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Autore: Neverlethimgo    08/07/2014    7 recensioni
Era bastata una notte a far cambiare tutto e tre parole a far nascere decine di domande. Era solo un assassino, o era addirittura pazzo?
Dai capitoli:
Erano passati tre anni dall'ultima volta che misi piede fuori dall'istituto, avevo rimosso ogni cosa del mondo esterno, fatta eccezione per la luce del sole, sebbene la vedessi di rado ultimamente.
Sapevo che avrei dovuto trascorrere soltanto altri due giorni in quella prigione, sapevo che mancava così poco alla fine, eppure non percepivo il desiderio di sentirmi libero. Non ero mai stato libero davvero.

A Jason McCann story.
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jason McCann, Miley Cyrus
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 17: I'm stuck in a reality without you.


 

Jason

Avrei dovuto capirlo fin da subito, ancor prima di iniziare anche solo a pensare che tutta la mia vita potesse ruotare attorno a lei.
Credevo potesse fidarsi di me, era bastato così poco tempo per fare in modo che si avvicinasse a me, mentre ora solo Dio sapeva dove si trovava. E soprattutto con chi.
Mi sembrava d’impazzire.
Dal momento in cui Dean se n’era andato, mi ritrovai di nuovo solo, sentendomi quasi perso tra le quattro mura di casa mia.
Non avevo abbandonato il divano nemmeno quando se n’era andato. Non avevo quasi mosso nemmeno un muscolo.
Mi sembrava di non riuscire più a reggere tutto il peso che da anni mi portavo sulle spalle.
 
La paura che aleggiava nello sguardo di Ivy faceva da contrasto alla morbidezza delle sue labbra e mi sembrava tutto così sbagliato.
Non riuscivo più ad inquadrarla, a ricordare chi fosse.
Man mano che il tempo trascorreva, mi rendevo sempre più conto di veder sfumare il ricordo che avevo di lei quando ancora era all’oscuro del mio passato. Tutto ciò che riuscivo a vedere ora era il suo sguardo colmo di paura, mentre percepivo la sua assenza come il sentimento più brutale che avessi mai provato. Un senso di vuoto pari ad un salto nel buio delle acque più profonde di un oceano sconfinato.
Avevo tardato ad aprirmi con lei, a farle capire ciò che sentivo per lei, avevo perso più tempo del previsto e, in tutto ciò, lei continuava a non sapere.
Mi sentivo come se mi avesse donato il paradiso per poi riprenderselo subito dopo, strappandomelo dalle mani con velocità fulminea.
Mi aveva lasciato libero accesso dentro sé, per poi farmi capire implicitamente che non ci sarei più potuto entrare.
Strinsi i pugni talmente forte da percepire dolore ai palmi delle mani e alle nocche, premetti con forza gli avambracci sulle ginocchia fino a che quella sofferenza non divenne l'unica distrazione che mi era rimasta.
 
Come temevo, iniziai a percepire un senso di rabbia farsi spazio dentro di me, divorando il vuoto che la sua assenza mi aveva provocato.
Il primo lampo di disgusto fu rivolto a Kayden e, nonostante le parole di Dean non fossero stati suoni gettati al vento, sentii l’impulso di scagliare la mia ira contro di lui.
Una saetta d’odio era sempre e perennemente dedicata a mio padre e a tutto ciò che mi aveva costretto a fare.
Più ripensavo a tutto ciò, più diventavo consapevole che la mia vita fosse stata distrutta a causa sua. Diventavo sempre più conscio del fatto che non avrei mai più vissuto come prima, non avrei mai avuto la mia libertà. Sarei sempre stato prigioniero di un passato marchiato sulla pelle come un tatuaggio indesiderato. Indelebile, permanente, dannato.
Avrei continuato ad odiare solo e soltanto mio padre se solo avessi potuto scagliare su di lui tutta la mia ira.
Ma lui ormai non c'era più ed esisteva solo un'altra persona che al momento detestavo così tanto.
Cercai con tutte le mie forze di reprimere la rabbia, di convincermi che tutto ciò fosse sbagliato, ma le mie buone intenzioni furono vane.
Sbattei violentemente il pugno contro la superficie in vetro del tavolino di fronte a me. Avvertii un dolore lancinante alla mano, percependo un formicolio fastidioso lungo il tutto il braccio, ma strinsi i denti e serrai gli occhi, inspirando ed espirando lentamente sperando di allontanare del tutto quel senso di rabbia.
E ci riuscii.
 

Ivy

 
È davvero orribile per me vederti così triste, Ivy,” mormorò Kayden, allentando la presa di quell’abbraccio. Sollevai di poco il capo, quanto bastò per incrociare il suo sguardo.
Rimasi in silenzio e posai immediatamente lo sguardo altrove.
Mi sentivo terribilmente combattuta, non volevo aver bisogno di Kayden e delle sue attenzioni, ma non sarei nemmeno riuscita a rimanere sola.
Mi passai entrambe le mani sulle gote, spazzando via le lacrime che mi avevano segnato il viso e cercando di riprendere a respirare regolarmente, senza dover sentire i miei fastidiosi singhiozzi riempire l'aria.
Vuoi che vada a prenderti un bicchiere d'acqua?” mi domandò ed annuii.
Poco dopo si alzò e sparì fuori dalla stanza. Sospirai, sentendo i suoi passi riecheggiare lungo la rampa di scale fino a che non divennero soltanto un suono lontano.
La mia attenzione venne catturata dal computer portatile posato sul bordo del letto. Mi allungai per afferrarlo e lo aprii. Trovandolo già acceso, iniziai a cercare su internet qualche informazione in più riguardo all'omicidio che aveva commesso Jason.
Decine di risultati comparvero davanti ai miei occhi e mi sentii incredibilmente stupida per aver ignorato sino a poco tempo fa l'esistenza di quella tragedia.
Cliccai sulla riproduzione di un articolo di un giornale datato il 3 dicembre 2010 ed iniziai a leggerlo.
 
 

Philadelphia 4 dicembre, 2010

 
La notte scorsa sono stati rinvenuti i corpi senza vita dei coniugi McCann.
Il pavimento della cucina della loro abitazione era macchiato del loro sangue ed accanto ai corpi non vi era altro che un coltello: unica arma del delitto.
Il freddo e la desolazione che aleggiava tra quelle quattro mura era terrificante, tanto quanto fu sconcertante risalire al colpevole di tale atto.
L’agente Dean Thomas, recatosi sul luogo del delitto solo qualche ora dopo ricevuta tale notizia, ha avuto un contatto ravvicinato con Jason, un ragazzo di soli sedici anni, nonché figlio legittimo delle due vittime.
“A primo impatto ho subito pensato fosse spaventato, non ha battuto ciglio quando mi ha visto entrare in casa sua. Si è limitato a dei lievi cenni del capo ogniqualvolta gli porgevo qualche domanda, non l’ho quasi sentito parlare.” Ha raccontato l’agente Dean. “Onestamente, mi sono stupito del fatto che fosse rimasto immobile davanti all’ingresso della cucina per tutto quel tempo. Credevo fosse rimasto talmente scioccato da quanto era successo da non riuscire a muoversi, ma ho dovuto ricredermi.”
Infatti, ciò che più ha sorpreso l’intera centrale di polizia, fu assistere ad una rapidissima confessione da parte di Jason.
Il commissario ha dichiarato di non aver mai svolto interrogatorio più veloce.
“Sono stato io.” Ha confessato il ragazzo senza timore, quasi come se l’unica cosa di cui gli importasse fosse togliersi un peso dal petto.
Tuttavia, non è stata ancora decisa la sentenza sulla pena da far scontare al ragazzo.
Il commissariato di polizia è diviso in due fronti. Tra gli investigatori che si stanno occupando del caso vi è una predisposizione a far internare Jason in un ospedale psichiatrico per studiare in modo più approfondito il suo essere…
 
 
Chiusi con uno scatto il portatile non appena sentii nuovamente un suono di passi avanzare sulle scale.
Appoggiai il computer accanto a me ed afferrai il bicchiere che Kayden mi porse poco dopo. Ne bevvi il contenuto tutto d’un fiato, sospirando sonoramente e cercando di riacquistare un lieve senso di calma.
Ciò che avevo letto in quell’articolo mi aveva confuso ancor di più ed iniziai a pormi sempre più domande. Non riuscivo a credere che Jason potesse essere davvero considerato pazzo.
Uccidere i propri genitori era stato un gesto esagerato, fuori dal normale, ma nel suo diario aveva scritto di avere un valido motivo. Un pazzo non avrebbe di certo pensato a trovare una ragione, l’avrebbe fatto e basta.
Morivo dalla voglia di continuare a leggere quei vecchi articoli per capirne di più. Avrei voluto sapere che cosa ne era stato di lui. Avrei voluto sapere se davvero l’avevano rinchiuso in quell’ospedale oppure no.
Stai ancora pensando a quel pazzo?” mi domandò Kayden, strappandomi dai miei pensieri.
Perché si ostinava a chiamarlo in quel modo?
E se avesse avuto un motivo per uccidere i suoi genitori?” chiesi di rimando, evitando di volergli confessare di aver letto il diario di Jason. Sapevo che, nonostante tutto, quello era il suo diario ed io non avevo nessun diritto di leggerlo, per tanto non avrei detto a nessuno ciò che vi avevo trovato scritto.
Mmh, possibile” commentò lui, “probabilmente l’avevano messo in punizione, impedendogli di uscire o di usare il cellulare. Sono motivazioni più che valide per uccidere i propri genitori.
Lo sentii ridere subito dopo e lo fulminai con lo sguardo.
Sei proprio un idiota!” sbottai, scattando in piedi ed allontanandomi da lui. Mi strinsi nelle spalle e fissai il muro di fronte a me.
Sentii i suoi passi alle mie spalle ma non mi mossi, né tanto meno mi voltai per guardarlo.
Oh, andiamo Ivy, stavo solo scherzando.
Continuai a non considerarlo, ma fu del tutto inutile.
Quello che voglio dire è che – se anche avesse avuto un motivo – sarebbe stato fin troppo poco. Ha commesso un omicidio e non si tratta di persone qualunque, ma dei suoi genitori. Cerca di capire, non può essere troppo normale” continuò e lasciai cadere le braccia lungo i fianchi. Voltai di poco il capo, inquadrando la sua figura con la coda dell’occhio.
Se l’hanno rinchiuso in un manicomio, un motivo ci sarà stato.
Sbarrai gli occhi e mi voltai di scatto.
L’hanno davvero portato in quel posto?” domandai con voce tremolante e lui annuì semplicemente.
Cos’altro avrebbero potuto fargli? Se l’avessero semplicemente sbattuto in cella non avrebbero mai capito che razza di mente malata ha. Credo sia stato meglio così, ma non ho ancora capito per quale assurda ragione l’abbiano lasciato uscire. È un pericolo pubblico e, quel che mi stupisce di più, è che gli abbiano permesso di frequentare la nostra scuola.
Chiusi gli occhi e scossi il capo.
Io- io non riesco a capire. Non sembra cattivo.
Kayden si strinse nelle spalle e si sedette sul letto. “Nemmeno Jack lo squartatore, all’apparenza, sembrava essere un assassino, eppure…
D’accordo, basta!” lo fermai, quasi implorandolo. “Non voglio più parlare di questa storia, finirà col farmi impazzire e ne ho abbastanza.” Mi portai entrambe le mani sugli occhi e, poco dopo, sentii la sua mano stringermi delicatamente il polso, per poi attirarmi a sé. Mi costrinse a sedermi sopra alle sue gambe e, non appena riaprii gli occhi, realizzai che altre lacrime lottassero contro la mia volontà per rigarmi un’altra volta le gote.
Hai ragione, non parliamone più” mormorò e lo vidi abbozzare un sorriso. “Dovresti pensare ad altro, Ivy. Hai la tua vita da vivere e non devi rovinartela a causa sua. Dopotutto, non sapevi chi fosse in realtà. Vorrei solo che capissi che non cercavo di allontanarlo da te solo per gelosia, m’importa davvero di te e non vorrei mai che ti succedesse qualcosa, specialmente a causa sua.
Annuii, seppur in modo appena percettibile. Non riuscivo ad allontanare del tutto l’immagine di Jason dalla mia mente, ma non mi era facile dissociarlo da quanto avevo letto in quell’articolo e, specialmente, nel suo diario.
Realizzai solo dopo qualche istante di avere gli occhi puntati in quelli di Kayden. Mi ero persa totalmente in quei pensieri da non essermi resa conto della poca distanza che separava i nostri volti.
“M’importa davvero di te.”
Quelle parole riecheggiarono continuamente nella mia mente e non riuscii a non dar loro il peso che meritavano.
Di lì a poco, vidi il suo viso avvicinarsi maggiormente al mio e, con mia sorpresa, non indietreggiai. Iniziai a sentire il suo respiro sfiorare le mie labbra e rabbrividii. Le dischiusi, intenta a dire qualsiasi cosa che potesse interrompere quel momento prima ancora che nascesse, ma riuscii solo a rimanere in silenzio.
Mi domandavo continuamente se fosse giusto o se fosse sbagliato.
Conoscevo la risposta ed ero consapevole che non avrei corso altro che rischi, ma mi lasciai andare.
Permisi alle sue labbra di sfiorare le mie, ma la cosa che mi stupì di più fu che non me ne pentii.
Lottai con tutta me stessa pur di non approfondire quel bacio, cercai di mantenere le labbra serrate, ma cedetti. Kayden posò la mano sul mio collo, attirandomi a sé il più possibile, e fu in quel momento che sentii la sua lingua sfiorare la mia.
Più quel bacio continuava ad esistere, più sentivo la testa divenire pesante. Serrai gli occhi più del dovuto e poco dopo mi allontanai. Scossi il capo e feci per alzarmi, ma non mi accorsi di avere la sua mano stretta attorno al mio polso.
Credo sia ora che tu vada,” mormorai, cercando di divincolarmi dalla sua presa. Abbassai il capo, posando lo sguardo dovunque tranne che su di lui.
So a cosa stai pensando” ribatté e questa volta fui costretta a riportare la mia attenzione su di lui.
Pensi che sia tutto sbagliato, non è vero?” mi domandò ed annuii.
Non devi credere che sia un errore, quante altre volte lo hai fatto prima?
Prima era diverso, Kayden,” dissi con tono fermo. “Prima ero la tua ragazza, ora non è più così. Tutto questo non sarebbe dovuto accadere.
Riuscii a divincolarmi dalla sua presa e mi alzai, aumentando sin da subito la distanza tra noi.
Però è successo” pronunciò in modo a malapena percettibile.
Scossi nuovamente il capo. “Io non credo di volerlo di nuovo. È troppo presto.
Non ti sto mettendo fretta” biascicò poco dopo, quasi sovrastando le mie parole.
Mi voltai verso di lui, incrociando il suo sguardo e cercando di capire a che gioco stesse giocando. Mi ci immersi più del dovuto, ma non trovai nemmeno uno sprazzo di maliziosità. Mi sembrò sincero, tuttavia non dissi nulla.
Distolsi a fatica lo sguardo dal suo ed abbassai il capo. Serrai le labbra e strinsi entrambe le braccia al petto.
Pensaci, Ivy, ti lascerò il tuo spazio per rifletterci.
Annuii, ma non avevo realmente ascoltato le sue parole.
Vuoi che ti lasci sola?” mi domandò poi.
Sì, è meglio.
 
 

Jason

 
Mi sentii quasi costretto a ritornare a scuola il giorno successivo, percorsi controvoglia quella via che mi sembrò infinita e dovetti lottare con tutte le mie forze pur di mantenere alto il mio autocontrollo. Ero certo che, non appena avessi rivisto Kayden, i miei buoni propositi di ignorarlo sarebbero svaniti.
Attraversai il corridoio principale, scontrandomi di tanto in tanto con qualche ragazzo, ma non mi fermai fino a che non raggiunsi l’aula di biologia.
Mi soffermai qualche istante di troppo sull’uscio di quella porta e presi un respiro profondo. Quella era forse l’unica lezione che Ivy ed io avevamo in comune e non avevo idea di che cosa sarebbe successo.
Avrebbe continuato ad ignorarmi?
Si sarebbe seduta accanto a me come al solito, oppure avrebbe preso posto dall’altro lato della stanza?
A distrarmi dai miei pensieri fu il suono della campanella e, quando mi decisi ad entrare, notai che quasi tutti i posti erano stati occupati. Tutti tranne i due in prima fila accanto alla finestra.
Non appena mi sedetti, il professor Layton fece il suo ingresso in classe e quel chiacchiericcio fastidioso cessò di esistere.
Iniziò a parlare, ma non l’ascoltai, spostai lo sguardo oltre la finestra e rimasi in quella posizione fino a che non sentii la porta aprirsi.
E dire che avevo quasi iniziato ad abituarmi ad averti puntuale alla mia lezione” commentò l’uomo seduto dietro la cattedra e non ci fu nemmeno bisogno di guardare a quale persona si stesse riferendo. Evitai di posare lo sguardo su di lei, mi limitai a seguire i suoi movimenti con la coda dell’occhio.
Quando notò che l’unico posto libero era accanto a me, impallidì e sembrò agitarsi.
Hai intenzione di rimanere in piedi per tutto il resto dell’ora, oppure ti deciderai a sederti?” insistette il professore, ponendo una punta di acidità nel suo tono di voce.
Rassegnata, Ivy mosse qualche passo verso di me, prendendo posto nel banco accanto al mio solo perché era l’unico rimasto libero.
Mi venne difficile decifrare il suo sguardo, non riuscivo a capire che cosa le stesse passando per la mente, ma repressi all’istante la voglia di scoprirlo, perché non me lo avrebbe mai detto.
Continuai a guardare fuori dalla finestra, facendo del mio meglio per ignorarla – dopo tutto, era ciò che voleva – ma non riuscii a rimanere mentalmente assente ancora per molto.
“Inizialmente non capivo perché voi due aveste deciso di lavorare insieme alla relazione che vi avevo assegnato qualche settimana fa. Ora tutto mi è più chiaro.”
Riportai la mia attenzione sul professore, il quale ora era in piedi davanti a noi e spostava ripetutamente lo sguardo da Ivy a me.
Lo guardai con aria interrogativa, mentre Ivy manteneva il capo abbassato e gli occhi fissi sul quaderno aperto.
Siete propensi entrambi ad ignorare la mia lezione e siete dannatamente fastidiosi, ma forse, prendendo i giusti provvedimenti, potrei risolvere la cosa.
Ovvero?” domandai con tono di sfida e ciò non parve piacergli particolarmente.
Mi dedicò un sorriso enigmatico e poggiò, sia sul mio banco che su quello di Ivy, un foglio recante una decina di domande.
“Avete trenta minuti di tempo, buon lavoro!”
Detto ciò si allontanò da noi, ritornando a sedersi dietro la cattedra.
Spostai accidentalmente lo sguardo su Ivy, la quale per un istante fece lo stesso. Non appena realizzò di avermi appena guardato negli occhi, distolse lo sguardo ed iniziò a far scorrere la penna sul suo foglio. Mi decisi a fare lo stesso, deciso a concludere quel compito il prima possibile.
Lessi velocemente le domande ed iniziai a rispondere.
 
Venti minuti dopo feci per alzarmi e consegnare quel foglio, quando notai che quello di Ivy era quasi completamente bianco. Tutto ciò che aveva scritto fu il nome e la data, il resto delle domande risultava ancora senza risposta.
Sollevò il capo ed incrociai i suoi occhi: erano spenti, ma non inespressivi. Sembravano quasi tristi.
Aspettai impazientemente che aprisse bocca, che dicesse qualsiasi cosa, che mi chiedesse anche solo di passarle il compito in modo che copiasse. Ma non accadde niente di tutto ciò.
Il tempo a disposizione era agli sgoccioli e, ad ogni secondo che passava, Ivy sembrava sempre più in difficoltà.
Avvicinai il foglio al bordo del banco, assicurandomi che il professore non lo notasse, mentre io riportai nuovamente la mia attenzione oltre la finestra.
 
Pochi minuti dopo la lezione terminò e con velocità quasi fulminea, il professore ritirò i nostri compiti. Mi alzai dalla sedia, dirigendomi verso il corridoio, quando sentii una voce alle mie spalle.
Grazie” disse semplicemente Ivy, sorpassandomi e disperdendosi tra la folla di studenti.
 
 





 


 

Spazio Autrice

Dannazione a me! Sono ancora in ritardo - questa volta di poco però - e mi dispiace.
Non riesco più a controllare il tempo, le settimane passano e io mi riduco la sera tardi a scrivere.
Oh beh, amen :)

Bene, so che dopo quello che avete letto tra Ivy e Kayden mi odierete a morte - e io vi capisco - ma, ahimè, quel tipo sa quali punti deboli colpire.
Per quanto riguarda Jason, ora che non più 'semplicemente triste' c'è da preoccuparsi, ma non vi dico cosa, come, chi e perché.
Abbiate pazienza che ben presto capirete cosa intendo.
Vi lascio un piccolo spoiler qui sotto - come promesso :)


Alla prossima!
Much Love,
Giulia

@Belieber4choice
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Spoiler:


Sentii un dolore lancinante al viso ed istintivamente mi portai la mano all’altezza dell’occhio destro. Sfiorai la pelle, sentendola immediatamente umida. Sussultai non appena posai lo sguardo sul palmo della mia mano. Il rosso del mio stesso sangue aveva macchiato il dito indice e quello medio.
Sbarrai gli occhi, fissando con terrore il ragazzo che avevo di fronte.
Vattene!” gridai con quanta più forza potei. Sentii gli angoli degli occhi pizzicare, le lacrime iniziarono a lottare per uscire ed io mi sentii sempre più impotente.
È- è stato un incidente, non l’ho fatto di proposito!” ribatté a sua volta, ma non lo ascoltai.
 “Vattene e rimani lontano da me, ma questa volta per sempre.

 

   
 
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