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Autore: Laylath    12/07/2014    1 recensioni
(Spin off di Un anno per crescere )
Più di venti anni prima che un gruppo di ragazzi intrecciasse i propri destini in un piccolo angolo di mondo, a New Optain, una pasticciera ed un poliziotto fanno il loro primo incontro.
Ecco la storia di Vincent e Rosie, i genitori di Vato.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Vato Falman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo XII

1880. Vato

 

“Vedrai che Daisy starà per arrivare – sospirò Rosie avvolgendosi nella coperta e sedendosi nel divano, cercando di ignorare il fastidio provocato dalle caviglie gonfie – puoi anche uscire, tranquillo. Rischi di far tardi a lavoro.”
“E lasciarti sola con il bambino che può nascere da un momento all’altro?” chiese Vincent finendo di indossare il cappotto e guardando con aria nervosa la porta.
“Nevica da ieri, è normale che ci impieghi più del solito. Dai che sto benone e anche lui – si accarezzò il pancione con un dolce sorriso – vero piccolo? Sei al calduccio e tutto va bene.”
“Senti un po’ piccoletto – Vincent si inginocchiò e si accostò al pancione della moglie – se arriva tua zia Daisy e decidi di nascere in sua presenza, fai attenzione perché è molto pericolosa.”
“E dai…”
“Sicuramente ti dirà cose pessime su di me, su tuo padre, ma in realtà lei è solo una vipera.”
“Vincent!”
“Mi limito a metterlo in guardia… ah eccola! – diede un bacio alla moglie ed andò alla porta – Arrivo!”
“Scusate il ritardo – esclamò Daisy entrando e levandosi il berretto pieno di neve – Copriti bene tu che fuori fa un freddo cane, mi ci manca solo che ti raffreddi per complicare le cose. Ciao, piccolo fiore, come andiamo oggi?”
“Buongiorno anche a te – borbottò Vincent – allora l’indirizzo del medico è scritto qui e c’è anche segnato il percorso per arrivarci più in fretta, la roba necessaria per...”
“Sono le stesse identiche cose che mi dici da una settimana! – sbottò Daisy, finendo di levarsi il cappotto – credimi, ormai le so a memoria.”
“Meglio essere prudenti: bisogna essere pronti e preparati.”
“Non vorrai di nuovo proporre quell’assurda idea dell’esercitazione, spero.”
“Non è assurda: ci darebbe la giusta idea di… oh, lasciamo stare! Stasera torno prima del previsto.”
Rosie ridacchiò mentre il marito si affrettava ad uscire e Daisy gli lanciava un’ultima occhiata irritata. Solo quando la porta si fu chiusa rivolse un sorriso alla sorella e andò a sedersi accanto a lei, avvolgendosi in un’altra coperta che stava lì piegata.
“Poggiati pure a me – suggerì offrendole la spalla – Mettiti comoda: con quel pancione deve essere dura trovare una posizione decente, eh?”
“Direi che ci siamo quasi – Rosie si posò volentieri contro la donna, riuscendo trovare una sistemazione più comoda per la schiena – mi dispiace far venire a turno te e la mamma.”
“Ma che dici, sciocchina? Pensi che ti lasceremo sola in simili condizioni? Con questo tempo poi. No, no, per una volta tanto sono d’accordo con Mister Rigidità: deve sempre esserci qualcuno con te. E non ti preoccupare: in negozio tutto procede benone e Max se la cava splendidamente. Pensiamo a te, piuttosto: hai fatto colazione?”
“Non ancora – ammise lei, chiudendo gli occhi e avvolgendosi meglio nella coperta – Vincent ha bevuto il suo caffè, ma io avevo solo voglia di stare al caldo.”
“Ti preparo un the, allora. Anzi lo prenderò pure io: ho portato metà torta al limone che ho fatto ieri a casa. L’ho preservata dalle grinfie di Max.”
“La mia preferita… sorellona pensi proprio a tutto. Aspetta adesso mi alzo e prendo le…”
“Ferma dove sei – la bloccò – resta comoda, piccolo fiore, e lascia fare a me.”
Con un sospiro Rosie si arrese e lasciò che fosse Daisy ad occuparsi di tutto quanto: in quelle ultime due settimane, con l’approssimarsi del parto, le era proibito di compiere anche la più semplice faccenda domestica. Da un certo punto di vista le faceva piacere vedere tutta la sua famiglia che si occupava di lei, tuttavia quello stato di inattività ogni tanto era snervante.
Ma è anche vero che con questo pancione riuscirei a combinare ben poco.
Nell’ultimo mese era cresciuto veramente tanto e anche stare seduta le creava dei problemi.
Tutto sommato la gravidanza era stata molto tranquilla: verso il terzo mese le nausee erano scemate fino a sparire e la pancia aveva cominciato a crescere. Per tutti quei mesi il bambino non era stato irruento, tutt’altro: si era sempre limitato a qualche calcetto ogni tanto, come a ricordare a tutti la sua presenza, ma per il resto era stato estremamente tranquillo.
Secondo Vincent era la dimostrazione che era un bimbo estremamente disciplinato, una cosa che la faceva ridere ogni volta.
Dopo il primo impatto di incredulità e leggero spavento, l’uomo aveva preso in mano la situazione, accettando la paternità meglio del previsto: aveva trasformato la seconda camera, occupata fondamentalmente dai loro libri, mettendoci tutto il necessario per il bambino. Più di una volta Rosie si era soffermata a guardarlo mentre stava inginocchiato a terra a montare la culla o a sistemare qualcos’altro.
La paternità non calzava a Vincent Falman? Tutt’altro…
“Allora, piccolino – Daisy si accostò e mise una mano sul pancione – tutto bene?”
“Lui o lei sta benone – sorrise Rosie, posando la sua mano sopra quella della sorella – ma vedo che ormai siete tutti sicuri che sarà un maschio.”
“Già, probabilmente perché dopo l’esperienza di Ally, nessuno di noi riesce ad immaginare Mister Rigidità con una femminuccia.”
“Ma dai! Finiscila con questa storia, suvvia – ridacchiò la donna – però ormai mi sto abituando pure io all’idea che sia un maschio. Vato… mi piace tanto il nome che ha scelto Vincent.”
“Egocentrico, ovviamente: stessa iniziale.”
“Allora se è femmina il suo nome inizia con la mia iniziale… o con la tua?”
“Sì, così Mister Rigidità la disconosce, povera piccola. No dai, un nome con la “r” si trova.”
Rosie iniziò a riflettere su qualche possibilità, quando all’improvviso una fitta la obbligò ad alzarsi di scatto dalla posizione semisdraiata.
“Ouch!” protestò facendo quasi cadere la tazza di the.
“Che succede?” chiese Daisy prendendogliela di mano.
“Non lo so, non hai mai fatto così – annaspò lei, dopo qualche secondo, cercando di sedersi più dritta nel divano – oh, che disastro, deve aver premuto troppo e mi sono bagnata… che imbarazzo!”
“Ahah, tranquilla sorellina, è capitato anche ad Alyce ricordi? – ridacchiò Daisy aiutandola ad alzarsi in piedi – Eh… però mi sa che queste sono le tue acque, sai.”
“Eh?” Rosie spalancò gli occhi, girandosi a guardare il divano bagnato.
“Sì, cara, del resto è da un paio di giorni che ce l’aspettiamo no? E credo che quella che hai appena avuto sia stata una contrazione: sei entrata in travaglio.”
“Oh no – si impanicò subito lei, scoprendo di non essere assolutamente pronta – e adesso?”
“E adesso calma! – la bloccò Daisy, mettendole le mani sulle spalle – ora andiamo a farti sdraiare nel letto: tanto ci vorranno alcune ore prima che tu sia pronta per il parto. Nel frattempo io corro a chiamare il medico. Forza e coraggio, sorellina, non vedo l’ora di vedere il mio nipotino!”
 
“Coraggio, tesoro, stai andando benissimo!”
La voce di Daisy sembrava venire da molto lontano e sembrava prenderla in giro.
Come poteva dire che stava andando benissimo se era piegata in due dal dolore? E, come se non bastasse, la cosa andava avanti da quella che le sembrava un’eternità.
Come l’ennesima contrazione finì, Rosie ricadde tra i cuscini con il fiato corto, cercando di non pensare che nell’arco di un paio di minuti ne sarebbe arrivata un’altra sempre più forte.
Era una sensazione tremenda: ormai non aveva più il minimo controllo del suo corpo che si contorceva per quelle contrazioni così feroci, minacciando di cedere da un momento all’altro. Ma se da una parte lei pensava questo, dall’altra la natura continuava a fare il suo corso, ignorando il suo dolore e portando avanti uno dei più antichi riti del mondo.
La nuova contrazione arrivò prima del previsto e si dovette aggrappare con forza alla mano della sorella, emettendo un grido straziante.
“L’ultima contrazione è stata molto più forte delle altre, signora – disse il medico – ci siamo quasi. Le sta andando anche bene per essere il suo primo figlio: è in travaglio da appena quattro ore.”
“Fa maleeeeee!” gridò con tutte le sue forze.
“Dai, piccolo fiore, ci siamo quasi – Daisy l’aiutò a mettersi seduta per sistemare meglio i cuscini dietro di lei – sei così brava, sorellina, sono tanto fiera di te.”
“Vincent… dov’è? – pianse – Perché non è qui?”
“E’ a lavoro, cara, ma tornerà presto, l’ha promesso, no? Ma adesso devi pensare al piccolo, da brava.”
“Non ce la faccio! Sta facendo così male! – singhiozzò, stringendo la mano della donna – E se lo sto uccidendo?”
“Ma no, cara… il piccolo sta solo cercando di uscire, ma ci vuole del tempo.”
Rosie annuì, ma fu costretta di nuovo a serrare i denti per la nuova contrazione: era esausta, negli ultimi venti minuti erano sempre più ravvicinate e forti. Non poteva reggere ancora per molto, ne era certa.
“Ci siamo, inizio a vedere la testa.” l’annuncio del medico ebbe la capacità di farla entrare nel panico più totale.
“Cosa? Oh no! No, vi prego.. vi prego… Farà male!” ansimò disperata.
“Oh che emozione! Dai sorellina, un ultimo sforzo, coraggio!”
Ma Rosie non riuscì a sentire l’ultima parte della frase di Daisy.
Fu un dolore atroce quello che parve squarciarla in due: durò cinque interminabili secondi, ma poi ebbe la sensazione di qualcosa che scivolava fuori dal suo corpo con incredibile facilità.
“E’ un maschio, signora.”
Sentì quella frase a malapena, mentre si riadagiava sui cuscini stremata.
Ma poi ci fu quel primo forte vagito e tutto il suo dolore sparì.
“Rosie – la voce di sua sorella le fece aprire gli occhi – guardalo, è il tuo piccolino… è così bello…”
L’asciugamano che sua sorella teneva tra le braccia era imbrattato di sangue, ma da esso sporgeva una testolina arrossata e con una smorfia di disappunto per trovarsi in un mondo così freddo quando fino a poco prima era al caldo nel grembo materno. Una minuscola manina tremante artigliava l’aria, cercando il contatto con la madre.
“Vato… piccolo – sussurrò con un sorriso, allungando una mano per sfiorare quelle dita così minuscole e perfette – per favore… dammelo… ahu!”
“E’ la placenta, signora – la avvisò il medico, mentre una nuova debole contrazione faceva terminare il parto – adesso si distenda e si rilassi.”
“Il mio bambino – chiamò lei con urgenza, sentendolo piangere – Daisy…”
“Arriva, arriva – sorrise Daisy, mentre il medico si avvicinava con le forbici e tagliava il cordone ombelicale – gli leviamo tutto questo sangue di dosso e poi sarà tutto per te, piccolo fiore. Ed è il caso di sistemare anche te.”
Ma Rosie si diede pace solo quando, qualche minuto dopo, poté finalmente prendere il figlio tra le braccia, quando il mondo acquistò di colpo un nuovo significato.
 
“A me pare proprio bianco – commentò Daisy, allungando un dito per sfiorare perplessa i ciuffi del bambino – e poi guarda, quelli di sotto sono scuri. Ma come diamine ha i capelli?”
Ma Rosie nemmeno le ascoltava: teneva il neonato sul suo petto, la testolina che sporgeva dalla coperta che lo avvolgeva. Aveva il medesimo taglio di occhi di Vincent, non c’erano dubbi: in genere nei neonati bisogna aspettare qualche settimana per iniziare a vedere delle somiglianze coi genitori, ma in questo caso era palese.
E la guardava con aria così timida e perplessa, chiedendosi chi fosse quella persona che lo teneva stretto, regalandogli calore e protezione.
“Fiocco di neve – sussurrò, accarezzandogli la manina che usciva fuori dalla tutina azzurra – tu sei il mio piccolo fiocco di neve…”
Perché stava nevicando quella mattina e la neve aveva deciso di regalarle il suo fiocco più bello.
“Beh, è ben strano il pupo – ammise Daisy, seduta accanto a lei – ma è proprio dolce. Oh, ma guarda queste manine… ciao pasticcino, sono zia Daisy. Dannazione, non posso crederci che il padre è Mister Rigidità.”
A quell’ultima frase Rosie si riscosse e si concesse di ridacchiare.
Ormai era completamente rilassata, avvolta nelle coperte e con il bambino stretto a lei. Niente poteva andare meglio: i dolori del parto le sembravano un qualcosa di ormai lontano anche se, ad onor del vero, non riusciva a muoversi se non con estremo fastidio.
“Sicura che non vuoi che resti per la notte? – le chiese Daisy, seguendo il suo filo di pensieri – potresti aver bisogno di una mano femminile.”
“No, tranquilla – sorrise, accarezzando con l’indice la tempia del bambino – hai visto pure tu come è tranquillo e buono e poi Vincent sarà sicuramente pronto a qualsiasi evenienza.”
“A proposito di Mister Rigidità pare che l’abbiamo evocato – rise Daisy, sentendo la porta aprirsi – Adesso lo avviso io.”
 
Vincent chiuse la porta alle sue spalle e si levò il cappotto umido per la neve.
Aveva passato tutta la giornata in ufficio, un bene considerato che eventuali missioni sotto la neve non sarebbero state che un inutile accumulo di freddo. Eppure gli procurava una grande insofferenza essere bloccato su inutili pratiche quando sarebbe dovuto stare accanto a sua moglie.
Per fortuna era riuscito a finire anche prima del previsto e…
“Ah! Ci degniamo di tornare, finalmente!”
Daisy comparve dal corridoio e si piantò davanti a lui, le mani sui fianchi.
“Anche prima del previsto – la squadrò Vincent, con aria seccata – scusami tanto se ti ho fatto attendere, fatina del veleno, adesso puoi tornare a casa da Max. Alla cena ci penso io… Rosie come sta?”
“E’ a letto, certamente non pretendevi che rimanesse alzata ad attenderti…”
“Non ho mai detto…”
“… ad attenderti dopo che ha partorito!”
A quella frase quasi strillata, Vincent rimase impietrito.
Daisy fu così estasiata di quella reazione che si mise a saltellare sul posto come una bambina. Poi,  l’emozione della giornata tornava prepotentemente, corse da lui e gli strinse le braccia al collo.
“E’ nato?” riuscì a balbettare Vincent, restituendo incredibilmente quell’abbraccio.
“Certo che è nato, papà! E’ un maschietto ed è bellissimo! – Daisy non la smetteva di ridere – Oggi ti voglio un mondo di bene Vincent Falman, non te ne puoi nemmeno rendere conto!”
 “Un maschio?  E Rosie come sta? E il piccolo? E…”
“E niente – lo zittì lei, sciogliendosi dalla presa e andando a prendere il proprio cappotto – adesso che sei tornato è giusto che restiate soli. Io vado a dare la bella notizia a tutti quanti! Congratulazioni, cognato.”
Fu un commiato così rapido ed inaspettato, senza contare che seguiva quell’improvvisa notizia della nascita del bambino, che Vincent rimase qualche secondo interdetto come la porta venne chiusa alle sue spalle.
Una volta che l’uragano Daisy fu terminato si dovette fare forza per accettare l’idea che nella stanza a pochi metri di distanza da lui c’era sua moglie con suo figlio.
Gli sembrava impossibile che adesso non c’era più un pancione, ma un bambino.
Con un sospiro si avviò a passi lenti nel corridoio e con tutta la delicatezza possibile, quasi avesse paura di disturbare, aprì la porta della stanza matrimoniale.
La prima cosa che lo colpì fu l’odore: non di sangue o di sudore, come ci si potrebbe aspettare dopo un parto, ma qualcosa di molto simile al latte caldo. Era come entrare in un piccolo mondo ovattato e tiepido dove a farla da regina era Rosie, seduta al centro del letto, tutti i cuscini a sostenerla.
E lo guardava, con i suoi teneri e bellissimi occhi neri, invitandolo ad avvicinarsi a lei e al fagottino avvolto in una copertina verde che teneva tra le braccia.
“Vincent – mormorò, infine – è… è così bello.”
L’uomo si accostò al letto, mantenendo lo sguardo su di lei che, nonostante fosse sfinita, non gli era mai apparsa così bella come in quel momento. Le si sedette accanto e, dopo una lieve esitazione, la baciò sulle guance, sulla fronte, sulle labbra.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma appena aprì bocca un piccolo richiamo di sorpresa si fece sentire dalla copertina.
“Lui è Vato – sorrise Rosie – il nostro bambino. Si è appena svegliato.”
Vincent finalmente abbassò lo sguardo sul neonato che lo fissava con occhi identici ai suoi, estremamente incuriosito dalla presenza di quella nuova persona. Padre e figlio si scrutarono per diversi secondi, indecisi su cosa fare, fino a quando il bambino ruppe il ghiaccio con un piccolo vagito, mentre una manina sbucava fuori dalla copertina per andare a posarsi sul petto di Rosie.
“Lo vuoi prendere in braccio?” propose la donna, accarezzando il braccino del bimbo.
“Si metterà a piangere – mormorò, allungando una mano per sfiorare la piccola guancia rosata – lo sai che va sempre a finire così.”
Però come finì la frase tese le braccia e prese con goffaggine quel fagottino di circa due chili e mezza che si dimenò leggermente, contrariato di aver lasciato la comoda posizione sopra il petto della mamma. Ma dopo qualche secondo si acquietò, scoprendo che anche quell’altra persona lo faceva sentire protetto e al sicuro.
“Oh, ma che sorpresa – sorrise Rosie, approfittando di quella piccola libertà per sedersi meglio – non piange. E come potrebbe in braccio al suo papà?”
“Vato – Vincent mormorò quel nome con reverenza e amore – Vato Falman… mio figlio.”
“E’ meraviglioso.” sospirò lei, posandosi al suo fianco e osservando con infinito amore il bambino.
“Sono padre… Rosie… siamo genitori.” c’era una grande commozione nella sua voce.
“E’ il nostro fiocco di neve.”
“Fiocco di neve? Perché lo… oh, i suoi capelli…”
“Eh già, secondo me sono proprio bianchi, ma sono così morbidi e setosi.”
“Uh, ma sotto sono più scuri…neri oserei dire, è… normale?” ma sorrideva mentre lo diceva, per niente preoccupato di quella particolarità cromatica dei capelli del figlio.
“Per me va benissimo. Del resto lui è nato con tutta questa neve. Oh, ma guardalo, si sta addormentando…”
“Allora è meglio che lo faccia tra le braccia della mamma – sussurrò lui, passandoglielo con gentilezza – i miei due tesori più preziosi.”
“Il mio fiocco di neve… il mio dolcissimo fiocco di neve.”
Non poteva chiedere altro dalla vita, andava tutto a meraviglia così.
  
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