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Autore: fragolottina    11/07/2014    14 recensioni
"Ogni sei mesi tutti i ragazzi di tutte le scuole dello stato, di età compresa tra i diciassette ed i venti anni, venivano sottoposti ad un test.
Tutti i test erano spediti direttamente alla sede centrale dell’ADP a Vernon, dove erano analizzati, smistati e valutati.
C’erano tre responsi possibili: il primo, ragazzo normale, potevi continuare la tua vita come se niente fosse successo; il secondo, potenziale Veggente, non eri arrestato – od ucciso, come ebbi modo di scoprire in seguito – come un Veggente attivo, ma ad ogni modo eri obbligato a sottoporti a test clinici per valutare la tua resistenza al Mitronio, per calibrare una cura su misura; il terzo, potenziale Vegliante, un soldato, una risorsa del governo, da quel giorno la tua missione era quella di dare la caccia ai Veggenti attivi.
A quanto pareva, io ero una potenziale Vegliante."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Synt'
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MSC19 fragolottina's time
ieri sera ho incontrato Romeo.
ve lo giuro, era lui... se fossi stata più coraggiosa o semplicemente un po' brilla l'avrei fotografato ed ora avrebbe un volto, ma, ahimè, ha vinto la mia parte razionale.
cmq, questo temuto capitolo è ufficialmente on-line, ci sono un paio di sorprese alla fine, ma non correte subito giù!
baci


26.
L’ultima sigaretta


Courtney capì di essersi addormentata con il lavoro a maglia tra le mani, quando si svegliò la mattina dopo scrollata energicamente dalla madre. «Court, devi aiutarmi.»
    Aprì gli occhi e si tirò indietro i capelli guardandola spaesata. «Che succede?» chiese dentro ad uno sbadiglio.
    «Devi aiutarmi a vestirlo.» disse sua madre avvicinandosi al piccolo mobile nella stanza di Zach e tirando fuori un paio di pantaloni ed una maglia a maniche lunghe. «Sveglialo.»
    Courtney non capiva, ma obbedì: afferrò il braccio di Zach e lo scrollò. «Ehi!» chiamò. A volte era difficile svegliarlo, le prime mattine si era spaventata, poi però si era abituata al fatto che ci volesse più tempo, semplicemente. «Zach, e muoviti!» continuò.
    Lui sollevò piano le palpebre e la guardò togliergli le coperte di dosso. «Che c’è?»
    Non sapendo cosa rispondere guardò la madre.
    «C’è tuo padre, Zach.» disse lei.
    Lui sgranò gli occhi ed i sensori registrarono un aumento del battito cardiaco. «Non può dirle che sono morto?»
    La signora Williams lo fulminò. «Anche tua madre. Lindsey e Jean stanno cercando di trattenerlo.»
    «Perché?» chiese Courtney, Zach non aveva mai parlato molto del padre e quando lo faceva le raccontava episodi in cui era molto piccolo; il padre di Zach sembrava essere un uomo severo, però era una buona cosa che fosse lì. Erano i suoi genitori gli volevano bene, sua madre era corsa quando l’avevano arrestata, era strano che ci avessero messo così tanto.
    Zach si tirò su sui gomiti a fatica ed iniziò a slacciarsi i lacci del camice. «A mio padre non piacciono gli sprechi.» osservò senza essere troppo esplicativo. La signora Williams gli lanciò i due capi che aveva recuperato. «Mi aiuti, per favore?» chiese a Courtney.
    Lei si avvicinò e gli diede una mano prima con la maglia e poi con i pantaloni. In genere di quelle cose si occupava Lindsey, Courtney ancora non aveva capito come facesse a non sentirsi imbarazzata visto che avevano avuto una relazione. Court non aveva problemi, quando vestiva i panni di un medico non ne aveva mai avuti; erano gli altri a sentirsi strani perché una bella ragazza, troppo giovane per fare il medico, li tastava.
    Sua madre li guardò, studiò Zach. «Pensi di riuscire a stare in piedi?» gli domandò.
    Zach fissò la signora Williams e lanciò uno sguardo veloce a Courtney. «Posso provarci.» entrambe le donne pensarono che fosse chiaramente un “no”.
    La madre della ragazza sospirò. «Okay, non importa.» commentò. «Se te lo chiede il padre, dì che si sta rimettendo lentamente, Courtney. Descrivi un intervento delicato, ferite importanti, fingi che le sue condizioni attuali facciano parte dell’iter di convalescenza, d’accordo?»
    Annuì anche se era decisamente perplessa, nel preciso istante in cui Jean entrò nella stanza di Zach, seguita dai suoi genitori.
    «Hai visite, Zach.» gli annunciò la Responsabile con un sorriso molto forzato.
    Educatamente Courtney si allontanò dal letto, per dar modo ai genitori di stargli vicino, lanciò un’occhiata fuori dalla stanza: nel corridoio c’erano Nate e Lindsey che seguivano la scena seri.
    La madre di Zach, Courtney ricordava chiamarsi Delia, corse ad abbracciarlo come ogni madre avrebbe fatto; lo strinse piano, piano, delicatamente, quasi che il suo istinto materno le suggerisse anche il rischio di fargli male. Lui si lasciò coccolare, tranquillo, sollevò il braccio libero per posarlo sulla schiena della madre.
    «Mi si è fermato il cuore quando ho saputo.» gli sussurrò, ma Courtney era abbastanza vicina da sentire.
    «Sto bene.» le rispose lui, le sue parole rimbombarono nella maschera dell’ossigeno, ma continuò a tenere gli occhi fissi sul padre, come se si aspettasse di essere attaccato.
    Courtney studiò il signor Douquette, si sforzò di ricordare il suo nome, sua madre doveva averglielo detto. Lei lo conosceva ed aveva una pessima opinione di lui, ma aveva sempre pensato che fosse per il suo lavoro. Il padre di Zach possedeva una casa farmaceutica ed in un modo o nell’altro questo lo aveva sempre autorizzato ad influenzare il lavoro di qualsiasi medico; negli ultimi anni il prodotto di punta della sua industria era un inibitore neurologico, universalmente conosciuto come Mitronio.
    La prima cosa che pensò Courtney guardandolo fu che non somigliava molto al figlio, non sapeva perché si fosse aspettata che fossero identici. Ma quando spostò lo sguardo su di lei rabbrividì, perché i suoi erano davvero gli occhi di Zach, trapiantati in un altro volto. Non era solo il colore a renderli tanto simili, era la forma, il modo con cui si incastravano sotto la fronte, come li atteggiava.
    «Allora, ragazzo, che hai combinato?» chiese al figlio, tornando con lo sguardo su di lui.
    Probabilmente voleva essere una domanda giocosa, ma la sua espressione facciale rimase troppo rigida perché lo sembrasse davvero.
    Zach deglutì. «Mi sono fatto prendere.» disse semplicemente, anche lui aveva cercato di essere leggero, non c’era riuscito.
    «Un errore tollerabile.» disse Jean con un sorriso benevolo, era una maschera di perfezione ed autocontrollo, sembrava una pubblicità sull’efficienza degli enti partecipati dal Governo. «Zach è sempre stato un ottimo Vegliante, un buon Caposquadra: è permesso a tutti commettere degli errori.» lo giustificò.
    L’uomo si avvicinò studiandolo, sfiorò la manetta legata al letto. «Hanno paura che scappi?» gli chiese.
    Zach rimase immobile, la madre si sollevò tenendo la mano nella sua. Passò uno sguardo tra lei ed il marito che non comprese del tutto, una sorta di ammonimento da parte della donna, ma non era il rimprovero di una moglie, era la minaccia di una madre.
    «Una nostra compagna di squadra è stata rapita.» intervenne Courtney. «Zach è fatto così.» continuò con una scrollata di spalle.
    «Sei sempre lo stesso, eh, Zach?» c’era il gelo nelle sue parole, lui non abbassò lo sguardo, sostenne quello del padre fino alla fine. «Vorrei proprio sapere cos’è che Sean ti ha infilato in quella testolina.»
    «Buonsenso.» scandì Zach lentamente.
    Courtney vide la stretta della madre farsi più forte.
    «Chi è lei, signorina?» domandò improvvisamente il signor Douquette a Courtney, non la guardò, come se tutto quello che aveva visto su di lei fosse stato sufficiente. Lei ne fu così stupita da non trovare le parole.
    «Mia figlia.» rispose sua madre al suo posto: suonò come una minaccia, lo era. «Ed il medico di Zach.»
    «Non si scaldi, Madame Williams.» sorrise, finalmente guardò Courtney, ma non come avrebbe potuto osservare una persona: le sembrava di essere all’Asta, era tornata ad essere un pezzo di carne da comprare.
    «Ha una madre troppo protettiva, ragazza mia. Se è davvero il medico di mio figlio, avrei piacere di scambiare alcune parole con lei.»
    «Non vedo cosa non puoi dirle davanti a me.» si oppose Zach.
    «Zitto, ragazzo.» ordinò senza degnarlo di uno sguardo.
    Courtney guardò Jean stringersi nelle spalle: sapeva che se avesse detto di no, la Responsabile si sarebbe battuta per lei come al solito, ma trovava sciocco dire di no. Erano tutti super tesi ed il padre di Zach era sicuramente una persona un po’ difficile, ma era suo padre, non trovava così irragionevole la sua richiesta, era normale che volesse sincerarsi delle sue condizioni.
    «Mi segua.» acconsentì quindi.

Non si era resa conto che stava per cacciarsi in un’imboscata finché il signor Douquette non le indicò una stanza dove poter parlare. In quella stanza erano già seduti il primario di chirurgia dell’ospedale ed un agente dell’ADP. Dire che lei ed il primario di chirurgia avevano dei trascorsi burrascosi, sarebbe stato un modo molto poetico per dire che entrambi desideravano la reciproca morte.
    «Si sieda, Vegliante Williams.» propose l’agente indicandole una sedia davanti a loro.
    Courtney si sedette guardinga, improvvisamente a disagio in quella stanza piena di persone delle quali non aveva stima. Le avrebbero fatto del male in un modo o nell’altro e lei era disarmata. Deglutì e si impose di stare calma: era ridicolo, era in un ospedale pieno di persone, sua madre era in una stanza dall’altra parte del corridoio, non c’era niente di cui avere paura.
    Sentì la porta chiudersi alle sue spalle, subito dopo qualcuno bussare e riaprirla. «Perdonatemi, ma vorrei assistere.» riconobbe la voce di Nate.
    «A quale titolo?» domandò il signor Douquette brusco.
    «Beh, se proprio me ne serve uno scelgo Caposquadra.»
    Il signor Douquette guardò l’agente dell’ADP sorpreso, evidentemente non era stato informato del cambio di ruolo di Zach. L’agente però annuì. «È vero.» confermò. «La Responsabile Roberts ci ha presentato tutta la documentazione.» spiegò. «Suo figlio si è dimostrato inadeguato.»
    «E non vi è venuto in mente di avvertirmi?» chiese furioso.
    Né il medico né l’agente ebbero il coraggio di rispondere.
    L’espressione del signor Douquette si distese repentinamente, nascose il dispetto dietro al severità: guardò Nate ed annuì. «Puoi assistere, non c’è niente di segreto.» disse infine.
    Nate si sedette accanto a Courtney, gomito a gomito, si propose di ringraziarlo più tardi.
    «Dunque, signorina Williams, può aggiornarmi davvero sulle condizioni di mio figlio?»
    La ragazza deglutì, quel signorina nascondeva denti aguzzi. Cercò in sé stessa la parte razionale e professionale, sua madre le aveva insegnato come parlare da medico ad un familiare del paziente. Fu con un certo stupore che realizzò all’improvviso che sua madre l’aveva preparata a Synt.
    «I suoi parametri vitali sono ancora deboli, di certo migliori rispetto ad una settimana fa. La ferita che ha riportato era grave, sono dovuta intervenire sui suoi organi interni, non ci si può aspettare una convalescenza breve.»
    L’uomo congiunse le mani di fronte a lui. «Riterrebbe le problematiche di mio figlio normali?»
    «Sì.» mentì Courtney.
    «Non le credo.» disse lui. «Dottor Stone, la prego, completi la versione della signorina.»
    Il chirurgo aprì una cartellina e lei sospirò.
    «La situazione è decisamente più grave di quella descritta dalla ragazza.» iniziò. «La ripresa di suo figlio non è lenta, non c’è.» concluse spietato.
    «Non sono d’accordo.» obbiettò Courtney.
    «No?» le fece eco il chirurgo con tono di sfida. «Ci spieghi allora perché è attaccato perennemente all’ossigeno e continua ad avere trasfusioni.»
    «Ha perso molto sangue, stiamo semplicemente aiutando il suo fisico a rimettersi in sesto.» rispose, composta e ferma.
    «E l’ossigeno?»
    Courtney trattenne il respiro, quasi che negandosene uno, potesse regalarne a Zach due; la verità era che non lo sapeva, non aveva capito perché Zach aveva avuto problemi respiratori, se era per quello non sapeva nemmeno come mai gli servisse tanto sangue, ma per il sangue aveva una giustificazione, seppur debole, per l’ossigeno no.
    «Signor Douquette, io le assicuro che nessun medico potrebbe avere tanto a cuore il caso di Zach quanto Courtney.» la difese Nate.
    «Oh, ma vedi, io non metterei mai in dubbio la sua passione ed il suo impegno. Ma mi chiedo, è davvero la persona più indicata ad occuparsi di mio figlio? Sarà davvero in grado di fare quello che bisogna fare? Zach ha bisogno di un dottore, non di una ragazzina con una cotta.»
    Courtney aggrottò le sopracciglia senza capire, ma improvvisamente all’erta. «Quello che bisogna fare?» chiese ignorando tutto il resto, di solito smetteva di ascoltare dopo che qualcuno l’aveva chiamata ragazzina.
    «Vuole davvero che io guardi mio figlio passare tutta la vita in un letto d’ospedale attaccato a dei tubi?»
    Courtney perse le parole, divenne muta semplicemente. Sapeva cosa significava quella frase, tragicamente a Vernon l’aveva pronunciata spesso, aveva costretto persone a riflettere sulla qualità della vita dei propri cari. In quel momento le sembrò un ordine di omicidio e basta.
    «Signor Douquette.» intervenne Nate, consapevole del suo stupore. «È passata poco più di una settimana, Zach migliorerà, è forte, si è sempre ripreso.»
    Courtney deglutì, si fece forte: non era più sé stessa che doveva difendere, ma Zach. «Sono considerazioni premature.» osservò pratica, più professionale possibile. «Queste ipotesi vengono vagliate dopo anni ed in condizioni molto peggiori di quelle di Zach. Il paziente è lucido, ricettivo, vivo in tutti i sensi. Non possiamo sapere quanto migliorerà, ma ci vuole tempo.»
    «Dottor Stone, lei che ne pensa?» chiese il signor Douquette al primario.
    «Non vedo ampi margini di miglioramento.»
    Lei aveva sempre odiato quel medico, era ottuso, i suoi metodi erano superati, i suoi consigli inutili. «Non sono d’accordo.» ripeté Courtney fulminando il dottore.
    «Signorina Williams, a che titolo ci offre la sua opinione? Medico?» chiese il signor Douquette.
    Lei annuì, ma le sembrò che il mondo si offuscasse davanti ai suoi occhi, sapeva cosa stavano per chiederle.
    «Ed è un medico, signorina Williams?»
    Lei non rispose.
    «Ha operato mio figlio senza avere le competenze adeguate…»
    «Ho le competenze adeguate.» era la figlia di Vivien Williams, tutto quello che doveva sapere le era stato insegnato da sua madre. Aveva avuto l’insegnante migliore del mondo.
    «Potrei benissimo sospettare che abbia sbagliato qualcosa e che per questo Zach stia così…» continuò l’uomo come se non l’avesse sentita.
    «Nessuno in questa struttura avrebbe potuto fare un lavoro migliore del mio.» si difese, perché era vero.
    «Lo vede, signor Douquette?» osservò il dottore. «È di questo che parlo, quando dico che i Veglianti della Responsabile Roberts sono fuori controllo.»
    Courtney si alzò in piedi furiosa. «Fuori controllo!» ripeté oltraggiata. «Se lei non fosse un tale incompetente non dovrei occuparmi di tutto io!» gridò.
    Il signor Douquette batté un pugno sul tavolo. «Lei non è un medico!» urlò. «Non la chiamano “signorina Williams” per mancarle di rispetto, ma perché non c’è altro titolo con cui chiamarla.»
    Courtney riusciva a sentire il suo cuore galoppare, veloce, insistente, vivo, era come se battesse per lei e per Zach. «Non che sia stata una mia scelta.» ribatté. «Siete stati voi ad impedirmi di acquisire il titolo di dottoressa, mandandomi in questo buco.»
    «Poteva studiare.» osservò il dottore. «Essere una Vegliante la autorizza comunque a poter completare i suoi studi, se la sua Responsabile è d’accordo.»
    Courtney lo guardò. «Se lo risparmi.» lo invitò.
    «La Vegliante Williams ha presentato la domanda, è stata respinta.» spiegò l’agente dell’ADP.
    «Perché?» chiese Nate stupito.
    «Per lo stesso motivo per cui respingerebbero la tua.» rispose Courtney. «Siamo troppo intelligenti, hanno paura di quello che potremmo scoprire.» spostò lo sguardo sul primario. «Di diventare improvvisamente obsoleti.»
    Il signor Douquette la studiava in silenzio. «Sicura di essere una Vegliante, signorina Williams? Perché parla come una Veggente.»
    Courtney lo fulminò. «Cos’è non siete più in grado nemmeno di correggere quei benedetti test?» chiese sarcastica.
    «Vegliante Williams, si dia una calmata.» la rimproverò l’agente dell’ADP. «Un’altra parola e non ci sarà avvocato in grado di tirarla fuori di prigione.» la minacciò.
    Nate le prese la mano e la strattonò in basso. «Lascia parlare me.»
    «Voglio ucciderli.» borbottò senza smettere di fissarli.
    «Lo so, per questo dovresti sederti e lasciare parlare me.» insistette.
    Courtney si sedette.
    «Signor Douquette, le chiedo scusa per conto di tutti.» iniziò Nate, decisamente più controllato di lei. «Vede, quello che dice ci tocca da vicino, vogliamo tutti bene a Zach. Capiamo che le sue condizioni siano critiche e poco incoraggianti, capiamo quanto possa essere tragico per lei vederlo bloccato lì, lo è anche per noi. Ma non possiamo perdere la speranza, non ancora.»
    L’uomo lo guardò. «Mi spaventa che quello che resterebbe di lui, non sarebbe più mio figlio. Mia moglie non potrebbe sopportarlo, non dopo Sean.»
    Courtney dovette mordersi la lingua per non insultarlo.
    «È comprensibile, ma perfino lei deve sperare che suo figlio si rimetta senza riportare danni permanenti.» disse. «La prego, dia a Zach altro tempo, può farcela.»
    «È possibile?» chiese il signor Douquette al primario di chirurgia.
    «Ne dubito fortemente.» rispose con gli occhi fissi in quelli di Courtney, che riuscì a figurarsi la precisa sensazione che avrebbe provato nel dargli un pugno: il suo zigomo schiantarsi contro le sue nocche, se si impegnava poteva puntare a romperglielo. Nate le strinse tanto forte il polso per impedirle di alzarsi di nuovo, che fu sicura di avere il livido.
    «Non sarebbe la prima volta che Zach fa cose impossibili.» osservò Nate.
    Il signor Douquette si alzò in piedi. «Le do una settimana, signorina Williams.»
    Courtney impallidì.
    «Tra una settimana il signor Stone toglierà l’ossigeno a Zach, impedirà ulteriori trasfusioni. Se mio figlio è vivo, vivrà; se è morto, morirà: non permetterò che la sua testardaggine lo trattenga in questo limbo.»
    Il signor Douquette uscì, subito seguito dal medico e dall’agente dell’ADP come gli stupidi leccapiedi che erano.
    Courtney iniziò a tremare in lacrime silenziose, il suo corpo era scosso da spasmi tanto violenti che si strinse le braccia al corpo, perché ogni singhiozzo sembrava spaccarla in due. Si sentiva un nodo di rabbia e frustrazione. Nate rimase ad osservarla, spaventato per alcuni secondi, poi la abbracciò.
    «Ti prego, non crollare, non lasciarmi solo.»
    Lei sgranò gli occhi e si coprì la bocca con la mano. «Lo uccideranno.» mormorò in sussurro agitato. «Fra una settimana lo uccideranno ed io non potrò fare niente.» cercò di prendere fiato, non ne aveva. «Dovrò guardarlo morire.» cercò ancora di respirare, di nuovo non ci riuscì. Soffocò un urlo ed iniziò ad ansimare.
    Nate la allontanò. «Court! Court!» corse alla porta e la spalancò. «Aiuto!» lo sentì gridare.
    Il resto fu confuso, infermiere corsero nella sua stanza, pronte a darle un clamante. Lei si divincolò e quando arrivò la madre le minacciò di ritorsioni se una di loro avesse provato ad iniettare qualcosa a sua figlia; forse il signor Douquette non andava molto d’accordo con sua madre, ma la parola di Vivien Williams in campo medico aveva ancora il suo peso. Le cacciò una dopo l’altra e le porse un sacchetto di carta per respirarci dentro. Le accarezzò i capelli finché il suo respiro non tornò normale. Non le disse niente, non poteva.
    Nate rimase accanto a loro, seduto su una sedia con la mano in quella di Courtney. Era l’unica cosa che riusciva a sentire veramente, lui era l’unico che vedeva a colori, il resto era soltanto un fruscio grigio.

Fu proprio lui a dare la notizia a Lindsey, non appena Matt gli diede il cambio con l’affarino; era entrato nel laboratorio piuttosto su di giri, quando Nate era uscito, dopo avergli spiegato cosa era successo, era stato muto ed addolorato.
    Raccontò tutto a Lindsey più velocemente possibile, come se il vecchio adagio “Via il cerotto, via il dolore” potesse funzionare anche in quella circostanza. Guardò i suoi occhi blu liquefarsi in lacrime, vide la disperazione, un dolore così autentico da essere inconsolabile. Vide l’orrore e la pena.
    La vide recuperare la giacca e fare per uscire, la trattenne, spaventato che potesse fare qualche pazzia in quelle condizioni. «Aspetta, dove vuoi andare?»
    «A cercare Romeo.» rispose risoluta.
    «Sei matta, ti ucciderà.»
    Lei lo guardò, determinata, non era un colpo di testa. «Ve bene.» gli disse fissandolo.
    Nate continuò ad osservarla interdetto, ma la lasciò andare. C’erano milioni di motivi per trattenerla: Zach non l’amava più come un tempo, Romeo era ben nascosto e di certo non si sarebbe fatto trovare da lei, era soltanto una civile. Ma non riuscì a dirle niente. La guardò andarsene, sperò di rivederla.
    Recuperò il suo cellulare e compose un numero, un segnale acustico lo avvisò che stava per effettuare una chiamata internazionale. «Lynn, il mondo sta andando in pezzi.» disse non appena gli rispose.

Courtney aiutò Zach a sistemarsi sulla sedia a rotelle in silenzio. Lo accompagnò al bar, c’era una tabaccheria; lui scelse un pacchetto di sigarette, decisamente troppo forti per qualsiasi medico, lei un accendino con disegnato un coniglietto con un mazzo di fiori, decisamente troppo da femmina per lui.
    Lo spinse fin dentro l’ascensore.
    C’era un tetto, in tutte le costruzioni di Synt c’era un tetto agibile, per i suicidi forse, per i disperati. Lasciò la bombola d’ossigeno accanto alla porta, incastrata in modo che non si richiudesse lasciandoli intrappolati lì sopra. Respirò l’aria inquinata di Synt, riconoscendo che era davvero troppo che non usciva. Guardò la notte senza stelle, il cielo piatto e distante di Synt scoprendo che in qualche modo una stella o due l’avrebbero consolata.
    Zach aveva capito, forse sapeva già da quanto era arrivato suo padre quella mattina. «Mi spiace per mio padre.» le disse.
    «Posso farti camminare. Sei debole, ma non hai problemi alle gambe o alla spina dorsale, se ti do un paio di stampelle dovresti farcela.» spiegò pratica, cercando di non lasciarsi trascinare da altre considerazioni: non ci riuscì, non riusciva a ragionare, era in balia delle sue paure. Cose che la spaventavano e disgustavano e che cercava di non guardare da tutta la vita erano di fronte a lei e le urlavano in faccia di affrontarle.
    Chiuse gli occhi e deglutì. «Come ha fatto tua madre a fare te con lui?» chiese piano.
    Lui si strinse nelle spalle. «Non lo so, me lo sono chiesto per tutta la vita.»
    «Ti dispiacerebbe se gli strappassi braccia e gambe?» continuò a domandare.
    Lui rise buttando fuori il fumo a sbuffi e per un attimo fu Zach.
    La fece a pezzi: Courtney si sporse appena prima di vomitarsi sulle scarpe, si pulì alla meglio con il dorso della mano e quando sollevò lo sguardo su di lui, Zach la stava fissando preoccupato. «Court.»
    «Non dire niente, ce la faccio.» lo interruppe.
    «Non è vero.»
    Gli occhi le si riempirono di lacrime senza che potesse impedirlo. «Io ho…» si interruppe deglutì. «…ho bisogno che tu viva.» disse con voce rotta.
    Zach abbassò lo sguardo su sé stesso. «Anche così?» le domandò. «Mio padre non ha del tutto torto.»
    «Zach.» disse con rimprovero. «Sei stato operato appena una settimana fa!»
    «Posso chiederti di farmi un’altra promessa?» le chiese.
    Lei annuì.
    «Non smettete di cercarla.»
    Courtney si avvicinò e si accucciò, non gli piaceva guardarlo dall’alto. «Ed a chi lascerai l’onore di dirle che sei morto?» domandò spietata.

Quando Courtney lo riaccompagnò in camera, Nate e Matt lo stavano aspettando, insieme a Jared ed un paio di cartoni di pizza. Zach rise, lei non li vedeva nemmeno, aveva finito le energie, ogni speranza, aveva perso tutto.
    Si mise in angolo ad ascoltarli parlare, lo stomaco troppo attorcigliato per mangiare. Aveva gli occhi fissi su Zach, quasi che continuando a guardarlo sempre, potesse impedire che gli succedesse qualcosa. Deglutì un groppo di pianto, non voleva rovinare quell’atmosfera, Matt e Nate si stavano impegnando a tenerli tutti abbastanza lontani dai disastri in cui si trovavano.
    «Sarò a fianco a te quando succederà.»
    Courtney guardò Jared appoggiato accanto a lei. La sua mente, il suo cuore, si ribellarono a quell’ipotesi; voleva di più di qualcuno che le tenesse la mano mentre Zach soffocava. Quel giorno avrebbero ucciso anche lei, perché non avrebbe mai permesso che gli facessero del male e Jared le avrebbe tenuto la mano, forse avrebbe aiutato a trattenerla.
    Voleva qualcuno che gli avesse promesso la testa del signor Douquette perché voleva uccidere Zach, del primario di chirurgia perché l’aveva umiliata, dell’agente dell’ADP perché l’aveva minacciata.
    «Grazie.» sorrise. «Ma non credo che vorrò vedere nessuno quel giorno.» rispose sincera.
    «Se tu mi permettessi di consolarti lo farei.»
    Lo aveva fatto quando Josh era morto, l’aveva stretta, coccolata, le era stato accanto e l’aveva aiutata a superarlo. Ma quella volta non avrebbe potuto, c’erano dolori dai quali sarebbe stato impossibile per lei riprendersi. «Non puoi.»
    Salutò gli altri dicendo che era stanca, andò da sua madre. «Puoi darmi qualcosa per riposare?» le domandò, dietro di lei sentì l’eco delle proprie parole, non era la prima volta che aveva problemi a dormire.
    Lei le sorrise e le porse una fiala, poi la chiave della stanza dove era stata sistemata. «Penso io a Zach stanotte.»

Courtney si svegliò un secolo dopo con la testa piena di cose alle quali non riusciva a dare senso. Era ancora notte, era ancora buio. Allungò una mano ricordando vagamente un comodino alla sua destra ed un bicchiere d’acqua lì sopra. Tastò varie volte, senza forze né entusiasmo, ad un passo dall’arrendersi e rimanere assetata.
    Qualcuno fece scorrere il bicchiere fino alle sue dita.
    «Jared?» chiese.
    Le rispose il silenzio, forse se l’era sognato, la testa le girava tanto che perfino il letto si muoveva, figurarsi un bicchiere. Si sollevò un pochino e bevve. Rabbrividì e cercò di tirare le coperte, ma erano intricate e lei non nelle giuste facoltà mentali per districarle, le sembrava di dover muovere con la forza del pensiero le mani e le gambe di qualcun altro.
    Mani le spostarono con delicatezza le gambe e la coprirono fin sotto il mento.
    «Mamma?» chiese rannicchiandosi sotto le coperte.
    Un sospiro. Un respiro sul suo viso. Una mano sulla sua bocca. «Sono io, ma non urlare. Abbiamo bisogno di parlare Courtney Williams.»
    Il cervello di Courtney mandò un debole segnale d’allarme, che si perse in altri mille pensieri, tutti stipati insieme in troppo poco spazio. Romeo le tolse la mano dalla bocca, non urlò. «Se fossi un uomo saresti venuto quando ero in condizioni di ucciderti.» brontolò.
    Riconobbe il rumore di una sedia che veniva spostata, poi uno sbuffo che somigliava ad una risata. «Non puoi uccidermi.»
    «L’unico che poteva, lo farai morire tra una settimana.» ricordò amara.
    Romeo accese la lampada sul comodino e le mostrò quella che aveva tutta l’aria di essere una valigetta refrigerante. «Mi hai portato il cuore di Logan Douquette? Perché sarebbe un regalo molto apprezzato.»
    Lui incrociò le braccia sul letto ed appoggiò il mento sopra di esse. «Tre litri del mio sangue.» prese fiato. «Chiedimi cos’ha Zach.» le disse.
    «Che diavolo vuol dire?»
    «Fallo.» ripeté.
    Courtney borbottò e diede una tastata alle coperte, possibile che non avesse un’arma con lei?
    «Cos’ha Zach?» si arrese a chiedere.
    Sua madre avrebbe dovuto pensarci, anche lei forse, erano sempre a Synt dopotutto, quella città apparteneva a Romeo.
    «Ehi!» Romeo le prese il viso tra le mani e la obbligò a fissarlo. «Snebbia il cervello ed ascoltami.»
    Lei sbatté le palpebre cercando di concentrarsi su di lui.
    «A Zach danno il Mitronio da quando è bambino, per questo sta così.»
    «I Veggenti lo prendono per tutta la vita e non sono così.»
    Romeo alzò gli occhi al cielo. «Dio, Court, perché hai preso quella roba?» si lamentò. «Mi servi lucida.»
    Lei scosse la testa ed aspettò che i pensieri raggiungessero il suo cervello. «Zach non è un Veggente.»
    «Bravissima, ragazza. Non so cos’è, ma ci sono solo tre tipi di Veggenti: quelli ipersensibili al Mitronio che muoiono come Iago, quelli che lo smaltiscono senza riportare danni a lungo termine e quelli che iniziano a vedere in età adolescenziale e che, se presi in tempo e curati, in dieci anni perdono la facoltà di vedere.»
    «Magari lui è del terzo gruppo.» provò.
    Romeo abbassò lo sguardo e si leccò le labbra prima di tornare a lei. «Quelli del terzo gruppo di solito passano la vita senza sapere di esserlo mai stati.»
    Per alcuni secondi Courtney rimase zitta, sapeva che c’era qualcosa di fondamentale da afferrare nelle parole di Romeo, eppure non ci arrivava. «Va’ avanti.» si arrese a dire dopo alcuni secondi.
    «Il Mitronio nel tempo ha creato un deposito, il deposito aumentava ogni giorno ad ogni somministrazione e lui rallentava un po’ ogni giorno. Ad un certo punto sarebbe morto intossicato.» concluse. «Dawn ha pensato che una forte emorragia potesse fargli espellere anche parte di quel deposito, ma c’è ancora. Il sangue civile non può funzionare, cioè lo tiene vivo, ma noi non vogliamo solo che sia vivo, giusto?»
    Courtney abbassò le palpebre lentamente e le sollevò di nuovo. «Giusto.»
    «Gli serve sangue Vegliante pulito, il mio, nella speranza che smaltisca il suo deposito di Mitronio.» indicò con un cenno del capo la valigetta refrigerante. «Mezzo litro al giorno, se gliene dai di più si rompe e l’unico che sa aggiustarlo è morto.» per alcuni secondi la osservò scettico. «Pensi di riuscire a ricordare tutto?»
    «Scrivilo.»
    «Dove?»
    «Dove non posso ignorarlo e dove non possono strapparmelo.»
    Romeo ci pensò su, poi le prese un polso e gli arrotolò la manica della maglia; recuperò una penna dalla tasca ed iniziò a scriverle tutte le indicazioni indispensabili sull’avambraccio.
    «Non fare niente.» le ordinò.
    «Nh?» fece Courtney confusa.
    «Non puoi uccidere Logan Douquette e farla franca, ti condanneranno a morte.» le lanciò un’occhiata. «Me ne occupo io.»
    «Lo ucciderai?»
    «Sì.»
    Per alcuni secondi rimasero entrambi in silenzio, Romeo era così concentrato che Courtney aveva paura di infastidirlo con le sue parole, così si limitò ad osservarlo. Inconsciamente pensò anche che avrebbe potuto ucciderlo, sarebbe stata un’occasione perfetta.
    «Lo faresti davvero?» le chiese Romeo, senza guardarla; si rimise la penna in tasca e tirò giù la manica della sua maglia.
    «Cos’è mi leggi anche nel pensiero?» gli domandò.
    «Le tue intenzioni non sono mai state particolarmente enigmatiche.» spiegò semplicemente.
    «Dovresti farlo tu.» osservò con un’onestà della quale probabilmente di giorno, alla luce del sole, non sarebbe mai stata capace. «Dovresti ucciderci tutti, siamo dei mostri.»
    Romeo la guardò. «Ti sto dando il mio sangue, Courtney Williams. Solo a te e solo perché la mia stima nei tuoi confronti supera di gran lunga il mio giudizio. Tutti commettiamo errori, tutti possiamo sbagliare.» rise. «Noi Veggenti pensiamo che le persone vadano giudicate per come reagiscono alla verità. Tu non la conosci, quindi noi non ti giudichiamo.»
    «Raccontami la verità, allora.» propose.
    Lui fece una smorfia indecisa. «Forse stasera mi crederesti, fatta come ti ritrovi, ma domani alla luce del sole, splendente della tua straordinaria razionalità, ti diresti che ho mentito.»
    Courtney rimase zitta per un po’, poi annuì. «Ho capito.»
    Romeo sospirò. «Okay.» si alzò in piedi e la guardò. «Hai bisogno di qualcosa?» guardò il bicchiere accanto al suo comodino, ora mezzo vuoto. «Altra acqua?»
    «Parlo come una Veggente?» gli domandò.
    Lui scoppiò a ridere annuendo. Lo sconcerto superò la confusione, non aveva mai visto Romeo ridere sinceramente, di solito lo faceva in risposta ad un loro errore e c'era più sarcasmo che ironia; ma in quel momento era autentico e Courtney sapeva che, oltre la nebbia del sedativo, se lo sarebbe ricordato.
    «E sei straordinariamente sexy quando lo fai!» Romeo si fece di nuovo serio, si avvicinò ed appoggiò un braccio sul suo letto, per poi posarci sopra la testa, la guardò paziente. «Senti, non lo so come parli, sinceramente non ho idea di cosa sia oppure no adeguato per un Veggente o un Vegliante. Ma se ti può essere di conforto ha il mio consenso ed il mio supporto, anche se domani mattina vorrai uccidermi di nuovo.»
    «Portami via con te.»
    Romeo sollevò le sopracciglia scettico. «Tua madre deve averti dato sedativo per elefanti.»
    «Se supporti il mio lavoro, hai la mia fedeltà.» promise.
    Lui sospirò. «È la seconda volta che me lo chiedi.» osservò e Courtney pensò a quando erano nel bagno di Dawn Dandley e gli aveva detto che sarebbe potuta scappare; lì per lì non ci aveva pensato, ma scappare dai Veglianti a Synt significava rifugiarsi dai Veggenti.
    Si avvicinò a lei fino a sussurrarle nell’orecchio. «Smettila o ti dirò di sì.»
    Courtney chiuse gli occhi per quello che doveva essere un secondo e la sua mente si scrollò. «Aspetta, dov’è Becky?» chiese riaprendoli, ma Romeo non c’era più ed era mattina. Si guardò il braccio, c’erano le istruzioni del sangue ed un consiglio: “A testa alta”.

Nate uscì dall’ospedale all’alba. Si guardò intorno, era ancora presto perché Synt fosse leggermente animata, a volte gli sembrava che quella città vivesse per due o tre ore al giorno, mentre per il resto del tempo si limitasse a rimanere sospesa.
    La sua mente si mise in moto da sola, calcolò, rivide il percorso che aveva suggerito a Zach per portare Becky via da Synt: senza Veggenti sarebbe stato semplice. Poteva scappare, poteva mettere chilometri tra lui e quell’inferno, un oceano tra lui e la morte della quale era impregnata Synt.
    I suoi occhi si fermarono ad un lampione, seduta accanto ad esso in modo piuttosto innaturale, c’era una ragazza bionda. La sua posizione era innaturale perché aveva le mani legate al palo di metallo. Era bendata e decisamente sporca, aveva le labbra screpolate, ma non sembrava essere veramente ferita.
    «Becky.» mormorò Nate.
    Lei voltò il viso nella sua direzione, cercando di guardarlo, ma non poteva vederlo.
    Non con gli occhi almeno.


dunque, vi preannuncio che non voglio affrontare in questa sede un discoro complicato come l'eutanasia... come dice la cara Lavis, Zach è un caso limite ed al signor Logan Douquette non importa certo della qualità della vita di Zach, ma direi che questo è palese...
la conversazione tra Courtney e gli altri lì, è fondamentalissima, per carità ricordate tutto quello che dice Courtney...
oh e è tornata Becky...
oh, un sacco di cose questo capitolo!
fatemi sapere che ne pensate, ci vediamo nel prossimo!
baci

ps. mi ero scordata i link: Fragolottina e Lamponella

   
 
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