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Autore: Laylath    16/07/2014    1 recensioni
(Spin off di Un anno per crescere )
Più di venti anni prima che un gruppo di ragazzi intrecciasse i propri destini in un piccolo angolo di mondo, a New Optain, una pasticciera ed un poliziotto fanno il loro primo incontro.
Ecco la storia di Vincent e Rosie, i genitori di Vato.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Vato Falman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo XV

1884. Sconvolgimenti.

 

Il piccolo indice di Vato si muoveva sulla farina che era sparsa sul tavolo ma, nonostante la concentrazione del bambino, la lettera r proprio non voleva uscire. All’ennesimo tentativo fallito il bambino batté la mano sulla superficie infarinata con notevole stizza, ottenendo come risultato una nuvola bianca che lo fece starnutire più volte.
Con aria profondamente offesa il piccolo, ormai quattro anni e mezza, scese dalla sedia e andò ad accoccolarsi in un angolino del salone, la faccia volta contro il muro: non venire a patti con lo scrivere gli dava profondo fastidio. Sembrava che tutta la sua grande intelligenza si fosse riversata nel leggere e nell’imparare a memoria, ma per quanto concerneva lo scrivere incontrava le difficoltà di qualsiasi bambino della sua età.
“Che succede, amore?” chiese Rosie, andando verso di lui con un panno bagnato e pulendogli il viso e le mani sporche di farina.
“Non so scrivere – mormorò lui con profonda delusione – non ci riesco.”
“Non te la devi prendere così – lo consolò lei – ogni cosa a suo tempo.”
“Ma io so come si scrivono le lettere – confessò il piccolo, guardandosi le mani che proprio non volevano collaborare con quanto aveva in testa – perché non funziona, mamma?”
“Vedrai che col tempo ci riesci, fiocco di neve. Anche io ho imparato quasi subito a preparare i biscotti, ma per fare la crema buona come la faccio adesso ho dovuto fare molta e molta pratica. Ci sono cose che una persona riesce a fare con più facilità e altre che invece risultano più difficili.”
“Ally sa scrivere ed è già in prima elementare.”
“Amore, Ally ha sei anni non quattro come te.”
“Quattro e mezza, mamma – specificò lui con importanza – anzi quasi cinque.”
“In ogni caso, piccolo mio, devi renderti conto che a quasi cinque anni ci sono molte cose che ancora non puoi fare, ma non è niente di grave.”
Vato emise un piccolo lamento, come se quella spiegazione non lo soddisfacesse del tutto. Ma poi si arrese a quella piccola e nuova lezione di vita e si fece abbracciare dalla madre, riuscendo persino a sorridere timidamente.
“Vieni, mio piccolo lettore – lo consolò Rosie, vedendo che il momento di autocommiserazione era finito – se vuoi la mamma ti fa leggere un nuovo libro.”
Quelle parole bastarono per far tornare l’entusiasmo al bambino che corse immediatamente verso la libreria, aspettando che la madre lo raggiungesse: ormai i libri delle favole li conosceva tutti a memoria e, anche se amava tantissimo rileggerli, bramava di poter scoprire qualcosa di nuovo in tutti gli altri libri che c’erano a casa.
Purtroppo però, sembrava che non fossero sempre adatti a lui, tutt’altro: doveva chiedere alla mamma o al papà se andava bene che lui li prendesse o meno. Su questo il papà era stato categorico e l’unica volta che gli aveva disobbedito era stato messo in castigo nell’angolino e aveva ricevuto anche una sculacciata.
Per questo ricevere un libro dalle mani della mamma era una grande cosa.
Dopo aver scoperto la sua precocità, Rosie e Vincent aveva discusso parecchio su quanto era meglio fare. La soluzione migliore era stata quella di mezzo: non l’avevano forzato ad abbandonare un’attività che per la sua età era troppo impegnativa, ma non gli avevano nemmeno permesso di eccedere. Poteva leggere, certamente, ma sempre e solo quello che gli era permesso, senza contare che non poteva stare sui libri più di qualche ora in tutta la giornata.
Rosie scrutò con attenzione i titoli, chiedendosi quale libro potesse andare bene a un bambino dalla precoce intelligenza, ma pur sempre di quattro anni. I romanzi erano da escludere, così come i libri che riguardavano il lavoro di Vincent… effettivamente la loro libreria stava offrendo sempre meno possibilità.
“Vediamo un po’ – sorrise infine, prendendo un volume dai ripiani più alti – questo è il libro di scienze della mamma di quando andava alle scuole elementari.”
“Scienze?” chiese il piccolo perplesso, avvicinandosi ancora di più a lei e mettendosi in punta di piedi per poter osservare la copertina rigida.
“I concetti sono spiegati in maniera semplice e non dovresti avere problemi. Qui dentro sono spiegate tante cose di animali, piante e quanto altro: credi che possa essere interessante?”
“Oh sì, mamma! – esclamò lui, allungando le mani per prendere il prezioso tesoro – Grazie!”
Immediatamente corse in camera sua, nel piccolo angolino che aveva dedicato alle letture: si trattava di uno spazio che aveva ricavato tra la parete e il cassettone dove stavano i suoi vestiti e la biancheria per il letto. Vi aveva messo dei vecchi cuscini in modo da creare un comodo nido e ogni volta recuperava il suo orsetto di pezza e si metteva a leggere con lui accanto.
Sicura che il piccolo sarebbe stato immerso nelle letture per diverso tempo, Rosie tornò a preparare la torta per la visita di sua sorella quello stesso pomeriggio.
 
“Nomina a capitano?” Vincent sgranò gli occhi con incredulità mentre Alan annuiva.
“Sì, ma non prenderla come un premio – spiegò con serietà squadrando l’amico – in realtà ti voglio levare di torno, Vin.”
“Per quella storia della missione del mese scorso, presumo.” capì lui, facendo due più due con estrema rapidità.
“Indovinato – Alan si grattò in capo con aria pensosa, come se cercasse una soluzione a quella situazione spinosa che gli si era presentata – è una notizia quasi certa e dovrebbe venir notificata entro il prossimo mese. In genere cose simili non dovrebbero uscire fuori dall’ufficio, ma sapendo che riguardava te…”
“Apprezzo molto il pensiero, amico mio – Vincent sorrise e mise una mano sulla spalla del giovane che, in tutti quegli anni, gli era comunque rimasto vicino – e sta tranquillo che non ti metterò nei guai.”
“Vorrei solo poter fare di più – sospirò l’altro – insomma, non è giusto che tu venga spedito in un posto così lontano: quel paesino è così… fuori mano! Tu vali decisamente di più che essere il capitano di polizia di un piccolo angolo di mondo come quello e...”
“Tenente Vincent Falman! – una nuova voce fece scattare i due poliziotti sull’attenti – è da qualche giorno che non la vedevo.”
“Non c’è stata occasione, signore – disse con tono neutro Vincent, squadrando il suo superiore nonché il sicuro artefice di tutta quella storia – il lavoro d’ufficio mi ha tenuto molto impegnato.”
Non si erano mai sopportati, sin dalla prima missione a cui Vincent era stato aggregato, ma per i compiti che svolgeva quella particolare squadra le doti del tenente Falman erano state necessarie diverse volte.
“Ah, davvero peccato – l’uomo si lisciò il pizzetto con espressione falsamente delusa – nessun’altra missione per mettere in mostra il tuo grande valore? Questa città non offre grandi spunti, vero ragazzo mio? Eppure avresti una grande carriera davanti, considerato che sei tenente a trentatre anni. Chissà, magari troveremo altri luoghi più interessanti dove il tuo talento sarà utilissimo.”
Non diede tempo di replica, del resto che cosa avrebbe potuto dire Vincent Falman, un grado inferiore a quell’uomo?  Almeno questo era quello che sicuramente pensava mentre si allontanava con aria tronfia: in realtà Vincent non aveva replicato perché sapeva che con certa gente era meglio lasciar parlare i fatti. Quell’ufficiale era un grandissimo incompetente, arrivato in alto solo grazie al nome di famiglia, tutti lo sapevano.
“Non dovevi prendere l’iniziativa durante la missione.” commentò Alan a bassa voce come l’uomo ebbe girato l’angolo del corridoio.
“Non potevo permettere che degli uomini rischiassero la vita per la sua incompetenza – ritorse Vincent, tutt’ora convinto della sua scelta – e se il prezzo da pagare per averli riportati in commissariato illesi e con quella banda arrestata è questo, ben venga. Dunque è proprio certa la cosa, eh? Me l’ha praticamente detto lui stesso.”
“E’ una persona odiosa, ma purtroppo i suoi gradi ed il nome della sua famiglia contano molto. E ora cosa farai, Vin?”
“Non c’è niente che possa fare: se tentassi di oppormi quello potrebbe anche accusarmi di insubordinazione per aver preso il controllo della missione. E vincerebbe, a prescindere dalle testimonianze… sappiamo come vanno queste cose. Presumo che ne dovrò parlare con Rosie e prospettarle l’idea di un prossimo trasferimento…”
Disse quelle parole con notevole disinvoltura, addirittura scrollando le spalle, ma in cuor suo si sentiva in colpa per coinvolgere in qualche modo sua moglie e suo figlio nel suo lavoro. Insomma, Rosie sapeva benissimo che rischi comportava essere un poliziotto, ma l’idea che dovesse subire un trasferimento simile e degradante… praticamente una punizione, un’umiliazione.
Era molto combattuto: da una parte non rinnegava assolutamente la sua iniziativa, anzi ci aveva goduto parecchio nel mettere in secondo piano quel pallone gonfiato. Anche tutti gli altri poliziotti la pensavano in questo modo. E lui sapeva benissimo sin da principio che conseguenze potevano esserci per quel suo gesto. Ma sul piatto della bilancia c’era anche la sicurezza dei suoi colleghi di lavoro: la scelta alla fine era obbligata e non l’avrebbe mai rinnegata.
Dannazione, ora che ho famiglia però…
Già, fosse stato ancora celibe sarebbe stato tutto più facile e quel trasferimento l’avrebbe accettato con maggiore serenità. Ma se a New Optain lui non aveva molti legami, Rosie aveva tutta la sua amata famiglia che, in un modo o nell’altro, aveva adottato anche lui.
Oggettivamente… con che faccia tosta poteva dirle che nell’arco di un paio di mesi avrebbero dovuto fare le valige?
 
“Se vuoi lo metto a letto – suggerì Rosie, vedendo che Vato si stava ormai appisolando tra le braccia della zia – ce l’hai in braccio da quando sei arrivata.”
“Ma no, lascialo stare – sorrise Daisy, accomodandoselo meglio – adoro tenerlo in braccio, per quanto stia diventando davvero alto: è un po’ difficile trovare una sistemazione comoda oramai.”
“E’ più alto di Ally, nonostante lei sia più grande di due anni – constatò Rosie – nell’ultimo mese è cresciuto di due centimetri buoni. Mettesse su anche un po’ di pancia… eppure mangia con appetito.”
“Costituzione, direbbe tuo marito, ed in questo caso non posso che dargli ragione. Ma come può un adorabile pasticcino come Vato avere come padre Mister Rigidità?”
“Proprio non ce la puoi fare ad abbandonare quel nomignolo, vero?”
“E’ un po’ come chiedermi di non chiamarti più piccolo fiore. Pensi che non sappia che lui mi chiama vipera?”
“Vi meritate a vicenda come cognati… uh, attenta, così ti sbava il vestito.”
Immediatamente recuperò un fazzoletto e lo passò con delicatezza sulla bocca semiaperta di Vato che, a quel gesto, ne approfitto per mettersi il pollice in bocca.
“Dannazione è tremendamente dolce – sospirò lei con malinconia, accarezzando la guancia del bambino – non so cosa darei per…”
La frase si interruppe ed una lacrima scivolò sulla guancia della donna.
Fu una cosa così improvvisa che Rosie ne rimase interdetta: niente fino a quel momento aveva fatto presagire un simile cambio d’umore.
“Ehi – le disse andandole accanto – che succede, sorellona.”
“Prendilo che altrimenti rischio di svegliarlo – consigliò lei, tendendole il bambino – oh, piccolo fiore… credo di non poter avere figli.”
“Che?” Rosie sgranò gli occhi e d’istinto strinse il bambino al suo petto. Per qualche istante fu colta dal pensiero di non poter più godere della presenza di suo figlio, del legame che aveva con lui e si sentì incredibilmente persa e svuotata. Guardò con ansia la sorella, incredula che proprio lei e Max non potessero avere figli.
“Nell’ultimo anno ho avuto due aborti e non sono i primi – spiegò la donna, con un sospiro tremante – Max non lo sa e non lo deve venire a sapere assolutamente… lo sai solo tu e la mamma, nemmeno Alyce. Ovviamente deve restare tra di noi.”
“Ma sei andata dal medico?”
“Sì, l’ultimo aborto mi ha provocato perdite per diversi giorni… niente di preoccupante, del resto non ero nemmeno al secondo mese. Insomma non è che sia escluso, ma forse in me c’è qualcosa che mi impedisce di portare avanti la gestazione… non che sia sterile, ma… a questo punto è la stessa cosa, no?”
Rosie scosse il capo e andò a sistemare Vato nel divano. Poi corse ad abbracciare la sorella che, finalmente libera di sfogarsi, scoppiò in un pianto dirotto. Non era per niente giusto: Daisy era una di quelle donne che avrebbe fatto faville come madre, lo si capiva da come sapeva destreggiarsi con i nipoti. E anche Max era stupendo come padre, senza ombra di dubbio.
Ma perché proprio a loro?
“Daisy – la riscosse con dolcezza – secondo me ne devi parlare con Max.”
“Scherzi, vero?” scosse il capo lei.
“No – Rosie si fece seria – ha il diritto di saperlo e non perché devi dargli un erede o idiozie simili. Ma semplicemente perché è tuo marito e ti ama… sicuramente vuole condividere con te anche questo.”
“E se la cosa invece distruggesse il nostro rapporto? No, a Max l’idea di diventare padre piace tantissimo e non posso levargliela in questo modo… dannazione, forse sarebbe stato meglio non sposarlo: sarebbe ancora poliziotto, per la gioia di tuo marito, e non sarebbe sposato con… Rosie, mi sento un albero scheletrico che non può dare frutti… ed è… la sensazione peggiore del mondo!
Con un sospiro Rosie continuò a tenerla stretta, accarezzandole i mossi e splendidi capelli neri. Si sentiva così a disagio nel dover consolare sua sorella, quella che in genere era più forte di tutti quanti, quella che dava sostegno invece di chiederlo. Ma non l’avrebbe lasciata sola in questo momento difficile, assolutamente e, per quanto non fosse assolutamente una donna di polso, era decisa a convincerla a parlarne con Max.
“Zia… zia, perché piangi?” la vocina perplessa di Vato le fece riscuotere e videro che era accanto a loro, stropicciandosi gli occhietti per il sonnellino interrotto.
“Oh, niente, pasticcino, scusa – cercò di sorridere Daisy, asciugandosi le lacrime – la zia è solo un po’ triste, tutto qui.”
“Oh – lui la fissò con esitazione, non essendo abituato a quella versione della zia, sempre allegra e pronta al gioco – no dai, non essere triste. Non mi piace se sei triste.”
“Come posso essere triste con un nipotino come te? – lo prese in braccio – Avanti, dammi un bacio, Vato Falman, ma forte, altrimenti non è valido.”
 
Vato a volte era un po’ estraniato dal mondo, ma sentiva quando qualcosa turbava la sua quotidianità.
Quella sera era già turbato dall’aver visto sua zia piangere ed inoltre si rendeva conto che anche la mamma era in qualche modo triste, nonostante lei gli avesse assicurato che andava tutto bene. Dopo che si era svegliato per il pianto della zia, sua madre l’aveva quasi immediatamente mandato in camera sua, dicendogli di mettersi a leggere e di aspettare che lei lo chiamasse. Ed aveva passato tanto tempo ad aspettare, il libro di scienze che aveva perso qualsiasi interesse ai suoi occhi: era rimasto seduto nel letto con l’orsetto di pezza stretto tra le braccia, sentendo ancora i singhiozzi della zia… non l’aveva detto alla mamma, ma a un certo punto aveva pianto pure lui, senza capirne il motivo.
Sperava dunque che con il ritorno del papà tutto tornasse normale e tranquillo... rassicurante. Sentiva l’esigenza di stare con i genitori, senza più essere mandato in camera sua ad aspettare. Che cosa poi? Se andava in camera magari questa volta sarebbe stata la mamma a piangere e questo era anche peggio.
“Papà – mormorò timidamente, ansioso di condividere con lui qualche momento prima della cena – lo sai che la mamma mi ha permesso di leggere un nuovo libro?” ecco, era meglio parlare di cose normali e belle.
“Non adesso, Vato – mormorò l’uomo senza nemmeno guardarlo – devo parlare con tua madre, vai in camera tua da bravo.”
A quelle parole il bambino mise il broncio: ecco il peggiore dei suoi timori che si avverava. Tuttavia non era disposto a cedere così facilmente, non quella sera così brutta: con un gesto temerario, non obbedì immediatamente e afferrò la camicia del padre.
“Posso restare?” chiese.
“No, sono cose da grandi, forza adesso vai.”
“Ma io voglio…”
“Giovanotto, cosa abbiamo sempre detto a proposito dell’obbedire subito a quanto dicono papà e mamma? – la voce di Vincent assunse un tono più severo e l’occhiata che lanciò al piccolo prometteva guai – Vuoi ricevere una sculacciata prima di cena giusto per stare più comodo sulla sedia?”
“Non arrabbiarti, per favore – una prima lacrima scivolò sulla guancia del bambino che continuava a tenere la presa sulla manica del padre – io… volevo solo stare con te e mamma.”
Fu questione di due secondi che Vincent si era già inginocchiato per prenderlo in braccio.
“Sssh, ehi – gli accarezzò la chioma bicolore mentre lui gli stringeva le braccia al collo e affondava il viso sulla sua spalla – dai, Vatino, non piangere. Scusa, papà è solo un po’ stanco… non voleva sgridarti così.”
“Ma che succede?” Rosie arrivò dalla camera da letto dove si trovava fino a poco prima.
“Io non voglio che zia piange! – singhiozzò Vato – Non voglio che… che non state con me! E’… è perché non so scrivere? Papà, ti giuro che imparo!”
“Oh no, amore, ne abbiamo già parlato – Rosie sospirò e si unì al marito nell’abbracciarlo – non importa se non sai ancora scrivere. Ma quando mai pensi che papà non voglia stare con te?”
Ma una volta che Vato iniziava a piangere era difficile farlo smettere, specie se era per crisi emotive come quelle. Non era un bambino dalla lacrima facile, ma quando si sfogava lo faceva in modo davvero violento. I due adulti dovettero stare diversi minuti a calmarlo, rassicurandolo che quelle lettere che non riusciva a scrivere non importavano assolutamente nulla.
Nel prenderlo tra le braccia, Rosie pensò ancora una volta a sua sorella e alla sua incapacità di portare avanti la gravidanza. In quel momento Vato fu più che mai la cosa più preziosa che avesse al mondo: la sua creatura, il suo piccolo bambino… lettura, memoria, ma che cosa le importava? Era vivo, caldo, stretto a lei e la amava in un modo incondizionato: semplicemente questo.
Vincent abbracciò la moglie ed il figlio, stringendoli al petto. Erano tutta la sua vita, quello che contava veramente, più di qualsiasi stupido posto dove l’avrebbero mandato. Se erano assieme a lui poteva affrontare tutto quanto.
“Dobbiamo parlare…” disse, cercando con lo sguardo la moglie.
Ma Rosie sorrise lievemente e indicò con aria significativa il bambino che finalmente, stretto tra di loro, smetteva di piangere.
No, non era proprio il momento di parlare di trasferimenti; era più importante stare assieme a lui.
  
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