Sette luglio: cicatrici.
Piove – piove molto;
ho appiccicato un piccolo cerotto
rotondo come la luna - rotondo come
la perfezione imperfetta della vita;
l’ho appiccicato su una delle pagine
vuote e gracili del diario, accanto
ai brividi di poesia ed ai singhiozzi di prosa.
Perché?
Perché sentivo la necessità di creare
Un lasciapassare, un appunto, un segnalibro;
sentivo di dover ricordarmi che una ferita,
un taglio, una contusione – nonostante siano
dolorosi e continuino a pulsare per giorni
e giorni interi – possono guarire, possono cicatrizzarsi.
Il dolore scivola via, scorre veloce; veloce come
l’acqua turbolenta di un fiume; come le onde,
come i tuoni e i fulmini che illuminano le mie
mani fredde.
E guariscono anche le persone, sai?
Si salva chiunque riesca a scorrere a sua volta,
a nuotare nell’oceano, a galleggiare sul mondo;
ma solo se lo vuole, se lo vuole per davvero
- perchè bisogna volerlo, altrimenti non se ne fa nulla.
Magari un giorno ci sveglieremo e le caviglie faranno male,
male come se avessimo corso per miglia e altre miglia ancora
e magari lo abbiamo davvero fatto;
abbiamo corso nei sogni, nei miei, nei tuoi, nei nostri.
E magari ci alzeremo un po’ acciaccati dalla tempesta
che ci ha bagnato i capelli, dal vento che soffia
tra gli spifferi dei mesi mancati; ci alzeremo e respireremo
caffè e nuvole biscottate.
E tutto il male, tutti i rimorsi, tutti i sospiri
se ne saranno andati verso l’orizzonte;
e noi ci sentiremmo leggeri, come nuovi, sereni.
Che ne dici?
Io dico che sarebbe grandioso;
giusto un po’ meno della marea che s’infrange
contro gli scogli e risucchia le lettere abbandonate,
forse; ma si può sempre migliorare.
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