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Autore: Laylath    15/07/2014    1 recensioni
(Spin off di Un anno per crescere )
Più di venti anni prima che un gruppo di ragazzi intrecciasse i propri destini in un piccolo angolo di mondo, a New Optain, una pasticciera ed un poliziotto fanno il loro primo incontro.
Ecco la storia di Vincent e Rosie, i genitori di Vato.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Vato Falman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo XIV

1882. Piccoli Falman crescono.

 

“Mestolo!”
“Che? – Rosie si girò di scatto e vide che Vato stava con l’indice puntato verso l’oggetto che teneva in mano – Oh, sì, amore, il mestolo.”
Il bambino sorrise soddisfatto e batté le manine. Orgoglioso del nuovo termine aggiunto al suo vocabolario e vedendo che la mamma approvava, iniziò a fare il suo gioco preferito: si mise ad indicare tutti gli oggetti presenti nella stanza dicendo per ciascuno il nome corretto.
“Sedia! Tavolo! Piatto…”
Rosie ridacchiò nel sentire la vocetta squillante riempire la stanza e tornò a prestare attenzione alla minestra che stava finendo di riscaldare: Vato era tranquillo nel seggiolone ed il suo passatempo lo poteva tenere impegnato per decine e decine di minuti.
A quasi tre anni le parole conosciute da un bambino aumentano di giorno in giorno, ma lei era convinta che suo figlio avesse una rapidità d’apprendimento fuori dal comune. Era quasi ossessionato dal voler conoscere il nome di tutte le cose che lo circondavano: passava le sue giornate in giro per la casa, nominando i vari oggetti e indicandoli con la manina.
E poi era estremamente attento agli errori, una cosa che Rosie aveva notato diverse volte: quando imparava una parola difficile si volgeva verso di lei, quasi a chiederle conferma che la stesse pronunciando nel modo corretto. Se era sbagliata lei gliela ripeteva con lentezza, scandendo bene le sillabe: allora il piccolo assumeva un’aria estremamente concentrata e poi passava i minuti successivi a ripeterla decine e decine di volte, tanto da sembrare un disco rotto.
“Allora, cucciolo, hai fame? – chiese la donna versando la minestra nella scodella e andando a sedersi accanto al seggiolone – La mamma ti ha preparato la minestrina.”
“Minestrina! – annuì lui con convinzione, la pronuncia della “erre” ormai perfetta – Prima bavaglino, Vato non si sporca!”
“Oh, ma che bravo, te lo ricordi – ridacchiò lei sistemandoglielo attorno al collo – eh sì, sei proprio un fiocco di neve attento e ordinato: non vogliamo certo sporcarci la magliettina, vero?”
“Vato pulito.”
“Ma certo, e adesso apri la bocca e mangia… lo vedi che è uno scoiattolo che vuole andare nella tana?”
“No, è cucchiaio! Scoiattolo – si interruppe mentre mandava già la prima cucchiaiata – scoiattolo è in libro di Vato, con animaletti del bosco.” disse questa frase con estrema serietà, come se non potesse credere che la madre sbagliasse una cosa così semplice.
“Scusa, hai proprio ragione: lo scoiattolo sta con gli altri animaletti nel tuo libro. Questo è il cucchiaio per mangiare la minestra.”
“Cucchiaio è per minestra e omo… omog – si impappinò in quella parola lunga, tanto che batté la mano con impazienza nel seggiolone – omogeiz… mamma, aiutami.”
“O – mog – ge – neiz –za – to.”
“… omogeneizzato… omo… mh!”
“Sì, amore mio, ma non dimenticare di mangiare, altrimenti la minestra si fredda.”
Richiamato all’ordine, il bambino riprese a farsi imboccare con docilità. La minestra di verdure non era certo un piatto che lo faceva impazzire e ogni tanto faceva una piccola smorfia nell’incontrare qualche pezzetto di ortaggio, tuttavia non si mise a fare i capricci.
Alla fine era proprio come aveva detto Vincent: il loro era un bambino estremamente disciplinato.
Probabilmente quella vecchia storia delle coliche, assieme alle altre volte che era stato malato, era il peggio che Vato avesse mai osato fare: raramente era capriccioso o esagitato, tutt’altro.  Al contrario di altri bambini, molto più indipendenti ed intraprendenti, lui tendeva a cercare la conferma degli adulti prima di fare qualcosa di nuovo, come toccare un oggetto a lui sconosciuto.
Questo accadeva soprattutto con il padre: bastava un no con voce appena severa e lui abbandonava qualsiasi proposito di fare quella cosa proibita.
“Mamma, ora leggi libro?” chiese Vato, come ebbe finito di mangiare tutta la sua minestrina e Rosie gli asciugò il mento col bavaglino.
“Adesso devi mangiare la frutta, amore – gli spiegò la donna, andando a posare il piatto vuoto nel lavandino e prendendone un altro con i pezzetti di mela già tagliati e sbucciati – e poi devi fare il sonnellino.”
A quella rivelazione il bambino mise il broncio: l’idea di dormire, quando invece poteva stare in braccio alla mamma e ascoltare le belle favole, non gli piaceva per niente.
“Sonnellino, mh…” mormorò finendo di mangiando il primo pezzetto di mela che Rosie gli dava.
“Oh, suvvia – lo consolò lei – per farti addormentare la mamma ti canta la canzoncina della stellina bianca, quella che ti piace tanto.”
Già quella concessione parve far tornare il buonumore al bambino, ma Rosie decise di rincarare la dose e lo guardò con aria cospiratoria.
“E poi devi essere ben riposato dato che questo pomeriggio usciamo. E indovina dove ti porta la mamma?”
“Al parco?” sorrise lui, inclinando la testolina bicolore.
“No – lei lo prese in braccio, liberando le gambette dal seggiolone: se continuava a crescere in altezza ben presto si sarebbe potuto sistemare tranquillamente sulla sedia, magari con l’aiuto di qualche cuscino – andiamo a trovare una persona, in un posto dove ci sono tanti e tanti dolci… effettivamente si starà chiedendo come mai il suo pasticcino non passa a trovarla da qualche giorno e…”
“Zia Dedè! Zia Dedè!” a quella rivelazione Vato impazzì letteralmente di gioia.
Iniziò a battere le mani e a sgambettare, mettendo in lieve difficoltà la madre che dovette rinsaldare la presa su di lui con una risata. Perché zia Dedè (per quanto sapesse dire Daisy per la zia aveva sempre preferito il primo nomignolo che era riuscito a pronunciare) era per Vato qualcosa di magico e meraviglioso. Era la zia che lo faceva sempre ridere, giocare, in una maniera del tutto esuberante, così diversa dai genitori. E poi con zia Dedè c’erano i nonni e lo zio Max: anche lui era una grande fonte di divertimento. A volte lo prendeva e faceva finta di gettarlo nell’impasto dei dolci o nei sacchi di farina. Stare con loro era decisamente meglio di andare al parco o in qualsiasi altro posto.
“Sì, da zia Daisy – sorrise Rosie, portandolo in camera sua e facendolo sdraiare nel lettino – e stiamo lì fino a sera: papà viene a prenderci e torniamo a casa assieme, sei contento?”
“Papà tiene Vato in braccio?”
“Sono sicura che se glielo chiediamo per favore lo farà. Adesso però chiudi gli occhi e dormi, amore mio, da bravo.”
 
Come sempre, come mise piede in negozio, Vato si strinse con timidezza alla gonna della madre: la presenza di così tanti estranei lo metteva spesso in difficoltà e lo faceva chiudere malamente in se stesso.
“Buonasera a tutti – salutò Rosie, venendo riconosciuta e salutata da diversi clienti – da bravo, amore, saluta pure tu.”
Il piccolo alzò lo sguardo su di lei con aria supplicante, ma poi si arrischiò a girarsi verso la sala e a biascicare un ciao a malapena udibile: immediatamente serrò le mani con ancora più forza sulla gonna materna e arrossì vistosamente.
“Oh! E’ arrivato il mio pasticcino!”
Daisy comparve dalla cucina e si affrettò ad andare verso la sorella ed il bambino.
La sua voce fece avvenire la metamorfosi più completa: Vato perse qualsiasi timidezza e iniziò a correre verso di lei, le braccia protese per farsi prendere in braccio.
“Zia Dedè! Zia Dedè!” esclamò gioioso, rischiando di sbattere contro diverse persone sedute.
“Ciao, tesoro! – lo prese tra le braccia e lo sollevò di scatto, provocando una risata divertita – Come mai manchi tanto dal negozio? Guarda che zia è triste senza di te che passi a trovarla.”
“Lo so, scusa – sorrise Rosie avvicinandosi a loro e accarezzando con dolcezza la chioma bicolore del figlio – ma in questi giorni era un po’ raffreddato e ho preferito non farlo uscire.”
“Raffreddato? – Daisy baciò la fronte del bambino, notando il nasino leggermente arrossato per l’aria fresca dell’autunno inoltrato – Oh ma allora qui ci vuole qualcosa di caldo per proteggere il mio pasticcino dal freddo che c’è fuori. Vieni, amore, la zia ti porta in cucina e ti prepara una cioccolata calda…”
“E i biscotti di animaletti!” chiese lui speranzoso.
“Ma certo! Li facciamo insieme: ti ricordi come si fanno i cagnolini ed i gattini? E chiediamo anche alla nonna se ci aiuta, sono sicura che dirà di sì!”
Mentre Daisy scompariva nella cucina con il bambino in braccio, Rosie sospirò divertita e poi si decise a seguirli. Sistemò il suo cappotto nell’appendiabiti, certa che la sorella avrebbe provveduto a liberare Vato dal suo piccolo soprabito, e si mise il grembiule.
“Ehi, ciao Rosie – la salutò Max – ma dai, non devi prenderti il disturbo.”
“O finiscila – sorrise lei, sistemandosi meglio i capelli dietro la schiena – adesso Daisy si dedicherà completamente a Vato, lo sai bene. E poi ti ho detto decine di volte che mi fa piacere poter lavorare in negozio per qualche ora.”
Ed era vero: per circa un anno Vato aveva assorbito completamente la sua vita, ma come si era dimostrato un minimo indipendente, Rosie aveva ripreso a frequentare il negozio. Ovviamente non era una cosa che poteva fare con continuità, del resto suo figlio doveva ancora compiere tre anni, ma essendo membro della famiglia e non una vera dipendente, poteva agire come le sembrava opportuno in base ai suoi impegni di madre e moglie. Poter tornare a lavorare tra impasti e tavoli era una piacevole uscita dai ritmi quotidiani e poi le faceva estremo piacere che Vato potesse frequentare così tanto la zia: quei due si adoravano, non c’era dubbio. Per quanto Daisy amasse profondamente anche Ally e Loris, l’ultimo nato di Alyce e Luke, per Vato aveva una vera e propria predilezione, completamente ricambiata dal bambino.
“Vato, mi raccomando, non disturbare troppo. Ricorda che stiamo lavorando.”
“Vato fa da bravo, mamma!” annuì il bambino mentre la zia lo sollevava e lo metteva a sedere sopra un tavolo.
“Allora, pasticcino, racconta: che cosa hai fatto in questi giorni?”
“Imparato tante parole nuove! Vuoi sentire?”
“Ma certo… anzi, come me le dici proviamo a fare i biscotti a forma di tutto quanto. Avanti, dimmi la prima.”
“Mestolo!”
“Questa è facile: allora, prendiamo un pezzo di pastafrolla e…”
 
“Sei sicura di non volere una copertina?” chiese Daisy.
“Ma no, è abbastanza coperto così – la donna per prudenza si levò la sua vecchia sciarpa lilla e la sistemò sul collo del bambino profondamente addormentato – lo prendi tu, amore?”
“Certo – annuì Vincent, prendendo tra le braccia il bambino e sistemandoselo contro il cappotto semiaperto in modo da proteggerlo ulteriormente dal freddo – questo è proprio crollato, si è agitato troppo, vero?”
“Beh, sicuramente si è divertito di più con me che con te – sbuffò Daisy, girandosi a chiudere a chiave la porta del negozio – chissà che giochi gli fai fare. Ah sì: stiamo dritti e composti e facciamo il gioco del silenzio.”
“Finiscila, che cosa ne vuoi sapere di come educo mio figlio.”
“Mi basta vedere la smania che ha di divertirsi quando viene qui.”
“Suvvia, possiamo finirla? – sospirò Rosie, mentre Max accanto a loro ridacchiava – Adesso è meglio che andiamo, così evitiamo che prenda freddo.”
Dopo che si furono congedati, Rosie e Vincent iniziarono a percorrere in silenzio la strada che portava a casa. Ogni tanto la donna lanciava occhiate amorevoli al marito: adorava vederlo con Vato in braccio, così protettivo e dolce… era come vedere una nuova versione dell’atteggiamento che teneva con lei nei momenti di tenera intimità.
Però Daisy aveva ragione su una cosa: Vincent non era molto propenso al gioco, nemmeno per il suo stesso figlio. Forse Vato davvero sfogava le sue esigenze ludiche con la zia e lo zio: a casa imparava nuove parole, amava farsi leggere le favole, ma eccetto l’orsetto di pezza con cui dormiva non aveva molto interesse per i giocattoli. Anche qualche volta che gli capitava di stare con i cuginetti non sapeva bene come interagire con loro: Ally era molto propositiva e cercava di farlo giocare, ma sembrava che lui non fosse ben consapevole di come comportarsi con una palla in mano o con le costruzioni con i cubi di legno.
Oh, meglio non ricordarsi dei cubi…
“Che hai?” chiese Vincent, vedendola sospirare.
“Niente, ripensavo all’ultima volta che siamo stati a pranzo da Alyce e c’è stato l’incidente con i cubi.”
“Sono solo giochi tra bambini –scrollò le spalle lui mentre entravano nel palazzo e salivano le scale – apri tu la porta? Con lui in braccio è un po’ difficile e non voglio svegliarlo.”
“Sì, poi mettilo nel divano: io preparo la cena e lo sveglio giusto per dargli il latte e cambiarlo per la notte.”
 
“E poi zia Dedè ha fatto il sole e la luna coi biscotti! – esclamò Vato con soddisfazione, ansioso di raccontare al padre la sua giornata – E poi… e poi zio Max li ha mangiati e zia l’ha sgridato!”
“Sì, ma non agitarti così – Vincent gli bloccò le gambe per poterlo mettere nel seggiolone – a tavola si deve stare buoni e composti, lo sai bene.”
I due adulti avevano pensato che il piccolo restasse sveglio giusto il tempo di mangiare, ma l’eccitazione per la serata trascorsa con la zia la faceva ancora da padrone. Era così esagitato che afferrò la manica della camicia di Vincent per avere la sua completa attenzione.
“Sì, ti sto ascoltando – annuì il padre, liberandosi da quella piccola presa – non è necessario che tu tiri così i vestiti. Allora, zia Daisy ha sgridato zio Max, perfetto… che altro è successo poi?”
Rosie ridacchiò nel sentire la voce leggermente esasperata di Vincent: un piccolo Vato in quelle condizioni non era il massimo dopo una giornata di lavoro. Lui era abituato al bambino più docile che con timidezza gli raccontava le parole nuove che aveva imparato o al massimo gli diceva che cosa aveva mangiato per merenda. Il piccolo esagitato che smaniava di raccontare il minimo dettaglio della serata trascorsa con la zia gli doveva sembrare una versione di suo figlio alterata… ovviamente per colpa di Daisy.
“Su, su, piccolo oratore – lo chiamò Rosie, arrivando con il biberon di latte caldo – adesso dai tregua a tuo padre e bevi il tuo latte. Si sta facendo tardi per te.”
Ovviamente non era affamato, considerando quanto aveva mangiato in negozio, ma come sempre la docilità davanti agli ordini della mamma prese il sopravvento. Afferrato il biberon con le manine, iniziò a ciucciare beatamente senza fare il minimo rumore.
“Tregua!” sospirò Vincent, mentre Rosie gli si sedeva accanto ed iniziavano pure loro a cenare.
“E’ solo felice di poter condividere le sue piccole avventure con te – ridacchiò la donna, accarezzando con amore la chioma bicolore del figlio – il suo papà gli manca tanto durante la giornata, sai.”
“Mi manca anche lui, cosa credi?” sorrise Vincent, guardando il suo rampollo sollevare leggermente il biberon per permettere al latte di scendere meglio. Eccetto la chioma bicolore era la sua copia perfetta.
“Ed invece la tua giornata come è andata?”
“Niente di eccitate come fare i biscotti con la vipera, ma tutto bene.”
“Gradirei che non chiamassi così mia sorella, specie davanti al bambino. Che cosa andrà a pensare?”
“La semplice verità?” chiese Vincent con malizia, inarcando un sopracciglio con aria significativa.
“Mamma, Vato bevuto tutto latte!”
“Bravo, fiocco di neve – sorrise lei, recuperando il biberon e asciugandogli la bocca col bavaglino – adesso fai il bravo mentre mamma e papà finiscono di cenare?”
“Sì… ah! Papà! Zia Dedè insegnato a Vato una nuova parola… difficile, sai!”
“Ah sì? E quale?”
Vato si concentrò, cercando di ricordare la perfetta pronuncia e poi sorrise con soddisfazione, indicando il padre con la manina.
Mister Rigidità!”
“Che? – Vincent quasi sputò il suo stufato – Che hai detto?”
“Mister Rigidità! – ripeté Vato con orgoglio – Mister Rigidità!”
“Oh no… Vincent, amore, lascia stare dai.”
“Maledetta vipera, lo vedi che sta influenzando male mio figlio?”
“Papà, che è una madetta vipea?” chiese Vato, curioso di fronte a quelle nuove parole.
“E’ tua z…”
“E’ un animaletto, amore – intervenne Rosie con perfetto tempismo, alzandosi dal tavolo e andando a recuperarlo dal seggiolone – ma adesso credo che sia ora di cambiarsi, mettersi il pigiamino e fare la nanna, vero? Da bravo, dai la buonanotte al papà.”
“Buonanotte, papà!” Vato si sporse dalle braccia della madre per dare un bacio sulla guancia di Vincent e poi con un sorriso soddisfatto, felice di aver potuto sfoggiare la nuova e difficile parola, si appellicciò alla mamma.
“Buonanotte, figliolo…” borbottò Vincent, ancora profondamente offeso dallo smacco ricevuto dalla cognata.
 
“Mamma, una, dai!”
Rosie sospirò con accondiscendenza e poi si sedette vicino al bambino, già sotto le coperte e prese il libro di favole.
“Una paginetta, va bene?”
“Sì.” Vato si spostò in modo che lei potesse sistemare il libro vicino a lui e subito mise il ditino sulla prima parola. Vedendogli compiere quel gesto, niente di insolito, Rosie iniziò a ripensare alla storia dei cubi di Ally. Tutti lo archiviavano come piccolo incidente di gioco, ma lei era rimasta perplessa davanti ad un comportamento così strano da parte di un bambino timido come Vato.
Li avevano lasciati che stavano giocando con i dadi di legno con le lettere colorate su ogni faccia e qualche minuto dopo erano dovuti intervenire perché sia lui che Ally stavano piangendo. Sembrava che avessero litigato per il possesso dei dadi, tuttavia…
“Sbagliato parola e non vuole fare giusto!”
Vato aveva singhiozzato come un disperato mentre veniva preso in braccio.
Rosie cercò di ricordare le lettere nei cubi… sembrava un particolare sciocco però.
“C’era una volta in un bosco magico…” la sua voce era accompagnata da quella del bambino che quella fiaba la conosceva ormai a memoria e…
Bosc… bosca… ma certo!
Non poteva sbagliare: Vato mentre singhiozzava indicava i dadi messi in fila l’uno accanto all’altro.
Lui stava… scrivendo!
A nemmeno tre anni? Sembrava una follia, però…
“… un fata che parlava con gli animali.”
Rosie provò a scostare il dito, lasciando che fosse solo quello del bambino a tenere il segno. Fece la cosa con noncuranza, continuando a leggere con lentezza. E lui continuava a tenere il segno con precisione. Il piccolo indice seguiva la parola mano a mano che veniva pronunciata, lettera per lettera, sillaba per sillaba.
“Amore – mormorò Rosie, arrivando alla fine della pagina – cerchi la parola bosco, per favore?”
Vato la guardò perplesso e poi sorrise felice: immediatamente il piccolo indice corse alla parola ad inizio frase. Nessuna esitazione.
“E poi qui!” sorrise ancora il piccolo, scendendo alla seconda ripetizione, in mezzo alla pagina.
Per sicurezza Rosie ripeté quello che a Vato sembrava un gioco con altre parole, persino con l’articolo indeterminativo una. E puntualmente il figlio eseguiva, anzi sembrava felice di poter sfoggiare questa sua dote.
“Amore… Ally ha levato il dado con la o e ha messo quello con la a, vero?”
“E’ bosco, non bosca.” disse lui incupendosi.
“Ma certo – sorrise lei, accarezzandogli i capelli – hai ragione, è bosco.”
Rimase ancora qualche minuto con lui, il tempo di farlo addormentare. Restò a contemplare il visino rilassato che già si stava intrufolando sotto le coperte.
A nemmeno tre anni? E’ possibile?
Però gli elementi c’erano tutti: riconosceva le parole, le sapeva trovare, le sapeva… replicare, sebbene con l’aiuto dei dadi.
“Ehi – la chiamò la voce di Vincent – dorme?”
Rosie si girò verso il marito che si era affacciato discretamente alla porta.
“Sì, dorme – annuì lei – e legge anche…”
  
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