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Autore: Mary P_Stark    07/07/2014    3 recensioni
Summer è la più focosa tra i gemelli Hamilton. ll suo carattere rispecchia appieno il suo Elemento, il Fuoco, che lei domina con sapienza e attenzione. Vulcanologa di professione, verrà inviata alle Hawaii assieme al suo collega e amico J.C. per studiare il locale vulcano e, in quell'occasione, verranno a galla non solo l'antico retaggio della Dominatrice del Fuoco, ma anche i doni dell'apparentemente innocuo John. Questo scatenerà forze a stento controllabili, ma anche la passione sopita di entrambi. Sarà in grado, Summer, di gestire tutto come suo solito, o le forze in campo, stavolta, la travolgeranno? E Nonna Shaina accetterà di perdere la partita contro i nipoti, o stavolta partirà all'attacco? TERZO RACCONTO DELLA SERIE "POWER OF THE FOUR" (riferimenti alla storia presenti anche nei racconti precedenti)
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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Cap. 12
 
 
 
 
 
Il Maine gli era sempre piaciuto, per più di un motivo.

La sua calma, i ritmi indolenti della vita di campagna, l’aria sonnacchiosa che avevano i paesaggi, la forza indomita dell’oceano che si infrangeva sulla costa frastagliata.

Ogni cosa appariva meravigliosa, ai suoi occhi e, quando infine raggiunse la casa della madre a picco sull’oceano, sorrise e sospirò di sollievo.

Quell’ultimo mese, al lavoro, era stato traumatico.

Lo studio dei dati rilevati sul Kilauea, aveva portato via gran parte del suo tempo, ma non aveva alleviato il peso che era gravato sulle sue spalle alla notizia del trasferimento di Summer.

Big Mama era stata concisa, nessuno gli aveva mosso alcuna accusa, e neppure Mike se n’era uscito con una battutaccia al suo indirizzo.

Di fatto, ciò che era successo su quell’isola era rimasto tra lui e Summer.

Eppure, Amanda e Mike sapevano che era successo qualcosa tra di loro.

E dubitava fortemente esistesse qualcosa al mondo che Big Mama non conoscesse, perciò era abbastanza sicuro di poter annoverare anche lei tra i testimoni del suo odioso fallimento.

Perché, a onor del vero, di questo si trattava.

Non solo aveva allontanato da sé Summer come se fosse stata un’appestata – subito dopo che lei lo aveva salvato dalla morte – ma le aveva anche lanciato contro una marea di colpe e ingiurie.

Ingiurie che, di certo, non le spettavano.

Si era comportato così per codardia e lei, per non ferirlo ulteriormente o fargli pesare la sua presenza, se n’era andata.

Winter non gli aveva detto nulla, pur avendolo incrociato sul lavoro un sacco di volte.

Si era comportato con la sua solita cortesia, pur se nei suoi occhi di ghiaccio aveva scorto una sorta di malinconia cui non aveva saputo dare nome.

Non aveva neppure avuto il coraggio di telefonare a Spring, o a Max, per cancellare la sua partecipazione al matrimonio, svoltosi i primi giorni di settembre.

Semplicemente, aveva continuato a nascondersi.

Alla fin fine, gli veniva bene.

Era una vita che si nascondeva. Da se stesso, dal suo retaggio, dalla verità stessa.

Summer gliel’aveva offerta su un piatto d’argento, assieme al suo cuore, e lui aveva gettato tutto alle ortiche con autentico disprezzo.

Dal suo ritorno a Washington non aveva fatto altro che rimuginare su quello, e su molte altre cose ancora.

E, ad ogni notte passata insonne nel suo letto solitario, i ricordi a inondargli la mente con la loro triste dolcezza, aveva infine compreso.

Non aveva fatto altro che ferire le persone a lui più care, fin dalla tenera età.

Aveva rifiutato il lascito di sua nonna, e lei era morta nei patimenti più atroci.

Aveva gettato in faccia alla madre il suo retaggio, e lei ora viveva sola a centinaia di miglia da lui, vedova di un uomo scomparso prematuramente.

Aveva infangato il buon nome dell’unica donna che avesse mai veramente amato, e solo perché gli aveva offerto la verità, ed ora lei era su un’isola in mezzo all’Oceano Pacifico.

Era stato davvero bravo.

Nel suonare il campanello della villetta in stile New England della madre, interamente dipinta di bianco, con una veranda coperta di zanzariera rivolta verso il giardino antistante, John fremette.

Da dove avrebbe potuto cominciare? Per cosa avrebbe dovuto scusarsi?

Quando la badante di sua madre giunse ad aprire la porta, la donna gli sorrise cordiale nel farlo entrare e mormorò: “Benvenuto, John. Lei ti stava aspettando.”

“Lo immaginavo” assentì lui, pur sapendo di non aver avvertito la madre del suo arrivo.

Di cosa stupirsi, in fondo?

Se voleva dare una svolta alla sua vita, una vera svolta, doveva dar credito a ciò che succedeva intorno a lui, stranezze comprese.

Quando però giunse nel salotto della villetta, non poté non sgranare gli occhi per la sorpresa e, sobbalzando, esalò: “Voi? Che ci fate qui?”

“Li ho invitati io, figliolo” asserì la madre, sorridendo ai suoi ospiti.

Max fu il primo a parlare, come al solito cordiale e comprensivo. “Ehi, amico, come va?”

La badante si defilò in cucina, mentre Angelique faceva segno al figlio di accomodarsi.

J.C. accettò senza fiatare e la donna, accigliata in viso, dichiarò: “A quanto pare, hai toccato punte di stupidità davvero uniche, figlio mio.”

“Mamma…” si lagnò lui, arrossendo suo malgrado.

“E’ inutile che dici ‘mamma’ con quel tono lamentoso. Sai di aver fatto un torto gravissimo a una persona unica, e questo non ti dispenserà dal ricevere la mia ramanzina” brontolò la donna, scuotendo il capo di capelli canuti.

“Non conta nulla il fatto che io sia venuto qui con il cuore in mano, e disposto a credere a tutto ciò che mi dirai?” replicò John, aggrottando la fronte.

“Non se lo fai solo per riprenderti Summer” sbottò Angelique.

Il colpo andò a segno e il figlio reclinò il capo, contrito.

“Ah, vedo bene che la ragazza ti manca! Ma non basterà il suo amore per lei a far cambiare le cose. Devi venire a me anche per accettare ciò che sei o, per lei e per te stesso, sarai più un pericolo che un giovamento” esclamò soddisfatta la donna.

“Non le farei mai del male!” esalò lui, dandosi dell’idiota un attimo dopo. Certo che gliene aveva fatto, e anche molto.

Angelique scosse il capo, spiacente, e mormorò in risposta: “Potresti farle molto di più che spezzarle il cuore, ragazzo. Non è dei suoi sentimenti per te che sto parlando, ma del tuo loa.”

“Cosa?” gracchiò John, aggrottando la fronte.

“Non rammenti dunque nulla?” sospirò la donna, ora dispiaciuta.

“Non … capisco…”

“Summer ci disse che il tuo loa si era scatenato, all’interno della grotta” gli spiegò a quel punto Winter, giocherellando con un bicchiere di acqua ghiacciata.

Appariva gelido, al pari dei cubetti di ghiaccio che galleggiavano nel suo drink.

Drink che, nel giro di una breve manciata di attimi, sciolse i suoi trasparenti ospiti ghiacciati per poi ricomporli sotto i suoi occhi sconcertati.

Era evidente anche a uno scettico come lui quanto Win fosse nervoso, o più propriamente, incazzato nero.

Quel giocherellare con i propri poteri, doveva essere una reazione al suo stato di irritazione latente.

Distogliendo in fretta lo sguardo, ripensò a ciò che era successo sull’isola, nel tentativo di rammentare l’episodio cui aveva fatto riferimento Winter.

John ricordò le mani attorno al collo della donna ma poco altro e, passandosi  una mano sul viso contratto, mormorò: “Non so di cosa parlate… davvero…”

Spring si levò in piedi, a quelle parole, la rotondità della gravidanza ora ben evidente sull’esile corpo di donna.

Nel posizionarsi alle spalle di Winter, poggiando le mani sulle sue forti spalle, fissò J.C. senza pietà alcuna ed esclamò a sorpresa: “Come Guardiana della Terra io ti chiamo, Johnathan Colton Graham. Il tuo corpo mi appartiene di diritto e non lo cederò a nessuno, neppure al tuo spirito oscuro!”

Max le si portò vicino, mentre la moglie iniziava a rifulgere di spettrale splendore. La sua pelle parve riflettere la luce del sole, che penetrava dalle finestre spalancate sull’oceano.

Fu solo dopo alcuni attimi di sconcerto iniziale, che John comprese la verità.

Era lei stessa a emanare quella luce!

Winter, in quegli stessi istanti di proverbiale stupore di J.C., si ricoprì di una sottile patina di ghiaccio e, protettivo, si alzò per pararsi completamente dinanzi alla sorella.

Le mani sottili di Spring scivolarono sui fianchi del fratello.

Sgomento, John li osservò senza capire finché…

Il suo corpo iniziò a sfrigolare, come se un fuoco interno lo stesse divorando lentamente e, già sul punto di chiedere cosa gli stessero facendo, udì urlare qualcuno… dalla sua stessa bocca!

Aggrappandosi ai braccioli della poltrona, cercò di alzarsi, ma tutto fu vano.

Un pesante strato di ghiaccio si stava arrampicando lungo le sue gambe, sinuoso come un serpente e, mentre Winter ne controllava la consistenza con il solo sguardo, lui urlò, e urlò.

Angelique circondò la poltrona con uno spesso strato di sale e, a quel punto, Win gettò il contenuto del bicchiere in aria, facendone svaporare il contenuto per trasmutarlo in bruma.

Essa prese consistenza e assunse le sembianze di una donna… le sembianze di Erin Hamilton O’Hara!

Sgranando gli occhi con sempre maggiore forza, mentre il suo corpo veniva squassato da violenti scossoni, e dalla sua bocca fuoriuscivano parole su cui non aveva controllo, John fissò terrorizzato la madre.

Lei si limitò ad annuire, sicura del fatto suo, mentre Winter e Spring continuavano a parlare in una lingua che non conosceva e che, forse, non era neppure la loro lingua madre.

Aveva sentito alcune volte Summer parlare in gaelico, ma ciò che i due gemelli stavano formulando, con tono profondo e ancestrale, aveva qualcosa di ben diverso… di divino.

Lo spettro, dalle sembianze di Erin, oltrepassò il cerchio di sale con sguardo volitivo e forte, e fu a quel punto che avvenne l’impensabile.

Il suo corpo venne squassato da una violenta scossa e, sotto i suoi occhi sgomenti, un loa con le sue sembianze – almeno apparenti – si gettò contro Erin per colpirla con violenza.

Lo spettro di bruma non si lasciò spaventare.

Svaporò non appena il loa cercò di ghermirla, per poi riapparire in forma quasi solida dietro di lui, stilettandolo alla schiena con mille dardi d’acqua.

Il loa gridò, si ribellò a quegli stiletti conficcati nella schiena – che gli impedivano qualsiasi movimento – e, in un ultimo disperato tentativo, gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla perché lui lo aiutasse.

John lo fissò in quegli occhi così simili ai suoi e, alla fine, capì.

Quel loa lo aveva creato lui con le sue paure, con i suoi fraintendimenti, con la sua cocciuta ostinazione a non voler comprendere quanto vi fosse di vero in ciò che gli era stato detto.

Quello spirito aveva fatto del male a Summer e, per poco, non l’aveva uccisa.

No, non doveva sopravvivere.

Reclinando il capo, si negò al suo sguardo e il loa, con un gorgoglio senza forma, si lasciò cadere in ginocchio all’interno del cerchio di sale prima di svanire in una voluta di fumo nero.

Angelique fu lesta ad aprire le finestre, perché quel vapore mefitico si disperdesse fuori dalla sua casa.

Mentre Erin tornava al fianco di Winter, John levò lentamente il capo, esausto e apparentemente senza forze, ed esalò: “E’ tutto finito?”

“Ora sì” assentì Spring, e la sua luce svanì come era giunta.

Il ghiaccio scomparve in una nuvoletta di vapore ed Erin, dopo un ultimo sorriso a Win, svanì a sua volta.

John a quel punto si afflosciò sulla poltrona e, passandosi una mano sulla fronte madida, gracchiò: “Ero io, quello?”

“La tua parte più oscura, non più tenuta a freno, e impregnata del tuo potere divinatorio. Lui non aveva remore a usarlo” precisò Winter, annuendo con aria guardinga.

Il ghiaccio era scomparso, come se non fosse mai esistito, ma l’uomo restava ugualmente attento, e pronto a qualsiasi evenienza.

Non era evidentemente del tutto sicuro che le cose fossero andate al loro posto, e non se la sentiva, in tutta onestà, di abbassare la guardia.

“E ora?”

“Ora, dovrai iniziare il tuo apprendistato come houngan e, finché non avrai terminato, scordati di avvicinarti a mia sorella” gli gettò in faccia il maggiore degli Hamilton, parlando senza troppa simpatia nella voce. “Ho accettato di venire qui con Spring, solo perché conosciamo il profondo affetto che Summer prova per te, ma torcile un solo capello, e scatenerò su di te una furia tale che l’uragano Katrina, al confronto, ti sembrerà un bon-bon.”

Con un sorriso che prometteva miele e benessere, Spry aggiunse: “E io ti aprirò la terra sotto i piedi, perché gli abissi ti divorino un pezzo alla volta.”

John rabbrividì. Nessuno dei due stava scherzando. Per nulla.

“Con premesse simili, non hai granché scelta, figliolo” precisò la madre, più che soddisfatta.

Annuendo in silenzio più e più volte, alla fine gracchiò: “No davvero.”

“Oh, ne hai due, in effetti. O accetti tutti noi, e te stesso, per quello che sei, e ne prendi sulle spalle pregi e difetti, oppure non la rivedrai mai più.”

Ciò detto, Winter sospirò e si massaggiò il centro della fronte, come per un principio di emicrania.

John, al momento, ne aveva una gigantesca, e prometteva di essere solo agli inizi.

“Vi sono grata, Guardiani, per ciò che avete fatto per mio figlio” mormorò ossequiosa Angelique, reclinando il capo con fare dimesso.

Winter e Spring annuirono e Max, presa sottobraccio la moglie, le domandò sommessamente come stesse.

Al suo sorriso luminoso, l’uomo si tranquillizzò ma, quando vide il volto smunto di John e la sua aria smarrita, ebbe pietà di lui.

Dopo un simile spettacolo, tempre ben più forti sarebbero crollate e lui stesso, alla vista di un assaggio dei poteri della moglie e del cognato, era quasi svenuto.

Non invidiava ciò che avrebbe dovuto fare da lì in avanti John, per mettere in riga i suoi doni ma, vista la posta in gioco, era più che certo che ci sarebbe riuscito.

Summer valeva lacrime e sangue, ne era più che sicuro.

Uno dopo l’altro, infine, defilarono per uscire di casa, salutando Angelique con abbracci e baci sulle guance.

Quando Max si trovò al fianco di J.C., gli batté una mano sulla spalla, asserendo: “Ce la puoi fare, amico. Ne sono sicuro.”

John preferì non arrischiarsi a parlare, non essendo più sicuro di nulla in quel momento e, non appena i loro strani ospiti si furono allontanati, ricomparve la badante con un’orzata.

Pacifica, gliela offrì e disse: “Ora sarà il caso di lasciarti riposare per un po’ e, da domani, inizierai il training con me.”

Di che si stupiva, in fondo?, pensò tra sé John, trasalendo leggermente alle parole della donna.

A quanto pareva, il mondo dell’occulto e delle divinità aveva più adepti di quanto non si fosse immaginato in un primo momento.

E questo lo portò a porsi una domanda inquietante.

Vagamente turbato, John gracchiò: “Ma… con cosa sono venuti?”

Angelique ridacchiò e gli disse: “In auto. E’ sul retro, sotto il portico. Per questo non l’hai vista. Pensavi fossero volati qui su una scopa?”

John si astenne dal fare commenti, ma si rilassò solo quando udì il rombo dell’auto inerpicarsi su per i muri fino a giungere alle sue orecchie, per poi allontanarsi fino a scomparire in lontananza.

 
¤¤¤

“E questo cosa sarebbe?” mormorò Shaina, osservando confusa un foglio di carta pergamenata, ripiegato e sigillato con ceralacca rossa, recante il simbolo della ruota di Arianrhod.

Sean, al fianco di Colin e Miranda, osservò con serietà la donna, assisa su uno scranno dietro la sua scrivania in palissandro.

Tutt’attorno, reliquie vecchie di secoli, ancestrali dipinti di avi lontani e antiche armi appartenute ai più valorosi guerrieri, incutevano un certo timore.

Sean, però non si fece spaventare.

Si era lanciato in quella missione tanti anni addietro, sapendo bene a cosa stava andando incontro.

Fin dalla loro prima visita ai Guardiani, il giorno della nascita di Malcolm, il suo intento era stato noto ai due Signori dell’Aria e dell’Acqua, che ne avevano plaudito il pensiero.

Gli anni gli erano serviti per accrescere l’amicizia con entrambi e, nel contempo, per acquisire le conoscenze necessarie per tradurre il grimorum.

Saperli dalla sua parte, lo aveva spinto a continuare anche nei momenti di maggiore sconforto, quando tutto era parso senza speranza.

L’esempio di Anthony e Camille Hamilton lo aveva spronato a dare il via al suo piano. Winter e Autumn, a proseguirlo.

Seguire ciò che il Consiglio aveva imposto loro per secoli si era rivelato una menzogna, e violava non solo la libertà dei Guardiani, ma anche quella dei Prescelti stessi.

Come aveva scoperto fin dalle prime letture del grimorum, rubato da Colin su indicazioni di Mæb stessa, Arianrhod era sempre centrata molto poco in tutta la faccenda.

Il Suo Nome era servito unicamente a mascherare interessi sempre crescenti, e rendite speculative sempre più esorbitanti.

I Clan più potenti avevano prosperato nei secoli, man mano che i matrimoni combinati avevano allargato le porte – guarda caso – alle famiglie più ricche d’Irlanda.

E la faccenda della torque?

Un becero stratagemma, ideato per sfruttare il  momento di sfasatura dei poteri dei Guardiani, così da asservirli ai loro bisogni personali.

Il sangue di fata era notoriamente allergico all’acciaio, e  quale materiale migliore se non l’acciaio siderale, per far crollare i Signori degli Elementi nel momento di maggior debolezza?

No, quella pratica doveva terminare lì, in quel momento, visto e considerato che non vi era scritto da nessuna parte, che il matrimonio dovesse essere imposto.

Arianrhod non aveva mai voluto imprigionare i suoi stessi Guardiani. Gli uomini lo avevano fatto, per avidità e sete di potere.

Questo avevano tenuto nascosto nel grimorum per secoli, non le conoscenze della dea.

Lady Shaina avrebbe dovuto ascoltare le loro giuste rimostranze, non poteva rifiutarsi.

Fattosi portavoce dei Prescelti, Sean quindi asserì con forza: “Queste sono le firme dei Capiclan asserviti alla Legge della Tessitrice. Quindici famiglie su venti, per l’esattezza, e tutte chiedono che le vecchie norme vengano riscritte.”

Shaina aggrottò la fronte e, senza neppure aprire la pergamena, la scostò con gesto disinteressato.

“Non siete nella posizione di chiedere niente. Voi non avete il potere per farlo.”

“Mi permetto di dissentire, Lady Shaina” replicò pacato Sean, scostando da sotto il braccio il pesante tomo che aveva fin lì portato.

La verità era contenuta lì da secoli e, da secoli, era stata tenuta nascosta perché morisse, venisse cancellata dall’oblio del tempo.

Era però giunto il tempo che tutti sapessero chiaramente cosa vi fosse scritto, che la realtà edulcorata, fin lì raccontata ai più, venisse smascherata.

Il grimorum era da sempre stato la loro reliquia più importante, ma nessuno, a parte i membri del Consiglio, aveva mai conosciuto veramente cosa vi fosse scritto.

E quel che ora sapeva Sean lo avrebbe messo a disposizione di tutti.

Accigliandosi, Shaina fissò il grimorum e, subito dopo, il volto pallido di Sean.

Chi ha posto nelle tue mani indegne quell’antico testo? Solo un Guardiano può leggerlo!” sbottò la donna, levandosi in piedi con fiera rabbia.

“E un Guardiano mi ha consegnato le chiavi per ottenerlo, Lady Shaina. Lady Mæb mi ha concesso quest’onore” spiegò modesto Colin, giungendo in aiuto dell’amico, che gli sorrise complice.

“Quella vecchia arpia di Mæb…” brontolò l’anziana Guardiana, scuotendo il capo.

Fattosi forza, Sean aprì il tomo in un punto preciso e mormorò: “La legge parla per noi, Lady Shaina.”

“La legge…”

Miranda, a quel punto, la interruppe, iniziando a declamare quanto scritto con la sua elegante voce di contralto.

“Ci si rifà al sopraddetto emendamento, rammentando alle dinastie coinvolte che solo, e unicamente, in caso di preferenza del Guardiano, tali unioni potranno essere approvate dalla Potestà del Consiglio. La volontà del Guardiano è prima su ogni decisione.”

“Per l’appunto! La mia volontà!” sbottò Shaina, irrigidendosi, il viso ormai livido di rabbia.

Miranda resse lo sguardo gelido della donna e Colin, al suo fianco, le strinse protettivo una mano sul braccio.

Sean fece lo stesso sul suo lato libero e Mir, con un leggero sospiro, raddrizzò le spalle e fronteggiò più sicura l’anziana Guardiana del Fuoco.

“Leggerò la traduzione poco oltre perché vi sia più chiaro, Vostra Grazia” mormorò allora la giovane, ben sapendo cosa stava rischiando, inimicandosi una donna come Shaina.

Aggrottando la fronte, la vecchia Dominatrice del Fuoco la vide scorrere le dita sulle ultime righe scolorite della pagina e, a mezza voce, la udì declamare l’inascoltabile.

“Di giovane virgulto è l’autorità prima, di vecchia quercia la responsabilità di educare.”

Shaina sbuffò infastidita e Sean, nel chiudere il tomo, ammise: “E’ stato difficile interpretare un libro così antico, viste soprattutto le quasi duemila pagine in esso contenute, ma posso avere la presunzione di dire che il diritto di scelta spetta ai Guardiani Winter, Spring, Summer e Autumn,… non a voi, Lady Shaina.”

“Tu non sai di quel che parli!” sbraitò la donna, sbattendo una mano sulla scrivania.

Sean, Colin e Miranda rimasero impassibili.

Quest’ultima, facendosi avanti con aria decisa e fiera, asserì: “Non accetterò mai di passare sopra alla mia vita per uno stupido editto che, tra le altre cose, non è neppure valido. Lord Autumn dichiarò già anni addietro la sua volontà di non prendermi in moglie e, con lui, mi sento regolarmente ogni mese. Non ha certo cambiato idea, di questo posso rendervi edotta.”

Shaina la fissò, sconvolta e furiosa, e Miranda, proseguendo nella sua arringa, poggiò le mani sul suo ventre ancora piatto, quasi a volerlo proteggere.

“Colin è il padre del bambino che sta crescendo nel mio grembo e, in occasione delle festività di Arianrhod1, nostra Signora, noi diverremo marito e moglie.”

A quel punto, l’anziana Guardiana oltrepassò la scrivania per sfidarli apertamente, ma nessuno dei tre giovani indietreggiò.

Colin, al contrario, avvolse la vita della compagna con un braccio e dichiarò con forza: “Non abbiamo bisogno del vostro benestare, Milady, ma gradiremmo capiste quanto questa farsa sia andata fin troppo avanti. Arianrhod non ha nulla a che fare con la Legge dei Prescelti, è ben chiaro in ciò che abbiamo sottoposto alla vostra attenzione. Gli interessi del Clan, lo erano, ma questo non rientra nei nostri obblighi verso i Guardiani.”

“Il potere è sempre stato nelle mani del Consiglio e dei Guardiani, e così continuerà ad essere!” sbraitò la donna, ora livida in viso, il respiro rapido e leggero.

Un attimo dopo, la porta si aprì e, sulla soglia, fece la sua comparsa Angus, il marito di Shaina.

Scuotendo il capo con aria grave, l’uomo mormorò: “Potete andare, ragazzi. Leggerò la missiva, e farò sicuramente indire una riunione del Consiglio per aggiornarli sulle vostre scoperte. Ora lasciatemi parlare con mia moglie.”

I tre giovani annuirono ossequiosi e se ne andarono in silenzio mentre Shaina, furente e ormai preda di violenti tremori, fissò accigliata il marito prima di sibilargli contro: “Non puoi prendere decisioni per conto dei Quattro!”

“Posso fermare mia moglie dal fare l’ennesimo errore… e, come membro del Consiglio, posso imporre a mia volta la parola, pur senza i tuoi poteri a farmi da scudo” replicò serafico Angus, avvicinandola senza timore alcuno.

Come Fulcro, non avrebbe mai rischiato nulla da lei, neppure di fronte alla sua furia scatenata.

Ansante e già pronta a scatenare la propria ira, Shaina si azzittì quando Angus disse con tono sepolcrale: “Ho perso due figlie, un genero che adoravo e quattro nipoti che non ho avuto il piacere di conoscere a fondo. Io fui maritato a te per volontà dei nostri genitori e, anche se ti ho amata fin dal primo momento, non ho mai smesso di odiare queste regole impositive. Scoprire che derivavano solo da una visione contorta della verità, dal sordido interesse del Clan, non mi è affatto piaciuto. Non sacrificherò oltre la mia famiglia. Winter ha già pagato un prezzo altissimo, e non ti permetterò di far pagare lo stesso fio agli altri miei nipoti e pronipoti. Se vuoi che io rimanga, accetta il patto e rinuncia al potere. E’ ormai tempo che il Clan risorga nella luce, non che rimanga insabbiato nell’oscurantismo del passato.”

“Senza controllo, le genti insozzeranno il sangue divino che ci scorre nelle vene. Arianrhod non voleva questo! La nostra razza deve essere preservata!” balbettò nervosamente Shaina, scuotendo il capo.

“Non penso che la nostra dea volesse questo, da noi. Penso piuttosto che desiderasse da noi un utilizzo conscio e ponderato dei doni che ci hanno fatto i Tuatha de Danann, cosa che i nostri nipoti stanno facendo… mentre noi e i nostri antenati ne abbiamo abusato” replicò candidamente Angus.

Tu non hai potere…” si ritrovò a dire Shaina, gli occhi ridotti a due scintille caustiche.

“Su di te, sì” precisò l’uomo, imperturbabile. “E, finché non avrai compreso i tuoi errori, il tuo Fulcro starà ben lontano da te.”

Ciò detto, Angus abbandonò la stanza, lasciando Shaina sola mentre crollava,   esausta e tramortita, sul suo scranno di legno.





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1 Festività di Arianrhod: E’ Samhain, cioè Halloween, il 31 Ottobre.

  
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