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Autore: Encha    08/07/2014    10 recensioni
[Future!fic (tutti sani e salvi!) Frazel (perché questa coppia merita di più]
Il figlio di Marte era convinto che dopo aver compiuto quella titanica impresa avrebbe avuto vita facile, alcune volte immaginava perfino di poter intraprendere una vita che si avvicinava il più possibile al normale assieme ad Hazel a Nuova Roma.
E invece no.
(...)
Lui e la figlia di Plutone, invece, erano stato incaricati di accudire una nidiata di elefantini fintantoché non fossero diventati abbastanza grandi da intraprendere un addestramento militare, oltre che delle onnipresenti faccende burocratiche.
Be’, forse il termine “nidiata” non era esattamente appropriato dato che - e per questo Frank ringraziava continuamente l’intero pantheon degli dei - i cuccioli erano solamente due.

[Quarta classificata con premio speciale "risata" al contest “Why Rick Riordan wants to Kill me?” indetto su Efp da King_Peter]
[Seconda classificata al contest Di semidei, mitologia e amore di kuma_cla]
Genere: Comico, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Frank Zhang, Hazel Levesque
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: “Due elefanti si dondolavano sopra il filo di una ragnatela”
Autore: Encha
Genere: Future!fic; Slice-of-life; Generale; Comico
Rating: Verde
 
Pacchetto scelto: #6 Frank Zhang
Prompt/Tracce utilizzate: 1; 2; 3
Personaggi: Hazel Lavesque; Frank Zhang
Pairing: Frank/Hazel
Avvertimenti/Note: La storia è ambientata in un futuro ipotetico dopo la fine della guerra contro Gea e non contiene alcuno spoiler degli ultimi due libri della serie “Gli Eroi dell’Olimpo”.
Terminate le “scartoffie burocratiche”, devo dire di essere alquanto soddisfatto di come sia venuta su questa storia, nonostante mi sia sfuggita di mano in termini di lunghezza. Non ho altro da aggiungere: inserirò eventuali piccole precisazioni e crediti nelle note dell’autore per evitare anticipazioni.
Ah, vorrei dedicare questa storia alla mia grandissima amica Curly Girl, la quale, oltre ad avermi dato l’ispirazione con la canzoncina che ho inserito nel testo, mi ha sempre supportato/sopportato con immensa pazienza in questa anno di scuola appena terminato, dando colore alle giornate grigie, grazie di cuore! ^^
 
 


 
 

Due elefanti si dondolavano sopra il filo di una ragnatela

 

 
 
 
 
 
Frank non lo trovava ancora giusto.
 
Appena qualche mese prima, sconfitte le forze di Gea, erano tornati trionfanti al Campo Giove, un po’ ammaccati, certo, ma fortunatamente tutti sani e salvi. Avevano ricevuto onori e riconoscimenti dal Senato come si conveniva ad un grande successo militare secondo l’uso dei Romani. Lui, Hazel e Jason avevano addirittura ricevuto il titolo di imperator, neanche fossero stati alla guida di un enorme esercito, e tra il Campo Mezzosangue e la sua controparte romana era stato siglato un accordo di pace e collaborazione che si prospettava essere produttivo e assai duraturo.
 
Il figlio di Marte era convinto che dopo aver compiuto quella titanica impresa avrebbe avuto vita facile, alcune volte immaginava perfino di poter intraprendere una vita che si avvicinava il più possibile al normale assieme ad Hazel a Nuova Roma.
 
E invece no.
 
Nel momento stesso in cui i fastosi festeggiamenti per la loro vittoria si erano conclusi, Reyna aveva cominciato ad assegnare un compito dietro l’altro ad ogni semidio, semidea, lare o spirito disponibile. Era necessario infatti riarmare le truppe, ricostruire gli edifici danneggiati, trovare altro Oro Imperiale per forgiare nuove armi che sostituissero quelle perdute durante gli scontri, riprendere gli addestramenti, sorvegliare i confini del Campo in caso di attacchi dei mostri superstiti che si erano distaccati dalle file di Gea quando la sconfitta era ormai imminente e cento altre cose. In tutto questo, Percy, Annabeth, Leo e Piper erano tornati al Campo Mezzosangue, che si trovava nelle stesse condizioni della sua controparte romana, Jason era sempre impegnato a dar man forte all’altro pretore a convincere chi nel Senato ancora si ostinava a diffidare dei Greci e Nico era disceso negli Inferi ad aiutare il padre a ristabilire l’ordine turbato dall’apertura delle Porte della Morte.
 
Lui e la figlia di Plutone, invece, erano stato incaricati di accudire una nidiata di elefantini fintantoché non fossero diventati abbastanza grandi da intraprendere un addestramento militare, oltre che delle onnipresenti faccende burocratiche.
 
Be’, forse il termine “nidiata” non era esattamente appropriato dato che - e per questo Frank ringraziava continuamente l’intero pantheon degli dei - i cuccioli erano solamente due.
 
Il sole stava tingendo le acque del Piccolo Tevere dei colori caldi del tramonto mentre Frank sistemava le ultime cose nell’ampio recinto coperto costruito appositamente per gli elefantini, non troppo lontano dalle scuderie della legione. Dopo un pomeriggio passato a spalare ricordini discretamente consistenti, il semidio si sentiva sfinito, aveva le braccia indolenzite e la schiena a pezzi e non desiderava altro che un bagno caldo e poter passare il resto della giornata con quella che, con somma gioia e ancora un pizzico di incredulità, era ormai ufficialmente la sua ragazza.
 
Hazel.
 
Mentre riprendeva fiato e si asciugava il sudore della fronte con il dorso della mano, la voce della semidea lo raggiunse, come se avesse risposto all’appello dei suoi pensieri.
 
“Ventidue elefanti si dondolavano
 sopra il filo di una ragnatela
e reputando la cosa interessante
andarono a chiamare un altro elefante!”
 
Quando le aveva domandato dell’origine di quella canzoncina, Hazel gli aveva risposto che era stato Sammy a insegnargliela quando si divertivano a saltare la corda. Gli aveva anche confidato, con una nota di tristezza nella voce, che quando facevano quel gioco erano costretti a servirsi di una sbarra di ferro di un’altalena arrugginita per sostituire il terzo giocatore, giacché gli altri bambini non volevano giocare con loro, ma lei si divertiva molto lo stesso.
 
Frank la trovava adorabile, così come anche i cuccioli sembravano apprezzarla al punto da diventare straordinariamente docili già a sentirne le prime note.
Quel motivetto si ripeteva all’infinito, o almeno fin quando si aveva voglia di cantarlo, aggiungendo ogni volta un altro elefante. Quella volta in cui le due bestiole, per puro capriccio, si erano rifiutate di fare il bagno, i pachidermi sulla ragnatela erano arrivati addirittura a quota novantasette, pur di farli stare buoni.
 
Reyna li aveva affidati loro pensando di sfruttare la peculiare abilità di Frank, ma nonostante il figlio di Marte avesse provato a trasformarsi in elefante, in mammut o in qualsiasi altro animale ancora più grosso e zannuto, non c’era stato verso di farsi ascoltare da quelle due bestiole malefiche... ma con Hazel era tutta un’altra storia.
 
Il semidio si voltò verso il punto da cui proveniva la voce; ammiccò al sole che stava scivolando oltre l’orizzonte alle spalle di lei e, anche a quella distanza, riuscì a scorgere gli splendidi occhi dorati della ragazza catturare i raggi di luce e assumere una sfumatura cremisi.
 
Gli elefantini le incespicavano dietro in fila ordinata, i movimenti un po’ impacciati per la giovane età ma ancora pieni d’energie nonostante l’ora. Uno, dalle orecchie visibilmente più grosse, era Orazio, l’altra, che si muoveva con un po’ più di grazia, era Clelia. Erano stati dati loro questi nomi in onore di un eroe e di un’eroina della storia di Roma e Frank non aveva potuto che chiedersi se qualcuno, tra le generazioni di semidei successive, sarebbe mai stato così carino da chiamare un qualsivoglia goffo animale con il suo nome.
 
Al gesto di “ok!” del ragazzo, Hazel gli corse incontro e si tuffò tra le sue braccia spalancate. Dopo qualche istante, si sciolse da quel grande abbraccio e posò un piccolo bacio sulla sua guancia.
“Qui ho finito, vogliamo andare?” propose lui; da quando si erano messi insieme se n’erano scambiati tanti, di baci, ma, al minimo gesto d’affetto dalla sua ragazza, il volto del semidio continuava inevitabilmente ad assumere la stessa tonalità scarlatta del tramonto che si stava esaurendo all’orizzonte.

“Va bene” annuì lei.
 
Condussero gli elefantini nel recinto, non senza qualche barrito di protesta, poi diedero loro un paio di mele per tenerli occupati e scivolarono rapidamente fuori prima che tentassero di seguirli all’esterno.
 
Ma niente da fare: prima che Frank riuscisse a chiuderlo completamente, una malefica proboscide si frappose tra il cancello e la parete del recinto.
 
Dovettero quindi ritentare: qualche carezza, una manciata di mele e... Niente, questa volta era un intero testone a sbucare fuori dal fabbricato.
 
Così, i due semidei furono costretti ad utilizzare il solito metodo.
 
Mentre Frank dispensava zollette di zucchero all’interno, Hazel sgusciò fuori senza farsi notare e chiuse il cancello.
 
“Fatto!” annunciò e l’altro, trasformandosi in un canarino per passare da una delle ampie feritoie per l’aria, la seguì all’esterno.
 
Il ragazzo afferrò un grosso lucchetto d’acciaio e lo passò tra i cardini del cancello. Prima di far scattare la serratura, si assicurò con un’ultima occhiata che la capiente ciotola del fieno e quella dell’acqua fossero sufficientemente piene.
 
Frank non poté che rivolgere un altro pensiero di gratitudine al padre per il fatto che i cuccioli avessero superato l’età dello svezzamento: In un messaggio-Iride appena qualche settimana prima, quando lui ed Hazel avevano raccontato ai loro amici del Campo Mezzosangue come procedevano i lavori da quelle parti, Leo aveva proposto di costruire per lui una tuta con delle mammelle meccaniche; dal suo solito sguardo furbo il figlio di Marte non aveva capito se stesse solo scherzando o facesse sul serio, ma in ogni caso non faceva certo i salti di gioia all’idea di diventare un androide-mucca.
 
In quella stessa occasione avevano potuto salutare anche Annabeth e Percy, a braccetto e visibilmente felici, Piper, che aveva subito chiesto di Jason, e Tyson, con Ella appollaiata su una delle spalle massicce, che aveva applaudito come un bimbo entusiasta della sua prima visita allo zoo e aveva proposto di chiamare “Dumbo”... entrambi gli elefantini.
 
“Possiamo andare?” la voce di Hazel catturò la sua attenzione. Si voltò e la vide spazzarsi alla meglio la polvere di dosso; indossava degli alti stivaloni di un marrone sbiadito, un paio di jeans logori e una camicia di flanella che sembrava aver portato con sé direttamente dagli anni quaranta, ma anche così, con quei vestiti vecchi e umili, Frank la trovava più bella di Venere stessa.
 
Il ragazzo doveva essere rimasto a fissarla un po’ troppo a lungo, giacché Hazel gli rivolse un sorriso divertito. Un adorabile sorriso divertito. “Frank, allora?”
 
“Oh, sì, sì, certo!” balbettò lui, annuendo freneticamente con la testa.
 
Si incamminarono con calma verso i dormitori della Quinta Coorte, godendosi gli ultimi raggi del sole.
 
Dopo qualche minuto, la mano del figlio di Marte andò timidamente a cercare quella della ragazza al suo fianco. Lo sguardo della semidea si posò sulle loro dita intrecciate, poi risalì il profilo dell’altro fino ad incontrare i suoi occhi.
 
Gli sorrise ancora.
 
 
 
***
 
 
 
 
“Frank!” nel tono di voce della ragazza c’era una nota pericolosamente simile all’esasperazione.
 
“Mi dispiace!” si affrettò a dire il semidio in questione, facendo scontrare ritmicamente le punte degli indici.
 
Hazel, una mano che le celava il volto da una tempia all’altra, tirò un lungo sospiro. “Come hai fatto ad essere così...”
 
Scemo” concluse al posto suo, tremendamente avvilito.
 
L’espressione della ragazza si addolcì mentre gli posava un leggero bacio sulla guancia. “Dai, può capitare a tutti di avere... Ehm... Una svista. Ora però dobbiamo cercarli.”
 
Frank tirò su col naso ed annuì.
 
Quella mattina, andando come di consuetudine a governare i due grossi pargoletti, avevano trovato il recinto desolatamente vuoto. Dopo aver ripercorso mentalmente le azioni dello scorso pomeriggio, si era reso conto di non aver chiuso il lucchetto: gli elefantini, ovviamente, se ne erano accorti e avevano ben pensato di evadere; forse l’avevano addirittura fatto per evitare il bagnetto settimanale.
 
“Potremmo provare a vedere se sono andati da Annibale” propose il ragazzo.
 
Il vecchio elefante in quei giorni era impiegato per trasportare i materiali necessari alla ricostruzione dell’acquedotto danneggiato durante lo scontro contro il gigante Polibote. Quello stesso elefante. durante il pieno della guerra, era scomparso nel nulla, per poi ricomparire qualche settimana dopo la fine del conflitto assieme a Clelia e Orazio.
 
Nessuno sapeva se fossero figli suoi, né tantomeno, se così non era, da dove sbucassero fuori. Fatto sta che, al suo ritorno, quel marpione di un pachiderma aveva due elefantini che gli trotterellavano tra le zampe.
 
Si avviarono a passo svelto verso i cantieri dell’acquedotto, costeggiando da un lato il confine della Città.
 
Nel tragitto, alcuni ragazzi li salutarono allegramente, altri si inchinarono con rispetto, altri ancora li ignorarono completamente.
 
Frank schivò per poco un ragazzino tutto trafelato che trascinava una carriola con un grosso pacco contrassegnato dal marchio Amazon. “Se tagliassimo per il campo d’addes-“
 
“Là!” lo interruppe la figlia di Plutone, indicando con una mano una fontana poco distante dove Clelia si stava abbeverando.
 
Nello slancio della corsa, i semidei non si accorsero di aver appena varcato il pomelium.
 
“ALT!”
 
Il busto marmoreo di Terminius era apparso in un’esplosione scintillante a sbarrargli la strada.
 
“Oh, andiamo! - la voce di Hazel era carica d’urgenza - Andiamo di fretta: dobbiamo riacciuffare
quell’elefante!”
 
“L’ho notato, signorina Lavesque - la rimbeccò il dio - ma lei, al contrario di qualcuno, non sta cercando di introdurre delle armi nella mia Città!”
 
Intanto che la semidea litigava contro la stringa di sicurezza della sua inseparabile spata, Frank ebbe la fugace visione di sua madre, convocata per l’ennesima missione e bloccata ad un metal-detector, che si tastava frettolosamente le numerose tasche del giubbotto per evitare di perdere il volo in partenza. Si ricordò di come fosse stato grato a quel coltellino svizzero per avergli concesso di trascorrere un altro po’ di tempo con lei mentre aspettavano l’aereo successivo.
 
L’inseguimento ripartì non appena l’Oro Imperiale tintinnò nella ciotola di Terminius; grazie a Giove Clelia non si era accorta troppo presto dell’arrivo dei semidei, giacché i due riuscirono a scorgere una coda ondeggiante prima che sparisse dietro ad un vicoletto.
 
Le ore seguenti ore furono un susseguirsi di momenti in cui i due correvano disperatamente dietro ad un’improvvisa visione pachidermica e altri in cui, al contrario, giravano a vuoto senza alcuna traccia da seguire.
 
Mentre si affrettavano lungo un bivio, una folla di discendenti di Cerere munita di rastrelli e di annaffiatoi aveva sbarrato loro la strada. Quando si era dispersa, i due avevano proseguito ancora un po’ prima che Hazel, sfoderando il suo migliore “Ahà!”, si buttasse contro un cespuglio. A venirne fuori però non era stato affatto un elefante, bensì un povero fauno che, nell’alzare le mani in segno di resa, aveva scaraventato all’aria un grosso panino alla maionese.
 
In cuor suo, Frank aveva sperato che il suo colossale pasticcio passasse inosservato agli occhi dei cittadini di Nuova Roma. Speranza che si era inesorabilmente disintegrata nel momento in cui era dovuto passare a suon di spintoni attraverso un manipolo di senatori borbottanti urlando: “Permesso, ho perso il mio elefante, scusate!”
 
Alla fine, quando si fermarono per riprendere fiato, i due semidei furono attirati da un acuto schiamazzare proveniente da un mercato poco distante.
 
Giunti sul posto, trovarono la piccola elefantessa intenta a ronzare attorno ad una coloratissimo carretto di dolciumi, senza però toccare nulla.
 
“Il mio zucchero, il mio zucchero!” strepitava indignato il proprietario, un grasso lare dal faccione tondo e pallido come la luna piena.
 
Frank agirò la bancarella mentre Hazel braccava frontalmente la piccola pachiderma che, in trappola, fu costretta ad arrendersi.
 
Sotto lo sguardo ammonitore della figlia di Plutone, Clelia sembrò diventare minuscola.
 
“Non farlo mai più, intesi?” la rimproverò, chinandosi un po’ verso di lei e sventolandole un dito avanti alla proboscide.
 
Quando la semidea fu certa che aveva capito – e su questo Frank non nutriva alcun dubbio: aveva imparato che lei e il suo fratellino Orazio possedevano un’intelligenza fuori dal comune -, diede alla piccola elefantessa qualche affettuoso colpetto sul capo e le comprò una manciata di zollette di zucchero e miele dal venditore ambulante.
 
 
 
***
 
 
 
Rintracciare Orazio non fu altrettanto difficile.
 
Avevano incrociato Jason, solenne nella sua tunica candida, mentre si aggiravano per i quartieri adiacenti alla sede del Senato e, vedendolo stranito, gli avevano spiegato il motivo di tutto quel trambusto che stavano creando per le strade di Nuova Roma.
 
Il pretore allora si era ricordato di aver sentito dire, forse da uno di quei vecchi documentari che Grover amava tanto guardare al Campo Mezzosangue, che gli elefanti comunicavano attraverso delle vibrazioni del terreno che provocavano pestando le grosse zampe.
 
Frank lo stava giusto ringraziando per il consiglio rispondendogli però che, purtroppo, non conosceva il linguaggio SMS dei pachidermi quando Clelia, drizzando le grosse orecchie, era partita a passo di marcia verso una destinazione nota soltanto a lei.
 
I due ragazzi non avevano potuto che congedarsi del figlio di Giove con qualche rapida scusa prima di correre - di nuovo - dietro l’elefantino.
 
Il ragazzo cino-canadese cominciava ad averne abbastanza di stare alle calcagna di quel pachiderma; se qualcuno avesse proposto una petizione contro l’acchiapparello con gli animali dotati di proboscide, era certo che i suoi piedi, i suoi polpacci e i suoi polmoni sarebbero stati i primi a firmare.
 
Così come Hazel, però, credeva di avere intuito che quello di Clelia non poteva essere solo un altro tentativo di fuga: insomma, le avevano anche comprato delle zollette al miele!
 
Nel momento in cui la bestiola si era infine fermata, Frank era troppo occupato a riprendere fiato appoggiandosi alle ginocchia per guardarsi intorno.
 
Quando i polmoni smisero di bruciargli e il respiro si fu regolarizzato un po’, si rese conto di essere arrivato fino al Campo Marzio, oltre il confine del lato opposto di Nuova Roma rispetto a dove si trovavano prima.
 
Il campo di battaglia non veniva usato da molto tempo, sia perché tutti gli esseri umani, gli spiriti e gli animali del Campo Giove erano troppo impegnati nei lavori di ricostruzione, sia perché anche i legionari più belligeri erano riluttanti a giocare alla guerra, avendone affrontata da poco una vera.
 
Sul lato Ovest vi era ancora un fortino di legno utilizzato per le simulazioni di assedio; lo scheletro di ferro che sorreggeva la struttura era un po’ arrugginito e buona parte di una delle due torrette laterali era crollata, ma per il resto sembrava essere in buone condizioni.
 
Clelia si voltò verso di loro ed emise un barrito cupo, poi si avviò a testa bassa verso la costruzione.
 
Hazel fece cenno con il capo di seguirla.
 
L’interno del fortino era angusto e completamente vuoto, ad eccezione di qualche arma di legno spezzata, una manciata di munizioni per catapulte e un bel po’ di ragnatele.
 
La struttura dell’edificio era molto semplice: ai lati dell’ingresso vi erano delle ripide scale che portavano rispettivamente alle due torri laterali, di fronte, invece, si allungava un corridoio di discrete dimensioni che conduceva direttamente ad una sala abbastanza ampia da permettere uno scontro corpo a corpo ad una dozzina di soldati, dove veniva posto il vessillo da conquistare.
 
La piccola elefantessa, tesa come una corda di violino, non si azzardava più a precedere di troppo i due semidei.
 
Inoltrandosi nel corridoio polveroso, le tenebre si fecero sempre più fitte e, assieme ad esse, sembrava accrescersi anche una strane sensazione di gelo, ma lui e Hazel non avevano niente per combattere nessuna delle due cose.
 
A Frank parve che le ragnatele stessero diventando decisamente troppo numerose e fitte.
 
Rabbrividì.
 
“Scemo! - si disse - Ti stai solamente autosuggestionando!”
 
Hazel portò d’istinto una mano al fodero della sua spata, ma quando le dita provarono a chiudersi attorno all’elsa non afferrarono altro che la polvere in sospensione dell’aria.
 
Nell’affanno di inseguire quella bestiola, lei e il figlio di Marte non si erano neanche resi conto di aver scansato il posto di blocco del Dio dei Confini.
 
“Urca!” imprecò a denti stretti.
 
Si erano fermati in prossimità della porta cigolante al termine del corridoio, dove delle sottili lame di luce filtravano attraverso piccole fenditure nel legno grezzo.
 
Frank era sul punto di proporre di tornare indietro per prepararsi a quel qualsiasi-cosa-fosse che li attendeva dall’altro lato, ma venne preceduto da un mugolio spaventato proveniente dall’interno della stanza.
 
In una mossa molto poco cauta, Clelia spalancò la porta con una capocciata: fu con enorme sollievo che Frank costatò che nella sala, illuminata di traverso da un’ampia crepa sul soffitto, non vi era Aracne, tornata per vendicarsi dell’inganno di Annabeth, come aveva segretamente temuto da quando erano entrati in quel maledettissimo posto.
 
Al contrario, fu con altrettanto terrore che si rese conto che, sul punto di banchettare con un elefantino vivo ricoperto da un bozzolo di filo perlaceo, c’era quella che sarebbe potuta essere benissimo la zia zitella della Signora dei Ragni, quella che passava le sue giornate tristi e solitarie a ricamare centrotavola di micidiale ragnatela.
 
In uno slancio di coraggio, Clelia si protese in avanti, la proboscide puntata come un fucile di precisione, e lanciò quello che forse avrebbe dovuto essere un barrito minaccioso.
 
In tutta risposta, l’enorme tarantola snudò le possenti zanne viscide di bava ed emise un raccapricciante sibilo acuto che fece accapponare la pelle dei due semidei.
 
“Un elefante si dondolava
sopra il filo di una ragnatela
e reputando la cosa interessante
andò a chiamare un altro elefante!”
 
Anche a distanza di settimane, Frank continuò a domandarsi come avesse fatto la sua mente a pensare a quella canzoncina in una situazione di pericolo mortale.
 
“Posso trasformarmi in dragone e arrostirla” azzardò il figlio di Marte, arretrando a piccoli passi mentre il mostro si spostava dall’enorme ragnatela che occupava un’intera parete al terreno.
 
Con il corpo grigio-topo e le lunghe zampe pelose, la tarantola occupava almeno un quarto della stanza.
 
“Questo posto prenderebbe subito fuoco! - contestò Hazel - Non hai un’idea migliore?”
 
“Un’idea migliore - pensò il ragazzo – un’idea migliore, un’idea migliore...”
 
Il vero problema era che, con un terrificante mostro a distanza di poche falcate delle sue otto zampette, rimanere calmi e concentrati non era per niente facile.
 
Poi, in un attimo di pura follia, l’idea migliore sembrò essere arrivata: “C’è una sola cosa che le zie zitelle amano più dei centrotavola!”
 
“Tu libera Orazio, io la distraggo!” Urlato ciò, Frank si tramutò in un paffuto gatto rossiccio e cominciò a saltellare avanti e indietro, sperando di attirare l’attenzione del mostro; sembrò esserci subito riuscito, giacché la nebulosa di occhi vermigli sul capo della tarantola si puntò unicamente su di lui.
 
Quello che però non aveva previsto era l’agilità della creatura: essa infatti, probabilmente irritata dalla chiazza fulgida che si agitava avanti a sé, scattò in avanti e provò ad inchiodare Frank al suolo con una delle zampe sinuose, ma fortunatamente il felino aveva già spiccato un altro balzo prima dell’impatto dell’arto e venne ferito soltanto di striscio da uno dei barbigli appuntiti su di esso.
 
Hazel non perse tempo e si fiondò a soccorrere l’elefantino.
 
Non avendo a disposizione la sua la spata, prese a strappare lo spesso involucro di ragnatela a mani nude. Anche Clelia tentò di rendersi utile, mordendo e lacerando con le piccole zanne, ma ebbero entrambe scarsissimi risultati.
 
La ragazza gettò uno sguardo alle sue spalle: Frank scattò in avanti per evitare un getto di filo letale, per poi scartare subito di lato, scansando la sferzata di una zampa.
 
Hazel sapeva che non avrebbe potuto resistere ancora a lungo.
 
Nel riportare lo sguardo sul bozzolo, si rese conto che era tessuto in maniera familiarmente ordinata, con colonne verticali di piccole croci consecutive; chiuse gli occhi e attinse al suo potere per cercare ciò di cui necessitava.
 
Hazel lo aveva sempre odiato, il punto-croce.
 
Quando era una bambina, Regina Marie, prima di cominciare a smerciare amuleti maledetti, cercava di guadagnare un po’ di soldi vendendo merletti e piccoli lavori a maglia e, per farsi aiutare, le aveva insegnato le basi essenziali del ricamo.
 
Era un lavoro molto poco redditizio considerando il costo dei materiali e le lunghe e noiosissime ore impiegate, per non parlare della difficoltà che avevano nel trovare acquirenti disposti a comprare dalla presunta strega.
 
Una sottile ed appuntita sbarra di ferro arrugginito rispose al suo richiamo; Hazel protese le mani avanti a sé e la fece muovere a mo’ di ago per sciogliere i punti della ragnatela.
 
All’inizio procedette con molta, troppa lentezza, un po’ per capire come fare, un po’ per evitare di infilzare l’elefantino intrappolato, che di certo non l’aiutava dimenandosi come se fosse stato morso da una tarantola, poi cominciò man mano ad andare più svelta.
 
Sentì un altro di quegli orrendi sibili acuti seguito da un miagolio sommesso, ma non si arrischiò a guardare indietro, non poteva permettersi di perdere il ritmo.
 
Quando la maggior parte dei punti furono rimossi, Orazio finalmente si liberò con un improvviso strattone.
 
“Libero!” esultò la ragazza, potendo voltarsi a guardare il combattimento.
 
Il ragno gigante non dava alcun segno di stanchezza, ma era visibilmente furioso.
 
Frank, al contrario, sembrava compiere ogni movimento, ogni salto con estrema fatica; aveva un taglietto all’altezza del muso e uno decisamente più grave sul fianco destro.
 
“Miao!” esclamò rivolgendosi a lei.
 
In qualche modo capì.
 
Le ci volle poco per individuare un tunnel sotterraneo che facesse al caso suo e ad aprirne un ingresso.
 
Fece andare avanti gli elefantini nella fenditura nel suolo e spostò per l’ultima volta lo sguardo verso il suo ragazzo; avrebbe voluto restare ad aiutarlo, ma sapeva che in quella situazione sarebbe stata solo una preoccupazione in più per lui.
 
“Fa’ attenzione, per favore!” lo implorò quasi, tuffandosi nel tunnel.
 
Prima che la terra si richiudesse su di lei, ebbe la fugace visione del pelo fulvo che lasciava il posto a spesse squame: il figlio di Marte aveva imparato a trasformarsi da un animale all’altro senza dover necessariamente tornare umano.
 
 
 
***
 
 
 
Frank aveva avuto l’impressione di essere in uno di quei film estremi d’azione nell’erompere fuori da un fortino in fiamme sotto forma di dragone greco per poi camminare come se nulla fosse con i suoi piedi da umano verso la sua ragazza, mentre alle sue spalle divampava un incendio - un incendio che aveva innescato lui!
 
Hazel gli aveva gettato le braccia al collo e l’aveva stretto fortissimo: sarebbe stato veramente ironico se la ragazza, per il sollievo di non saperlo morto, l’avesse strangolato.
 
Giusto il tempo necessario a medicare la ferita sul fianco con una bella fasciatura e dell’ambrosia, applicare un cerotto sulla guancia e rassicurare Jason che no - non era successo assolutamente nulla! - e si erano recati sulle sponde del Piccolo Tevere per fare quel maledettissimo bagnetto agli elefantini.
 
Frank posò lo sguardo su Hazel, in piedi avanti a lui, le maniche della camicia ancora arrotolate fin sopra i gomiti.
 
Sentì che in qualche modo avrebbe dovuto dire qualcosa e fece schioccare la lingua, ma non trovò nessuna parola sensata.
 
Imbarazzato, si guardò un po’ in giro, alla ricerca di una argomento per rompere il silenzio.
 
 Orazio e Clelia, instancabili, stavano giocando a rincorrersi mentre si asciugavano sotto gli ultimi raggi di luce della giornata.
 
“Era proprio grosso, quel mostro” parlò infine, con lo stesso tono con cui si discute del tempo che fa.
 
“Già” fece lei, fissandosi con interesse sospetto la punta degli stivaloni impolverati. “Chissà come c’è finito lì dentro…”
 
“Magari era solo un ovetto di ragno quando-“ provò ad ipotizzare, prima che Clelia, con una decisa capocciata sul sedere, lo spingesse in avanti; andò a scontrarsi contro la figlia di Plutone, ma riuscì a riprendere l’equilibrio prima di mandarla al tappeto con il suo peso.
 
I volti a distanza di un solo respiro, per qualche secondo Frank si perse, stupefatto, negli occhi dorati di lei. Poi, per la prima volta in quel giorno, seppe esattamente cosa fare.
 
Poggiò con delicatezza una mano sul fianco della ragazza, chiuse le palpebre e, lentamente, posò le labbra sulle sue, assaporando a fondo quell’attimo perfetto.
 
Sì, era un attimo talmente perfetto che il semidio si dimenticò di tutto il resto, dei rimproveri che avrebbero avuto da Reyna per aver disseminato il panico a Nuova Roma, dei piedi massacrati e della ferita che bruciava, dei passi pesanti di elefantini che si avvicinavano…
 
Talmente perfetto che credette che avrebbe potuto durare in eterno… Se un poderoso getto d’acqua gelida non li avesse investiti in pieno.
 
Stordito, si guardò attorno e notò le goccioline d’acqua che ancora cadevano dalla proboscide di Orazio: i due elefantini barrivano ilari in quelli che dovevano essere sghignazzi divertiti da pachiderma.
 
Dopo qualche istante di smarrimento anche Hazel scoppiò in una risata così genuina che Frank non poté che assecondarla.
 
“Credo sia il momento di andare” asserì la semidea, ancora sorridente, strizzandosi via un po’ d’acqua dalla folta chioma castana.
 
Senza esitazione, afferrò la mano dell’altro ragazzo e si incamminò verso il recinto; le ci vollero pochi passi prima che incominciasse a canticchiare allegramente.
 
Un elefante si dondolava
sopra il filo di una ragnatela
e reputando la cosa interessante
andò a chiamare un altro elefante!”
 
Alle loro spalle, Clelia e Orazio gli caracollavano dietro, agitando le buffe proboscidi a ritmo.
 
Due elefanti si dondolavano
sopra il filo di una ragnatela…”
 
Quel giorno avevano smarrito quasi una tonnellata di cuccioli, si erano rovinati la reputazione pubblica, avevano molestato un povero fauno che cercava di sgraffignare un panino, importunato un venditore-fantasma di caramelle, fatto visita ad una zia fin troppo acida, dato alle fiamme un vecchio fortino…
 
“Una giornata come un’altra per un semidio, insomma” sintetizzò mentalmente Frank, prima di mettersi a cantare anche lui.
 
“…e reputando la cosa interessante
andarono a chiamare un altro elefante!”


 
 
 
 
 
 


Note dell’autore: Innanzitutto, grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui giù, per voi vi saranno due piccoli “speciali”  a sorpresa in regalo (?)
Ma dopo , ora ho il dovere di fare qualche precisazione e scrivere qualche pignoleria u.u”
I nomi “Clelia” e “Orazio” si riferiscono rispettivamente a Clelia (Be’, le donne romane spesso avevano un solo nome c.c”) e Orazio Coclite, eroi degli albori di Roma, ma su questo vi rimando all’onniscente Wikipedia.
Il nome “Dumbo”, invece, è un ovvio riferimento all’omonimo film della Disney xD
Per quanto riguarda la canzoncina degli elefanti dondolanti, non ne posso citare le fonti poiché non ho idea da dove provenga, io stesso l’ho sentita da bambino da un’animatrice di ludoteca e poi me l’ha ricordata qualche mese fa la mia amica Curly Girl >.>
Sono fiero di scrivere che tutte le informazioni sugli elefantini sono (o dovrebbero essere) corrette, grazia ancora a –ma guarda un po’!- Wikipedia, compreso quindi peso in età “infantile”, svezzamento, nutrizione, differenza tra i sessi e quantità di pargoletti possibile nel grembo materno di un’elefantessa. Su quest’ultimo punto mi soffermerei un attimino, dato che nell’idea iniziale gli elefantini dovevano essere ben sette, ma poi ho letto che, e aggiungerei quasi un ovviamente, al massimo un esemplare femmina di elefante può partorire solamente due cuccioli, ed è comunque un evento raro; ciò ha quindi impedito che affliggessi Nuova Roma con un’infestazione di pachidermi c.c”
Al contrario, sul fatto che gli elefanti comunichino attraverso le vibrazioni del suolo ho trovato poco e niente su internet, ma, così come Jason, ho sentito anch’io una mezza cosetta in un vecchio documentario tanto tempo fa. Così come me, ho pensato che anche Jason potesse azzardare una cosa magari non vera ç_ç
Se le mie conoscenze storiche non sono errate (e spero vivamente di no ç_ç), la carica di “imperator”, imperatore,  veniva originariamente assegnata dai Romani ai generali che avevano riportato grandi trionfi militari, questo ovviamente prima che Ottaviano Augusto facesse assumere a questo titolo un’importanza ben maggiore. Ho voluto quindi scrivere che è stata assegnata anche ai semidei romani tra i Sette, giusto per sottolineare l’importanza e la difficoltà della loro impresa.
E’ superfluo dirlo, ma ormai sono in vena di pignolerie: Terminius si riferisce a Clelia con il pronome “lei” nonostante Hazel abbia usato un bivalente “elefante”, questo perché ho pensato che, essendo il Dio dei Confini, avesse anche il potere di “esaminare” tutto ciò che passa per il confine della sua città, quindi anche il genere di un animale.
Perfetto, non ho altro da scrivere, ora vi lascio agli “speciali”, frutti malati di una folle chat iniziate con “Cosa ne pensi dei nomi Clelia e Orazio per degli elefantini?” con la mia graaaaaande amica Kaika, che vorrei condividere con voi, dopo la solita frase che uso per elemosinare recensioni (?), però v.v
 
Sono ben graditi centrotavola letali, zollette di zucchero e miele e ancor di più recensioni! ^^
 
 
 
- "Oh Orazio, anche se ora sto morendo tra atroci sofferenze, mi sforzerò di dirti ancora una cosa, che non voglio tu dimentichi mai" sussurrò l'elefantessa Clelia, solleticando la proboscide con uno sforzo immane, per sfiorare quella dell'amato. "Ti amo, ti ho sempre amato! Solo non ho mai avuto il coraggio di dirtelo"
Un singhiozzo proruppe dalla proboscide di lui, mentre le orecchie si afflosciavano tristemente. Un ultimo sospiro, poi la giovane spirò, chiudendo le grigie e pesanti palpebre -
-Angst strappalacrime; by Kaika
 
 
- Era una giornata torrida nella savana, una come tante altre. Orazio e Clelia se ne stavano accucciati sulla riva di un'oasi, lui con la proboscide attorno al collo di lei, l'estremità che accarezzava la morbida peluria del mento.
"Sai cosa ci vorrebbe?" Barrì piano l'elefantessa. "Una zolletta di zucchero".
Orazio accostò le labbra a uno dei grossi orecchi di lei. "Per me, tu sei più dolce di ogni zolletta" le sussurrò, facendo attenzione a non sfiorarla con le zanne -
 -Fluff diabetico; by Encha
   
 
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