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Autore: Laylath    13/07/2014    1 recensioni
(Spin off di Un anno per crescere )
Più di venti anni prima che un gruppo di ragazzi intrecciasse i propri destini in un piccolo angolo di mondo, a New Optain, una pasticciera ed un poliziotto fanno il loro primo incontro.
Ecco la storia di Vincent e Rosie, i genitori di Vato.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Vato Falman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo XIII

1880. L'anarchico di famiglia

 

Al pianto del bambino Vincent aprì gli occhi, emettendo un lieve lamento nel scoprire che era ancora buio pesto. Senza girarsi sentì dei movimenti nel letto e capì che Rosie si stava alzando per andare verso la culla che stava dalla sua parte.
“Che hai fiocco di neve? – la sentì sussurrare – Hai fame? Adesso ci pensa la mamma.”
Ancora dei movimenti, i lamenti del bambino che diventavano più flebili fino a tacere del tutto.
Solo a quel punto Vincent allungò una mano per accendere la piccola lampada che stava nel comodino e si girò a guardare Rosie, seduta nel bordo del letto, intenta ad allattare Vato.
“Scusa, amore – mormorò lei, chiudendo gli occhi – ti abbiamo svegliato.”
“Fa niente – sbadigliò l’uomo, mettendosi a sedere ed avvicinandosi alla moglie – ma tu non devi stare così al freddo in camicia da notte.”
Allungò una mano ai piedi del letto, dove stava una coperta di riserva piegata e la drappeggiò attorno a loro, provvedendo poi ad abbracciare la vita di Rosie e stringerla a sé. I suoi occhi si posarono quindi sul bambino che mangiava tranquillo, la manina sinistra posata sul seno della madre.
“Sono le quattro di notte, amore – constatò Rosie – tra nemmeno tre ore ti devi alzare. Riposati ancora.”
“Tranquilla.” la sua mano provvide a sistemare meglio la copertina che avvolgeva Vato, coprendo una gambetta che era scivolata fuori.
Il piccolo aveva quasi tre mesi, ma a Vincent sembrava che fosse con loro da una vita intera: le giornate di Rosie ruotavano intorno a lui tra poppate e cambi di pannolino. Ma era un bimbo estremamente tranquillo: piangeva solo per effettive necessità come mangiare o essere cambiato.
Fisicamente aveva poco della madre: si capiva benissimo che crescendo sarebbe diventato identico a Vincent. In quei tre mesi era cresciuto soprattutto in altezza, tanto che molte tutine ormai non gli andavano più.
“Questo pomeriggio ha avuto qualche piccola colica – sospirò Rosie, accarezzando la guancia del bambino che alzò lo sguardo su di lei, perdendo la presa sul seno: subito tossì ed emise una lieve protesta – sssh, cucciolo, tranquillo ecco, va tutto bene. Speriamo che sia un caso isolato, è così buono.”
“Oh, dai che andrà bene – la rassicurò Vincent – per ora mangia ogni cinque ore e poi fondamentalmente dorme. E’ un bimbo disciplinato il nostro.”
“Quanto orgoglio in questa dichiarazione, Vincent Falman – lo prese in giro Rosie – non vorrai dargli una medaglia al merito, spero.”
“Non ancora – sorrise lui, mentre la moglie faceva sedere il piccolo in grembo e gli dava piccole pacche sulla schiena per fargli fare il ruttino – uh, salute figliolo. Adesso che farai? Ti riaddormenterai subito, vero? Vuoi venire in braccio a me?”
“Sì, ma piano – sussurrò Rosie, passandoglielo – se lo tieni contro la spalla va meglio, ha appena mangiato e tenerlo subito sdraiato può dargli fastidio.”
Ma per quanto Vincent sembrasse negato per i bambini, almeno a guardarlo con la nipotina in braccio, con il figlio ci sapeva davvero fare. Con lui Vato aveva un’affinità del tutto particolare: appena posava la testolina bicolore sulla spalla paterna, chiudeva gli occhi e si rilassava del tutto.
Rosie osservò con amore il marito che accarezzava delicatamente la piccola schiena, inducendo il bambino ad addormentarsi: c’era una particolare magia nel vederlo compiere un gesto così spontaneo eppure carico di meraviglia ogni volta che veniva fatto.
A volte stento a credere che siamo davvero genitori.
 
Anche se Rosie lo prendeva come uno scherzo, Vincent andava particolarmente fiero della tranquillità di Vato. Gli piaceva considerare come alla sua età la figlia di Alyce fosse tutt’altro che silenziosa, anzi pronta a piangere e strillare per la minima cosa.
“Non per niente è mio figlio – dichiarò con soddisfazione circa una settimana dopo, mentre lui e Rosie si mettevano a letto – con tutto il rispetto per Ally, ma Vato è una vera roccia!”
Proprio in quel momento la roccia fece un verso strano ed iniziò a strillare.
“Ma se si era appena addormentato – Rosie corse subito a controllare – oh no, amore, hai rigettato tutto il latte. No, no… non piangere.”
Fu così che la roccia iniziò a creare i primi problemi ad i suoi genitori che, per tre mesi, avevano avuto la fortuna di godersi un neonato particolarmente sereno. Ad aggiungere la beffa al danno, questo scoppio ritardato delle coliche fece sì che si manifestassero in maniera particolarmente violenta.
Nell’arco di un paio di giorni la vita quotidiana della famiglia Falman venne sconvolta da sveglie improvvise durante la notte e da crisi ripetute durante il giorno.
“Il medico dice che è una fase – sospirò Rosie, prendendo in braccio il bambino e cullandolo – passerà da sola.”
Ma una simile frase detta alle tre del mattino dopo che nemmeno mezz’ora prima c’era stata un’altra sveglia, sapeva quasi di presa in giro. Vincent fissò il bambino che strillava in braccio alla donna e per qualche secondo ebbe la netta sensazione che lo stesse facendo per il puro gusto di tenere sveglio suo padre, in barba al fatto che lui alle otto e venti doveva essere a lavoro.
Con un sospiro si alzò dal letto e andò accanto alla moglie, tendendo le mani per prendere in braccio il piccolo disturbatore della quiete.
“Piano – suggerì lei – altrimenti rigetta e… Vincent!”
“Senti, ragazzino – l’uomo lo sollevò eretto, tenendolo sotto le braccia, in modo che fossero faccia a faccia – mamma e papà devono dormire almeno un paio di ore filate, capisci? Ci sono orari da rispettare e di notte si fa la nanna, a meno che tu non debba mangiare o essere cambiato, ma per il resto…”
La filippica sugli orari da rispettare venne interrotta da un inevitabile rigetto che andò dritto sul viso dell’oratore e su buona parte del suo pigiama.
“Amore… – Rosie fu rapida a recuperare Vato e a portarlo verso il bagno per cambiare la tutina sporca – senti, perché non prendi cuscino e coperta e vai a dormire nel divano?”
“Sfrattato da camera mia? – l’uomo la seguì, levandosi con fastidio la casacca del pigiama sporca e aprendo il rubinetto per lavarsi la faccia – Non ho intenzione di cedere in questa battaglia… specie se è contro un marmocchio di tre mesi. Se iniziamo a dargliela vinta adesso…”
“Vincent – Rosie, china sul fasciatoio, lo guardò con aria perplessa – non sta facendo i capricci, ha le coliche. E’ il primo a non esserne felice.”
Con un brontolio il poliziotto fissò il suo rampollo che, vestito solo col pannolino, emetteva singhiozzi congestionati. Immediatamente Rosie riprese a dedicargli tutta l’attenzione possibile, cantandogli una ninnananna e provvedendo a mettergli una tutina pulita.
“Mi sistemo nel divano…” borbottò sconfitto.
Ma non finisce qui, piccolo anarchico.
 
In conseguenza a quel piccolo incidente notturno, Vincent iniziò a dormire nel divano.
Inizialmente la prese come un provvedimento temporaneo, della durata di massimo due giorni, ma le aspettative non vennero rispettate. Quella sistemazione non gli piaceva assolutamente, non solo per la scomodità, ma anche perché si sentiva in qualche modo usurpato nel suo posto di diritto nel letto matrimoniale.
Ma che altro si poteva fare?
Un conto era essere svegliato due, massimo tre volte a notte e sempre con intervalli di diverse ore tra un pianto e l’altro (pianti che, per la sola fame, duravano il tempo che Rosie iniziasse ad allattare il figlio), un altro era sentire quei vagiti di continuo, senza possibilità di dormire per un intervallo di tempo decente.
E così, dato che a lavoro doveva essere un minimo efficiente, Vincent si adatto alle regole dell’anarchico di casa.
“Povero piccolo – commentò Alan, un giorno che lui e Vincent si erano incontrati in mensa per pranzo – le coliche sono tra i disturbi più fastidiosi per un neonato. Entrambi i figli di mia sorella ne hanno sofferto.”
“Povero piccolo? – Vincent fece una smorfia di disappunto – e cosa dovremmo dire dei poveri genitori? Io sono costretto a dormire nel divano se voglio fare almeno quattro ore filate di sonno. Sempre che quell'anarchico non strilli così forte da svegliarmi.”
“Anarchico? – Alan ridacchio – Suvvia, Vin, non te la prendere troppo con lui. E poi è solo una fase, in genere passa in fretta…”
“E’ quasi un mese che va avanti questa storia.”
“Ah. Beh, si vede che ha una forma di coliche piuttosto resistente.”
“E non hai idea della resistenza dei suoi polmoni. Se ci sfrattano dal palazzo per rumori molesti non potrò che dare ragione ai vicini.”
Alan ridacchiò: vedere il grande Vincent Falman in quelle condizioni di papà in crisi era abbastanza divertente. Per i primissimi mesi si era tanto vantato della disciplina del neonato che a volte aveva rasentato persino il ridicolo: tutto sommato vederlo ridimensionato per delle coliche infantili non era male.
Ma non poteva immaginare quanto la situazione fosse critica a casa Falman.
 
Vato dormiva al centro del letto matrimoniale: aveva la testolina girata di lato, il ciuccio in bocca, e sembrava finalmente rilassato. Il respiro meno congestionato, in via di normalizzazione, testimoniava che almeno per un’oretta non ci sarebbero stati problemi.
Con un sospiro Rosie sistemò meglio la copertina sopra il figlio e si sdraiò accanto a lui, accarezzandogli il palmo della mano. Di riflesso le piccole dita si chiusero sull’indice della donna, un gesto che come sempre la riempì di meraviglia. Quant’era bello il suo piccolo, ora che dormiva sereno ancora di più.
“Fiocco di neve – sussurrò, guardando una ciocca di capelli candidi che scendeva sulla fronte in seguito ad un piccolo movimento – per quanto darai tregua alla mamma questa volta, eh?”
Perché tanto lo sapeva che era solo questione di tempo: ormai l’esperienza le diceva che nell’arco di massimo due ore il bambino avrebbe ripreso a strillare in preda ai dolori. Notte, giorno… ormai queste erano banali differenze nella vita di Rosie Falman: voleva dire solo accendere la luce o meno, il pianto di Vato era sempre lo stesso.
I suoi pensieri vennero interrotti da qualcuno che bussava alla porta.
Si ricordò improvvisamente che Daisy aveva promesso di passare dato che era il suo giorno libero. Con angoscia spostò lo sguardo su Vato, supplicando che non si svegliasse per quel rumore e con tutta la cautela possibile si alzò dal letto e corse ad aprire la porta.
“Ehilà, è arrivata la zia Da…uhmpf!”
Rosie tappò la bocca della sorella non appena aprì la porta.
“Si è addormentato da due minuti… sveglialo e ti giuro che avrò una crisi isterica!” bisbigliò con sguardo omicida, ulteriormente inasprito dalle occhiaie evidenti.
Le due sorelle si guardarono per qualche secondo e poi Rosie sospirò con disperazione, posando la testa sulla spalla di Daisy che ancora stava ferma sulla soglia.
“Uh – mormorò la maggiore – a quanto vedo siamo in piena crisi, vero?”
Effettivamente se Vincent risentiva di quelle notti di pianti e coliche, Rosie ne era letteralmente distrutta: la sua vita ormai era ridotta a tenere d’occhio Vato nel terrore che si risvegliasse in preda ad un nuovo attacco. Oltre la stanchezza, a farla da padrone era il suo senso materno che soffriva all’idea di non poter fare niente per far passare quei fastidiosi dolori. Le aveva tentate tutte: massaggi allo stomaco, camomille, e quanto altro le avevano suggerito sua madre od il medico, ma sembrava che solo il tempo potesse far passare quella fase.
“Il periodo di anarchia, come lo chiama Vincent, prosegue senza soluzione di continuità.”
“Anarchia?  Bah! Figurati se Mister Rigidità non trovava qualche termine originale e militare – sbuffò Daisy entrando con delle grosse buste – ti ho portato un po’ di scorte, sorellina. Lo so che è un momento particolarmente stressante per te.”
“Grazie – iniziò ad aiutarla a mettere la roba sul tavolo – la sola idea di uscire mi deprime e guardandomi allo specchio mi spavento… ho delle occhiaie da paura.”
“Dovresti far fare qualche notte a tuo marito – le consigliò Daisy – almeno recuperi un poco di sonno. Diamine, Vato è anche suo figlio.”
Rosie scosse il capo con ostinazione: se doveva essere sincera non voleva che Vincent si occupasse del bambino in quelle condizioni. Quella scena madre conclusasi con un rigetto mastodontico in faccia l’aveva profondamente turbata: non che Vincent avesse maltrattato il piccolo, assolutamente. Ma gli era mancata quella delicatezza che era invece necessaria.
L’idea di Vato di nuovo tenuto in quella scomoda presa, con Vincent che gli diceva quali erano gli orari vietati per gli schiamazzi era allo stesso tempo disarmante e preoccupante.
Dentro di sé, Rosie aveva deciso di evitare al minimo i contatti padre e figlio, almeno fino a quando quella fase non fosse passata e tutti loro avessero recuperato un minimo di sonno.
“Senti, domani è il suo giorno libero – insistette Daisy – perché non lo fai diventare anche il tuo giorno libero, eh? Ti metti nel divano e dormi e Mister Rigidità si occupa di Vato.”
“Quanto potrebbe succedere mi terrorizza…”
“Pensi che lo arresterebbe per disturbo della quiete pubblica?”
“No, però…”
“Suvvia, piccolo fiore, e prenditi un attimo di tregua.”
 
Tregua…
Un paio di ore di tregua: sembravano un sogno.
E quella sera a cena Rosie capì di averne veramente bisogno.
“Che è quella faccia? – chiese dopo che il marito ebbe messo in bocca la prima cucchiaiata di stufato – Non ti piace?”
“Zucchero…”  fece una smorfia lui, affrettandosi a versarsi un bicchiere d’acqua.
“Eh?” lei guardò incredula il suo piatto e assaggiò a sua volta.
“Zucchero al posto del sale.” Vincent confermò la sua tesi provando un secondo cucchiaio, ma poi scosse il capo con rassegnazione e allontanò il piatto da sé.
“Non me ne sono nemmeno resa conto – spiegò lei, allontanando il piatto a sua volta – dammi tre minuti e arrangio qualcos’altro per cena e…”
Il pianto di Vato interruppe qualsiasi buona intenzione.
Rosie a quel punto crollò definitivamente e scoppiò in lacrime, nascondendo il viso tra le mani: sentiva di essere un fallimento come cuoca, come madre, come moglie… e soprattutto era esausta e distrutta.
“Arrivo, Vato…” singhiozzò, dopo qualche secondo, cercando di alzarsi in piedi.
Ma la mano di Vincent la bloccò.
“No, tu ora ti siedi e ti calmi, vado io da lui.”
“Cosa? – il panico si impossessò della donna – No, no! Vado io, tu non sei capace!”
“Che?”
“Non sei capace, ti vomiterà di nuovo addosso se lo prendi come l’altra volta.” si alzò in piedi, liberandosi di quella stretta
“Non lo prendo come l’altra volta, tranquilla.”
“Vincent, ti prego – singhiozzò lei, in preda a quella famosa crisi isterica di cui aveva parlato a Daisy – ha bisogno di me!”
“Ehi! – lui si era alzato in piedi a sua volta e l’aveva presa per le spalle – Rosie! Calmati adesso!”
La scrollò lievemente e lei si riscosse, rendendosi conto che ormai era arrivata veramente al limite: era questo il risultato di aver dormito pochissime ore nell’ultima settimana, dell’essere imprigionata da quell’esserino piangente… che continuava a strillare, invocando la presenza di un adulto.
“Ti prego, fallo smettere!” sussurrò, mettendosi le mani nelle orecchie.
“Siediti nel divano – le consigliò lui, accompagnandola – e lascia fare a me.”
 
Vincent Falman aveva compiuto diverse missioni nei suoi anni da poliziotto.
Sapeva tenere i nervi saldi ed era una dote che tutti quanti apprezzavano: negli ultimi tempi diverse squadre avevano richiesto il suo intervento per situazioni veramente difficili.
“Non sarai tu, piccolo anarchico, a mettermi in difficoltà.” dichiarò, entrando in camera e chiudendo la porta alle sue spalle.
Si diresse a grandi passi verso la culla, dove Vato si dimenava e strillava a pieni polmoni.
Liberandolo dalla copertina lo prese in braccio e, memore dell’altra volta, evitò la scomoda presa che lo lasciava penzoloni e lo posò sul suo petto, la testolina bicolore contro la sua spalla.
“Possiamo parlarne? – chiese, iniziando a passeggiare avanti ed indietro per la stanza – Questo tuo regno del terrore deve finire una volta per tutte, Vato Falman, ti rendi conto che stai ammazzando tua madre? E anche me, sebbene più lentamente… vuoi essere accusato di omicidio aggravato dalla parentela stretta a nemmeno quattro mesi?”
E sembrava che le intenzioni del bambino fossero quelle dato che continuava a strillare come un ossesso.
Visto che il passeggiare per la stanza non sembrava avere alcun effetto, il sottotenente si sedette sul letto e si mise il bimbo seduto sulle ginocchia.
“Dannazione, se devi rigettarlo, fallo! – disse, dandogli dei piccoli colpetti sulla schiena – hai il bavaglino apposta per questo, coraggio…”
L’effetto fu quasi immediato, ma non era quella la parte difficile: la questione stava nel calmarlo. Adesso che era anche libero dal fastidioso peso allo stomaco, il piccolo anarchico era ancora più pronto a far sentire la sua voce di protesta per quel momento critico.
“Eh no, non ti permetterò di prendere quest’andazzo, signorino – Vincent lo liberò dal bavaglino sporco e  lo tenne seduto, facendogli volgere con ferma dolcezza il visino piangente verso di lui – se avevi bisogno di rigurgitare bene, ma adesso è finita ed è il momento di calmarti.”
Vato quasi si capovolse nell’emettere uno strillo più acuto e fu solo la presa del padre che evitò il primo capitombolo della sua vita.
“Ci sono delle regole in casa, Vato Falman, e tu devi imparare a rispettale – continuò Vincent, impassibile, cercando di convincere anche se stesso che era il momento di porre fine all’anarchia – anche se hai quattro mesi sono sicuro che puoi capire. E guardami quando ti parlo.”
Ovviamente Vato non era molto disponibile a collaborare: a lui piaceva la voce dolce della mamma che lo cullava e lo faceva stare meglio dopo il brutto dolore della colica. Gli piaceva sentire la sua mano amorevole che gli accarezzava il pancino e la guancia, asciugandogli le lacrime. Quella voce ferma e severa e quella mancanza di coccole proprio non andavano bene.
Ma se testardo era il figlio, più testardo era il padre e, oggettivamente, Vincent aveva dalla sua un’età ed una resistenza maggiori. E se aveva deciso che suo figlio di quattro mesi poteva capire ed obbedire, allora così doveva andare.
“Sai che cos’è il disturbo della quiete pubblica? E’ quello che stai facendo tu distruggendo il sonno di tutti noi con i tuoi strilli. Ci sono delle leggi, delle norme da rispettare… codice civile, ragazzino, e una sua piccola forma si applica anche in questa casa…”
 
Rosie emise un ultimo lieve singhiozzo e poi trovò la forza di alzarsi dal divano e di andare in bagno a lavarsi il viso. Il contatto con l’acqua fresca la aiutò a recuperare la calma, tanto che rimase diverso tempo con il viso sotto il getto del rubinetto.
Risistemandosi i capelli decise di andare a vedere cosa stava succedendo in camera da letto.
Il pianto di Vato non si sentiva più e questo voleva dire che Vincent era riuscito nel suo intento… oppure era accaduto il peggio.
“Amore?” bisbigliò, socchiudendo la porta con l’intenzione di dare solo una sbirciatina.
“Articolo 14, comma tre: in caso di reato, il poliziotto è autorizzato ad intervenire e a far valere la propria autorità sopra i civili, rispettandone tuttavia i diritti. E’ suo dovere… suo dovere addormentarsi – la voce di Vincent si abbassò sensibilmente – proprio in questo modo. Bene, benissimo… piccolo anarchico di papà.”
“Articolo… comma?” Rosie entrò e fissò con meraviglia l’uomo che si alzava dal letto e andava a rimettere il bambino nella culla.
“Beh, come ho iniziato a parlargli di regole si è calmato ed ha iniziato ad ascoltarmi.” spiegò lui, recuperando il ciuccio e mettendolo in bocca al piccolo.
Ad ascoltarti?”
“Se vuoi ti presto il codice civile per leggerglielo quando piange di nuovo.”
La proposta fu così seria che Rosie scoppiò a ridere e dovette correre via dalla stanza per evitare di svegliare Vato.
Quando Vincent la raggiunse in salone lei si stava asciugando le lacrime con il grembiule.
“Codice civile!”
“Che c’è da ridere?”
“Niente… niente! E’ proprio tuo figlio, amore!”
  
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