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Autore: Bloomsbury    11/07/2014    9 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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"I got this feeling that we're dead
I got this feeling that we're dead
And there's nothing more

Across the sea
We're both fixed in a dream
There's an island just like this
A person just like me."

Sleep Paralysis- Gabriel Bruce 

 

 



21. Sleep Paralysis
 
Le finestre spalancate e le scatole ricolme di oggetti accatastati avrebbero potuto dare un’impressione di vita, di partenza, di qualcosa di positivo come un’esistenza che riprende d’accapo, ma le apparenze ingannano e, spesso, i cumuli di ricordi messi insieme in una scatola non sono segno di un nuovo viaggio.
La televisione accesa sempre sullo stesso canale si imponeva come sottofondo, così da ricreare una normalità che, ormai, non esisteva più da tempo.
Lizzie e Jay avevano sgomberato casa ad una velocità indegna, indegna per Izaya.
Ogniqualvolta la ragazza tentasse di convincerlo a conservare qualcosa o a riconsiderare l’idea di rimettere tutto dov’era, il ragazzo afferrava l’oggetto in questione e senza alcuna cura lo scaraventava in uno dei tanti scatoloni, senza assicurarsi che rimanesse intatto.
Ad ogni tonfo, a poco a poco, il cuore di Lizzie si spezzava e sempre meno riusciva a comprendere il comportamento di Jay. I vestiti di Izaya, gli oggetti personali, i documenti di lavoro, i suoi DVD e CD parevano non avere più alcun significato, soprattutto per la leggerezza con la quale riusciva a disfarsi di tutto senza lasciar trapelare alcun sentimento.
La tazza di Slenderman raccattata a tradimento quella volta che Izaya, senza portafogli, aveva deciso di andare comunque a fare spese ai mercatini: «Buttala! Non me ne faccio niente».
La macchina fotografica vintage, cimelio di famiglia: «Quella, tra le cose da regalare».
La sciarpa da un metro e mezzo con la quale Izaya legava Jay al palo della luce fuori dal locale dopo l’ennesima battuta acida espressa per puro divertimento: «Falla sparire!».
E così, ogni piccola cosa trovava la sua disfatta sul fondo di un asettico contenitore che, riempiendosi, svuotava inesorabilmente il cuore di Jay di ogni ricordo.
L’appartamento, in poche ore, pareva non aver mai accolto in sé la vita di quel ragazzo morto tragicamente e sotterrato sotto ammucchi di oggetti eliminati con estrema freddezza.
Lizzie se n’era andata, dopo aver letto ad alta voce un biglietto della padrona di casa lasciato sotto la porta dell’appartamento: “Mi spiace per quello che è successo. Izaya era un bravo ragazzo, spero che tu possa trovare la forza di andare avanti. In questo momento mi vergogno davvero molto a darti questo genere di comunicazione, ma: non è stato pagato l’affitto del mese passato e a breve sarai in ritardo di due mensilità. Ti chiedo di farmi sapere che cosa hai intenzione di fare, se andare via o continuare a vivere qui. Fatti vedere presto. Rose.”
Jay aveva ascoltato il contenuto del biglietto riassettando il soggiorno, senza curarsi più di tanto di quelli che, presto, sarebbero diventati problemi pratici da dover affrontare seriamente.
Lizzie si era offerta per un prestito, ma messa a tacere dall’imperturbabile distacco di Jay, era andata via stordita e sconvolta, come se avesse assistito in diretta allo smembramento di un uomo ancora in vita; una linea sottile divideva Jay e il ricordo di Izaya: chi fosse la vittima di tale ferocia non era ancora chiaro nella sua mente.
Il farsi male con le proprie mani era un atto mai sperimentato e se per qualcuno era proprio questo ciò che stava facendo, per Jay era solo un modo in più per costringere i suoi ricordi ad assopirsi, nulla di più.

***
 
Aveva fatto i conti per tutto il giorno con il dolore e, prontamente, era riuscito a metterlo a tacere ma giunta la notte, come risvegliato da un sonno profondissimo, si accorse di essere solo, avvolto dalle lenzuola che li aveva visti scambiarsi tenere carezze e ruvidi incontri, accompagnati sempre dalla bugiarda sensazione che il tempo, almeno per Izaya e Jay, si sarebbe fermato in quel preciso momento di pura felicità.
Si strofinò gli occhi stanchi e provati dalle crudeli ore di veglia che l’avevano costretto a rigirarsi nel letto e, scattando improvvisamente come una molla, fu in piedi e già in cammino verso l’armadio a muro del corridoio.
Puntò gli occhi verso la maniglia in legno e, prima che potesse realizzare, ormai la stringeva nella mano, attendendo quel riconoscibilissimo “clack” della chiusura a calamita che gli suggeriva di averla aperta.
Spalancò la porta dell’armadio con titubanza, impaurito per ciò che avrebbe trovato all’interno.
L’oscurità lo aiutò a non riconoscere subito ciò che stava cercando così da ritardare una reazione istintiva che l’avrebbe costretto, con la coda tra le gambe, a chiudere la porta e retrarsi. Si abituò velocemente al buio e lo sguardo trovò subito la scatola degli attrezzi appartenuta ad Izaya ma che, in realtà, nascondeva foto che non aveva mai esposto in casa. Non vi era alcun segreto in quelle istantanee, ma aveva, da sempre, amato tenere per sé i momenti felici con la sua famiglia, con i suoi amici, con il suo amore.
Jay le ricordava, le aveva viste insieme a lui e, sedendosi sul pavimento del salotto, accese la piantana, permettendo alla luce di rendere chiare quelle facce che già conosceva.


 
“Quella è mia madre” disse Izaya afferrando una foto. Sorrideva guardandola e Jay, sdraiato accanto a lui, spostò l’attenzione da una immagine all’altra, concentrandosi su quella che aveva messo al mondo l’uomo che amava.
“Cosa dovrei fare per ringraziare questa donna?”
“In che senso?”
“Ti ha messo al mondo”.
Una risata fece scendere un’ombra sul viso di Jay che, fino a quel momento, aveva sorriso: “Sei il solito stronzo. Dico cose romantiche e tu ridi.”
“Non ti è mai venuto in mente che, il mio, possa essere imbarazzo?”
“Non mi è mai venuto in mente perché è la cosa più lontana dalla realtà che tu possa fare: ridere per imbarazzo. Tu fai altre cose, tipo: fare battute idiote.”
“Questo è vero. Comunque, dicevo: questa è mia madre. In realtà non ho mai conosciuto la mia vera madre, lei mi ha adottato.”
“Sul serio?” chiese stupito. Si accorse di sapere ancora troppo poco di lui, così lo fissò con attenzione, sperando che continuasse a raccontarsi.
“Emily e Charles. Due genitori meravigliosi troppo grandi per adottare un neonato. Hanno scelto me, un quindicenne decisamente vivace. Non ho storie strappalacrime da raccontare sulla mia infanzia. Sono stato sempre felice, non mi è mai mancato niente e loro mi hanno sempre sostenuto in ogni mia scelta. Un giorno, qualche tempo dopo il mio arrivo, quasi tre anni, Charles si è ammalato di tumore allo stomaco e in pochi mesi è morto. Emily ha sofferto così tanto da spegnersi un po’, ma mai per me. Per me era sempre luminosa e splendente. Aveva quarantatre anni quando Charles l’ha abbandonata e lei mi ha tirato su da sola, fino a che, cinque anni fa si è ammalata di Alzheimer e adesso non sono altro che il lattaio per lei”.
Nonostante la storia avesse un epilogo alquanto triste, Izaya aveva raccontato tutto con un sorriso sul viso, guardando la foto con tenerezza.
“Adesso dov’è Emily?”
“In un centro specializzato. Il mio lavoro non mi ha mai consentito di prendermene cura qui a casa mia. Lavoro per troppe ore fuori casa, ma vado a trovarla quasi ogni giorno.”
“Perché non me l’hai mai detto?”
“Adesso te l’ho detto e sappi, caro Jay: ti ci porterò presto. Io sono il tizio del latte, tu potresti diventare un suo amico di infanzia”.


 
Guardò con malinconia la foto di Emily, ricordando il loro primo incontro.
Izaya non era altro che un semplice lattaio, Jay, invece, era diventato un suo vecchio amore.
Sorrise amaramente ma, in un attimo, la freddezza si impossessò dei suoi lineamenti, cancellando ogni traccia di sentimento.
Lasciò cadere l’immagine di Emily sulle altre foto cosparse sul pavimento, sfilò una sigaretta dal pacchetto e l’accese, aspirando profondamente il primo tiro.
Poggiò la testa sulla seduta del divano e fissò il soffitto come se fosse un cielo stellato, perso nei suoi pensieri.
Lo sguardo indecifrabile e i tiri di sigaretta calmi e regolari rimescolarono nella sua mente le impressioni di quei momenti di vita vissuta, veicoli di ricordi e, alzando la testa lentamente, inchiodò nel cuore l’idea che aveva appena formulato dentro di sé: prese le foto tutte insieme e si diresse al bagno con una calma maniacale ed inumana, continuò ad aspirare il fumo come se stesse prendendo boccate d’aria ristabilizzanti; senza esitazioni gettò le foto nella vasca da bagno, li cosparse di alcool e, poco dopo, quella sigaretta diede vita al fuoco che avrebbe inghiottito ogni sorriso, ogni rievocazione.
Assistette fino alla fine alla disfatta dei suoi stessi sentimenti che bruciarono inesorabilmente davanti ai suoi occhi inespressivi e assenti.
Izaya bruciava e percorreva all’indietro la strada che aveva vissuto negli ultimi anni della sua vita.
Sparì lui, sparì il bar, sparirono anche Lizzie, Robert e Chaz.
Con quelle foto ridotte in cenere svanì un pezzo di vita che, a forza, ricacciò nell’oblio della sua mente costretta all’impassibilità.
Si vestì velocemente e, incurante del pungente odore di fumo che aveva invaso casa, uscì con l’ennesima sigaretta tra le labbra senza sapere cosa ne sarebbe stato di lui.
Senza sapere cosa avrebbe fatto di se stesso.





Angolo Autrice.
Sono produttiva in questi giorni e confesso di aver pensato di non aggiornare. La storia è in revisione e volevo finire prima di pubblicare nuovi capitoli, ma poi ho pensato che non è giusto lasciarvi appesi per più di un mese, il tempo necessario a terminare la revisione.
Quindi, ecco il nuovo capitolo, spero vi piaccia.
La storia comincia a prendere dei connotati decisamente più oscuri, i buoni sentimenti non sono sempre facili da portare avanti soprattutto quando succede qualcosa, nella vita, che ci fa stare male.
Jay ha scelto di abbandonare ciò che è stato, di mettere da parte la sua fragilità.
Molti di noi, certamente, abbiamo vissuto momenti della vita che ci hanno indurito e che ci hanno portato allo stremo. Abbiamo detto basta al dolore ma, a volte, non è la soluzione giusta.
Voglio ringraziare LadyWolf che, in qualche modo, ha collaborato alla stesura di questo capitolo. Come? Mi ha fatto conoscere questa canzone che mi ha ispirato moltissimo, la canzone che da' il nome al titolo. Ringrazio Babbo Aven, DarkViolet, Moloko, Oxymoros Schìma, Aniasolary, Nahash, Emide, Elsker, Mrs Burro, Ghost, Malaria e dedico questo capitolo a Bijouttina che oggi compie gli anni.
Ringrazio chi ha inserito la storia nelle seguite/preferite/Ricordate.
Se dimentico qualcuno, come al solito, chiedo scusa.
Bloomsbury

 
   
 
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