Possa
la tua spada portare onore a tutti noi
Una nuvola maleodorante di fumo
si solleva verso il cielo, annodandosi e disperdendosi nell’aria avvelenata.
All’altezza della strada, distrutta dai recenti combattimenti, il fuoco divampa
e divora le case abbandonate in fretta e furia; un tetto crolla con un gran
trambusto, un urlo in lontananza riecheggia, una bambola di pezza a forma di
gatto, che giace sul viottolo in cioccolato, viene raggiunta dalle fiamme.
Il numero delle vittime è stato
alto, ma la battaglia è vinta.
Yves è immobile davanti a un albero,
gli abiti in parte bruciati, il mantello sporco di terra, sangue e fango che
ondeggia nel vento, e allo stesso modo anche le mani, il viso e le due spade
che tiene in mano necessitano di una lavata.
Ma al momento non potrebbe
importargli di meno.
Il suo compito è stato portato a
termine: ha consegnato il sindaco ai suoi superiori, adesso è in ricognizione e
può perdere tutto il tempo che vuole a osservare il corpo di un uomo penzolare
da quell’albero. Si sarà impiccato per terrore e disperazione, immagina Yves, per non cadere in mano ai nemici.
Non è l’unico ad essersi
suicidato: pare che in quel piccolo paese sia una pratica molto antica, quella
di levarsi la vita se la situazione si fa disperata.
Un’altra delle loro mille
battaglie che viene combattuta in nome di dio. Anche stavolta l’Ordine ha
vinto, ma Yves, diversamente dal passato, sente che quella
vittoria è una sconfitta, perché non era con l’intenzione di massacrare che
erano giunti in paese il giorno prima.
«L’ostilità nei nostri confronti è
normale amministrazione.» aveva spiegato il suo maestro,
un uomo che si avvicinava alla terza età ma che ancora aveva la forza di un
giovane toro, quella mattina, prima di dar al suo soldato prediletto gli
ordini: attaccare il villaggio, prendere in consegna il sindaco e far quanti
più prigionieri e meno vittime possibile.
Il risultato è stato
catastrofico, però. Sono riusciti a catturare meno della metà della popolazione
dei ribelli, una parte di essi si è data alla fuga attraverso le montagne,
l’altra parte è perita.
Nessuno vuole affrontare il peso
della propria colpa: essere traditori.
Quel che l’Ordine fa ai traditori
è davvero spaventoso, pensa Yves, sentendo improvvisamente
un moto di timore misto a risentimento. Ma verso chi? Non verso l’Ordine,
questo è certo, poiché se non fosse stato per loro lui sarebbe stato solo un
neonato abbandonato e morto di freddo in una notte di neve, ai piedi di un
convento. Non sarebbe Yves de Saussure.
E allora dev’essere
per i ribelli, quel rancore. Ma Yves, pur sforzando
la mente appannata dallo sforzo e dalla stanchezza, non riesce comunque a
trovare un motivo per convincersi che quello è il destino che si sono tirati
addosso con le loro mani.
Stanco di star lì a rimuginare ed
osservare il fuoco mangiare la casa, l’albero e il suo impiccato, abbandona il
luogo prima che il fumo renda il suo roco respirare più difficile di quanto già
non sia.
Si avvia lungo il viale, il suono
dei suoi stivali è tutto ciò che ode nel silenzio di morte; si abbassa il cappuccio
rosso sui capelli biondi, sente in bocca il sapore del sangue e ricorda
d’essere stato ferito all’addome, ma non si tratta di niente di troppo serio,
se ne occuperà più tardi all’accampamento.
Le sue spade, che maneggia con
abilità sin dalla tenera età – dopotutto è stato cresciuto per diventare un
soldato, lui – sembrano più pesanti del solito. Sono più pesanti del
solito.
Tossisce, vorrebbe buttar fuori
tutto quel fumo che sente nei polmoni, ma si rende conto che le sue vie
respiratorie sono quasi completamente libere e in realtà è solo una sua
impressione. È la suggestione, è tutta quella
desolazione intorno a lui, che opprimerebbe chiunque.
Passa accanto a un altro paio di
cadaveri: un uomo con una freccia conficcata in pieno petto e un vecchio che
ancora stringe in mano la sua spada; Yves immagina
che anche lui un giorno morirà così, impugnando le sue spade per l’Ordine.
Non è affatto raro che un soldato
cada in battaglia, e di lì in breve ne ha la conferma.
Lo intravede nonostante il banco
di fumo e la distanza, accasciato contro il muro di quella che, a giudicare
dall’insegna, era una panetteria. Lo riconosce dal mantello rosso che si
confonde con la pozza di sangue ai suoi piedi: è uno di loro.
I suoi piedi si muovono da soli,
corrono senza remore in mezzo alla distruzione, in mezzo alla nube che puzza di
decomposizione e corrosione; i suoi polmoni gli urlano di non fare idiozie, che
stavolta non è un effetto della suggestione, ma Yves
raggiunge in pochi secondi il suo compagno e con rassegnazione fissa la lancia
che gli ha bucato lo stomaco e gli impedisce persino di appoggiarsi con
entrambe le spalle all’edificio.
Respirando il meno possibile, si
inginocchia davanti al compagno e gli solleva il cappuccio; in quel momento
l’altro spalanca i suoi occhi azzurri e li punta su quelli verdi di Yves, si abbandona ad un colpo di tosse violento, sputa
sangue e inizia ad ansimare di dolore.
«Toglila…» lo implora con voce strozzata:
non vuole quel corpo estraneo nel ventre.
Yves sa che non c’è più niente da
fare, ma questo arrecherà al suo compagno solo altra agonia e una perdita di
sangue che lo porterà alla morte in pochi minuti.
Nonostante ciò ripone le sue
spade e afferra la lancia, tiene fermo il commilitone e con un colpo secco estrae
l’arma da lui, che gli urla nelle orecchie fino a stordirlo.
La lancia cade a terra, il
soldato si accascia addosso a Yves, sanguinando
copiosamente e respirando a fatica.
«Grazie…» sussurra, prima che l’altro lo
appoggi con delicatezza contro il muro.
«Non sforzarti.» Yves
prova ad essere rassicurante; in molti nella sua sezione dell’esercito lo
conoscono e sanno che è una persona gentile, sempre sorridente, che cerca il
lato positivo di tutto, ma in quell’occasione è troppo difficile persino essere
se stessi «Vuoi che porti un messaggio a
qualcuno?»
Il compagno senza nome sa di
essere spacciato e l’ha già accettato, Yves glielo
può leggere nel volto pallido e smorto, ma il sorriso malinconico che gli
rivolge è come un colpo al cuore «No. Non ho… nessuno.»
Silenzio. Che cosa dire a una
persona che in punto di morte si accorge di essere sola al mondo?
«Ti capisco.» riflette Yves
sottovoce, ma poi aggiunge «Allora
resterò qui un altro po’.»
Vorrebbe farla suonare come una
piccola consolazione, come un hai me, che sono un tuo compagno, ma il fumo
nei polmoni lo fa soffrire e tossire. Ciò fa sorridere ancora l’altro, che
tossisce molto più di lui.
Quando sembra trovare un po’ di
stabilità, egli chiede «Sei… il francese, giusto?»
Sì, lui è il francese. È
ancora un po’ difficile per quelli della sede inglese accettare di avere un
francese tra le loro file, ma lo trattano tutti con pazienza quando non sa
tradurre questa o quella parola.
«Yves.»
conferma, annuendo «E tu?»
«Charles.» si presenta a
fatica l’uomo morente, con la voce che viene sempre meno e gli occhi che
cominciano a lacrimare.
Anche quelli di Yves si velano di lacrime e pizzicano: il fumo si sta
facendo pericolosamente denso, le fiamme si avvicinano e a breve passeranno
dall’osteria vicina alla panetteria.
«Ti porto via di qui,
Charles.» decide sul momento, ma viene interrotto da una mano che trema
nell’aria.
Charles piange in modo
doloroso, contemporaneamente il lago rosso ai loro piedi impregna i loro
vestiti e scorre come un countdown. Altri colpi di tosse, la testa che gira, il
calore che si avvicina e la strada che va a fuoco. La linea di confine tra vita
e morte è a pochi metri da loro quando Charles chiede che lo si aiuti a
sollevare la spada.
Yves capisce al volo cosa vuole
fare; lo aiuta a stringere l’arma in mano, poi solleva anche la sua: i loro polsi
si incontrano a metà strada e le lame s’incrociano.
Gli occhi del ferito
iniziano a spegnersi «Possa la tua spada…»
«Portare onore a tutti
noi.» termina il motto dell’Ordine Yves, per poi
aggiungere con un sorriso «La tua l’ha fatto.»
Non è certo che Charles
l’abbia sentito, ma immagina di sì, poiché muore con un’espressione serena sul
viso, il braccio che si accascia sulla strada sporca e distrutta. Gli occhi
azzurri si chiudono per sempre, la testa scivola di lato.
Yves sa che non può più star
lì: ogni parte del suo corpo addetta alla respirazione urla, la ferita all’addome
gli pulsa e comincia a perdere sangue, inoltre il cadavere di un compagno morto
è uno spettacolo davvero insopportabile.
Si mette in piedi, traballando
inizialmente in preda a un capogiro, poi si allontana, dando le spalle
all’incendio: non vuole assistere a quel che di lì a breve sicuramente accadrà.
Non vuole vedere Charles sparire tra le fiamme.
Stringe in mano una delle due
spade, finalmente esce dalla nube nera e sente l’aria farsi più respirabile.
Non si dimenticherà mai la voce
che ha calato il sipario sulla sua vita con quella frase.
Possa la tua spada portare onore
a tutti noi.
Note:
Era da
tempo che volevo scrivere qualcosa su Yves,
personaggio che uso in un gioco di ruolo ma che non ho quasi mai avuto il
piacere di giocare in una situazione che riguardi da vicino le sue missioni per
conto dell’Ordine, la setta religioso-militare di cui fa parte. Spero di
riuscire a scrivere qualcos’altro su di lui in futuro: avere un personaggio in
una setta è davvero particolare!
Per il
resto, era da tempo che non pubblicavo su EFP. Se qualcuno di voi mi segue, ho
il grande piacere di dire che ho finito Twisted Mind
e la sto rivedendo, assieme ad altre tre mie vecchie storie. A breve il mio
account subirà una bella rinascita, con tante nuove storie e altre vecchie
rivedute e corrette! Ringrazio infinitamente della grande pazienza tutti quelli
che ancor oggi mi chiedono del seguito di Snow: arriverà
presto, lo sto scrivendo; per adesso vi invito, se ne avete voglia, a tenermi
compagnia attraverso le altre storie.
A
presto!
Sely.