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Autore: Alex e Finger    13/07/2014    1 recensioni
— Non mi sono mai sentito così poco Mentore come vicino a lui. —
— Diceva che sei così disposto ad imparare. Diceva che gli ricordavi Ishak, in qualcosa, anche se siete profondamente diversi. —
Lo sguardo di Ezio scivolò verso il tumulo e si velò per un attimo, mentre percepiva gli occhi di lei fissi sul suo viso.
— Perché mi cercavi? —
Ràhel si prese un attimo prima di rispondere, come se stesse raccogliendo le forze.
— Perché lo amavo. E perché sento che in questo breve tempo, anche tu lo hai amato. Vorrei parlarti di lui. —
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio, Sofia Sartor, Yusuf Tazim
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Istanbul

Domenica 29 Safar 910

(11 Agosto 1504)

 











l sole mattutino già schiacciava come una pressa e la lieve, umida brezza che soffiava dal Corno d’Oro non forniva alcun refrigerio. La tettoia di canniccio costituiva solo un minimo riparo dalla calura, le banchine erano quasi deserte e le imbarcazioni dondolavano appena sull’acqua quasi immobile.

— Perché siamo qui, Yusuf? — chiese Ràhel addentando con gusto il suo simit e leccandosi i semi di sesamo dalle dita.

— Per nessun motivo in particolare. — rispose Yusuf con la bocca piena. — O meglio, sì, un motivo c’è. Avevo voglia di passare con te una mattinata oziosa. —

— Corrompendomi col cibo? —

— Può darsi, anche se la mia sola, affascinante presenza dovrebbe essere sufficiente. —

Ràhel rise e poi gli scoccò un’occhiata in tralice, così al limite della sfacciataggine che Yusuf si guardò intorno alla ricerca di un luogo appartato in cui trascinarla. Lei rise ancora.

— Sei un libro aperto, Maestro. Con quegli occhi rischi l’arresto per oltraggio alla pubblica decenza. —

— Potrei dire lo stesso di te, e non parlo solo degli occhi… il problema è che non avremmo di certo una cella in comune. —

— Vergognati. —

Stavolta fu Yusuf a scoppiare a ridere, quell’aria di falsa indignazione che era comparsa sul viso della ragazza era proprio comica.

— La pace è davvero pericolosa…— disse rilassandosi contro la parete a cui era appoggiato e cacciandosi in bocca l’ultimo pezzo di simit. — Ti fa abbassare la guardia e ti rende distratto. Sono mesi che non uccido nessuno. — sogghignò accarezzando l’elsa del kijil. — Non che questo mi renda particolarmente infelice, ma rischio di perdere l’allenamento. —

— Con le esercitazioni massacranti a cui stai sottoponendo tutti, te stesso per primo, non credo che ci sia questo pericolo. — sospirò Ràhel massaggiandosi la spalla ancora dolorante dal giorno prima.

— Stai contestando il mio modo di guidare la Confraternita? —

— Assolutamente no. — l’aria remissiva di certo non le si addiceva.

— L’afa rende nervosi tutti quanti, meglio che io li faccia stancare prima che decidano di sfidarsi a duello per motivi futili nel cortile del Covo. — replicò Yusuf. — Ieri Amir ha dovuto separare due Novizie di quattordici anni che si stavano accapigliando, un attimo prima che sfoderassero le lame. Neanche più le ragazze dimostrano un po’ di buon senso! — alzò gli occhi al cielo, mostrando i palmi in un gesto di costernazione.

Malgrado non fosse cresciuto fin da bambino all’interno dell’Ordine che, in contrasto con l’opinione comune, poneva uomini e donne sullo stesso livello, con gli stessi diritti ed uguali doveri, Yusuf ne aveva assimilato in fretta la visione paritaria. Inoltre mostrava di apprezzare la maggiore riflessività delle donne, la loro capacità di mediare e soprattutto la loro abilità nel mettersi nei panni degli altri. Nelle squadre di Novizi, la maturità delle ragazze le poneva spesso al comando, a discapito della forza e dell’impulsività dei ragazzi. Il Maestro pensava che il diffuso pregiudizio che considerava le donne emotive e gli uomini razionali fosse sostanzialmente sbagliato: aveva visto uomini gettarsi in uno scontro senza riflettere e donne portare facilmente una trattativa a buon fine. Era stato testimone anche del contrario, seppure in misura minore ed era arrivato nel tempo alla conclusione che generalizzare o affidarsi ai luoghi comuni non portava buoni frutti a chi si trovava in una posizione di comando.

— Vorresti ascoltare il consiglio dettato dal buon senso di una donna? — domandò Ràhel. Ancora quell’atteggiamento sottomesso e ossequioso, la ragazza voleva farlo impazzire!

— Sono tutto orecchi. —

Al fine di celebrare la pace che ci è stata concessa da ormai più di un anno, il Maestro indice una competizione che si terrà nel Cortile degli Allenamenti del Covo principale del Distretto di Galata.

Tutte le armi sono ammesse, opportunamente divise in categorie.

Tutte le controversie potranno essere regolate all’interno dei singoli scontri e dovranno considerarsi risolte dall’esito degli stessi. Non sarà concessa alcuna contestazione successiva.

Gli scontri dovranno essere incruenti, per quanto il primo sangue sarà tollerato.

Ai  vincitori il Maestro assegnerà una cintura decorata in argento, Ràhel offrirà un bacio…

 

— Puoi essere serio solo per un momento? — domandò Ràhel osservando con aria critica le parole che Yusuf stava vergando in bella calligrafia sul retro di un vecchio documento.

— Scusa, è solo la brutta copia. —

 

                                                                                              … al Maestro stesso, che comunque per ragioni inerenti alla sua carica, non parteciperà alla competizione.

 

— Piantala, Yusuf! —

Ràhel gli strappò il foglio da sotto la penna, provocando uno scarabocchio e lui ridacchiò, fissandola mentre sventolava quel pezzo di carta a mo’ di ventaglio con aria spazientita. Prese un altro foglio e intinse la penna nel calamaio.

 

Il Maestro offre un bacio alla vincitrice nella competizione con la balestra.

 

— YUSUF!!! —

 

Il Maestro potrebbe prendere in considerazione la possibilità di onorare la suddetta vincitrice con un incontro privato che si terrà…

 

Ràhel si sedette sul tavolo dello studiolo con le braccia conserte e la sua coscia sfiorò la mano di Yusuf, che alzò la penna dal foglio e sollevò lo sguardo verso di lei.

— Attento a quello che scrivi. Non ho intenzione di partecipare, e dubito che usciresti intero da un incontro privato con Yelina. —

La seconda miglior balestriera dopo Ràhel superava in altezza quasi tutti i suoi confratelli e con la sua stazza avrebbe potuto batterne a mani nude la maggior parte.

Yusuf scoppiò a ridere.

— Stai ricattando il tuo Maestro. — disse poi atteggiando il viso in un’espressione di esagerata serietà. — Oserei dire che abbiamo una controversia. — posò la penna e le appoggiò la mano sul ginocchio.

— Data la mia posizione, non penso di poter regolare i conti con te all’interno di una competizione ufficiale. Non sarebbe… dignitoso. —

— Già, che vergogna! — disse lei scivolando dalla scrivania fin sulle sue gambe. — Se vuoi, il cortile è da quella parte. —

Yusuf le circondò la vita con le braccia, accostandola a sé ancor di più.

— E’ quasi mezzogiorno e si muore dal caldo. Possiamo rimandare a dopo il tramonto? — gemette annoiato. Ràhel gli puntò le mani contro il petto, allontanandolo, gli occhi che lo irridevano.

— Non ti facevo così codardo. —

Un istante dopo si era sottratta alla sua presa e in piedi, con una mano su un fianco, indicava la penna con espressione severa.

— Scrivi! —

Il Maestro abbassò la testa fingendosi contrito e afferrò un altro foglio.

I Novizi trottarono per la città, e in poche ore il bando della competizione faceva bella mostra di sé nell’atrio di ogni Covo. Non fu offerto alcun bacio come premio e soprattutto la possibilità di comporre le dispute attirò l’attenzione.

— Maestro, posso parlarti? — la Novizia fermò Yusuf tra la biblioteca e la sala delle armi.

— Certamente. — rispose lui, affabile.

Amir, che stava transitando nella direzione opposta, ridacchiò nel superarli, mormorando qualcosa che Yusuf udì a stento.

Buona fortuna? Pensò rivolgendo all’amico un’occhiata interrogativa.

— Ti ringrazio, Maestro. — La ragazza alzò gli occhi che aveva tenuto bassi fino a quel momento, rivelando uno sguardo che lanciava fiamme.

— Si tratta di Nur, Maestro. Quella sürtük ha insultato la mia famiglia intera. Ha osato dire che mio padre non si meritava di seguirti in Grecia, che il suo avrebbe dovuto farlo, che mia madre non sa neanche di chi sono figlia e che mio fratello maggiore è stato elevato di rango solo per i meriti del suo caposquadra. Ha detto queste yalan (bugie) solo perché Bayar mi ha chiesto una volta, una sola volta, di allenarmi alla spada con lui, e lei pensa che Bayar sia una sua proprietà, e lui non la degna di uno sguardo! E poi è gelosa perché con la spada corta sono più brava di lei, e…—

Yusuf alzò una mano per arginare quel torrente in piena.

— Eleni, giusto? —

— Sì, Maestro. —

— E Nur è la Novizia da cui il Maestro Amir ti ha separato nelle camerate, mi sbaglio? —

— No, Maestro .

— Hai letto il bando, Eleni? —

— Proprio per questo volevo chiederti…—

— Non ho nient’altro da dirti. —

 

La mattina dopo un nuovo stringato annuncio fu affisso accanto al primo.

 

Il Maestro non è interessato alla natura delle controversie.

Combattete con onore e con onore accettate il giudizio del campo.

 

 

 

 

 

 

Yusuf studiava le carte domandandosi cosa avesse messo in moto. Tutti i fogli che aveva davanti riguardavano la competizione e chi aveva deciso di parteciparvi: praticamente l’intera Confraternita! C’era voluta una giornata per mettere ordine fra tutti quei nomi, suddividendo gli incontri per rango e per armi, senza contare che chi aveva deciso di regolare un conto in quella sede aveva ovviamente indicato il suo avversario e che il vincitore avrebbe poi dovuto essere inserito all’interno del programma degli incontri regolari.

Non si litiga mai tanto come in tempo di pace! Pensò il Maestro osservando il foglio su cui erano annotati tutti coloro che avevano una controversia da risolvere, che sarebbero stati i primi ad affrontarsi quella mattina. Di certo era al corrente di contrasti, antipatie e addirittura inimicizie, ma non avrebbe mai pensato che certi disaccordi potessero essere considerati tanto gravi da doverli dirimere sul campo. In tutti e quattro i gruppi di rango in cui la competizione era stata suddivisa, erano presenti dei nomi. Novizi e Apprendisti si spartivano quasi equamente la fetta più grossa e di alcuni fra gli Assassini e i Maestri, fu più sorpreso che di altri.

Posto che era stata decisa una pausa durante le ore più calde e che nessuno poteva stabilire in anticipo la durata di un incontro, Yusuf si domandò quanto tempo ci sarebbe voluto per avere dei vincitori.

Amir comparve nel vano della porta dello studiolo accompagnato da Sami.

— Il cortile è gremito, Yusuf. La tensione sale. Manchi solo tu. — disse.

Il Maestro si alzò, afferrando l’elenco degli incontri.

— Spero tu non sia troppo arrugginito. — disse passando accanto al medico.

— Spero di non aver troppo da lavorare. — rispose l’altro con un sogghigno.

I tre si avviarono verso il cortile.

Sulle panche non c’era un posto libero, le tettoie erano affollate e qualcuno aveva guadagnato i tetti circostanti per garantirsi un’ampia visuale. Solo chi era di guardia era rimasto ai Covi. La confusione che si era scatenata nei giorni precedenti tra quelli che tentavano di cambiare turno per seguire un incontro in particolare, aveva fatto temere Yusuf di dover aggiungere qualche altro nome alla lista delle controversie.

Salutato da inchini rispettosi seguiti subito dopo da urla di incitamento, il Maestro raggiunse il suo posto d’onore sotto il ciliegio, dove gli arbitri e Ràhel lo stavano aspettando. La ragazza aveva abbandonato la consueta, severa divisa e portava, sopra i pantaloni morbidi e scuri, una camicia leggera e senza maniche, con una profonda scollatura che lasciava scoperta una buona porzione di seno. Gli sorrideva senza ombra di malizia, ma di sicuro era ben conscia di quella provocazione che lo avrebbe lasciato a languire almeno per tutta la mattinata. Rivolgendole uno sguardo critico in cui gli occhi attenti di lei non avrebbero stentato a riconoscere il suo vero stato d’animo, Yusuf scambiò qualche parola con gli arbitri consegnando loro l’elenco degli incontri.

— Possiamo cominciare. — disse il Maestro accomodandosi sulla panca che era stata preparata per lui e Amir gli sedette accanto, mentre Ràhel aiutava Sami a sistemare gli strumenti su un tavolaccio. Gli arbitri chiamarono la prima coppia di contendenti.

I Novizi si affrontarono con irruenza e impegno e Yusuf non ebbe dubbi che molti di loro avessero deciso di sfidarsi con l’unico intento di mettersi in mostra. Amir, come al solito più informato di lui, esponeva con dovizia di particolari le ragioni dello scontro, spesso accompagnandole con un sorriso o uno sguardo d’intesa. Il Maestro ascoltava tentando di mantenere, non senza un certo sforzo, un’espressione impassibile, e rivedendo sé stesso e l’amico che si sfidavano in quello stesso cortile, carichi di rabbia e di orgoglio.

I primi combattimenti si conclusero in fretta e senza feriti e Yusuf annotò su un foglio tutti gli errori tecnici e tattici che avevano condotto lo sconfitto a una situazione senza via d’uscita, portando l’arbitro a dichiararlo morto.

Fu quando Eleni mise piede nell’arena che l’atmosfera cambiò nettamente.

— Sami. — disse Amir stirando le labbra in un sorriso che lasciava solo un minimo spazio al divertimento. — Credo che potrebbe toccarti lavorare. —

Davanti all’unico scontro di cui aveva saputo in precedenza le ragioni, Yusuf si accorse di essere teso.

Eleni era di quasi una spanna più bassa di Nur e molto più esile, e aveva arrotolato la lunga treccia scura in una stretta crocchia sulla nuca, in modo che non l’impacciasse nei movimenti. Dimostrava meno dei suoi quattordici anni, a differenza dell’altra, che con una massa di corti riccioli ramati spettinati ad arte sembrava già una donna fatta, ma il suo atteggiamento spavaldo, con il mento sollevato e lo sguardo che avrebbe potuto trapassare una lastra di metallo, faceva sì che tutti gli occhi fossero puntati su di lei. Estrasse la sua spada corta con studiata lentezza e il suono dell’acciaio che strideva contro il fodero ridusse l’intera folla al silenzio.

Eleni assunse una posizione di guardia rilassata ed elegante, la lama a proteggerle l’avambraccio, e con la mano libera rivolse alla sua avversaria un gesto insolente che la invitava a farsi sotto. L’ombra di un dubbio attraversò per un attimo il viso di Nur, ma fu prontamente sostituito da un sorriso di scherno.

Mentre le due ragazze si studiavano girandosi intorno, Yusuf non poté fare a meno di cercare tra la folla quello che era, forse solo in parte, l’oggetto del contendere. Bayar, un diciassettenne alto e scuro di capelli, stava in piedi sotto la tettoia, circondato dai compagni che gli davano di gomito e gli sussurravano battute di sicuro salaci. Sorrideva, ma il sorriso non gli raggiungeva gli occhi e non sembrava dare corda a nessuno. Di certo si sentiva lusingato da quella situazione, chi non lo sarebbe stato? Ma preoccupazione e imbarazzo sembravano togliere un po’ di sapore a quella blandizie.

Sulla terra battuta del cortile Nur tentò un affondo, prontamente schivato da Eleni che colpì di rimessa, costringendo l’avversaria a parare in modo precipitoso. Le due si separarono riprendendo a studiarsi. Nur aveva il vantaggio di un maggiore allungo, ma Eleni sembrava non essere mai dove lei si aspettava. Rapida e pronta, pareva danzare intorno alla lama dell’altra senza apparente sforzo, anticipando ogni sua mossa con l’intento di farla arrabbiare, e stancare. Nur stava cadendo nella trappola con tutti gli stivali. Eleni cercava dei varchi nella guardia dell’altra, e se per il momento non ne trovava non si poneva il problema. Il suo atteggiamento era freddo e paziente, teso alla difesa e a risparmiare energie, diretto a sfruttare il minimo errore nel momento in cui si fosse presentato. Quando Eleni cambiò tattica all’improvviso, portando una serie di attacchi veloci e precisi, Nur fu costretta ad indietreggiare cedendo terreno. La treccia di Eleni si sciolse, frustando l’aria. Nur non aveva previsto quell’impeto e il suo equilibrio ne risentì, permettendo all’altra di stringere la misura. Dal pubblico si alzò un mormorio mentre le ragazze si trovavano in una posizione di stallo, le lame incrociate nel tentativo di sopraffarsi con la sola forza del braccio. Ma una era stanca, al contrario, solo una goccia di sudore stava scivolando dalla tempia dell’altra. A un passo dal fallimento e sentendosi senza via d’uscita, Nur afferrò la treccia della sua rivale circa a metà della lunghezza, tirando con forza, cercando di portare l’equilibrio dalla sua parte e la maschera di calma irridente di Eleni si incrinò in un’espressione di furia compressa.

Σκύλα. — sussurrò rabbiosa. Poi, con un movimento rapido che nessuno mai avrebbe potuto prevedere, infilò la lama sotto la treccia e diede un taglio netto. Un attimo dopo una basita Nur si ritrovò disarmata e sdraiata nella polvere, con Eleni a cavalcioni su di lei e due spanne di acciaio affilato che le premevano contro la gola. La folla trattenne il respiro.

— Sei morta. — decretò l’arbitro ed Eleni si alzò, con quel minimo di ritardo che spillò due gocce di sangue dalla pelle della rivale.

Bayar aveva gli occhi spalancati, ma sorrise sollevato iniziando ad applaudire, seguito a ruota da tutti i presenti che si liberarono della tensione lanciando grida selvagge.

Eleni si chinò, strappando la treccia dalla mano di Nur che ancora la stringeva e avviandosi con passi lenti e misurati verso il Maestro.

— Mi scuso di essere stata insolente con te e di averti fatto perdere tempo con i miei… aptalca konuşmalar (discorsi insensati). E’ stato un onore vincere davanti a te. Il conto è stato saldato e già non sento più alcun rancore verso Nur. —

Yusuf, che si era alzato in piedi insieme a tutti gli altri, le sorrise.

— Un’ottima prova, Eleni. — disse. — Onora me avervi assistito, come le tue parole. —

Lei alzò gli occhi, arrossendo.

Teşekkürler (grazie), Maestro. —

Un’ ovazione si levò dalla folla.

 

 

 

Melike raggiunse trafelata l’ingresso del Covo principale. Aveva cominciato a sentire il fracasso che proveniva dal cortile degli allenamenti già alcuni incroci prima e proprio in quel momento un’ovazione parve scuotere l’intero edificio.

Şeytan! — pensò, mentre si lanciava di corsa sulla passerella slacciandosi le polsiere. — E’ tardi!—

Si sganciò anche il cinturone con la spada e mollò le armi sul tavolo vicino al camino senza neanche fermarsi.

Quando arrivò alla porta che dava sul cortile le grida si erano trasformate in un mormorio. Melike afferrò la manica del primo Assassino che le capitò a tiro: — Haydar, hai visto Irem? — chiese.

— Vieni. — rispose quello prendendola per un braccio e aprendole la strada in mezzo alla folla fino a raggiungere la tettoia. — Sta qua sopra, all’altezza del ciliegio. Un’ottima posizione, credo che sia lì dall’alba. — Haydar sorrise, facendole spazio tra i presenti per permetterle di salire più agevolmente.

Melike si issò sulle tavole inclinate e si avviò verso la sua amica, domandandosi se la tettoia non stesse rischiando il crollo, visto il numero di persone che vi era assiepato.

Irem stava seduta a gambe incrociate, e il carboncino che aveva in mano tracciava segni rapidi e sicuri sul foglio, sostenuto da una tavoletta di legno, che aveva in grembo. Era così concentrata che non si accorse dell’arrivo di Melike, la quale si accucciò alle sue spalle occhieggiandone il lavoro.

Irem aveva diciassette anni e disegnava fin da bambina, ma tutto il suo talento si era rivelato appieno soltanto l’anno prima, quando un incidente le aveva impedito di allenarsi per un paio di mesi. Questo non era riuscito comunque a tenerla lontana dal cortile, in cui si era recata ogni santo giorno, armata di carta e carboncino, per ritrarre i compagni al lavoro. In breve tempo, la parete della camerata accanto al suo letto era stata ricoperta dai suoi schizzi e Melike, che provava nei suoi confronti l’affetto di una sorella maggiore, le aveva regalato un grande quaderno di carta pregiata. Irem lo aveva trasformato in una specie di meraviglioso manuale, in cui aveva illustrato tutte le posizioni di guardia con le varie armi, le parate, le schivate, tracciandone anche particolari dell’impostazione delle dita sull’impugnatura e dei piedi sul pavimento.

— Stai diventando sempre più brava. Il naso del Maestro è perfetto! —

Irem sobbalzò e si voltò a guardarla: esibiva un gran sorriso e i suoi occhi grigi brillavano di soddisfazione.

— Sei riuscita a scambiare il turno di guardia. Sono contenta. — disse mentre Melike faceva stringere i confratelli per ricavare un minimo spazio per sedersi.

Evet, ma sono comunque arrivata tardi. Cosa mi sono persa? —

La ragazza afferrò un fascio di fogli che teneva accanto a sé, sollevando il pugnale che vi aveva posato sopra per impedire che la brezza facesse volare via tutto quanto, ne scelse uno e lo porse all’amica, che dopo averlo guardato sgranò tanto d’occhi.

— Eleni…  si è tagliata la treccia? —

— E’ stata una scena epica! Quella sürtük (sgualdrina) di Nur ha avuto quello che si meritava. Che

soddisfazione! —

Melike sogghignò. — Spero che la batosta la rimetterà in riga. —

— Eh, dopo una simile umiliazione pubblica sarà costretta a rientrare nei ranghi! —

Sulla terra battuta era iniziato un altro incontro, ma non era abbastanza entusiasmante da risvegliare la mano di Irem, che aveva appoggiato il carboncino sul foglio.

— La tua biografia del Maestro Ishak? Ormai dovresti essere alla fine. —

Melike amava scrivere quanto Irem amava disegnare. Codificava i messaggi per la Confraternita, ma coltivava da tempo l’ambizioso progetto di mettere sulla carta la vita del Mentore, sognando di vedere assegnato alla sua opera un posto d’onore nella biblioteca del Covo.

— Sì, devo solo trovare il momento adatto per parlare con chi era con lui a Salonicco quando morì. Tutti sappiamo cosa è accaduto, ma vorrei approfondire. Vorrei conoscere quali erano i loro pensieri e i loro sentimenti e temo che possa essere una richiesta irrispettosa, un’invasione della loro intimità. —

Il progetto era ambizioso proprio per questo: nella mente di Melike non c’era una fredda cronaca, ma un racconto di emozioni, basato in gran parte sui suoi ricordi.

Irem ridacchiò. — Tutta questa tua preoccupazione mi sembra una scusa. Sarà un bellissimo omaggio, sempre che tu ti decida a finirlo. —

— E’ che so che mi mancherà… —

Dal pubblico si alzò un OOOOH, e le due amiche riportarono l’attenzione sull’arena.

Pareva che l’incontro che non sembrava così interessante si fosse invece concluso al primo sangue. Lo sconfitto, affidato alle cure delle sapienti mani di Sami, stava strillando come un’aquila, puntando il dito verso il vincitore e rivolgendogli insulti degni della peggior bettola…

 

— La mano, non mi sento più la mano! —

— Vuoi darti una calmata, Yakup? È solo un graffio! —  continuava a ripetergli Sami mentre scrutava con occhio clinico il taglio sul braccio, che la lama dell’avversario aveva denudato completamente dalla stoffa della manica.

— Ha avvelenato la spada! Quel porco ha avvelenato la spada! —

Il medico sbuffò. — Non dire sciocchezze. — 

Ma Ràhel si era già mossa, andando a pescare il vincitore tra la folla che si era creata attorno a lui. Estrasse la spada dal fodero di quello e gli afferrò la mano, dove fece scivolare la lama, e per lo stupore nessuno la fermò.

— Che cosa hai fatto! —  gridò l’Apprendista sottraendosi alla presa della donna, sbilanciandosi e cadendo all’indietro. Guardava con terrore il sangue allargarsi sul suo palmo come una macchia d’inchiostro.

— Dicci cos’è, e potremo guarirti, —  disse Ràhel passando la spada ad un Assassino che incaricò poi di pulirla.

L’Apprendista scosse la testa. — So solo che dopo qualche ora l’effetto svanisce! — confessò; l’umiliazione gli aveva riempito gli occhi di lacrime. — È stato uno scherzo, uno stupido scherzo… — 

— Sono contenta che tu l’abbia capito. —  Ràhel lo sollevò di peso afferrandolo per il cappuccio e poi, con la rudezza di un uomo, lo accompagnò di fronte al Maestro.

— Lo ha detto lui stesso, è stato solo uno scherzo! —  proruppe Yusuf. — Vuoi farne una tragedia? — 

Ràhel lo fulminò con un’occhiataccia e alle sue spalle, dalle fila del pubblico, si sollevò un’ovazione contrariata.

Il Maestro gonfiò il petto. — Questo giudice ti riconosce un paio di punti per l’originalità, ragazzo, — disse, — ma è quello qui accanto che assegna le punizioni. — 

Amir alzò gli occhi al cielo.

 

Cominciava ad annuvolarsi quando, al centro del cortile, comparve la figura slanciata del primo protagonista del prossimo scontro. Il suo avversario tardava ad arrivare.

Dopo averlo riconosciuto con un sorriso, Yusuf si voltò e vide che Amir, al suo fianco, aveva negli occhi una strana luce.

— Quand’è arrivato qui non era nessuno, — cominciò il siriano a bassa voce. — Aveva perso tutto, amici, casa, famiglia. L’Ordine l’ha adottato come un randagio e gli ha restituito la vita; da allora lotta come un leone. Resterai molto colpito, — gli assicurò. 

Yusuf incrociò le braccia ridacchiando. — Maestro Amir, non ti è concesso avere preferenze tra i tuoi Apprendisti, — lo riprese scherzosamente.

— Infatti non ne ho, — precisò l’altro scoccandogli una delle sue occhiate ombrose. — So semplicemente cosa ha passato e quanto merita le lodi che riuscirà a strapparti dopo quest’incontro. —

— Sei sempre il solito modesto. — 

Amir sorrise e tornò a guardare il cortile.

Vural era stato promosso al rango di Assassino nell’inverno di quell’anno. Sotto la guida di Amir, che Yusuf aveva messo alla testa del Covo nord nel Distretto Imperiale, aveva svolto un ruolo molto attivo soprattutto in città. Era nato in un anfratto povero di Sulukule, il quartiere Rom, da padre turco e madre zingara. Fratelli non ricordava di averne mai avuti, e neanche il dramma che aveva rovinato la sua famiglia costringendolo ad allontanarsi da quella zona. Poi, come aveva detto Amir, l’Ordine l’aveva pescato in mezzo ai rifiuti e forgiato del suo metallo migliore.

Sempre più nasi, tra le panche attorno al cortile e sui tetti, puntavano verso il cielo ora plumbeo e gonfio come una spugna. L’umidità, densa e calda, entrava fin nelle ossa. Yusuf si allungò fuori dal tetto di foglie del ciliegio e disse con amarezza: — Il tuo pupillo dovrà attendere domani per dare spettacolo. —

— Bhé, Vural e Dogan sono gli ultimi della loro categoria, —  rispose Serdar sfogliando le carte. — Se concludessimo oggi il ciclo degli scontri personali, il terriccio bagnato ci offrirebbe la scusa per fare un po’ di intervallo fino a quelli regolari. —

Il Maestro annuì.

Amir si era irrigidito. Una ruga profonda gli solcava la fronte e Yusuf sapeva che era il suo modo di manifestare stupore. Ma non ci fu tempo di fare domande.

Lo sfidante di Vural entrò nel cortile accompagnato dall’incitamento della folla.

— Dogan è un Assassino altrettanto capace, — gli confessò Amir come si confessa una colpa, spezzando quel silenzio innaturale calato sulla tribuna dei giudici, e Yusuf annuì colpito. Il siriano gli descrisse entrambi i contendenti come i migliori stalloni di una scuderia, destinati ai ranghi alti nonostante la giovane età; ma c’era qualcos’altro, qualcosa che solo Amir sapeva o solo sospettava, qualcosa che lo stava turbando nel profondo perché la sua voce si era fatta sempre più rauca, mentre parlava con lo sguardo fisso sul campo, fino ad esaurirsi. Yusuf lo vide tornare col naso nelle carte come per cercare conferme concrete a ciò che poteva essere solo un’allucinazione, ai suoi occhi. Le spalle basse e rigide, il collo teso, le mani nervose tra i fogli; ogni fibra del suo corpo sembrava gridare: "tutto questo non dovrebbe succedere."

— Hai ragione, è meglio rimandare, — disse infatti Amir, e ora la sua voce sembrava addirittura bollire.

— Aspetta. — Yusuf lo fermò prima che potesse uscire dall’ombra del ciliegio. Lo sguardo puntato sui due contendenti già uno di fronte all'altro e con le armi in mano. — La faccenda ha incuriosito il Maestro, che autorizza questo scontro. —

 

Come predetto, lo scontro si protrasse fin sotto le prime gocce.

La pari ed elevatissima abilità dei contendenti, che si affrontavano come gemelli, aveva portato alla luce un duello entusiasmante che teneva vivo l’interesse. Nessuno cedeva o indietreggiava significantemente di fronte all’avversario; tutti i colpi venivano parati o schivati e tutte le guardie venivano rotte o ricostruite, in abili giochi di polso. La precisione, tipica degli insegnamenti di Amir, faceva da maestra tanto ché Yusuf arrivò a chiedersi se i passi di quella danza non fossero stati precedentemente stabiliti…

Il Gran Maestro lo sbirciò e vide che Amir era concentratissimo sullo scontro, nello sforzo quasi esagerato di cercare gli errori più contorti e annotarseli, per poi indicare la strada della perfezione ad entrambi i suoi adepti. Quella stessa minuzia lo aveva torturato spesso durante il suo primo periodo nella Confraternita, pensò Yusuf ricordandosi nelle vesti dell’apprendistato. Amir lo aveva forzato ai più rigidi turni guardia e ai più faticosi allenamenti, il primo dei quali, lo ricordava ancora, si era trasformato in una clamorosa nonché umiliante cerimonia di benvenuto. Quella volta Yusuf non era stato capace di materializzare uno soltanto degli insegnamenti di suo padre, che gli avevano martellato la testa durante lo scontro, e piuttosto Amir, di fronte a lui, era sembrato incarnarli perfettamente. Assistere al torneo gli aveva ricordato l’eccitazione assieme alla paura di quel momento, e nelle facce dei giovani che facevano la fila per invadere il campo e dare mostra di sé aveva rivisto un chiaro richiamo alla sua adolescenza. Per non cedere alla commozione aveva cercato di essere critico e distaccato, come Amir, ma aveva fallito miseramente.

Il terriccio arido del cortile era diventato una vasca di fango e gli Assassini sui tetti cominciavano a rinunciare al prestigio dei loro posti pur di trovare riparo sotto la tettoia, dove la visibilità sull’incontro diminuiva; ma ormai importava ben poco: l’entusiasmo tra le panche si era sciolto con l’ingrossarsi della pioggia e non era destinato a durare.

— Serdar, chiudi l'incontro. —

Yusuf trasalì.

Amir aveva parlato senza tradire emozioni. Le sopracciglia crucciate, le braccia conserte e lo sguardo ancora fisso sui contendenti; gli era bastata la coda dell’occhio per accorgersi del cambio d'animo del pubblico, che mutamente chiedeva il rinvio dello scontro, e di come, ormai, la pioggia si fosse imposta irrevocabilmente.

Serdar lanciò uno sguardo vago al Gran Maestro, che diede il suo assenso, quindi eseguì l’ordine portandosi due dita alla bocca e comunicando, con un lungo fischio, la fine dell’incontro. 

Un’ultima stoccata incrociata e poi i due Assassini si separarono facendo scivolare le lame l’una sull’altra. La pioggia aveva annerito le loro uniformi, che dalla cintola in giù erano tempestate di fango. All’unisono si voltarono verso il ciliegio, ma anche di fronte allo sguardo sorpreso dei suoi apprendisti Amir ostentava il silenzio.

— Pensi che ci sia un vincitore? — gli chiese Yusuf.

— Non sono io l’arbitro. —

— Hanno combattuto con valore, — cominciò Serdar con quel bonario sorriso che faceva di lui un affabile mediatore. — Entrambi, mettendomi molto in difficoltà, — confessò.

 

Vural rinfoderò la sua spada con un sorriso. Il sudore si mescolava alla pioggia sulla sua fronte alta e i capelli umidi cadevano come linee, spesse e disordinate, attorno al bel viso adulto. — Non se l'aspettavano, eh, Dogan? — disse con una risata indicando la giuria al completo che, riunita sotto al ciliegio, confabulava animosamente già da qualche minuto senza aver chiamato un vincitore.

Dogan respirava con affanno, la spada ancora nella mano. Le lunghe ciglia degli occhi azzurri intrappolavano alcune gocce di pioggia, mentre altre gli rigavano le guance raggiungendo il mento o insinuandosi tra le labbra schiuse. Fissava Vural intensamente, due volte sorpreso del suo atteggiamento naturale e rilassato anche dopo quello che gli aveva visto fare pochi giorni prima… e che era il motivo, solo ed unico, per cui Dogan lo aveva designato suo avversario al torneo. La rabbia che si era ingrossata alla base dello stomaco, preservandosi durante il duello, cominciò a risalire il petto dall’interno come un abile ragno.

Un lampo.

Vural si ritrovò il piatto della sua spada premuto sulla gola senza potersi riscattare e Dogan, a cavalcioni sopra di lui e con le ginocchia che affondavano nel fango, aveva uno sguardo folle.

— Confessa! — gridò. — Confessa o ti ammazzo! — 

Quella reazione inspiegabile aveva lasciato interdetta l’intera platea, che era ammutolita con terrore e sorpresa assieme. Un paio di Assassini abbandonarono la tettoia per invadere il campo degli allenamenti, gridando di calmarsi, ripetendo più volte che lo scontro era finito, ma nessuno di loro osò avvicinarsi troppo ai due ragazzi nel fango.

— Confessa, traditore, confessa! —

Vural era diventato paonazzo sotto la pressione della spada che gli toglieva il fiato. Dogan sapeva che in quel modo non gli avrebbe stillato una sola parola, ma non gli importava. Gli aveva dato tutto il tempo dell’incontro per arrendersi alle minacce indirette che la sua spada aveva vibrato, senza ottenere alcun risultato. Ora non era sicuro che sarebbe riuscito a fermarsi.

Serdar attraversò il cortile di corsa e afferrò il ragazzo alle spalle, strappandolo di peso dall’avversario. Una volta libero Vural si trascinò coi gomiti nel fango, tossendo, ma prima che potesse rialzarsi Dogan riuscì a sottrarsi impetuoso alle braccia dell’arbitro per tornare nuovamente su di lui con un ruggito. Stavolta gettò via la spada e percosse Vural a pugni; di nuovo Serdar cercò di allontanarlo, ma in cambio ricevette una gomitata sulla mandibola che lo fece cadere all'indietro mugugnando di dolore.

— I denti non tornano al loro posto, vi avverto, — precisò Sami, cinico e impassibile, dopo aver assistito alla scena.

Yusuf lo fulminò con un’occhiataccia, poi insieme ad Amir abbandonò il ciliegio che li riparava dalla pioggia.

 

 

Fatte scorrere tutte le assi sul lucernario, tappandolo per salvare i prestigiosi tappeti e cuscini dalla pioggia, Ràhel si lasciò aiutare da Serdar a scendere fino a terra. — Grazie, questo era l’ultimo, — disse strizzandosi i capelli che avevano assorbito acqua come una spugna durante tutta la manovra.

— Un piacere, leydim, — rispose lui massaggiandosi la mandibola ancora dolorante e si congedò, imboccando la passerella seguito dai suoi Assassini.

Ora il salone centrale era deserto e silenzioso, fatta eccezione per Sami che puliva i suoi attrezzi demoniaci sul tavolo e lo scoppiettare del camino acceso, di fronte al quale erano stati messi ad asciugare innumerevoli cappucci.

La prima parte del Torneo si era appena conclusa ma Ràhel sentiva ancora l’agitazione che le aveva messo addosso, senza sapere come liberarsene. I lucernari erano stati chiusi, Sami l’aveva ringraziata dicendole di non aver bisogno d’aiuto e le uniformi cocevano a foco lento davanti al camino. Aveva controllato che ognuno riprendesse le sue mansioni e poi si era ritrovata con le mani in mano.

— Ràhel! —

Salvezza!

Si voltò porgendo istintivamente le mani, quasi avesse bisogno di tenerle lontane l’una dall’altra, e Yusuf gliele afferrò con un sorriso.

— Amir? — le chiese tornando serio.

La donna lasciò cadere le spalle. — Nelle camerate, con Dogan, — fu la sua risposta infastidita.

Lui fece per voltarsi, ma a tradimento e con grande sorpresa di lei, la tirò a sé in un profondo bacio appassionato. Quando si staccò fu solo per dirle con sguardo e voce languida che era bellissima e che qualcosa di più era stato solo rimandato. Poi scomparve.

Sami aveva finito di pulire i suoi attrezzi e chiuse il borsone da medico, rompendo il silenzio con lo scampanellio metallico delle cinghie.

Ràhel sentiva le guance scottarle e rimase voltata, ma questo non impedì al dottore, mentre lasciava il salone, di farsi una sommessa risata.

 

Dalle ragazzate ai litigi, i ricordi custoditi in quel luogo lo travolsero senza riserve. Le camerate avevano tutt’ora il fascino di un palco dietro al palco, che tra i momenti di sfrontata spensieratezza giovanile insegnava il rispetto della collettività e del prossimo. Yusuf entrò negli alloggi degli Apprendisti e non fu sorpreso di trovarvi solo Amir, che gli dava le spalle, e il giovane Dogan avvolto in una coperta, seduti sui letti l’uno di fronte all’altro nella penombra della grande stanza. L’eco dei sussurri del Maestro che parlava al suo adepto si perdeva nel silenzio maestoso delle capriate, mentre la pioggia picchiettava sul tetto come un sottofondo.

— Hai dimostrato un grande coraggio nel denunciare il tuo compagno, ma ai miei occhi è stato oscurato dalla debolezza nel dominare le tue emozioni, — stava dicendo Amir, e quando Yusuf gli sedette accanto credé di aver interrotto la spiritualità di quel momento; fu quasi per rialzarsi e scappare di corsa, ma il siriano gli destinò un’occhiata carica della sua approvazione e lui poté rimanere lì ad ascoltare.

— Il torneo fine a se stesso è una competizione, una gara, un gioco, — continuò Amir. — Il nostro voleva essere anche un mezzo per comunicare e tu hai colto appieno questo significato, dando voce alla tua spada, ma ti sei imposto nel modo sbagliato. —

Dogan teneva lo sguardo basso e le parole del suo Maestro sembravano scivolargli addosso come la pioggia di poco prima, quando come un leone aveva azzannato e soffocato la sua preda nel fango. Non disse una parola, ostinandosi nel silenzio di chi attende tutt’altro che lodi o rimproveri.

— Vural ha confessato. —

Le parole di Yusuf gli fecero scattare la testa come una molla e il giovane Assassino prese a fissarlo con la bocca aperta.

— E cosa? — domandò Amir aggrottando le sopracciglia.

Ma Dogan fu più svelto.

— Di aver infranto il terzo Principio, Maestro. —

Amir guardava ora lui ora Yusuf, come se faticasse ad afferrare il senso di quelle parole che in realtà non potevano essere più chiare. — Ha compromesso la Confraternita? Come? Perché? — chiese.

— Si è fatto corrompere, — disse Dogan con voce tremante. — Durante il pedinamento del mercante di schiavi al porto di Neorion. Ero l’unico testimone e ho tentato di farlo ragionare, di dirgli che stava sbagliando, che non aveva bisogno di niente del genere, ma lui… —

Amir si alzò all’improvviso e uscì dalla camerata con il passo, deciso e pesante, di chi ha sentito abbastanza.

Yusuf lo aveva seguito con lo sguardo finché aveva potuto, ma tornando a Dogan vide che il ragazzo si era lasciato cadere disteso sulla branda tirandosi la coperta fin sopra la testa. Il Maestro si alzò e nel gesto di posargli una mano delicata su quella che attraverso la stoffa pensò si trattasse della sua spalla, non poté fare a meno di cogliere nelle membra del giovane i tremori e i sussulti del pianto. Quindi abbassò il lume e poi, prima di uscire e come aveva immaginato mille volte fare a sua madre con lui, aspettò che Dogan avesse preso il sonno.

 

 — Il mattino seguente il suo esempio fu esposto al pubblico del torneo, Vural fu degradato platealmente e poi mandato ad ingrossare le file di Novizi nel Covo di Costantino, sotto la responsabilità di Serdar. Era abbastanza giovane per aspirare di riottenere il rango perduto prima del suo trentesimo compleanno e perciò la Confraternita non ebbe alcun rimorso per quella decisione. Amir, — si corresse Ràhel, — non ebbe alcun rimorso. —

— Una soluzione piuttosto drastica, — constatò Ezio. — Ma posso capire. In questi casi un Maestro ha ben poche alternative. —

Ràhel rimase in silenzio, a lungo. — Amir non volle ascoltare ragioni. Aveva separato due gemelli e lo aveva fatto per il bene della Confraternita. Assieme a tante voci, mise a tacere anche il suo cuore, che avrebbe continuato a dissanguarsi per molte notti come se Vural fosse stato sangue del suo sangue. —

 — Amir non aveva una compagna? —

— Diverse, a dire il vero, ma… —

— Ma non l’abito da cerimonia, ho capito. — concluse Ezio con una risatina sommessa. — Devo ammettere che mi sorprende. Uno come lui, così legato alle tradizioni, alle regole… —

Ràhel sorrise. — Paradossale, penserai, che uno come Yusuf mi sia rimasto accanto fin dal primo momento e che Amir, invece, avesse tutta quella scelta... — C'era dolcezza, nella sua voce, e tanti ricordi. — Ma Amir sapeva e accettava questa cosa. Di conseguenza, anche le colombe che venivano a posarsi nella sua gabbia senza sbarre erano libere di uscire quando volevano. —

— Penso di capire bene di che tipo di libertà stiamo parlando… — mormorò Ezio con un sorriso sornione.

— Come? — chiese Ràhel, sporgendosi verso di lui.

— Nulla, — disse l'altro sentendo scaldarsi la pelle sotto la barba.

— Ti prego, continua il tuo racconto. —

 

  
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