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Autore: DalamarF16    12/07/2014    7 recensioni
Sono passate poche settimane dagli eventi di New York, e Clint deve fare i conti con la sua coscienza, con le azioni commesse sotto il controllo di Loki. Accanto a lui, a cercare di aiutarlo, ci sarà Natasha, ma una nuova recluta darà una svolta alla vita di Occhio di Falco...
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avengers: Rinascita.'
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PERSONAL SPACE: Prima di tutto...scusate! Scusate se ancora non ho risposto alle vostre recensioni fantastiche ed entusiastiche (Anche se Alexis mi fai un po' paura XD XD), giuro che appena ho un minuto rimedio!! Grazie anche a chi ha inserito questa ff nelle seguite, sono piccole soddisfazioni per me!
Vabbè...vi lascio al capitolo

Capitolo 10: Notti tormentate.

Respirò per un momento la fresca aria della notte non appena riuscì a mettere piede fuori da quel...lo guardò per un attimo. Sembrava un rifugio antiatomico in mezzo al deserto. Una nemmeno troppo grande struttura in cemento armato. Evidentemente il caro Rayhan non era così estraneo a certe pratiche.
Non perse tempo e iniziò a correre, ignorando il dolore ai piedi nudi e quello alle sue parti intime.
Vedeva delle luci non molto distanti...che si rivelarono più distanti del previsto, tanto che solo allo spuntar del sole riuscì a raggiungere i margini di quel villaggio. Con non pochi sensi di colpa, sottrasse a una casa un abito da donna, che seppure la intralciava nei movimenti, aveva il pregio di nasconderla egregiamente.
Con la scusa di una donna americana che si era lasciata abbindolare da un Emiro troppo gentile, che si era poi rivelato un vero e proprio padrone (i lividi sul suo volto fecero un egregio lavoro), riuscì a convincere un ignaro uomo d'affari inglese a darle un passaggio sul suo jet privato fino all'aeroporto di Londra.
James, questo il suo nome, fu molto gentile. Le diede degli abiti puliti e le lasciò la cuccetta del suo aereo per permetterle di riposare. Ma il vero shock lo ebbe quando si guardò alla specchio, subito dopo essersi fatta una doccia. Sì, su quel dannato aereo c'era una doccia.
Natasha lo annotò tra le cose da far aggiungere a Fury. Niente docce sugli aerei dello SHIELD.
Finalmente potè darsi un'occhiata clinica, ora che si era quasi calmata.
Quasi non credeva all'immagine riflessa nello specchio. Il suo corpo era cosparso di lividi e ferite quasi ovunque, un occhio era molto nero e un lato della faccia gonfio, ma questo la aveva immaginato.
I seni riportavano qualche livido, dove gli uomini l'avevano palpata e morsicata. Il solo contatto la faceva gemere di dolore. Le sue zone intime erano assolutamente fuori servizio. Il dolore era tanto che anche solo orinare le aveva fatto venire le lacrime agli occhi. Aveva immediatamente chiesto al suo ospite una pastiglia blocca diarrea in modo da evitare assolutamente ogni altro fabbisogno.
I polsi erano scorticati e facevano male, così come le caviglie, ma combattè il dolore e si costrinse a lavarsi per bene le ferite, per evitare che fibre di corda le provocassero un'infezione con i controfiocchi.
Si rivestì con un paio di jeas da uomo e una t-shirt che le andava più che larga, ma che allo stesso tempo non restava a contatto con le ferite, e quindi andava benissimo.
Si stese sul letto e vi rimase, rannicchiata su sé stessa, gli occhi spalancati. Non aveva voglia di parlare e James capì, anche se scambiava il suo silenzio con lo shock che quella giovane donna aveva subito.
Shock solo in parte finto.
Natasha teneva duro, ma ora che l'adrenalina e la tensione della prigionia stavano svanendo, si rese conto di quello che aveva passato. Si costringeva a non tremare, a restare lucida, ma avrebbe voluto piangere e urlare. O uccidere qualcuno.
Le ore di volo passarono interminabili. Non voleva dormire e iniziava pensare che la sua fuga fosse stata troppo tranquilla.
Certo, aveva steso una decina di guardie armate, che per quel posto così piccolo volevano come una legione, ma si era stupita anche che nessun'altro fosse all'interno di quel “carcere”.
Per ora non voleva porsi il problema. L'unica cosa che voleva era tornare negli Stati Uniti, anche se non sapeva come spiegare a Fury il proprio fallimento. Ne sarebbe stato furioso, e forse l'avrebbe perfino punita.
Al diavolo, Nat. Cazzo, ti hanno torturata!
La voce di Clint, non richiesta ma assolutamente veritiera, le rimbombò in testa. Sebbene la inquietasse il fatto che la sua coscienza avesse preso da discutibilissima voce di Clint Barton, non poteva negare la verità.
Fanculo a Fury. Non aveva scelto lei di fallire.
Lo sceicco aveva fatto i compiti, aveva cercato informazioni, e aveva scoperto chi era.
Non aveva fatto errori.
James bussò piano alla porta.
-Lisa. Tra pochi minuti atterriamo, il comandante chiede se puoi venire a sederti in cabina, per una questione di sicurezza-
-Sì. Arrivo- Natasha si tirò cautamente in piedi, prontamente sorretta dall'uomo.
Lui le aveva già proposto di fare denuncia e a chiedere a qualche organizzazione internazionale un intervento ma lei, fingendosi troppo spaventata anche solo per pensare di doverlo rivedere, aveva scosso la testa in segno di diniego, insistendo per tornare al più presto negli USA, a casa dei suoi genitori.
James l'aveva accontentata. Un secondo volo privato l'attendeva per portarla a casa.

Un rumore gli fece aprire un occhio. La serratura di casa che scattava gli fece aprire l'altro. Recuperò silenziosamente il coltello da sotto il materasso e si alzò.
Nonostante il caos, sapeva esattamente che cosa abitava il suo pavimento, e riuscì ad arrivare alla porta di casa senza emettere un suono.
Come questa si aprì, fu lesto ad immobilizzare l'intruso puntandogli il coltello alla gola. Per ritrovarsi tra le braccia Natasha.
Quasi gli cadde addosso.
Aveva i capelli scuri, tinti, non più rossi, e sembrava a dir poco esausta.
-Natasha...- la sorresse e la portò direttamente nella camera da letto, facendola stendere sul materasso -Nat...ehi...-
-Sto...bene. La missione è...fallita-
Non disse altro. Chiuse gli occhi e si addormentò di sasso, lasciando Clint indeciso sul da farsi.
Poi il suo istinto agì per lui. Mise una pistola nella mano dell'amica, assicurandosi che fosse carica, poi, preso l'arco, uscì dalla finestra e si arrampicò sul tetto. Sapeva che Natasha non era così stupida da farsi seguire, aveva troppa esperienza per commettere un simile errore, ma era più che stanca, e abbastanza disperata se aveva deciso di andare direttamente da lui e non al quartier generale.
Rimase basso, nascondendosi nella notte e guardò in strada. Non c'era nessuno che desse segni di essere sospetto.
Vide Mitch, il solito barbone all'angolo, addormentato sotto il suo cartone. Accanto a lui il suo cane, un vecchio incrocio tra un pastore tedesco e un qualcos'altro che non era bene in grado di definire. Quel cane era molto diffidente e protettivo, non c'era pericolo che qualcuno potesse prendere il posto del suo padrone senza lasciarci la carotide.
La strada era quieta, i bar già tutti chiusi, e nessuno camminava nei dintorni. Cambiò tetto e fece il giro dell'isolato.
Solo quando si fu assicurato che non era stata seguita si azzardò a tornare nell'appartamento.
Come mise piede nella stanza, si trovo con la propria pistola a due centimetri dalla fronte.
-Nat...sono io-
-Dio, Clint- Subito lei abbassò la pistola -Scusa-
-Sono uscito ad assicurarmi che non ti avessero seguito. Che è successo?-
-Ricordi la missione di routine? Bè il maiale gentiluomo è stato parecchio sottovalutato-
Clint accese la luce e chiuse bene le finestre. E solo allora vide i lividi sul suo volto e sui polsi.
-Dio...che ti ha fatto Natasha?-
E fu allora che accadde qualcosa che avrebbe lasciato Occhio di Falco sconvolto per molto, moltissimo tempo.
La Vedova nera inizio a tremare. Prima lievemente, poi sempre più forte. Poi scoppiò in un pianto spaventato.
Per un istante non seppe che fare.
La cosa gli sembrava tanto assurda che non per un attimo pensò che lo stesse prendendo in giro.
-Nat...- sussurrò mentre si sedeva sul letto accanto a lei e la stringeva dolcemente, cercando di non farle del male. La donna si strinse a lui, nascondendo il viso nel suo petto mentre piangeva. La sentì affondargli le unghie nella carne, come a cercare un appiglio solido e reale.
Ma che le era successo?
Decise che, per il momento, non aveva importanza. Rafforzò la presa a sua volta, e la tenne stretta.
-Sono qui, Natasha. Va tutto bene. Sono qui-

Non sapeva nemmeno lei cosa le stesse succedendo.
All'improvviso, ritrovarsi a casa di Clint, al sicuro, aveva fatto crollare tutte le sue difese mentali.
Il suo corpo aveva deciso che era ora di sfogare tutta la sua paura. E quando l'uomo la strinse forte a sé, non riuscì a fare altro se non ricambiare, cercare un appiglio, qualcosa che fosse uno spiraglio di luce nell'incubo di quei giorni.
Sei al sicuro, si disse, prima di alzare gli occhi pieni di lacrime e metterlo a fuoco.
-Non lasciarmi...- gli sussurrò prima di cedere al sonno.

-Non lasciarmi...- E lui non la lasciò. Dopo quella disperata richiesta, Natasha si era addormentata tra le sue braccia. Lui non riuscì a fare altro se non a farla stendere, lentamente, sul materasso. Dopodichè la vegliò tutta notte, senza avere il coraggio di chiudere gli occhi.

Natasha passò una notte agitata, tormentata dagli incubi e da violenti attacchi di panico.
L'unica cosa che ogni singola volta la riportava alla realtà e la calmava, era il trovare in ogni istante gli occhi azzurro/grigio di Clint accanto a lei.
Lui non le diceva poi molto: la teneva stretta, la accarezzava e cercava in qualche modo di rassicurarla. E ogni volta, rinfrancata, riusciva ad addormentarsi.
All'ennesimo attacco di panico, sentì salirle la febbre, una normale reazione corporea, che subito schizzò alle stelle.
Questo la stordì definitivamente, facendola finalmente crollare in un sonno senza sogni.

Finalmente Nat sembrava definitivamente crollata, e Clint non potè non tirare un sospirone di sollievo. Non che avesse intenzione di dormire, ma vederla svegliarsi così spesso in preda al terrore, lo stava destabilizzando non poco.
Di missioni finite male ne avevano affrontate un sacco, ed erano stati anche catturati di più volte, ma lei non aveva mai perso così il controllo.
Sicuramente era stata torturata, e nemmeno ci erano andati leggeri, su questo non aveva dubbi. I segni sui polsi e sulle caviglie non lasciavano spazio a dubbi, e la fuga sicuramente non era stata rilassante.
Ma che cosa poteva far andare fuori di testa la Vedova Nera?
Guardò Natasha che dormiva tra le sue braccia. Tremava lievemente e dal calore crescente che emanava sentiva che le stava salendo la febbre. Forse era meglio così, riflettè, almeno la metterà ko e riuscirà a dormire.
Non era preoccupato. Sapeva che sarebbe arrivata dopo gli attacchi di panico. Sapeva altrettanto bene che il giorno dopo sarebbe scesa da sola, così come era arrivata. E comunque non si sarebbe mosso. Non l'avrebbe lasciata. Sentiva di essere l'unica cosa che le impediva di perdere definitivamente il controllo.
Natasha riaprì gli occhi all'alba, non appena il sole fece capolino dalla finestra della camera da letto di Clint. Sul momento cercò di divincolarsi dal suo abbraccio, ancora spaventata, ma poi come lo riconobbe si rilassò.
-Grazie- Gli sussurrò facendogli un mezzo sorriso, che lo rincuorò. Sembrava almeno in parte la vecchia Nat.
Con un qualche gemito di dolore, la sciolse dal suo abbraccio, mettendosi seduto per lasciarle spazio. La posizione “abbraccio antipanico” non era definitivamente comoda. Si stiracchiò, rimettendo in moto i muscoli.
-Come stai?- le chiese
-Hai presente una merda calpestata?-
Clint sorrise. Lo stava citando.
Era stato lui a dirle quella frase quando finalmente lei aveva avuto il permesso di vederlo dopo New York
-Sì, conosco la sensazione- rispose mentre si alzava. Vide lei cercare di fare lo stesso -Stai giù. Non sembri in gran forma. Ti porto la colazione, ok?-
-Niente che sia bianco e cremoso per favore- gli rispose senza guardarlo, e nella sua testa si accese una lampadina che lui si affrettò a spegnere, troppo disgustato anche solo per prendere in seria considerazione l'idea. Fece una riverenza e sorrise.
-Ai suoi ordini, principessa- fu ricompensato da un timido sorriso della ragazza, che scorse con la coda dell'occhio mentre si dirigeva verso la cucina.

Era incredibile come Clint riuscisse ad affrontare ogni cosa con naturalezza, senza mai farlo pesare, senza mai far sentire un peso nessuno.
Non ricordava esattamente come fosse finita a casa di Clint, non era la cosa più logica da fare. La cosa più logica era correre dall'aeroporto al quartiere generale dello SHIELD e fare rapporto.
Ma il viaggio verso New York le era sembrato interminabile, l'aveva vissuto col terrore di stare tornando indietro, di essere stata ingannata, di essere caduta nella trappola dello sceicco che l'aveva lasciata scappare solo per infliggerne l'ennesima, umiliante, tortura. Il terminal del JFK non le era mai sembrato così accogliente, non aveva mai avuto il sapore di casa che l'aveva accolta appena aveva messo piede giù dal volo privato.
Aveva ringraziato pilota e hostess, che si erano presi cura di lei rispettando il suo bisogno di solitudine e poi si era infilata nel dedalo di persone che transitavano. Al primo parrucchiere aveva cambiato taglio e colore dei capelli, così per stare sul sicuro. Si era comprata dei pantaloni e una t-shirt, abbandonando quelli in prestito in uno dei bagni dell'aeroporto.
Poi al momento di decidere la prossima meta, il suo istinto aveva agito per lei.
Era ferita e, lo sapeva bene, molto scossa.
Non ricordava esattamente il momento in cui aveva deciso di andare da Clint e nemmeno la strada che aveva percorso. Non ricordava nulla, e questo in parte la inquietò e in parte le diede un'idea dello stato in cui si trovava.
Il resto era venuto da sé. Appoggiarsi a lui, sfogarsi, implorarlo di non lasciarla sola.
E lui non l'aveva lasciata. Aveva vaghi ricordi della notte tormentata, ma l'unico vivido, sicuro, reale, era la sua presenza. Le sue braccia strette attorno a lei, forti, ma delicate, come se avesse avuto paura di farle del male, i suoi occhi sempre aperti, le sue parole che la rassicuravano.
E ora l'unica cosa che faceva era prendersi cura di lei con il sorriso sulle labbra.
Clint tornò con un bicchiere di succo di frutta e un pacco di biscotti.
-Non ho altro- si scusò
-No...va bene. Grazie- prese il bicchiere e praticamente lo trangugiò senza sentirne il sapore. Lui per tutta risposta le portò il cartone, invitandola a servirsi a suo piacimento.
Natasha aveva sete, forse una conseguenza della febbre, e si sentiva il sudore asciugatosi sulla sua pelle. Non vedeva l'ora di farsi una doccia.
Clint si sedette sul pavimento di fronte a lei, una tazza di caffè caldo in mano. Lo guardò e si sentì un po' in colpa. Aveva gli occhi iniettati di sangue, e un gran bel paio di occhiaie nere.
-Scusami-
-Per cosa?-
-Per la crisi. Per non averti fatto dormire-
L'arciere posò il caffè a terra e si alzò, avvicinandosi a lei. Le mise un braccio attorno alle spalle e la attirò a sé dolcemente, baciandole i capelli.
-Va tutto bene. Crolliamo tutti prima o poi- Lei annuì in risposta, godendosi quell'abbraccio dolce e goffo allo stesso tempo mentre prendeva un biscotto e se lo portava alle labbra.
Si era reso conto che entrambi stavano evitando il discorso...lei per rimandare il momento, lui forse per non volere conferme alle ipotesi che la sua richiesta di prima gli aveva sicuramente messo in testa.
Per ora, andava bene così. Voleva solo sentirsi al sicuro.

PERSONAL SPACE: rieccomi! dunque, grazie, come sempre, a chi è arrivato a leggere fin qui...spero che nessuno mi linci per aver sconvolto un po' la nostra Natasha, ma ho pensato che un'esperienza del genere avrebbe senz'altro scosso anche lei. Niente, fatemi sapere se devo ripararmi dietro lo scudo di Cap!
   
 
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