Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: NotFadeAway    16/07/2014    3 recensioni
Antiche leggende narrano che le persone quando muoiono ritornano sulla terra, l'anima è la stessa, il corpo non più. Ma su sette miliardi di persone, che speranza c'è di ritrovarle?
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sherlock pensava di essere quello che avrebbe trovato John. Ma si sbagliava. Fu John a trovare Sherlock, nel più inaspettato dei modi.
Ventidue anni dopo, Sherlock aveva colonizzato tutta la palazzina del 221 di Baker Street. Il 221A era vuoto e disabitato da due anni, la rampa di scale era ricoperta da riviste e giornali su ogni gradino e dal corrimano pendevano camice e calzini. Salendo fino al pianerottolo si vedevano diverse macchie che avevano scolorito il legno di porte e pavimento.
Il salotto di Baker Street, poi, era praticamente una giungla. Non solo la parete, ma anche le finestre e le porte erano state ricoperte di ritagli di quotidiani e pagine stampate, collegate tra loro da una ragnatela di fili di cotone, così fitta che c’erano persino delle vere ragnatele tra quelle maglie. Sherlock si muoveva in tutto quel caos come una bestia selvatica nel suo habitat naturale.
-Andiamo! Abbiamo già controllato la Scandiavia quattro volte, non può essere!- esclamò. Agitando le mani, saltò su una sedia per controllare un foglio di carta, poi scese e continuò a camminare per la stanza, ignorando completamente i pezzi d’arredamento: saliva sulla sua poltrona, poi sulla sedia, poi sul tavolino, poi sul divano e di nuovo, poltrona, sedia, tavolino, divano. E ancora e ancora.
Se ventidue anni erano passati, il suo fisico non doveva esserne al corrente. Asciutto, prosciugato, termine forse più adatto, con la faccia più rettangolare e l’aspetto leggermente allucinato. I capelli proiettati in dodici direzioni diverse erano più grigi, ma ancora tutti lì. Sul naso c’erano un paio di occhiali rettangolari e sottili, rosso scuro, che un secondo dopo volarono per la stanza.
Letteralmente.
Sherlock li lanciò strappandoseli dalla faccia.
-Sì! Hai ragione! La Lapponia! Come abbiamo fatto a non pensarci! – esclamò, in un impeto, -Accendi il computer! – scese dal divano con un salto, il telefono fece un “bip”.
-NON ORA! – gridò al cellulare, scaraventandosi sulla scrivania.

Sherlock si accorse che Molly era entrata nella stanza solo dopo moltissimo tempo. Il modo in cui si muoveva aveva qualcosa di ossessivo e poco salutare.
-Che ci fai qui? – sibilò, avvicinandosi con passo rapido, leggermente chino.
-Ti avevo mandato un messaggio, lo hai ignorato. Hai tolto il campanello fuori dalla porta. Per cui… Eccomi qui! -
-Come hai fatto ad entrare? -
-Ho le chiavi. Me le ha date Mycroft. Te l’avevo detto, mi pare… - gli mostrò un mazzetto di chiavi.
-Devo averlo rimosso. Non è importante. Vai via. Sì, Lapponia! – in un attimo era balzato sulla sedia e poi sulla scrivania, per strappare un foglio dalle corna della bestia appesa come un trofeo al muro.
-Sì, vado via subito… - disse, guardandosi intorno, leggermente preoccupata. – Ma ti volevo fare vedere una cosa… -
-Un libro. Sì. Grazie. Mettilo sul tavolo. Esci. –se ne ritornò soddisfatto sul pavimento con il ritaglio, digitando velocemente al computer.
-Non è solo un libro. Parla di te… Cioè più o meno… Me l’ha regalato una mia amica per il compleanno e il protagonista ricorda tantissimo te… -
Molly aveva già catturato l’attenzione di Sherlock con la seconda frase. Con due passi aveva coperto la distanza che lo separava dalla donna e le aveva strappato il libro di mano.
“Il ciclista solitario” di Owen Kelly.
Sherlock sfrecciò all’ultima pagina, al retro di copertina. Scorse con lo sguardo le prime righe e la trovò: la biografia di quel tale.
Owen Kelly, nato a Melbourne il 25 novembre 2017.
Sherlock sentì il cuore pulsargli nelle orecchie. Due battiti, netti, ritmici, che lo separarono dall’ambiente circostante per qualche secondo.
La data di nascita corrispondeva alla perfezione.
Strinse il libro tra le dita.
-Molly Hooper non smetti mai di stupirmi! – con dolcezza le diede un bacio su una guancia. – Grazie -


Aspettò che lei andasse via, poi con le lacrime agli occhi rivolse tutta la sua attenzione al libro.
“Il ciclista solitario” era la storia di un ispettore di polizia, Polly McNair, neozelandese, dai capelli scuri e l’aspetto longilineo, che aveva particolari capacità deduttive e che si ritrovava a risolvere il caso di una misteriosa sparizione.
Più Sherlock andava avanti con la storia e più John prendeva forma nella sua mente. C’era decisamene John dietro a quelle parole, a quella trama, a quel modo di scrivere (certo molto migliorato che nella sua vita precedente… -Questo è un uso corretto della punteggiatura, John! –). Un’immagine fresca dell’uomo della sua vita assumeva forma: era come se in parte stesse dissotterrando qualcosa che era già lì, in parte stesse scoprendo qualcosa che non conosceva di lui, ma che sapeva fosse tipico di John, e in parte, ancora, trovasse cose nuove, che non si sarebbe mai aspettato. Quel libro era un piccolo John portatile, se si sapeva come leggerlo. Era una boccata d’aria che soffiava via tutta la polvere da una vecchia cornice del passato.
Sherlock lo finì in una notte. La mattina dopo sapeva senza più alcun dubbio dove trovare John Watson.

Quella sera, come sempre, Owen era al campo di basket con un gruppo di cinque o sei persone. Inseguivano una palla arancione e si sudavano addosso, indossando solo dei pantaloncini e qualcuno (non Owen) anche una canotta.
Sherlock decise che non era un cattivo spettacolo dopo tutto.
Anzi. Era un bellissimo spettacolo. John. John era bellissimo.
Era alto almeno un metro e novanta, nero, con i capelli tagliati molto corti e gli occhi scuri che brillavano alla luce dei lampioni. Aveva un fisico asciutto, non era muscoloso, ma faceva comunque la sua figura ad andarsene in giro con quella palla in un gioco privo di scopo.
Sherlock si era seduto su una panchina e lo scrutava da lontano, poteva sentirlo parlare, non che avesse bisogno di ulteriori certezze.
Owen esultò per un goal… O un touch-down… O un canestro… Quello che era! Alzò le braccia e si scontrò con uno dei suoi compagni, sorridendo. Il cuore di Sherlock aveva iniziato la fase di scongelamento, tra un po’ sarebbe stato pronto per essere messo in forno a 180° ventilato.

Il giorno dopo Sherlock era al caffè preferito di John. Lui era seduto in un angolo, davanti ad un laptop e digitava freneticamente, con un croissant tra i denti.
Il detective si avvicinò al barista, chiese un tè e si sedette al banco.
-Senta, ma quel tipo laggiù è per caso quello scrittore? Owen Kelly? – chiese, facendogli un accenno con la testa.
Il barista posò una coppia di caffè espresso su dei piattini. Era sulla quarantina, sposato, figlie piccole, due femmine a giudicare dai disegni dietro al bancone, amante del rugby e del jazz, aveva una motocicletta e un pappagallo.
-Sì, viene qui tutti i giorni. Ha letto il suo libro? -
I baristi… Facili prede.
-Ho adorato il suo libro, c’è una scintilla di genialità nella mente di chi ha scritto una storia simile! -
Il tale ridacchiò. –Addirittura! Ehi, Owen! Hai già un fan! Hai fatto presto a diventare famoso! -
Sherlock fu colto alla sprovvista: non si aspettava di riuscire a parlare con lui così presto. Il ragazzo si girò in direzione del bancone, Sherlock lo vide fare la stessa espressione incuriosita di John, labbra incurvate, occhi ben aperti.
-Paul, non scherzare! -
-Non scherzo, è proprio… qui! Ma dov’è finito? -
La sedia vuota si stava chiedendo la stessa cosa.


Sherlock era a Baker Street. Il pavimento liso del soggiorno non riportava nessun’altra ombra a parte quella del detective. Si tolse la giacca e la posò sulla sedia, si sbottonò i polsini della camicia, nel frattempo si era avviato verso la camera da letto. Aprì la porta, i cardini protestarono e il legno fu graffiato dall’angolo inferiore ancora una volta, seguendo un vecchio solco. Prese la vestaglia appesa ad un gancio dietro la porta e la indossò. John era steso sul letto.
-Sei qui – Sherlock sorrise, si andò a stendere accanto a lui.
-Che ci fai qua? Non dovresti essere a cercarmi? -
Sherlock si appoggiò sul petto di John, dove poteva sentire il frusciare del respiro e il rumore sordo del suo battito cardiaco.
-Ti ho visto, oggi – mormorò.
-E? Come sono? Bello? -
-Molto più alto di certo, ma quello non era difficile da indovinare – scherzò Sherlock, - Sì, sei bellissimo -
-Bene! Devo mantenermi alla tua altezza, non solo letteralmente -
Il detective sorrise e si andò a prendere un bacio.
-Ma non ti ho parlato. Ho avuto l’occasione perfetta e non l’ho fatto. Sono un idiota -
-E finalmente conveniamo su questo punto! -
-Ho avuto paura -
John gli accarezzò i riccioli sulla nuca.
-Di cosa? Tu non devi mai avere paura, piccola ape -
Sherlock arrossì e si affondò ancora di più nel petto di lui.
-Non mi chiamavi così da moltissimo tempo -
-Si vede che mi sto addolcendo -  tagliò corto John, - Allora, di che cosa hai avuto paura? -
Sherlock rimase per un attimo in silenzio, insicuro se esprimere o meno quel pensiero ad alta voce. Ma d’altra parte quello era solo il suo Palazzo Mentale, non sarebbe mai uscito dalla sua testa.
-Di non essere capace di conquistarti di nuovo -


Premette la punta del dito sul campanello, un ronzio si sentì all’interno della casa. Pochi istanti dopo la porta si aprì.
Una donna di mezz’età, ma sempre più giovane di lui, era sulla soglia. Aveva anche lei la pelle scura e gli occhi neri, riscaldati dalla vita. Un sorriso sottile le decorava la parte inferiore del viso, i capelli glielo circondavano, corti, sparati per aria, sorretti da una bandana lilla.
-Salve, sono della stampa inglese, sono qui per l’intervista a lei su suo figlio -
-Oh! – la donna arrossì di un piacevole color lampone, - Non mi era stato detto niente! -
-Ho parlato con suo figlio ieri al telefono, mi aveva detto di venire a quest’ora… Pensavo l’avesse avvisata… - aggiunse Sherlock.
La donna agitò una mano.
-Mai che si ricordi una cosa, quello lì! Ma prego, venga pure! Non è tutto in ordine, come immaginerà, ma senza un preavviso… -
Sherlock sopportò questi e altri convenevoli, mentre il suo cervello fremeva sui blocchi di partenza.
Dopo aver accettato un tè, quattro tipi diversi di biscotti e il dolce della casa, finalmente arrivarono al sodo: John. O meglio, Owen.
-Partiamo dall’inizio: com’era da bambino? -
-Non che adesso sia tanto più grande! Non ha neanche compiuto ventidue anni quello lì! E lo guardi, è già famoso! -
Sherlock picchiettò contro un blocchetto, come se lui avesse bisogno di prendere appunti!
-E’ sempre stato un ragazzo molto vivace, non era mai in casa! Sempre fuori, a rischiare di rompersi l’osso del collo, quando tutti gli altri erano nel proprio salotto a giocare con i videogame. Ma è sempre stato anche molto dolce, mi regala ancora una rosa a S. Valentino tutti gli anni e mi porta a ballare. Cioè, balliamo nel salotto la nostra canzone, che ha deciso lui quando aveva tre anni. Lo vuole fare sempre! -
Sherlock sorrise genuinamente.
-Capisco. Lavora da qualche parte? Scrivere a parte, s’intende. -
-Lavora come volontario alla Croce Rossa e di tanto in tanto ha minacciato di partire per delle missioni umanitarie per dare una mano! Non sei neanche un medico, gli dico io, a che cosa puoi servire lì? Ma lui niente, anche se è pericoloso, ci vuole andare lo stesso! Per fortuna il suo libro ha avuto successo, magari così si mette con l’animo in pace e non cercherà più di farmi morire di crepacuore andando in zone di guerra! -
Sherlock annuì, poi decise di lanciarsi sulla domanda la cui risposta temeva di più.
-E per quanto riguarda gli affari di cuore? C’è qualcuno nella sua vita? -
La donna roteò gli occhi.
-Diciamo… Non so se si può definire proprio una relazione quella tra lui e Sylvia, stanno assieme da quattro anni, ma si lasciano e si riprendono ogni due settimane… Non so come li vedo quei due… -
Per un attimo il cervello di Sherlock si annebbiò.
Page blank.
Solo il tum tum tum continuò del cuore e nient’altro.
Riprese il fuoco della stanza e tornò a fissare la donna. Mise su un paio di domande su di lei e fuggì alla prima occasione.

Concorrenza. Aveva una concorrente. No, basta concorrenti! Quello era il suo John! Ne aveva abbastanza di concorrenti! Prima tutta la stringa di ragazze di John, poi Mary e adesso una sciacquetta qualunque voleva di nuovo portarglielo via? Non ci è riuscita un’assassina addestrata della CIA, non ci riuscirai certo tu, avrebbe voluto dirle. Ma ora le cose erano cambiate. Non aveva più trent’anni, ne aveva cinquantotto. Non riusciva neanche più a formulare quel numero, così pesante! Non era cinquantotto anni che si sentiva di avere! Eppure li aveva, il suo corpo andava d’accordo con la sua età effettiva e con quell’aspetto non aveva nessuna speranza di conquistare il suo John. Certo, nessuna speranza a parte il fatto che loro erano destinati a stare assieme.
Rise di sé, stava iniziando a pensare come una ragazzina di quattordici anni, e si avviò al quindici di Southern Street, l’indirizzo di Sylvia.

Sylvia non era lì, ma l’avrebbe aspettata. Aveva tutto il tempo di pianificarne l’omicidio e di sondare le vie di fuga. Sarebbe stato un lavoretto semplice e pulito, poi avrebbe imbavagliato John e lo avrebbe scaricato sulla sua poltrona rossa a Baker Street, gli avrebbe comunicato la data del loro imminente matrimonio e tutto sarebbe tornato come prima.
Un paio d’ore più tardi Sylvia arrivò: alta, capelli scuri, ondulati, la vita sottile, gli occhi chiari. Sembrava l’esatta copia di Polly, l’ispettore di polizia del libro di John, che a sua volta, per un puro scherzo del destino,  era la versione femminile di qualcun altro…
Vedo che non hai perso il tuo buon gusto, pensò.
Per fortuna Sherlock era dietro un cespuglio, in piena modalità stalker, perché John era con lei. Si tenevano per mano e camminarono in silenzio, fino al vialetto. Si fermarono, si lasciarono le mani e si baciarono.
Sherlock lo vide arrivare lentamente, ancora prima che succedesse, come una vite che viene attorcigliata nel suo foro più e più volte prima di entrare. Sentì dolore e nostalgia e gelosia tutte assieme e tutte nello stesso momento, quando vide John baciare un’altra donna.
Ecco, questo era un altro problema. Era una donna! John Non-sono-gay Watson era tornato ed ora era più forte che mai! Con quell’aspetto, poi, avrebbe avuto tutte ai suoi piedi. Tutti. Sherlock era già in fila. Era il primo della fila. No, lui non era in fila, perché non c’era una dannata fila! Perché John era suo e basta! Niente discussioni! Niente stupide file! Niente stupide fidanzate! Niente stupidi fidanzati che muoiono perché sono stati investiti da una stupida macchina pochi mesi prima di uno stupido matrimonio! Niente.

Una settimana era passata, lui non ringiovaniva e ancora non aveva parlato con John.
Non ricordava più il giorno in cui aveva smesso di aspettare quell’incontro e aveva iniziato a temerlo.
Si era di nuovo seduto in un angolo del parco, su una panchina, a guardare John giocare a pallacanestro con gli amici. Aveva una canottiera celeste che faceva risaltare ancora di più la sua pelle scura, imperlata di sudore. Si muoveva silenzioso e agile sul campo.

-Come se non ti avessi notato -
Sherlock sentì una voce alle sue spalle indirizzarsi a lui. Si voltò, già sapendo chi si sarebbe trovato davanti, con i visceri che iniziavano a competersi lo spazio della cavità addominale.
La partita era finita da poco, erano andati tutti via e Owen/John si stava avvicinando con un asciugamano poggiato sulla nuca.
-Non è la prima volta che ti vedo da queste parti, amico – aggiunse.
Sherlock tentò di pensare velocemente a qualcosa, ma il suo cervello sembrava sguazzare nel panico e un cartello di “Accesso Negato” grande quanto un bue sventolava alle sue porte.
-Sono un fan del basket -
Owen/John fece una faccia perplessa.
-E anche del sottoscritto, a quanto pare. Tu sei lo stesso tipo del bar e assomigli al giornalista che mi ha descritto mia madre – si sedette sulla panchina, con le gambe accavallate e asciugandosi un lato della testa, -Mi stai seguendo? -
UuuuuuuuuuuuuuuuuuhhhhhhhhhAaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhUuuuuuuuuuuuuuuuuhhhhhhhAaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhUuuuuuuuuuuuuuuuuuhhhhhhhhhhhhhhhAaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhh! Sì, faceva più o meno così l’allarme nel cervello di Sherlock, non dissimile da quello di una centrale nucleare in esplosione.
-Io… Veramente… Sono venuto per parlare con te – si vide costretto a dire, incapace di tirare fuori un piano. Nel frattempo vedeva un piccolo John nella sua testa che sghignazzava, responsabile della chiusura del suo cervello, soddisfatto di averlo costretto a parlare con Owen/John.
-Okay… Sono qui, parla pure -
Tum tum tum tum tum tum tum tum tum tum tum tum.
-Non… Non è una cosa semplice da dire. Potremmo andare a bere qualcosa e io cercherei di spiegarti tutto. -
-Un drink con un perfetto sconosciuto? Va benissimo! Quando? -
Sherlock si dimenò contro i cancelli serrati del proprio cervello, sbattendo i pugni sulle sbarre di metallo.
-Stasera? – rispose, esitante.
-Perfetto. Alle dieci al Beach Bungalow. Sai dov’è? -
-Lo troverò -
Owen/John si alzò, -Non tarderò! – gli fece un occhiolino e sparì tra i viali del parco.


Schizzò su per le scale di Baker Street, facendo irruzione nel salotto.
-Ho parlato con te! – disse, il petto che si alzava e si abbassava rapido. –Ho detto che ti avrei spiegato tutto stasera. Che faccio? -
John gli andò incontro, prendendogli le mani e intrecciando le proprie dita con le sue.
-Sii te stesso -
Sherlock roteò gli occhi.
-Che consiglio banale, John. Davvero inutile, grazie! -
-Primo: sono nella tua testa, quindi il consiglio inutile è il tuo. Secondo: il consiglio non è inutile perché io non mi sono innamorato di nessun altro se non che di te. Del te insopportabile, che sapeva già tutto di me prima ancora che io dicessi “ciao”. Per cui, il mio consiglio non cambia: sii te stesso – disse, baciandolo velocemente sulla bocca.

Questa volta era importante mantenersi lucidi, lasciare lavorare il cervello ed essere più chiari possibile. La situazione era già abbastanza delicata.
Il posto dove si erano dati appuntamento era perfetto: il Beach Bungalow era effettivamente un beach bungalow. C’era una gigantesca capanna di legno e paglia sul bordo di una delle spiagge della città, con tavolini sparsi ovunque sulla sabbia tra una pozza di luce di un lampioncino ed un’altra.
Sherlock arrivò per primo, dopo pochi minuti fu raggiunto da Owen/John e si trovarono un tavolo.
-Sembri un tipo misterioso, mi piace il cappotto – disse, appena si sedettero.
Owen/John ordinò una birra e attese che Sherlock si decidesse a iniziare.
-Benissimo, io comincio a parlare, ma sappi che nulla di quello che dirò ti sembrerà avere un senso, eppure hai la mia parola che è vero. Ti chiedo solo di ascoltarmi fino alla fine e poi potrai farmi domande, andartene, fare quello che vuoi -
Owen/John assaggiò la schiuma della birra, -Sentiamo -
Sherlock deglutì, ma mantenne il completo controllo della sua mente, si era preparato bene su come dire quello che stava per dire.
-Viviamo in un mondo in cui si sa poco sulla morte e nulla di quello che succede dopo. Io sono un consulente investigativo, Owen, l’unico al mondo, e ho notato che vi sono delle costanti nelle persone che camminano su questo pianeta. La mia ipotesi, e non la definirei più tale perché l’ho confermata, la mia idea è che le anime ritornino dopo la morte e si reincarnino in un nuovo corpo, per vivere una nuova vita. -
Owen/John pareva perplesso, ma non lo interruppe. Aveva, piuttosto, ancora l’espressione del “Buon per te, amico, ma io che c’entro?”.
-Ovviamente su sette miliardi di persone, rintracciarne una è un compito pressoché impossibile, ma non del tutto impossibile -
L’altro assunse un’espressione più tesa, si raddrizzò sulla sedia.
-Io sono convinto di aver trovato la persona che sto cercando da esattamente ventuno anni. Quella persona sei tu, Owen Kelly. No, aspetta! Non ho finito! -
Owen/John lo ignorò e si prese lo stesso la parola, -No, aspetta tu! Sei fuori di testa? Passi la predica sulle anime, anche se si tratta di tutte sciocchezze, ma questa poi! – stava quasi per alzarsi, Sherlock lo afferrò per un polso e lo fece risedere.
-Aspetta che finisca la storia, io posso convincerti che è vero! -
-E sentiamo? Chi sarei stato in questa fantomatica vita passata? -
Sherlock aveva tutto pronto, estrasse una foto dalla tasca del cappotto. Il suo uomo biondo preferito era da solo al centro di essa.
-John Watson, quinto fucilieri Northumberland.  Medico militare e mio collega per circa dieci anni. -
Owen/John prese la foto, la guardò incuriosito, ma nessun segno di illuminazione appariva sul suo volto.
-Mi dispiace, non mi dice niente – la posò di nuovo sul tavolo, spingendola via.
-No, ovvio che non ti dica niente. Ma devi ascoltarmi… Il libro, “Il ciclista solitario”, Polly sono io -
Owen/John a questo punto si alzò di scatto, Sherlock fu costretto ad alzarsi a sua volta per impedirgli di andare via. Indicò a caso uno degli clienti del bar.
-Surfista, ha un gatto, vive nell’entroterra, ha recentemente bucato una ruota della macchina, ha una sorella. -
L’uomo si girò a guardare stupito la ragazza che aveva indicato Sherlock, evidentemente la conosceva.
-Quella è Sally! Oh mio dio, hai ragione. Come diavolo hai fatto? – lo guardò sbalordito.
-Ha un segno sulla caviglia, è rossiccio, non può essere una cavigliera, non è delle scarpe, è troppo in alto e fa troppo caldo qui per portare degli stivaletti, quindi è una sorta di laccio, siamo in Australia, in una città di mare, è il laccio della tavola da surf: surfista.
Il gatto è facile, ci sono dei peli, troppo sottili per essere di cane, inoltre si trovano attorno alla gamba del pinocchietto, ad un’altezza tale che solo un gatto potrebbe raggiungere, magari attorcigliandovi la coda. Essenzialmente la scelta è tra cucciolo di cane e piccolo gatto, ma dal pelo è ovvio che a questo punto si tratti di un gatto.
Indossa un costume, ma porta una borsa con dei ricambi, una delle pareti di questo zaino è bagnata, è scolorita e presenta diverse altre macchie di umidità, quindi si è tolta il costume bagnato e ne ha messo indosso uno asciutto. Non lo avrebbe fatto se abitasse vicino la spiaggia, perché verrebbe a piedi o il tragitto in auto sarebbe breve, ma invece si cambia il costume per non bagnare il sedie della macchina, quindi ci deve mettere un po’ per arrivare: vive nell’entroterra.
Sul gomito destro ha delle lividure e delle piccole escoriazioni, poco visibili. È probabile che abbia bucato una gomma e che sia stata costretta a continuare a guidare in condizioni disagiate. Come il 75% degli automobilisti, è abituata a tenere il gomito del braccio opposto al cambio poggiato sul finestrino aperto. Strada dissestata più ruota bucata spiegano le lievi escoriazioni. Quindi sì, ha forato una gomma.
Quanto alla sorella, la canotta che indossa è nuova, ma è slabbrata sui bordi. È evidente che è stata indossata da qualcun altro oltre che da lei. Una madre? Poco probabile dato il capo d’abbigliamento. Quindi una coetanea. Una sorella, direi, amica è meno frequente. Sorella che ha l’abitudine di prendere in prestito le cose dal suo armadio e che è almeno di due taglie in più a lei -
Per quando Sherlock ebbe finito di parlare, Owen/John aveva già raggiunto la flessione massima della mandibola, mettendo a dura prova la sua articolazione temporo-mandibolare.
-Ma cosa? Come? Questo era come… -
-Polly McNair – conclusero assieme.
-Il personaggio del mio libro! Non è possibile! -
Sherlock si avvicinò.
-Lo è perché il personaggio del suo libro sono io. In qualche modo ti ricordi ancora di me, Owen, e ne hai scritto ne “Il ciclista solitario”. È incredibile, lo so, ma è successo! Questi sono i fatti -
Owen/John dovette andare a risedersi per un momento. Continuava a scuotere il capo e a ripersi quanto assurda fosse quella situazione.
-Hai barato. Hai sicuramente barato! Hai parlato con Sally e ti sei fatto dare quelle informazioni! -
Sherlock si accomodò sullo schienale e intrecciò le dita sul tavolo, - E allora mettimi alla prova, se non mi credi. Scegli una persona a caso e vedremo -
Inutile dire che Sherlock superò la prova.
-Okay, sei bravo – si rassegnò ad ammettere Owen/John, con due goccioline di sudore freddo che gli colavano sulle tempie, -Ma il fatto che tu sia come Polly McNair è solo una coincidenza. Magari per questo mi hai cercato… No, niente da fare, non ti credo -
Sherlock si chinò in avanti sul tavolo, gli afferrò i polsi e si sporse verso di lui.
-No! Tu devi credermi! Tu sei John Watson! Voi due siete la stessa persona! – era a tanto così dal gridare.
Owen/John si era ritirato con la faccia lontano da lui.
-Beh, comunque sia ora non è più importante! Se questo tuo amico è morto, mi dispiace. Se ora ci sono io al posto di lui, mi dispiace. Ma le persone muoiono e tutti se ne fanno una ragione, fattene una anche tu – si liberò dalla presa di Sherlock e si alzò per la terza volta da quella sedia.
-John Watson non era soltanto un mio amico, Owen. Era il mio fidanzato -
Owen/John cambiò espressione, il viso si addolcì. Si avvicinò al Sherlock, che era scattato in piedi.
-Senti, mi dispiace sul serio per qualunque cosa sia successa a quest’uomo. Mi dispiace che tu abbia perso il tuo fidanzato e che tu ti sia dato la pena di cercarmi. Io non posso sapere se quello che tu dici è vero, sinceramente non credo che lo sia, ma, ascoltami, comunque stiano le cose, non posso aiutarti. Non so cosa ti aspetti adesso da me, tu sei un uomo brillante, davvero geniale, ma io non sono gay. Non credo che funzionerebbe -
Non attese risposta, non che al momento Sherlock fosse in grado di dargliene una, e se ne andò.

John lo stava aspettando davanti all’entrata del 221B, aveva le braccia incrociate sul petto e lo intercettò appena lo vide arrivare. Sherlock fece per tirare fuori le chiavi, John si mise davanti alla porta.
-Non puoi entrare più lì – fece di no con il capo, fermando l’altro con una mano.
-John, non ora! –
-Devi ascoltarmi, sul serio, non devi più entrare a casa – John aveva usato un tono fermo, si accorse solo in un secondo momento che Sherlock stava reprimendo le lacrime, visibilmente scosso. –Che cosa è successo? -
-Ho parlato con Owen. Non mi ha creduto e ha aggiunto che, anche se fosse tutto vero, lui non può aiutarmi perché non è gay! Sei sempre il solito! -
John scoppiò a ridere. –Ma è vero! Non sono gay, non sono tutti gli uomini, sei solo tu! -
Sherlock continuava a guardare il pavimento.
-Riuscirai a riconquistarmi, ne sono convinto, però, devi ascoltarmi prima. Guardami – John richiamò la sua  attenzione afferrandogli un braccio, - C’è qualcosa che ti trattiene e quel qualcosa è… questo – fece un gesto ampio per includere tutta Baker Street. – Quello che tu stai cercando non è ritornare alla vecchia vita, Sherlock, è me che tu stai cercando. – lo scosse, come per convincerlo della cosa.
- E, più importante, devi accettare che io non sono più così, - indicò se stesso stavolta, - Ma così – improvvisamente il vecchio John scomparve, il nuovo Owen gli stava davanti, Sherlock si vide privare del fiato, - Vedi? Sono sempre io. Sono sempre John, però tu ora chiamami Owen. Devi farlo è importante– la mano di Owen scese sul braccio di Sherlock, fino al palmo di lui, poi intrecciò le proprie dita con le sue. Sherlock ora era teso e confuso.
-Ma io lo so questo, John. – tentò di dire, -Solo qui preferirei vedere te -
-Questo è me. Sherlock, non dovrai più vedermi com’ero, hai le foto per quello, devi vedermi per come sono, perché fino a quando tu non sarai convinto che Owen è John e che John è Owen, io non potrò mai innamorarmi di nuovo di te. Devi fare questo passo tu, prima, per convincere anche me là fuori. -
Sherlock sembrava completamente perso ora, si guardava attorno e aveva la vista confusa a causa delle lacrime che combatteva per non versare.
-Ma io non voglio dimenticarti, John. Io voglio restare con te, voglio le cose come prima -
Owen gli strinse entrambe le mani, lo guardò intensamente.
-Tu non mi stai perdendo, Sherlock, tu mi stai ritrovando. Se per te il fatto che abbia un accento inglese e i capelli biondi è più importante di chi sono veramente, allora c’è poco da credere che tu mi ami per davvero. Ma io lo so che non è così, perché ci siamo ritrovati e anche senza Baker Street, anche senza che io sia un medico militare, anche senza il cuscino con la bandiera inglese e il mio blog, noi possiamo essere ancora noi. Sherlock e Owen. -
A un certo punto, durante quel discorso, Sherlock si era arreso e aveva iniziato a piangere. Owen tese le braccia verso di lui.
-Vieni qui -
Sherlock si perse nelle braccia di un uomo che ora doveva imparare a riconoscere come John.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: NotFadeAway