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Autore: h o r o    12/07/2014    3 recensioni
Raccolta di flashfic crossover disney villains-centric. Senza pretese. Raiting variabile, numero di capitoli da definire. Nota: alcuni capitoli potrebbero essere oneshot.
Odio e amo. Per quale motivo lo faccia, forse ti chiederai. Lo ignoro, ma sento che accade, e mi tormento.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: Cross-over, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Odi et amo.

[Chapter six. Scar / human version]
Dei pranzi del mondo siamo noi gli avanzi


“Ho sentito che c’è un party domani sera, a casa di tuo fratello”, fece Shenzi, buttando giù il quinto shot di vodka liscia della serata.
   “Non posso contenere la gioia.”, sibilò Scar, alzando gli occhi al cielo, e osservando con aria annoiata le luci in technicolor che danzavano sul soffitto.
   “Dai, Scar, che in realtà ti fa piacere”, sghignazzò Banzai, ormai quasi completamente andato. Reggeva l’alcol come un ragazzino.
   “Sì, ha ragione”, disse la ragazza, ordinando un altro giro. “Sai, ti ho sempre visto più tipo da grandi ricevimenti che da una pulciosa discoteca di quartiere, coi tuoi completi eleganti”.
   Il deejay cambiò canzone. Dalla pista da ballo si levarono parecchi urletti eccitati. Scar strinse le labbra in un’unica linea sottile e spostò lo sguardo altrove, piantandolo nel proprio bicchiere di gin tonic.
   “Mhh, devo continuare a lungo a fare da babysitter a voialtri?”, soffiò dopo un po’, ma le sue parole si persero nel frastuono.
   “COSA?”, gli urlò Banzai, tracannando il suo drink e quasi strozzandosi tra le risate. Ed era sull’urlo delle lacrime e muoveva la testa avanti e indietro a ritmo di musica.
   Scar sbuffò. Quel posto lo irritava, non era adatto a lui. Non sapeva neanche perché c’era andato. Si rimise la giacca che si era rifiutato di consegnare al tizio del guardaroba e se ne andò.
   “Che cazzo ha?”, sbraitò Shenzi, irritata. Scordò quasi subito l’accaduto, annegandolo nell’alcol.
 
La famiglia di Scar era una di quelle famiglie rispettabili e piene di quattrini, dove nessuno potrebbe mai immaginare si annidi una faida generazionale. Shenzi stessa l’avrebbe definita una perfetta famiglia benpensante da quartieri alti, se non avesse saputo di tutta la merda che c’era sotto la superficie dorata. Conosceva Scar da parecchio tempo e sapeva bene che i suoi genitori non ci stavano con la testa, specie suo padre, che viveva ancora nel Medioevo.
   Era quel genere di vecchio bastardo pieno di pregiudizi, che stravedeva per il primogenito e contava di lasciare l’azienda di famiglia in mano sua, infischiandosene del figlio minore.
   Mufasa era sempre stato migliore di lui: aspetto, carattere, forse, persino in fatto di donne. Be', non che la prestanza fisica costituisse un problema per Scar, per il quale il cervello era sempre valso più dei muscoli, ma il fatto di essere stato messo in secondo piano solo per un fattore di nascita non lo aveva mai digerito, perché suo padre non aveva davvero niente a cui aggrapparsi se non quello. Aspetto, carattere e donne non erano influenti nella direzione di un’azienda e, in quanto a materia grigia, forse Scar sarebbe stato un direttore migliore di Mufasa, il figlio, il fratello, l’uomo perfetto, forse non così perfetto.
   Non aveva mai capito perché suo padre lo odiasse così tanto. Shenzi gli diceva che era solo uno stronzo, e di fregarsene e basta della sua stupida azienda. “Dai, in fondo non vuoi neanche tu finire a fare un lavoro d’ufficio di merda. Lascia che lo faccia tuo fratello, così fai tutti contenti.”
   Shenzi c’era sempre, certo, ma diceva sempre le stesse cose. E raramente riuscivano a farlo stare meglio.
   Era proprio il tipo di persona che suo padre avrebbe disapprovato, forse era per quello che andavano d’accordo. Veniva dai bassifondi, lei, insieme ai suoi fratelli. Per quanto ne sapeva, per un periodo, aveva addirittura dovuto battere la strada per procurarsi da mangiare. E quando non lo faceva, rubava.
   Non che gli importasse, ma a volte, guardando con che compagnia girava, Scar si chiedeva davvero che diavolo poteva avere avuto in testa quando li aveva conosciuti.
   Ma loro non giudicavano. Non si aspettavano niente da lui, non gli chiedevano di raccontare i suoi problemi, né di rispettare determinati standard. Passavano semplicemente la canna o la bottiglia, e a lui andava bene così.
   Scar tornò nel suo appartamento e ascoltò i messaggi della segreteria telefonica.
   “Scar? Domani sera c’è una festa a casa mia. Sei invitato. Ci farebbe piacere se venissi, sai, anche a Sarabi. Magari fai un salto, comincia sulle 8”, disse la voce di Mufasa dall’apparecchio. Sbuffò.
   Era sempre così.
Scar era l’avanzo. Suo fratello prendeva tutto il meglio, e a lui non rimaneva che una vecchia cicatrice a deturpargli il volto, indelebile segno di quanto Mufasa fosse migliore di lui. Scivolato sugli scogli giocando con il fratello, raccontavano le persone. Tentativo fallito di fratricidio a quindici anni, sussurrava una voce nelle sue orecchie.

Nonostante tutto, si presentò puntuale l’indomani. Era impeccabile nel suo completo elegante, rigorosamente nero, e si era persino forzato di stamparsi in viso un’espressione cortese. Salutò i suoi genitori, salutò Mufasa, che ricambiò con un’amichevole pacca sulla spalla, salutò Sarabi, bellissima nel suo abito blu notte.
   “Mufasa. Sarabi.”, fece, scoprendo la chiostra di denti bianchissimi in un’imitazione di sorriso.
   “Scar, fratello! Sei venuto alla fine. Bravo!”, esclamò Mufasa, con la sua voce possente da baritono.
   E poi lo sguardo di lui sfiorò quello di lei. Un istante solo, perché lei ruppe subito il contatto, come scottata, e si allontanò con la scusa di salutare qualche altro ospite.
   Scar passò la serata a cercarla con gli occhi, appostato in un angolo, tentando di evitare gran parte della gente. Stringeva in mano un calice di vino e ogni tanto ne beveva un sorso.
   Dov’era? Perché lo evitava?
   Finalmente la individuò, lasciare la stanza e dirigersi in direzione del giardino. La seguì.
   Gli dava le spalle, osservava l’edera che si stava arrampicando sulle colonne del piccolo gazebo.
   “Perché mi eviti?”, le domandò, avvicinandosi.
   Sarabi non rispose subito.
   “Sai, con lui posso essere davvero felice.”, disse dopo un po’, senza voltarsi a guardarlo.
   “Lo posso immaginare.”
   “Mi dispiace, Scar. Deve finire, è stato tutto uno sbaglio.”
   Lui scoppiò in una risata amara. “Certo, come tutto quello che mi riguarda. Mi hai detto che mi amavi e non dirmi che mi stavi mentendo, perché so che non è così.”
   “D’accordo, ma non può continuare comunque. Sono incinta e lui è mio marito”
   Scar sentì la gola straordinariamente secca. “È lui il padre?”
   Sarabi si voltò di scatto, con un’espressione incredula e quasi offesa. “Certo che è lui!”
   Un figlio. Be’, con il padre di suo figlio non poteva competere.
   Si riscoprì a boccheggiare, ma tentò di nasconderlo e forse ci riuscì. “Capisco.”
   “Senti, mi dispiace. Davvero. Tra poco farà l’annuncio”
   “D’accordo.”
   Sapevano entrambi che lui non sarebbe rimasto oltre in quella casa. Entro un paio d’ore Mufasa si sarebbe accorto della sua assenza, ma non avrebbe trovato nessuno in grado di dirgli dove fosse andato.
   Sapevano entrambi che quella era la fine, e tra loro c’era solo quella parola, sospesa nell’aria, non detta ma tralasciata fin troppe volte, quando giuravano che non si sarebbero più visti.
   “Addio”
   Guardò Sarabi per un’ultima volta e, in quell’istante, seppe di averla sempre desiderata e, con la stessa certezza, di averla persa per sempre.
 
Tornato a casa chiamò Shenzi e fecero l’amore.
   Lei, che lo amava, e lui, che lo sapeva.
   Lei, che lo amava, e lui, che amava un’altra.
/chapter six - end.
Ok, mi rendo conto che questi capitoli sono di una depressione infinita.

E questo è venuto anche abbastanza lungo, pensandoci.
Questo capitolo non prevedeva la partecipazione di Shenzi, ma volevo usare il titolo al plurale quindi è stata aggiunta. No, sul serio, non doveva esserci, non doveva essere così, era una cosa molto più vaga. Infatti, se questo capitolo vi farà schifo potrei davvero prendere in considerazione di scriverne un altro, sempre su Scar. Fatemi sapere, non mi offendo, tanto non piace nemmeno a me.
(Il titolo del capitolo è un pezzo di "La corte dei Miracoli", sempre del musical di Notre Dame de Paris. Mi spiace, ma non posso fare a meno di andare in giro per casa canticchiando le canzoni, e i titoli non sono il mio forte, quindi in qualche modo devo arrangiarmi ahah)
Fatemi sapere. Un bacio,
h o r o


 
  
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