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Autore: Michan_Valentine    11/07/2014    6 recensioni
A due anni dalla battaglia per la salvaguardia del Pianeta, Vincent Valentine si ritira nel villaggio di Kalm senza dire niente ai suoi amici. Ma Yuffie Kisaragi e le questioni irrisolte non tarderanno a fargli visita.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti, Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Advent Children, Contesto generale/vago
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Aprì la porta e varcò l’uscio di casa. Di rimando l’odore d’aneto e menta piperita gli solleticò le narici. Spaziò con lo sguardo all’interno. Non c’era nessuno e il silenzio regnava sovrano. Eppure la teiera era disposta sul fornello della cucina, a fiamma bassa, e le braci si consumavano lentamente sul fondo del camino.

Yuffie non c’era di sicuro, comunque. Altrimenti l’avrebbe sentita a un miglio di distanza. Probabilmente lei e Cait Sith erano andati a perlustrare i dintorni senza aspettarlo. Sospirò e incurvò le spalle, cercando di scacciare il sapore di quanto si erano detti ore prima.

“Se cerchi il gatto strano e la ragazza rumorosa sono usciti più di un’ora fa.”

Sollevò lo sguardo e intercettò la figura che si stagliava sull’uscio della camera da letto. Sephiroth. S’irrigidì appena: non l’aveva sentito arrivare. Era silenzioso. Veloce. E letale, non doveva mai dimenticarlo. Si analizzarono vicendevolmente per qualche istante; poi l’altro infranse l’immobilità e si diresse in cucina come niente fosse.

“Abigail è fuori. Si sta occupando degli animali.” continuò “Gradisci una tazza di tè…- esitò -Vincent, giusto?”

Sephiroth voltò il capo e ne incrociò le iridi. Stava aspettando una risposta. I suoi occhi erano limpidi e non trasudavano né odio, né disprezzo. Il tono di voce era pacato. E le sue labbra erano distese in una linea neutra che poco aveva a che vedere col sogghigno crudele o malizioso che in passato ne aveva sfregiato i lineamenti.

“No, grazie.” rispose.

Si rilassò un po’ e continuò a studiarlo, mentre l’altro recuperava una tazza di ceramica dagli scaffali. Gli dava la schiena e tossiva di tanto in tanto, portandosi la mano davanti alla bocca. Una scena di vita quotidiana che cozzava tanto con l’immagine del Generale dei SOLDIER quanto con l’idea della calamità pronta a devastare il Pianeta. Eppure tutti e tre gli aspetti erano reali e riconducibili alla stessa persona. L’uomo che Abigail amava, il Generale che tutti ammiravano e che la gente di Wutai disprezzava, la calamità che Cloud aveva affrontato e battuto.

“Sei un tipo silenzioso.” osservò Sephiroth d’improvviso “È una qualità che apprezzo.”

Non rispose e continuò a seguirlo con lo sguardo. L’altro si spostò dalla cucina al tavolo, tazza fumante alla mano, e sedette; poi tornò a fissarlo con quei suo occhi alieni. E inquietanti. Verde nel rosso.

Aveva temuto e rifiutato il confronto, ma ora che si trovavano l’uno di fronte all’altro non c’era tempo per pensare. O per tirarsi indietro. Anzi, qualcosa dentro gli suggerì che stava aspettando quel momento da ormai trent’anni. Di rimando tralasciò l’ingresso e lo raggiunse, assecondando la tacita richiesta. Ciononostante ignorò il piano di legno e prese posto lungo la parete dirimpetto, braccia incrociate al petto.

“Gli uomini che sono venuti qui giorni fa…” cominciò Sephiroth “Stanno cercando me.” non era una domanda, ma una pura constatazione “Perché?”

“Dimmelo tu.” ribatté.

Sephiroth scrollò il capo; e i suoi lunghi capelli ondeggiarono.

“L’ho detto anche a quel gatto. Non ricordo niente.”

“Non hai risposto alla domanda.” gli fece notare, senza battere ciglio.

Tanto più che non gli credeva. Non fino in fondo; perché c’era qualcosa la notte che tornava a tormentarlo. Sephiroth gli riservò una lunga, intensa occhiata. Stava riflettendo, tirando le somme. Poi inclinò il capo e arricciò gli angoli della bocca.

“D’accordo.” convenne “Il mio nome è Sephiroth. L’ha scelto Abigail. Dice che le ricordo l’omonimo, famoso SOLDIER della Shinra.” spiegò; poi si strinse nelle spalle “Non credo che si tratti di una coincidenza. Questo spiegherebbe i Turks sulle montagne.”

Sorseggiò lentamente il suo tè, poi tornò a puntare lui.

“Ma non la vostra presenza.” concluse quindi; e poggiò la tazza sul tavolo, in attesa.

Sephiroth aveva fatto bene i suoi conti, non c’era che dire. Eppure non sembrava turbato dall’eventualità che Abigail gli avesse taciuto la sua vera identità. O quantomeno quella ufficiale; ma voleva sapere. Glielo leggeva negli occhi. E voleva sapere da lui. Ironia della sorte. Come se fosse facile… Sospirò.

“Dovresti prendere in considerazione l’idea del turismo estremo.” fece.

L’altro si concesse una bassa, parca risata. Sembrava davvero diverso dall’uomo che avevano affrontato due anni prima. Ma poteva trattarsi di un inganno. O di una condizione transitoria. Pertanto non poteva farsi prendere dal sentimentalismo. O abbassare la guardia.  Raccontargli come si erano svolti i fatti era naturalmente da escludersi, ma scoprire fino a che punto si spingevano i suoi ricordi o le sue supposizioni sarebbe stato utile. Soprattutto per capire come affrontare la situazione.

“A quanto pare non sono l’unico a eludere le domande.” commentò Sephiroth, studiandolo con occhi curiosi; poi soggiunse “Ma io so di conoscervi. L’ho visto.”

Batté le palpebre e si accigliò. L’altro interpretò quella reazione come un’implicita richiesta perché gli fornì ulteriori spiegazioni.

“Quando siete entrati in camera da letto, ieri sera.” continuò, senza mai smettere di fissarlo dritto negli occhi “Immagini, perlopiù. Ma anche qualche suono. E odore. Mi hanno attraversato la mente come un flash...”

Deglutì. E ricordò velocemente quanto era accaduto la sera prima. Di come Sephiroth avesse stretto le mani alla testa, di come avesse digrignato i denti e urlato fin quasi a perdere il fiato. Vittima del tormento.

“Che hai visto?” domandò.

Lo sguardo dell’altro si fece distante.

“Una donna… dai lunghi capelli castani. Pregava. E ho sentito il suono cristallino dell’acqua…” esitò “…L’odore acre del sangue. Mi chiedo cosa significhi…”

Le parole sfumarono e un brivido gli risalì lungo la schiena, riportando alla memoria il preciso istante in cui la Masamune aveva trafitto il petto di Aeris.

Distolse lo sguardo e serrò la mandibola. Senza nemmeno saperlo avevano innescato un rischioso processo; e Sephiroth aveva ricordato. Dettagli, fortunatamente. Seguì il silenzio, greve; poi l’altro prese nuovamente parola.

“E mi è tornato alla mente un nome. Credo che appartenga a mia madre.” fece; e i lineamenti del suo viso si distesero appena “Jenova…”

Inarcò le sopracciglia. E l’ira tornò nuovamente ad animarlo, simile a quella provata lungo il sentiero innevato. Sciolse la morsa delle braccia e serrò invece i pugni, così forte da farsi sbiancare le nocche.

Era stato quel verme. Hojo. Nella sua malata, visionaria smania di grandezza aveva inculcato la menzogna nella mente di Sephiroth. Gli aveva impedito di essere figlio. Aveva impedito a lei di essere madre. E il nome Jenova si poneva ancora nel mezzo come un muro invalicabile contro la verità. O come consolazione per l’anima solitaria di un bambino.

Ma l’odio, quello viscerale, era diretto soprattutto nei confronti di se stesso, che non era riuscito a impedire a quell’uomo spregevole di far loro del male. Lì dov’erano più vulnerabili.

“Jenova non è il nome di tua madre.” ribatté, più duramente di quanto avrebbe voluto.

Sephiroth batté le palpebre e lo fissò stupito, quasi stordito dal significato di quelle parole. Smarrito. Poi la tazza di ceramica si ruppe, tanto l’aveva stretta fra le dita. E per un attimo pensò che invero ricordasse ogni cosa.

Si fissarono ancora per un po’, in silenzio, mentre il tè bollente si allargava indisturbato sul tavolo e fra i cocci. Poi l’altro aprì la bocca e fece per rispondere. Tuttavia la porta di casa si spalancò e l’interruppe, costringendolo a dirigere l’attenzione da quella parte.

Abigail entrò in casa di gran carriera, con il capo e le spalle incrostati di ghiaccio.

“Che freddo!” esclamò la ragazza, scrollandosi il gelo di dosso.

Rilasciò l’aria e sciolse i pugni, mentre quell’interruzione andava a dissipare la tensione residua. La ragazza, ignara, andò con lo sguardo dall’uno all’altro.

“Tu!” sentenziò infine, puntando Sephiroth con iridi accese “Che cosa ci fai in piedi? Devi riposare o quella brutta tosse non andrà mai via! Non ti avevo detto di restare sotto le coperte?”

“Sto bene. Davvero.” ribatté il diretto interessato “Ho la scorza dura.”

“E la testa anche di più.” sottolineò la padrona si casa, disfacendosi velocemente di guanti e mantella.

Li osservò in silenzio, dalla sua postazione dimessa. Sephiroth sorrideva come non l’aveva mai visto fare. Abigail invece tentava di tenere il broncio, ma s’intuiva lontano un miglio che stava tentennando; e le sue labbra già faticavano, forzatamente piegate verso il basso. Gli occhi di entrambi, poi, s’illuminavano ogni volta che s’incontravano. Sembravano una coppia di novelli sposi, considerò. Ma, soprattutto, sembravano sereni. Ciò contribuì a scacciare l’inquietudine e a restituirgli la proverbiale calma che lo contraddistingueva nella maggior parte delle occasioni.

Infine la ragazza cedette. S’aprì in un radioso sorriso e li raggiunse, ponendosi tranquillamente accanto a Sephiroth. Passò la mano sulla fronte e fra i capelli dell’altro, probabilmente per controllarne la temperatura corporea, e l’osservò con grande attenzione. E premura. Sephiroth invece allungò con scioltezza il braccio e ricambiò lisciandole una delle trecce.

“La febbre è scesa.” constatò la padrona di casa; poi adocchiò il tavolo e notò i cocci “Accidenti! Il tè è arrivato fino a terra!”

“Hai legato di nuovo i capelli.” osservò Sephiroth, incurante.

“Non ti sarai tagliato?!” si preoccupò la ragazza, afferrandogli la mano e controllandone accuratamente anche il palmo.

L’altro la lasciò fare e continuò: “Mi piace quando li lasci sciolti.”

Abigail gli assestò uno scappellotto.

“Noto che mi ascolti.” rimbrottò, sopracciglio alzato “Vorrà dire che le trecce le farò a te, la prossima volta. Contento?” concluse, poggiando le mani sui fianchi; poi si rivolse a lui, che se ne stava immobile lungo la parete alla stregua di un’ombra “È talmente un testardo! Vincent, sai come ha fatto a prendersi quest’assurda tosse?”

Scosse la testa e trattenne uno sbuffo divertito.

“Ha deciso che poteva sistemare la staccionata anche a petto nudo! Ed ecco il risultato…” spiegò Abigail, scuotendo il capo con rassegnazione.

“A essere precisi è stata tutta colpa di quella capra malefica.” si difese Sephiroth “Le ho dato le spalle per un attimo –e sottolineo un attimo- e mi ha caricato. Dritta sulle ginocchia. Ed ecco come sono finito nell’abbeveratoio. Non potevo tenere addosso la maglia fradicia!”

“Fiocco è un po’ gelosa, l’ammetto.” convenne Abigail “Ma esistono i ricambi d’abito, caro il mio testone!”

“Gelosa? È un’assassina. Dovremmo farla al forno, altroché.”

Abigail saltò sul posto, come punta da un ago arroventato.

“Non osare!” replicò, pronta a dargli battaglia.

A giudicare dall’espressione di Sephiroth, un misto fra il soddisfatto e il divertito, adorava punzecchiarla. Abigail invece sembrava saperlo, accontentandolo di buon grado. E, mentre bisticciavano per nonnulla, il sorriso faceva in fretta a spuntare sulle labbra di entrambi.

Scosse nuovamente la testa, non visto. Era un quadretto assurdo. E completamente inaspettato. Spiegare la situazione a Cloud e agli altri sarebbe stato difficile. Come sarebbe stato difficile parlarne con lei
…che aveva sofferto così tanto per le proprie scelte. E per l’esistenza di un figlio tanto amato di cui aveva solo potuto sognare, colma di rimpianto…

“Non ho potuto stringerlo a me neppure una volta. Non posso definirmi sua madre… questo… questo è il mio peccato…”

Quell’ammissione gli risuonò dolorosa nella coscienza, perché così vera, vivida e comprensibile. Lasciò andare le iridi sull’uomo che gli stava di fronte, che sorrideva, che parlava con la donna di cui era innamorato. Ignaro di tutto. Qualcosa andò inevitabilmente a opprimergli il petto.

Sephiroth non era ancora nato, quando Hojo aveva premuto il grilletto. E ora era un uomo fatto e finito; che aveva vissuto, che aveva lasciato la propria impronta nel mondo. Nel bene o nel male. Senza conoscere le proprie origini o il conforto dell’amore. Erano passati più di trent’anni… ciononostante, uno di fronte all’altro, erano come coetanei. E come due estranei. Quando invece avrebbe potuto essergli…

Serrò la mandibola e allontanò quel pensiero. Aveva sbagliato così tante cose. Altri avevano pagato il prezzo dei suoi errori… e ora era troppo tardi. Eppure…

“Oh, insomma! Lasciami dare una sistemata al tavolo, almeno!” protestò Abigail, spezzando il suo flusso di coscienza; e fece per raccogliere i pezzi di ceramica sparsi sul tavolo.

Tuttavia Sephiroth l’afferrò per la vita e la trasse a sé.

“Ci penso io.” affermò, guardandola dal basso verso l’alto “Sei fredda. E intirizzita. Rischi di ammalarti anche tu. Perché invece non ti godi un bel bagno caldo?”

La padrona di casa scrollò il capo e si concesse un piccolo sospiro.

“D’accordo.” fece poi “Non sia mai detto che sono testarda come te!” lo rimbeccò poi.

Abigail assestò un bacio sulla fronte di Sephiroth e si dileguò dall’altra parte della casa. Di conseguenza il silenzio riempì l’ambiente, interrotto solamente dal rumore delle braci, che di tanto in tanto scoppiettavano nel camino.

Quando dal bagno si levò il chiaro scroscio dell’acqua, Sephiroth tornò a puntarlo. Gli sembrò che esitasse, forse ponderando su quanto aveva ancora da dirgli.

“Due anni fa lei mi ha salvato. Non mi doveva niente. Eppure l’ha fatto.” esordì “Ero congelato. Ero solo. Ma lei mi ha tenuto stretto per tutto il tempo. Mi ha scaldato… e dentro di me ho compreso il significato di calore.” scosse il capo e accennò un sorriso “La mattina, mi sveglio sempre prima di lei e la guardo dormire. Finché il sole entra dalle persiane e le illumina i capelli. Sembrano di fuoco… e sono bellissimi. Bruciano.” esitò ancora “So di essere diverso dagli altri. Lo sento. Ma non voglio che i Turks mi trovino. Voglio continuare a svegliarmi ogni mattina per guardare quello spettacolo.”

Gli occhi che gli si rivolgevano erano colmi di speranza, di determinazione; ma dentro di essi c’era una luce più oscura che non riuscì a determinare. Non si mosse, non rispose; semplicemente lasciò che finisse.

“Per la prima volta nella vita, sento che tutto è esattamente come dovrebbe essere. E non permetterò a nessuno di mettersi in mezzo.” proclamò l’altro, stringendo anche i pugni “A nessuno.” ribadì; e un altro brivido gli scivolò lungo la schiena.

Era un uomo innamorato. Comprendeva quel sentimento; e il desiderio di proteggere quel legame. Tuttavia Yuffie aveva ragione: era pericoloso, di sicuro instabile. E delle persone erano morte. Amici, famigliari, compagni. Una consapevolezza che gli gravava sul cuore come un macigno. Non avevano il diritto di aspirare a una seconda occasione, non dopo tutto il veleno sparso. Eppure, nel profondo di sé, la domanda gli sorse spontanea. Irreprimibile. A dispetto di qualsiasi cosa.

Non è questo il futuro che avresti sperato per lui, Lucrecia?
 
Ok, questo capitolo fa cagare. °A° Mi spiace, non ho saputo fare di meglio per rendere Sephiroth. E la questione Sephiroth/Vincent. E la questione interiore Vincent. E il rapporto Sephiroth/Abigail. °A° *implode*
A quanto pare Seph se ne sbatte di tutto e tutti. Quel che vuole è essere lasciato in pace con la sua salvatrice. ùù' D'altro canto ignora (o forse no?) tutti i retroscena. oo E Vincent non sa di preciso da che parte stare. xD Lol. Che casino! °A° Spero che la lettura non sia stata una noia atroce. ç_ç

A parte ciò, dato che FortiX vuole sapere la mia posizione riguardo la relazione che intercorre fra Seph e Vince, qui di sotto la esporrò per intero. Perciò, chi non è interessato può tranquillamente saltare la parte, dato che potrebbe essere un papiello enorme. oo''

Duuuunque. Io non ho letto l'intervista in questione, perciò non posso metterci la mano sul fuoco, ma sembra che Nomura abbia affermato esplicitamente che Hojo è il padre di Sephiroth. Ne consegue che: Hojo è il padre di Sephiroth.  Punto. E basta? No. Perché dando per buona quest'informazione c'è da aggiungere che la Square Enix resta comunque ambigua nell'esposizione dei fatti. E sembra calcare la mano su determinate ambiguità. Di proposito. Basta giocare ai videogiochi per rendersene conto; e mi riferisco a Final Fantasy VII e a Dirge of Cerberus.

Intanto quando Sephiroth, nel titolo principale, menziona suo padre lascia il discorso in sospeso. Affermando qualcosa del genere: "Mio padre, invece... bah, lasciamo perdere..."
Qualcuno potrebbe pensare che, riferendosi a quel mostro di Hojo, preferisca soprassedere per decenza. Invece, sempre in FF VII, Hojo proclama sul Sister Ray che Sephiroth non sa che è lui il suo vero padre. Quindi di chi pippola stava parlando Seph? Mistero!

Sempre sul Sister Ray Hojo rivela che Seph è suo figlio. Da qui in poi tralascerò la versione di Nomura, che è quella ufficiale e insindacabile. Ciò considerando, quanto dice lo scienziato potrebbe essere una mera menzogna. Un vaneggiamento o un modo di dire. Innanzi tutto perché il personaggio all'interno della storia ha la possibilità di mentire per motivi suoi. (Ad esempio: Lucrecia era la sua donna, ma amava Vincent. Hojo, palesemente affetto da disturbo narcisistico di personalità, non avrebbe mai e poi mai ammesso altra paternità all'infuori della sua. Nemmeno se Seph avesse avuto la scritta in fronte "figlio di Valentine". Lol. Tanto più che disprezzava Vincent.) Secondariamente perché Hojo è uno scienziato e il suo "è mio figlio" potrebbe essere interpretato come "è una mia cratura", "il mio esperimento". Dopotutto anche la fanfiction che sto scrivendo è "mia figlia".
In più, a scontro ultimato, Tifa si pone il fatidico interrogativo: "Hojo è davvero il padre di Sephiroth?" Non si fida manco lei... e nessuno le offre risposta. Nemmeno Vincent. Lol.

A tal proposito riporto l'attenzione su Vincent Valentine. Quando lo si trova nei sotterranei di Nibelheim, sempre nel gioco principale, il nostro pistolero non si fa scrupoli a dire che Spehiroth è figlio di Lucrecia. Tuttavia non menziona Hojo. Perché? Dopotutto lui era lì e sapeva di chi era figlio Sephiroth. O forse no? Qui gatta ci cova... e intanto si è chiuso in una bara per trent'anni per espiare il suo peccato.
Sul Sister Ray, dopo le rivelazioni di Hojo, Vincent reagisce con un pregnante: "...!?" È sorpreso. E poi aggiunge: "Mi sono sbagliato. Tu avresti dovuto restare chiuso in una bara." Cioè, Vincent non sapeva che Hojo era il padre di Sephiroth... Mistero!

Veniamo a Lucrecia. Innanzi tutto lei amava Vincent. E stavano insieme. Lo sapeva pure Hojo, tant'è che quando lei va da lui le dice: "Finalmente sei rinsavita e hai scelto me". Ciò significa che Vince e Lu non avevano una storiella sottobanco. In più i due avevano un "posto speciale"; e un posto non diventa speciale se ci si va una sola volta per un picnic. Secondariamente lei e Hojo non si amavano. In più, nei giochi non c'è nessun riferimento al fatto che siano sposati (anche se forse è scritto nei data book, che io non ho mai letto). 
In ogni caso la Crescent dice che il suo peccato è quello di non essere stata una madre per Sephiroth. A questo punto vien da sé, se consideriamo le affermazioni sopra elencate di Vincent, che il suo peccato è quello di non essere stato un padre per Sephiroth. E di non essere riuscito a fermare Lucrecia, certo. Tuttavia le parole che rivolge a Hojo sul Sister Ray riguardano la paternità (e non l'amore per Lucrecia), incluso il discorso della bara.
E riguarda la paternità il famoso discorso fra Lucrecia e Vincent in Dirge of Cerberus, quando lei pronuncia la fatidica frase: "Se sono sicura? Se sono sicura? Se la domanda riguarda solo me, allora sì, sono sicura!"
Cioè, stanno parlando di Sephiroth. E la domanda di Vincent "Sei sicura?" è riferita all'utilizzo del feto come cavia. Le implicazioni amorose sono relative. Ciò considerando, perché Lucrecia gli dice "se la domanda riguarda solo me"? Chi altri dovrebbe riguardare? Hojo (il presunto padre) era più che d'accordo; e lo sapevano pure i muri. Perciò è ovvio che lei si riferisce a Vincent, un po' come se gli dicesse: "È pure figlio tuo, perché lo chiedi solo a me? Tu non hai nulla da dire a riguardo?".
Più avanti nel videogioco Shelke dirà di Vincent: "Per quanto sia adulto, resta ancora una bambino. Ora capisco perché Lucrecia ha avuto così tante difficoltà." E infatti il Vincent Turk era impacciato e timido. Immaturo. Forse troppo per riuscire a gestire una situazione così complessa... e per assumersi in toto determinate responsabilità. 

Se prendiamo ciò per buono, ne viene che da amanti Vincent e Lucrecia sono diventati complici nello stesso peccato. Ed entrambi hanno reagito con biasimo nei confronti di se stessi. Il primo si è chiuso in una bara, accettando il proprio corpo mutato come punizione e negadosi qualsiasi forma di perdono. La seconda ha tentato il suicidio e poi s'è rinchiusa a sua volta in un cristallo. Entrambi a vergognarsi e a chiedere scusa. Solo per come si sono comportati l'uno nei confronti dell'altro? O forse perché avevano responsabilità leggermente più grandi? Uhm... Mistero!
Intanto quando Vincent è sull'areonave, poco prima della battaglia finale, dice: "Uccidere il figlio della donna che amo. Sono sulla strada per commettere un altro peccato?". Beh, uccidere il proprio figlio non dev'essere bello... ùù'
 
Ultimo e meno importante: il fattore fisico. Eccetto alcuni tratti palesemente ereditati da Jenova, ovvero il colore di occhi e capelli, Sephiroth è la fotocopia di Vincent. Vedere per credere: 

http://fc00.deviantart.net/fs70/f/2010/187/c/f/sephiroth_vincent_overlay_by_acmangalover.jpg

http://fc04.deviantart.net/fs71/i/2013/188/a/b/sephiroth_and_vincent_father__by_rubiadmc-d6cecw4.jpg

Sì, ok. Magari alla Square Enix hanno reciclato i modelli facciali. Perché... boh, sono pigri. Ma sinceramente, data l'importanza di ambedue i personaggi (mica comparse, neh!) mi sembra un po' troppo spiccia come spiegazione. Specie perché non condividono solo alcuni tratti, chessò, la bocca e l'ovale. E basta. NO! Hanno tutti i tratti in comune! °A° E che cavolo! E poi, se proprio vuoi reciclare i modelli, perché farlo fra due personaggi che potrebbero suscitare ambiguità di una certa rilevanza data la trama? Perché non condividere i modelli fra Cid e Barret? Lo stai facendo di proposito maledetta Square Enix truffaldina! *w* *picchia Square* ùù
E ci si mette pure Lucrecia con le sue affermazioni: "Vincent, lo sai che i tuoi occhi sono identici a quelli di tuo padre?". E gli occhi di Sephiroth sono quelli di Vincent. <-<''' E mi spunta nel cervello John Arryn da "Il Trono di Spade" che mi dice: "Il sangue è forte!". Lol.
In compenso Seph non ha nulla a che vedere con Hojo. <-<' E se qualcuno mi dice che sono "pazzi" uguale, gli rispondo che no, Sephiroth sarà pure matto come un cavallo, ma è matto come quella cavalla(?) di sua madre Lucrecia. ùù'' Che è più folle di Hojo! xD 

Perciò, per fare il sunto del mio pensiero: i fatti mi dicono che Vincent è il padre di Sephiroth. Le affermazioni di Hojo e di Nomura no. oo Lol. (E non potervi dirlo così in due righe e basta? °A° ndTutti *e venne randellata*) Nella fic la questione è ancora indefinita... ma se dovessi puntare, probabilmente lo farei a seconda della mia interpretazione. ^^ E poi chi lo vuole Hojo come padre? <-<'' *picchia il cesso* Lol. Comunque perdonate lo sproloquio... è praticamente più lungo del capitolo! °A° Alla prossima. =w=
CompaH
   
 
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