera. Vuoi che ti accompagni a casa?” esclamò Harry all’improvviso, come se avesse potuto leggermi nel pensiero.
 
Annuii e svoltammo insieme per uscire dal parco. Per arrivare a casa mia ci sarebbero voluti una decina di minuti. Per il primo isolato rimanemmo in silenzio, poi Harry parlò.
 
“Cosa pensi di fare ora?” si rivolse a me.
 
“Cosa intendi?” domandai, continuando a guardare la strada davanti a noi.
 
“Intendo con Liam. Cosa pensi succederà quando arriverai a casa? Lo affronterai?”
 
“Suppongo di si” mormorai.
 
La risposta sembrò non essergli sufficiente, così continuò.
 
“Cosa gli dirai?”
 
Alzai le spalle. Cosa gli avrei detto quando l’avessi incontrato? Ne avremo parlato?
 
“E’ un ‘non so’ oppure sai già che dirgli e non vuoi rendermi partecipe?”
 
“E’ più un ‘non so’”
 
“Hai le idee chiare, insomma”
 
“Senti, hai visto ciò che è appena successo no? Bene, io sono ancora sconvolta. Mio fratello ha quasi ucciso di botte il mio ex” non aggiunsi altro.
 
Lui rimase in silenzio finchè non giungemmo davanti a casa mia.
 
“Ciao Less” mi salutò, baciandomi.
 
Mise una mano sotto la mia maglietta e le lunghe dita calde mi accarezzarono le schiena, lasciandoci una scia di pelle d’oca. Spostò la testa di lato e strofinò il naso lungo il mio collo. Io rimasi immobile. Appoggiò le labbra sulla mia pelle, le socchiuse e con la lingua disegno piccoli cerchi umidi appena sotto la mia mascella. Quel gesto mi fece rabbrividire, ricordandomi la prima serata insieme. Harry si staccò dal mio collo e mi rivolse un piccolo ghigno provocante. Lo ignorai e lo salutai con un ‘ciao’ sussurrato.
Rientrai in casa. Mamma era al lavoro, oggi aveva il turno serale, mentre Patrick se ne stava disteso sul divano a guardare dello sport in tv. Appena mi chiusi la porta alle spalle lui si girò e mi guardò con aria stupita.
 
“Credevo che tu e Liam non ritornaste per cena” affermò, stiracchiandosi.
 
Lo guardai interrogativa, poi capii.
 
“Liam non è tornato?”
 
“No, non si è fatto nemmeno sentire” disse lui, con tranquillità.
 
“Ah, quindi non sei nemmeno un po’ preoccupato?” chiesi, infastidita.
 
Lui alzò le spalle.
 
“Ha 21 anni, Less. È grande abbastanza per fare quello che vuole”
 
“Allora se lui fosse in giro a, non so, drogarsi o andare a puttane a te non importerebbe niente?”
 
Patrick mi fissò, confuso.
 
“Che succede, Lee?” mi domandò, scrutando i miei occhi arrabbiati.
 
“Niente. Lascia perdere” risposi secca, poi mi voltai e mi diressi verso la cucina per farmi un panino.
 
Presi il contenitore delle olive. Possibile che Patrick se ne fregasse così di suo figlio? Non si faceva vedere per tutto il giorno e l’unica cosa che riusciva a dire è ‘Ha 21 anni, Less. È grande abbastanza per fare quello che vuole’?
Sbattei il contenitore sul tavolo, arrabbiata. Mi scivolò dalle mani e cadde a terra, rompendosi. Le olive bagnate si sparsero per tutta la cucina. Patrick corse nella stanza, preoccupato.
 
“Cos’hai combinato, Less?! Guarda che disastro! Ma che ti prende?!” sbraitò lui, con le mani tra i capelli.
 
Io indietreggiai impaurata e calpestai un pezzo di vetro del contenitore. Il sangue cominciò a fluire e io lo guardai per qualche secondo, stranita, poi scoppiai a piangere.
 
“Ehi, aspetta. Possiamo pulire tutto, dai, vieni qui” disse Patrick, evidentemente in colpa.
 
“Ti sei fatta male? Fammi vedere” si avvicinò a me, facendo attenzione ai pezzi di vetro sparsi sul pavimento.
 
Tirai sul col naso e lo scostai, prendendomi un fazzoletto da appoggiare alla pianta del piede, dove la ferita si era formata. Non seppi nemmeno perché piansi. Mi sentii soltanto una bambina. Una bambina indifesa.
Patrick mi fece sedere su una sedia e pulì tutto, senza spiccare una parola. Probabilmente pensò che ero strana. Un ragazza di 18 anni che piange per una piccola ferita. Ma, forse, non era per la ferita che piangevo.
 
“Stai bene, ora?” mi domandò Patrick, passandosi una mano sulla fronte sudata.
 
Annuii, toccando il punto in cui il vetro era penetrato nelle pelle. Bruciava ancora, ma ora faceva meno male. Lui rimase a fissarmi per qualche secondo, poi scosse la testa e ritornò in soggiorno. Non avevo più fame. Gettai il panino, non ancora concluso, nel cestino della spazzatura, poi mi diressi in camera, facendo attenzione a camminare lentamente per non far riaprire la ferita.
Mi sedetti sul letto a gambe incrociate e afferrai il cellulare. Zero messaggi. Zero chiamate. Lo lanciai nel cassetto vicino a me, arrabbiata. A cosa serviva avere un cellulare se nessuno mi cagava? Nemmeno le mie amiche?
Mi chiesi cosa avessero pensato Allie, Lucy e Sylvie dopo l’accaduto. Loro non ne sapevano niente, probabilmente erano rimaste sconvolte. Al momento l’idea di incontrarle il giorno dopo a scuola mi spaventava terribilmente e mi faceva salire un senso di nausea.
Passai la serata a contemplare il soffitto, immersa nei miei pensieri e non mi accorsi nemmeno che ormai si era fatto tardi. Il cellulare, nel cassetto, vibrò e partì la suoneria. James. Decisi di non rispondergli, forse era la cosa migliore da fare, evitarlo per qualche giorno. Spensi il cellulare e guardai il grande orologio appeso alla parete, davanti a me. Segnava le 23:45. Liam non era ancora tornato. Non era da lui non farsi sentire per tutto il giorno. Riaccesi velocemente il cellulare con la sensazione sgradevole di un brutto presentimento. Digitai veloce il suo numero e attesi. Non raggiungibile.
Senza pensare afferrai un paio di scarpe da ginnastica, il cellulare e le chiavi di casa. Non potevo uscire dalla porta d’uscita principale, vicino al soggiorno dove si trovava Patrick. Mi avrebbe fermato se mi avesse visto uscire a quell’ora senza preavviso. Optai per l’uscita sul retro.
Con passo felpato raggiunsi il giardino, aprii il cancelletto che dava sui campi, dietro casa nostra. Presi la bicicletta e pedalai tra le piantagioni, raggiungendo la strada, poco più in là.
Il vento mi scombinò i capelli, gettandoli davanti al viso. Sentii, sopra di me, il rombo di un tuono. Oh, perfetto. Ci mancava solo il solito temporale di inizio Giugno. Continuai a pedalare, accelerando lungo una strada in discesa. Mi chiesi dove avevo intenzione di andare. Non sapevo nemmeno da dove cominciare a cercare Liam. Ero un caso perso. Decisi di dirigermi verso il centro città. Magari l’avrei trovato a casa di qualche suo amico o, non so, in qualche parco o locale.
Nel giro di una decina di minuti arrivai davanti a casa di Mike, uno dei suoi migliori amici ai tempi del liceo. Lasciai la bici vicino al portico e mi avviai verso la porta d’entrata. Bussai qualche colpo deciso, poi attesi. Aprì lui.
 
“Ehi, Less” esclamò allegro, vedendomi.
 
“Ciao, Mike” lo salutai, guardandolo dal basso verso l’alto. Era cresciuto tantissimo in altezza.
 
Lui mi sorrise, aspettando che aggiungessi qualcosa. Aspettai qualche secondo, poi parlai.
 
“Ehm, io sarei qui per… chiederti se Liam è insieme a te, al momento” dissi, facendo un cenno col capo verso l’interno della casa.
 
“Ah, no. Mi dispiace ma è da un bel po’ che non ci sentiamo. Mi aveva detto che sarebbe tornato dall’America più o meno in questi giorni, ma la nostra ultima conversazione risale a circa un mese fa” rispose. Nel suo tono c’era una nota di amarezza.
 
“Oh” fu l’unica cosa che riuscii a sussurrare.
 
“Già. Sai se gli è successo qualcosa? Intendo dire, lo vedo cambiato…” aggiunse Mike, dubitante.
 
Scrollai le spalle. Non lo sapevo. Era successo qualcosa, si, ma non lo sapevo. Erano nati troppi segreti tra me e Liam. Quando io andavo ancora in prima superiore e lui in quarta al liceo parlavamo di tutto. Era l’unica persona con cui non avevo cose da nascondere, semplicemente lui raccontava tutto ciò che gli accadeva a me e io facevo lo stesso con lui. Mi mancavano da morire quei tempi.
Mike restò in silenzio, con gli occhi fissi sul tappeto sotto i suoi piedi, indeciso sul da farsi.
 
“Ehm, ok, allora io vado” mormorai, salutandolo con un cenno della mano.
 
Lui sembrò voler dire qualcosa, ma si trattenne. Mi salutò semplicemente con un ‘ciao’.
 
“Ah, mi dispiace di averti disturbato a quest’ora” aggiunsi, prima di lasciare il vialetto di casa sua con la bicicletta.
 
“Figurati, ci sentiamo” rispose lui, sorridendo. Dopo di che scomparve dietro la porta.
 
Salii sulla sella umida della bici, poi mi diressi verso la prossima tappa.
Raggiunsi il parco accanto alla mia vecchia scuola delle medie. Lo percorsi interamente, scrutandone ogni angolo. Quel parco era il luogo in cui avevamo passato la maggior parte dei pomeriggi io e mio fratello. Ci sedevamo in un posto isolato e rimanevamo a guardare i bambini giocare, parlando ogni tanto del più e del meno. A volte tutta la famiglia si riuniva qui per un pic-nic all’aria aperta. In questo parco avevo vissuto la mia infanzia e parte della mia adolescenza. Rividi, come in un film, vari ricordi confusi. Pezzi di vita che avevo vissuto in quel luogo. Mi salirono le lacrime agli occhi, ma le ricacciai dentro.
Il parco era vuoto, come volevasi dimostrare. D’altronde, chi va al parco a mezzanotte passata? Forse qualche ubriaco o dei ragazzi in cerca di intimità.
Liam non si trovava nemmeno qui.
Andai al bar da lui frequentato quasi ogni giorno quando era all’ultimo anno di liceo, chiesi informazioni se lo avessero visto ma loro, come Mike, non ne avevano saputo più niente da un bel po’ di tempo. Girai a vuoto tra le vie illuminate della città, sperando di intravedere la sua moto rossa e bianca parcheggiata da qualche parte. Nulla. Cominciai a perdere le speranze. Forse Patrick aveva ragione. Insomma, ormai era grande abbastanza per farsi la sua vita, senza avere me, mamma o papà al seguito. Eppure avevo sempre quella sensazione di nausea, dovuta ad un brutto presentimento. Pedalai lentamente lungo una via che non avevo mai notato prima. In fondo alla strada si intravedeva un locale a luci rosse. Continuai ad avanzare, passandoci davanti.
Mi bloccai all’improvviso. Una moto rossa e bianca era parcheggiata vicino all’entrata del locale. Era la sua, ne ero certa. Mi si formò un nodo alla gola. Che ci faceva lì Liam? Scesi, senza esitare, dalla bicicletta e mi avvicinai all’entrata dell’edificio.
Dall’interno provenivano luci sfuocate, risate e un vago odore di fumo.
Rimasi immobile davanti all’entrata finchè la porta si spalancò e ne uscirono quattro ragazzi. Si fermarono, sorpresi. Un ghigno comparve all’improvviso sulle loro labbra. Io indietreggiai, spaventata.
 
“S-scusate” mormorai, spostandomi per lasciargli passare.
 
“Fa niente, bellezza. Che ci fai qui a quest’ora?” parlò uno dei ragazzi, alto e moro.
 
Rimasi impietrita a quelle parole. Il suo tono era divertito. Non mi parve avessero buone intenzioni.
 
“Uhm, niente. Ora me ne vado” risposi, voltandomi.
 
Una mano mi afferrò da dietro facendomi girare. Ora ero a qualche centimetro dalla faccia di quel ragazzo.
 
“Non così in fretta. Resta un po’ a farci compagnia, tesoro” il suo alito sapeva di alcool.
 
Cercai di ritrarmi, schifata, ma la sua presa era decisa e sicuramente lui era più forte di me.
Mi afferrò per la vita e schiacciò il suo corpo contro il mio, togliendomi il fiato. Avvicinò le labbra al lobo del mio orecchio destro e mi diede dei piccoli morsi. Mi dimenai per cercare di liberarmi ma non ci riuscii.
 
“Ehi, Mark. Lasciacene anche un po’ a noi” esclamò un ragazzo scuro rivolgendosi al moro. Gli altri due annuirono, ridendo sfacciati.
 
“Lasciami andare” piagnucolai.
 
“Prima un po’ ci divertiamo, che dici?” rispose Mark, le labbra contorte in un ghignò contro la mia pelle.
 
Rabbrividii a quelle parole.
 
“Lasciami!” urlai all’improvviso.
 
Lui allentò la presa, sorpreso, e io ne approfittai, tirandogli un calcio sulla caviglia. Cominciò a formarsi un livido scuro in quel punto.
Mark mi lasciò e io mi allontanai immediatamente, guardandolo spaventata. Toccò la ferita lasciata dalla mia scarpa, poi alzò gli occhi inferociti su di me.
 
“Puttana” sputò.
 
“Non te la caverai così facilmente, stronzetta” sibilò un suo amico.
 
Cominciai a correre verso la bicicletta, ma loro furono più veloci. Nel giro di qualche attimo mi accerchiarono. Tutti e quattro mi guardarono con una luce strana negli occhi. La paura si impossessò del mio corpo.
 
“Lasciatemi stare” piansi, con voce spezzata.
 
Loro si fecero più vicini. Mark, dietro di me, mi tirò per i capelli, rovesciandomi la testa all’indietro. Tirai un urlo di dolore. Mi accarezzò il collo, infilando le mani sotto la mia maglietta leggera e sfiorando il pizzo del reggiseno. Cercai di divincolarmi, ma la sua stretta sui miei capelli non demorse. Passò la mano sul mio reggiseno e mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Un ragazzo rosso, davanti a me, sollevò l’orlo della mia maglietta, lasciandomi scoperto il petto. La pelle sulla nuca cominciò a farmi veramente male. Tirai un calcio a vuoto davanti a me per allontanare il rosso, ma non ebbe effetto. Lui continuò, cercando di slacciarmi il reggiseno.
Urlai il nome di Liam. Non mi rimaneva altro.
 
“Chi vuoi che ti senta, dolcezza?” sussurrò Mark, posando le labbra sul mio orecchio.
 
Ma si sbagliò.
Certo, Liam non mi sentii, ma quell’urlo attirò l’attenzione di qualcun altro.
 
“Ehi, voi!” disse una voce famigliare vicino a noi.
 
“Lasciala andare, cretino” esclamò Louis, raggiungendoci.
 
Mark mi lasciò i capelli, girandosi per affrontare chi aveva appena parlato.
 
“Che cazzo vuoi?” disse, rivolgendosi a Louis.
 
In quell’istante sopraggiunse anche Zayn. Corsi accanto ai miei due amici, non che fidanzati di Allie e Sylvie.
 
“Che volevi farle, eh?!” disse, in tono arrabbiato, Louis.
 
I quattro ragazzi si guardarono tra di loro, riflettendo se fosse il caso di creare una rissa o semplicemente evitare tutto questo e andarsene. Mark si girò, con gli altri tre al seguito. Per fortuna scelsero la seconda opzione.
 
“Andiamocene. La troietta ha i suoi amichetti a salvarle il culo” sentii il moro dire ai suoi amici.
 
Louis fece per rincorrerli ma Zayn lo fermò.
 
“Lascia stare, amico. Non ne vale la pena” sussurrò a Louis.
 
Il ragazzo sospirò, dopo di che mi fissò intensamente.
 
“Grazie” mormorai, le lacrime che mi scivolarono ancora lungo il viso.
 
“Più che altro che ci fai qua a quest’ora? Passavamo di qua per andare in piazza e abbiamo sentito te urlare” esclamò Louis.
 
Non seppi cosa rispondere. Rimasi semplicemente a fissare le mie vans rovinate.
 
“Devi sempre cacciarti nei guai tu, vero?” affermò Zayn, ma nel suo tono non c’era niente di duro.
 
“Dai su, Less. Se vuoi ti accompagniamo noi a casa” sussurrò Louis, avvolgendomi con un braccio le spalle tremanti.
 
“I-io ero qui per cercare Liam” mormorai.
 
“Liam? È qui?” chiese, confuso, Zayn. Effettivamente non era il posto che Liam avrebbe frequentato.
 
Indicai la moto di mio fratello parcheggiata accanto all’entrata.
 
“Ah” esclamarono in coro entrambi i ragazzi.
 
Aspettarono che aggiungessi qualcosa, ma non lo feci. Li fissai, completamente muta.
 
“Vuoi che andiamo a cercarlo, vero?” sospirò Zayn.
 
Annuii, non molto sicura, però, della mia decisione.
 
“Andiamo, allora” disse Louis, dirigendosi verso l’entrata.


 

Spazio Autrice.

buongiorno gente, ecco il decimo capitolo!
mi scuso per aver risposto solo adesso ai vostri messaggi e recensioni ma, come sempre, sono stata piuttosto impegnata.
giugno è stato un mese 'pieno' ma ora sono più libera ed ho più tempo per dedicarmi alla mia storia.
grazie come sempre per le recensioni, le letture e i commenti, lo apprezzo davvero molto.
molti di voi mi hanno detto che l'episodio del bacio di Less e James li ha un po' sconvolti, eh, Less è un po' confusa, ma presto metterà le idee apposto.
anyway, spero che questo nuovo capitolo vi piaccia e che continuate a seguire la mia ff per vedere che succederà nel prossimo capitolo c:
ora mi ritiro, se avete bisogno su twitter sono @aspettamiharry o cercatemi pure qua.

un bacio x

-Alessia

  
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