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Autore: Alex e Finger    09/07/2014    1 recensioni
— Non mi sono mai sentito così poco Mentore come vicino a lui. —
— Diceva che sei così disposto ad imparare. Diceva che gli ricordavi Ishak, in qualcosa, anche se siete profondamente diversi. —
Lo sguardo di Ezio scivolò verso il tumulo e si velò per un attimo, mentre percepiva gli occhi di lei fissi sul suo viso.
— Perché mi cercavi? —
Ràhel si prese un attimo prima di rispondere, come se stesse raccogliendo le forze.
— Perché lo amavo. E perché sento che in questo breve tempo, anche tu lo hai amato. Vorrei parlarti di lui. —
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio, Sofia Sartor, Yusuf Tazim
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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— Il… Comandante? — chiese Ezio, perplesso.

Ràhel sorrise, sistemandosi più comoda. — Yusuf deve avertelo presentato con un nome un po’… diverso, Mentore, ma lo conosci bene. —

Ezio ci pensò giusto un attimo e quando capì il suo viso parve illuminarsi.

— Si erano conosciuti durante il viaggio di ritorno dalla Grecia, — continuò Ràhel. — Sai bene quanto me che per pena o concordia le battute spigliate di Yusuf sarebbero riuscite a strappare un sorriso a chiunque e Piri era capitano della nave che li stava riportando a casa. Erano coetanei. —

— Non lo avrei mai detto, — si stupì il Mentore.

Il sorriso della donna filò come il miele.

— Yusuf era giovane dentro. Non ingenuo, ma ardito. —

— Un adolescente, — ne convenne Ezio con una mesta risata.

Ràhel annuì e passò una mano delicata sul filo della terra, come per attingervi i prossimi ricordi. Chiuse gli occhi.

        — Nonostante la pace e le acque serene, sentiva il suo nuovo ruolo farsi ogni giorno più opprimente: il dubbio lo lacerava, una paura inspiegabile soffocava ogni sua iniziativa; con Amir lontano, a capo del Covo nel Distretto Imperiale e spesso in missione fuori città, le responsabilità di Galata pesavano sulle sue sole spalle, e il suo malessere si rifletteva inevitabilmente sulla Confraternita, che ne soffriva quanto lui. La visita al Covo di Piri "Reis", con cui Yusuf scoprì di poter ingannare il caldo, condividere il turbamento e anche un po’ di responsabilità, fu una ventata d’aria fresca. —

 

 









esplosione fece tremare la tettoia del cortile, spaventando uno stormo di piccioni, e la sua eco ruggì fin sotto le volte della passerella, che Amir stava attraversando in un tintinnio di armi insieme ad alcuni dei suoi Apprendisti e dove si fermò di colpo guardando in alto, aspettandosi che il soffitto crollasse da un momento all'altro. Quando il terremoto cessò si voltò a scambiare un'occhiata coi suoi Assassini e in cambio ricevette sguardi allucinati.

Ràhel comparve sotto l'arco della biblioteca leggendo un libro e non si scompose neanche un po' quando l'ennesima esplosione fece tremare le fondamenta del Covo. Anzi, distrattamente alzò gli occhi dalle pagine, lo vide e gli venne incontro con un sorriso.

— Che succede? — domandò Amir, gelido, prendendole una mano, come se in quel modo avrebbe potuto salvarsi quando una voragine si fosse aperta nel terreno.

Ràhel aggrottò le sopracciglia. — Yusuf non te ne ha parlato nelle lettere? — chiese.

— Quali lettere? —

Un nuovo boato scosse le assi sotto i loro piedi.

— Mi stai dicendo che mentre eri ad Ankara non hai ricevuto lettere? — insisté lei.

— Neanche una riga. Ma per Allah, mi dici che diavolo sta succedendo qui?! —

La ragazza digrignò qualcosa tra i denti e poi si avviò verso il cortile degli allenamenti, facendogli segno di seguirla.

Non appena uscirono all'aperto ci fu l'ennesima esplosione e dal centro del cortile si levò una nuvola di polvere che una manata di vento portò dritta su di loro. Amir si parò dietro un braccio e alle sue spalle sentì qualcuno degli Assassini tossire mentre Ràhel, immobile al suo fianco, chiuse solo un po' gli occhi. Quando la nube passò, la ragazza si separò da loro e andò dritta fin dall'altra parte del cortile, dove due figure chine a terra parlavano e si scambiavano i pezzi di qualcosa, sembrando giocare nella sabbia come bambini. Yusuf e Serdar, due facce annerite e piene di polvere, l'accolsero con sorrisi smaglianti.

— A cosa dobbiamo la visita? — chiese il Maestro.

— Mi avevi detto di avergli scritto! — ringhiò Ràhel puntando un dito alle proprie spalle.

Yusuf si sporse oltre la sua figura allungando un po' il collo e vide Amir sotto la tettoia, circondato dai suoi Apprendisti, guardarsi attorno come se fosse sulla Luna. Poi i loro sguardi s'incrociarono e Yusuf esplose in un nuovo, enorme sorriso. — Amir! — gioì, alzandosi e scattando verso di lui senza che Ràhel riuscisse ad agguantarlo.

— Ne parliamo 'sta sera, — le mormorò il Maestro facendo qualche passo al contrario, e quando si voltò trovò l'armatura di Amir a fargli da muro. Si gettò ad abbracciarlo lasciandogli il segno del suo passaggio sulle vesti e salutò gli Assassini che erano con lui offrendo strette di mano che tutti, facendo facce davvero strane, accettarono; ma prima che Amir potesse fare qualsiasi domanda e Yusuf dargli la risposta assurda che si aspettava, alle spalle del gruppo di Assassini che intasavano l'accesso al Covo si levò una voce rauca e solenne che chiedeva permesso con la delicatezza di un elefante. Amir ebbe un tuffo al cuore, mentre si scansava, quando vide la barba scura e gli occhi piccoli sotto nere sopracciglia, che insieme al timbro di voce gli avevano ricordato fin troppo Ishak…

— Ecco qua, Yusuf. Queste faranno un bel botto davvero! — stava dicendo lo sconosciuto porgendo al Maestro una serie di contenitori sigillati con spago o colla di pesce, grandi quanto il pugno di un uomo adulto. Dopodiché fece per avviarsi oltre il cortile.

— Aspetta, Piri, devo presentarti una persona, — disse Yusuf tenendo in braccio gli esplosivi come si tiene un bambino in fasce.

— Amir ibn Saad, — si presentò il siriano facendo un piccolo inchino con la testa.

L'altro si lisciò i baffi squadrandolo con l'attenzione di un geometra. — E così tu sei Amir, quello che cerca il pelo nell'uovo quando c'è in ballo il regolamento e che perciò non avrebbe mai dovuto vedere tutto questo… Tanto piacere davvero! Puoi chiamarmi Piri, ma senza il "reis" come ogni tanto fa il tuo amico qui: mi fa sentire vecchio ed è una cosa che facevano anche quelle scimmie che si spacciavano per uomini sulla mia nave. —

— Eri Capitano? — domandò Amir, sinceramente colpito.

— Lo sono tutt'ora, visto che ho ancora la testa sulle spalle, ma adesso che costruisco bombe chissà per quanto ci resterà, ahaha! — e dicendo così prendeva congedo, raggiungendo Ràhel e Serdar sotto la tettoia dall'altra parte del cortile.

— A quanto pare un solo pazzo non bastava… fammi capire, ti sentivi solo? — chiese Amir dopo aver congedato i suoi Assassini che erano scappati come lepri al sicuro tra le mura del Covo.

Yusuf scoppiò in una fragorosa risata. — L'ho conosciuto nel rientro dalla Grecia, — gli spiegò. — Sapeva tutto di noi, della Confraternita intendo, sosteneva anche di aver conosciuto Ishak, una volta, e quando… —

— Attenzione, laggiù! — gridò Serdar e Yusuf fece appena in tempo ad agguantare il siriano per il cappuccio prima che una nuova esplosione gli riempisse l'armatura di polvere. Amir lo ringraziò in appena un mormorio.

— … e quando mi sono ricordato che aveva detto di avere una certa esperienza con la polvere da sparo, mi è tornato in mente che avevamo questo "progettino" in sospeso da qualche anno, così… —

— Così ti è venuta la grandiosa idea di far saltare in aria il Covo e mezzo distretto? — sbottò Amir, interrompendolo.

— E dove potevamo provarle, sennò? — sussurrò Yusuf incassando la testa tra le spalle e aggiustandosi le bombe tra le braccia.

— Fuori le mura della città, per esempio! — rispose lui. — O avevi intenzione di invitare tutte le pattuglie di Giannizzeri del quartiere a farci visita?! —

Ci fu un'altra esplosione, più forte delle precedenti, e quella volta la nube di polvere li investì entrambi.

— Calma, fratello! Non c'è pericolo! — gridò Serdar attraverso il fumo. — Quelle lepri coi pollici opponibili della Gilda dei Ladri si stanno dando da fare per tenere occhi e orecchi indesiderati lontani da qui! —

Amir si lasciò sfuggire un'imprecazione nella sua lingua. — Che sciocchezza… — borbottò massaggiandosi la radice del naso.

— Credevo che saresti stato contento… — mormorò Yusuf, dispiaciuto. — Insomma, guarda un po' che roba! — si voltò, pescò una bomba tra quelle che aveva in grembo e la lanciò. Ma anche Serdar, dall'altra parte del cortile, aveva fatto lo stesso…

Piri Reis afferrò lui e Ràhel per le braccia e buttandosi con loro a terra gridò: — AL RIPARO! — 

Gli Apprendisti che assistevano dalla tettoia si buttarono giù cercando rifugio dietro le colonne e Yusuf e Amir si rannicchiarono contro la parete.

Passò qualche secondo, poi anche un minuto durante il quale un paio di piccioni si appollaiarono lungo la staccionata del campo, ma non accadde nulla.

Yusuf lanciò un'occhiata al cortile e vide che le due bombe erano ancora lì, nella sabbia, intatte e immobili come pietre.

La risata fragorosa di Piri, che si alzò spolverandosi le vesti, riecheggiò nell'aria immobile del cortile. — Qualunque sia il vostro Dio, Assassini, vi consiglio di ringraziarlo calorosamente, — disse mentre dietro di lui Serdar aiutava Ràhel ad alzarsi.

— Ci darò un'occhiata per capire cos'è andato storto. Forza, giovani, qualcuno me le riporti qui, — disse il Capitano rivolgendosi alla platea, ma gli Apprendisti ancora nascosti dietro le colonne della tettoia si scambiarono solo un'occhiata e nessuno si mosse.

— La prossima vuoi provarla tu? — gli chiese Yusuf allungandogli una bomba.

— Tieni quegli affari demoniaci lontani da me, hai capito? — sbottò Amir. Poi puntando l'ingresso del Covo disse che sarebbe tornato quella sera per scoprire se la Torre di Galata fosse stata ancora in piedi, ma che nel frattempo avrebbero dovuto spostare quell'esercitazione fuori dalle mura cittadine, come aveva suggerito.

 

Il tramonto sulle colline coperte dai campi era di colori caldi e avvolgenti. Le nuvole erano lunghe e piatte, distese dal vento come tante tovaglie a coprire un unico grande tavolo. Da lì la chiassosa Istanbul non era altro che un cumulo di tetti scintillanti che mormoravano, affacciati sul mare piatto come una donna vanitosa davanti al suo specchio, e il Bosforo una crepa nel quadro. Una coppia di piccoli falchi passò sopra le loro teste iniziando una danza che li vedeva impegnati in prodigiose evoluzioni aeree, e dopo averglieli indicati con un sorrisetto beffardo Yusuf circondò la vita di Ràhel con un braccio, schioccandole a tradimento un bacio sul collo. Poi, e prima che potesse beccarsi la reazione di lei, un'Apprendista moooolto sconsiderato (e altrettanto coperto di polvere da sparo) risalì la collina da dove i due avevano assistito allo sgombero del campo d'addestramento improvvisato nella valle per dirgli che il Capitano desiderava parlargli prima di tornare in città.

— Ho lasciato i progetti di tutte le bombe testate oggi a quell'Assassino con gli occhi da pesce, come si chiama? Ah, già, Serdar, — disse Piri quando Yusuf e Ràhel lo ebbero raggiunto ai piedi del campo, da dove aveva supervisionato l'addestramento con una severità che avrebbe fatto invidia ad Amir. — E ho notato che il vostro medico è l'unico qui ad avere le dita abbastanza sottili da poter sistemare lo stoppino senza il rischio di saltare in aria. Ovviamente se non si contano i bei volti che ci dispiacerebbe molto veder pieni di polvere, — aggiunse accennando un sorriso e un piccolo inchino verso di lei e Ràhel lo ringraziò allo stesso modo. — Perciò credo che d'ora in avanti tu abbia tutti i mezzi necessari per cavartela da solo, Yusuf. —

— È un addio? Così presto? — chiese lui, dispiaciuto. 

— Per tutti i demoni del mare, no! — esplose Piri. — Ho comprato una casetta in città, vicino al Gran Bazar. Un posto non esattamente tranquillo, mi dirai tu, ma almeno potrò dedicarmi senza intoppi a questo e altri dei miei passatempi. Ho saputo che voi Assassini viaggiate parecchio, — disse mentre si avviavano, chiudendo la fila di Assassini che lasciavano la valle carichi di attrezzatura, sacchi di polvere e quant'altro era stato necessario per mettere su il campo.

Yusuf annuì. — Gli ultimi sono rientrati stamattina da Ankara e li guidava proprio Amir, ma la scorsa settimana abbiamo mandato due squadre in Egitto per gettare un occhio su un paio di rappresentanti poco… rappresentativi, — concluse con una smorfia.

— Capisco… — assentì Piri rigirandosi un baffo. — Bhé, come se la cavano col disegno? —

Yusuf gli lanciò un'occhiata interrogativa. — Tutte le reclute sanno leggere e scrivere, e i migliori insegnano agli altri, ma… —

— Ma qualcuno di loro tiene in mano la grafite piuttosto bene, — intervenne Ràhel.

Piri annuì soddisfatto. — Se mentre sono in missione qualcuno di loro potesse fare rilevamento per mio conto, basterebbe come compenso per i miei servigi. —

— Che genere di rilevamento? — chiese Yusuf.

— Mappatura del territorio, foreste, città, coste... tutto il più dettagliatamente possibile. —

— E contribuire così alla tua fama di cartografo? — ridacchiò Yusuf.

— Mi sembra uno scambio equo. — assentì lui e poi, rigirandosi tra le mani un involucro ad innesco aggiunse: — Quant'è vero che io contribuisco alla vostra di dissipatori della quiete pubblica. —

Risero tutti assieme.

 

 

 

 

 

  
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