L'AMBASCIATORE
FRANCESE
L'uomo che si era fatto beffe di
mio padre, per via del
suo abbigliamento, si chiamava Louis Montreux ed era l'ambasciatore
francese, all'epoca
di stanza a Lisbona. Sembrava conoscere mio padre da molto, molto
tempo.
-Sono molto felice di vedervi,
amico mio.-disse,
sorridendo affabile da sotto i baffi biondi -Cominciavo davvero a
chiedermi
dove foste andato.-
-Ho viaggiato molto, Louis-
sospirò il mio genitore-
purtroppo non in maniera agevole e non di mia volontà.-
L'altro gli offrì un
bicchiere di Porto che mio padre
accettò senza fiatare. Lo vidi bere in silenzio, sotto lo
sguardo del
proprietario del palazzo. -Ho avuto dei problemi con una nobile
famiglia
spagnola, tanto che sono stato costretto ad andarmene.-disse, fissando
laconico
il bicchiere.
-Non ho la minima idea di quello
che vi è successo...e,
sinceramente, credo che sia meglio per tutti, evitare di sapere la
ragione.-disse, passandosi una mano sotto il mento. Con calma, bevve di
nuovo.
-Questa giovane è legata a voi in qualche modo?-chiese.
Io mi bloccai. Avevano parlato a
lungo, senza nemmeno
fare caso a me...ed ora? Gli occhi grigi di quell'uomo mi osservavano
analitico, mettendomi ansia. Cosa intendeva fare?
-E'mia figlia.-rispose, senza
guardarmi.
Louis si bloccò.
-Perché l'avete portata con voi?-chiese
di nuovo, riprendendo di nuovo la sua flemma. -I viaggi con una bambina
sono
pericolosi.-
-Non ha più nessuno...a
parte me.-rispose mio padre.
Io mi feci di pietra. Quello che
diceva era la pura
verità, malgrado fosse la peggiore possibile. Se infatti non
avevo più nessuno,
era anche merito suo. Ugualmente non fiatai.
-Sarete ospiti allora.-propose
Louis -Al momento, la
Spagna ha altro a cui pensare, per interessarsi alla vicenda di un
uomo. Ti
conviene però andare altrove...e poi, magari, potrai fare
ritorno.-
-No.-rispose il mio genitore- Non
tornerò mai più in
Spagna.-
-Come volete-fece l'altro,
accavallando le gambe.
Quella sera mangiammo nell'immenso
salone
dell'ambasciata.
Louis conversò
amabilmente con mio padre, senza degnarmi
di uno sguardo. Io mangiai in silenzio, fissando le ricche decorazioni
in
stucco che abbellivano gli ambienti. Era un ricco palazzo in stile
rococò, con
interni in bianco e oro. Affreschi bucolici si alternavano a specchi di
medie
dimensioni che servivano a rendere la stanza ancora più
grande di quello che
fosse.
In tutto quello sfarzo, tuttavia,
non riuscivo a vedere
nulla di bello. Uno strano vuoto, pieno di malinconia, mi avvolgeva,
come una
nebbia sottile, annichilendo tutto. Non sentivo niente intorno a me,
né il
sapore del cibo, né quello del vino. Mi pareva tutto vuoto e
senza senso. Non
volevo parlare con nessuno, nemmeno con quel francese...ma non fu
necessario.
Loro non si degnarono di me...e, in
qualche modo, essere
ignorata mi indispettì. Mio padre aveva commesso
quell'azione orribile e si
comportava come se niente fosse, invece di mostrare perennemente
pentimento per
il suo gesto, anzi. Pareva quasi che fosse convinto della
bontà della sua
azione, che fosse giusto quanto accaduto.
Per l'ennesima volta, mi sentii
ferita da quella familiarità,
così appropriata e insieme fuori luogo.
Poco dopo, terminato il pranzo, i
due si ritirarono nel
salotto attiguo per fumare, lasciandomi sul divanetto, ferma come una
bambola.
Indossavo ancora i vestiti da zingara con cui ero fuggita dalla Spagna,
malgrado, a lungo andare, cominciassero a sembrarmi scomodi.
Ricordo che li sentii chiacchierare
delle questioni più
varie ed ero così annoiata dalla mia solitudine da
soffermarmi su quello che si
dicevano. Le parole, però, erano poco chiare e fu
spaventosamente naturale, per
me, scivolare dalla noia al sonno.
-Maledetta! Come avete potuto!-
urlò una voce.
-NO! NON E'VERO!...Non è
come pensate!-esclamò un'altra,
rotta dal pianto.
Un fragore di vasi rotti,
accompagnato da un gemito
strozzato.
-Marito, non è come
pensate! E'...-disse quest'ultima.
Era la voce della mamma.
L'altra rise. -Non fatemi ridere!
Non può che essere
così! Volevate vendicarvi di me...vi vergognate di me e
delle mie
origini...perché sono uno sporco zingaro, come tutta Cordoba
pensa!- disse,
gelido. Un nuovo rumore di cocci infranti accompagnò quella
frase. -Mi avete
preso in giro, pugnalandomi alle spalle. Mio zio aveva ragione a
mettermi in
guardia...CHE SCIOCCO CHE SONO STATO...-
-No! Non è
così-rispose Honor- Io vi ho sposato, come
potete anche solo pensare diversamente...-
-Voi mi avete sposato per non
affrontare il
disonore...dopo tutto quello che ho fatto per voi... OSATE TRATTARMI
COSI! MI
AVETE ROVINATO LA VITA!-urlò Ignacio, in un grido simile a
quello di un animale
ferito a morte.
A quelle parole, seguì
il silenzio.
-Ma adesso me la pagherete cara-
sibilò Ignacio...e a
quelle parole, la mamma urlò.
-Lasciatemi, vi prego!- andava
dicendo tra i singhiozzi-
Cosa vi è accaduto?-
-Ho solo aperto gli occhi...ED ORA
DITEMI QUEL NOME!-urlò
mio padre.
A quelle voci, intrappolate nello
spazio onirico del
ricordo, mi svegliai urlando. Le immagini di quel giorno maledetto
pungolavano
la mia fragile mente, facendomi tremare, come se avessi freddo.
Un rumore di passi si
avvicinò alla porta.
-Mon petit-disse una persona,
affacciandosi all'uscio-
avete avuto un incubo?-
Non riuscii a rispondere. Accanto
al francese, vedevo la
sagoma del mio genitore. Ancora ebbra della visione spaventosa che
avevo avuto,
la voce rimase lì, inchiodata come ad una pala di legno.
-E'un sogno, cara. Ora sei al
sicuro.-continuò Louis.
A quelle parole, tragicamente
ironiche in quella
situazione, con me a spasso con l'assassino di mia madre, opposi un
mutismo
ostinato. Per quanto fossi piccola, sapevo che non avrei potuto fare
molto di
più. Tutto questo sfuggiva all'ambasciatore che, tuttavia,
pareva avere una
notizia da darmi. -Mademoiselle, vostro padre vorrebbe parlarvi.-fece-
Vi
lascio soli.-
Così dicendo, il mio
genitore entrò.
-Avete dormito?-chiese. Mosse
qualche passo e si chiuse
la porta alle spalle. Nella semipenombra, lo vidi avanzare verso di me,
fino a
portarsi di fronte a me. -Sono venuto a dirvi che dopo verrà
un dottore. Così
vedremo cosa potremo fare per la vostra gamba...-
-Voglio la mamma.-dissi,
interrompendo la sua frase.
Don Escobar s'interruppe.
-Soledad...-mormorò.
-RIDAMMI LA MAMMA!-esclamai,
girandomi verso di lui, con
gli occhi umidi. Non volevo andare in quel viaggio senza meta. Volevo
tornare a
Cordoba e riabbracciare Honor, malgrado sapessi che era una soluzione
impossibile. Non c'era più niente in quella
città. Non c'era nessuno ad
aspettarmi. Tutto il mio mondo era stato portato via dalla persona che
avevo
davanti e che mi guardava senza dire una parola...e tuttavia,
continuavo a
chiedere, accecata dal dolore.
-LA RIVOGLIO! RESTITUISCIMI LA
MAMMA!-continuai,
rifiutandomi di accettare quella realtà dei fatti.
-Adesso basta.-mi interruppe
questi, afferrandomi per il
collo- Le tue lamentele sono inutili. Lei non tornerà
più e ti conviene
accettare i fatti. Che tu lo voglia o meno, io sono l'ultima cosa che
ti è
rimasta.-
Quelle parole mi attraversarono
come una fucilata e
rompendo il momento di farneticazioni che aveva preso possesso del mio
corpo.
Non sarebbe stato più possibile tornare indietro ed era vero
quello che diceva.
I De Rossignol, la famiglia della mamma, mi aveva tenuto per salvare le
apparenze e, sempre per quello, aveva accolto la prima soluzione
decorosa che
era loro venuta in mente, pur di liberarsi di me. Escobar avrebbe
potuto
tranquillamente lasciarmi a loro e prendere la strada per il
Portogallo...ma
non lo aveva fatto. Per un gioco beffardo della sorte, dovevo essere
grata
proprio a lui, se adesso vivevo, sia pure temporaneamente, in un
castello
fiabesco e non in un grigio Convento.
La presa di Ignacio era salda,
permettendomi di
respirare...eppure lo sentivo lo stesso. Anche senza fare forza, la
durezza
delle mani di mio padre mi mostrava come sarebbe semplice per lui
spezzarmi il
collo.
In quel momento, la paura
aumentò.
Fino a quel momento, avevo
desiderato rivedere la mia
mamma e Don Escobar, con quella minaccia silenziosa, mi prometteva di
realizzare quel sogno. Ora, però, mentre sentivo tutta la
pericolosità di quel
contatto, non volevo più quel sogno. Volevo quell'uomo
lontano da me,
nient'altro.
-Tu non dirai mai più
una cosa del genere...ed ora, se
non vuoi che ti lasci in mezzo alla strada, dovrai imparare a stare al
tuo
posto- sibilò, piantandomi in volto i suoi occhi scuri come
un pozzo senza
fondo.
A quelle parole, mi bloccai.
Sapevo che il rischio era
quello...come sapevo che non
avrei mai avuto possibilità di sopravvivere senza di lui,
nemmeno nelle
condizioni in cui mi trovavo. Non c'era modo...ed io ero in trappola.
-Avete compreso, figlia
mia?-domandò, senza alcuna
traccia di scherno nella voce. Sentirmi appellare come sangue del suo
sangue,
fece uno strano effetto su di me. Non avevo mai avuto il tempo di
provare
fierezza per le mie origini e sapere che mio padre era per
metà un gitano, mi
provocò uno strano malessere. Non avevo mai passato molto
tempo con lui. Fino a
quel momento, avevo vissuto insieme alla mamma, mentre Don Escobar era
sempre
fuori.
Per me, mio padre era un perfetto
estraneo che aveva
potere di vita e di morte. Una presenza che, alla luce di quanto era
successo,
non poteva che apparirmi odiosa. Non erano capricci i miei, eppure lo
erano,
dal momento che desideravo una cosa che sapevo non sarebbe mai
successa.
Il dolore mi schiacciò
di nuovo.
La mamma non sarebbe tornata mai
più da me.
Avevo detto addio a quei giorni
lontani e felici, per
colpa di un uomo che aveva considerato la vita di Honor un cosa di
scarsa
importanza...l'odio iniziò a germogliare con sempre maggior
forza.
Quella non poteva essere
l'esistenza che mi
attendeva...ma era così e mi ritrovai ad annuire in questo
modo, senza alcuna
forza.
Poco tempo dopo, giunse il dottore.
Come era successo, durante il
soggiorno presso i
Rossignol, mi lasciai toccare, inerte e priva di forze. Il confronto
con mio
padre mi aveva privato di ogni energia, tanto che nemmeno mi resi conto
della
sua presenza durante la visita.
Il dottore mi fece qualche domanda.
Come vi sentite?
Dove siete caduta? Ditemi se vi fa male.Curiosità
di cui non ricordo la
risposta. Rammento solamente che quando parlavo, il mio occhio si
posava sul
mio genitore.
Per tutta la durata della visita
rimase zitto e immobile.
Pareva una statua pensosa...ed avrei riso, se il mio animo non fosse
stato
pieno di dolore.
A quel punto, non mi importava
più niente.
Né di quello strano
francese.
Né di quel dottore che
fissava indifferente la mia
apatia.
Né di mio padre che, per
tutta la visita non aveva smesso
di studiarmi. Non seppi mai cosa stesse pensando né quali
fossero i suoi
sentimenti...ma, a quel punto, il mio cuore era troppo prostrato per
chiedermelo. Smisi così di preoccuparmene. Non mi importava
più di quell'uomo
che, con leggerezza, aveva smantellato la mia esistenza pezzo a pezzo.
-Grazie, senorita.- fece il medico.
-Allora?-domandò subito
Don Escobar.
L'uomo sospirò.
-Senor...possiamo parlare in un
luogo
appropriato?-domandò questi, fissandomi in un modo pieno di
pena.
Mi girai di scatto, arrabbiata per
quell'espressione.
-La senorita ha una frattura
scomposta alla gamba.
Avrebbe dovuto rimanere ferma, per poter essere soccorsa. Adesso,
l'osso si sta
saldando male e potrebbe avere delle conseguenze.-fece, prima di
passarsi una
mano sulla fronte- Senor, in nome della pietà propria dei
cristiani, possiamo
davvero uscire dalla stanza?-
-No-rispose mio padre- anche lei
deve sapere.-
-Ma Ignatio!-esclamò
l'ambasciatore.
-Tacete-rispose questi, con un modo
quasi rabbioso- ignorare
la verità non farà minimamente differenza. Non si
può evitare il dolore ed è
meglio che lei sappia il perché.-
Louis rimase impietrito da quel
tono. -Non vi riconosco
più...-mormorò, scuotendo la testa.
Ignatio non rispose.
-Come volete, senor.- fece- Questa
è la vostra volontà,
in fondo. La senorita non ha alcuna sensibilità alle gambe.
I test che ho fatto
prima aveva lo scopo di valutare il danno.-
-A cosa è dovuto?-chiese.
-Ad un trauma, senor, di natura
fisica e psicologica. La
caduta è stata piuttosto violenta ed il vostro viaggio ha
finito con il
peggiorare la posizione dell'osso. Il vero problema però
è stabilire se
l'immobilità è dovuta ad un danno ai tessuti
nervosi o allo shock
dell'impatto...e lì, senor, occorre davvero l'intervento di
uno specialista.-disse,
serio.
Quella notte non dormii affatto.
La notizia del medico era stata
chiara e devastante. Non
avrei camminato mai più...e questo era il destino che mi
attendeva. Mio padre
mi aveva messo di fronte tutta l'amarezza del mio destino...e lo odiai
di nuovo
per quel tono così privo di clemenza.
Col senno di poi, però,
quell'assenza di gentilezza si
dimostrò essere l'unica cosa di cui avevo davvero bisogno.
Nella condizione in
cui mi trovavo, una simile benevolenza non avrebbe fatto altro che
infierire
sulle ferite che portavo dentro.
Ugualmente, non riuscì a
salvarmi dagli incubi, così, con
uno sforzo non da poco, mi misi sulla sedia a rotelle che mi era stata
portata
poco dopo la visita del medico. Lentamente, mossi i miei passi con quel
nuovo
mezzo, scivolando silenziosamente nel mosaico del pavimento.
Lentamente, dalla
nuova prospettiva che la sorte aveva scelto per me, cominciai a fissare
tutti
quei mobili, ai miei occhi così grandi e lontani dalla mia
mano.
-Ah! Oh, mon
dieu!-sospirò una voce.
Mi fermai di botto. Il suono
proveniva da una delle
stanze che si trovavano in un angolo della casa. In quel punto, c'era
un
bagliore tenue, proveniente dal camino e che si rifletteva sullo
specchio posto
di fronte a quello. -Oh, Ignatio!- disse di nuovo.
Con la carrozzella, mi spostai in
un punto cieco e fissai
quella superfice riflessa. L'ambasciatore era di spalle, con il torso
nudo e
dava dei vigorosi colpi di reni ad una sagoma che, a quattro zampe,
riceveva
quei colpi. -Oh...non sapete... quanto ho atteso...questo...momento-
andava
dicendo, con un tono sempre più estatico, prima di
concludere il discorso con
un gemito.
L'altro non rispondeva, limitandosi
a levare qualche
lamento...poi alzò la testa ed il mio sconcerto mi
gelò sul posto. Era mio
padre. Mio padre giaceva con un uomo, mentre mia madre era sepolta
sottoterra a
migliaia di chilometri lontana da me.
La Chiesa condannava quel tipo di
pratiche ma, dopo il
dolore sofferto, sapere che mio padre avrebbe ricevuto la dannazione
eterna per
colpa della sua depravazione non mi procurava alcun conforto. Il mio
Inferno
era sulla Terra e sapere che ero meno colpevole dell'uomo che mi aveva
rovinato
era una consolazione quasi beffarda.
Non avrei camminato mai
più.
Non avrei rivisto la mia mamma...e
questo, per la mia
sofferenza, era più che sufficiente.
All'epoca non conoscevo ancora la
verità. Se l'avessi
saputa, se avessi saputo dare un nome a tutto ciò, avrei
smesso di vedere le
cose da quella prospettiva fanciullesca, fatta di luci ed ombre...e,
forse,
avrei mostrato una maggiore saggezza.
Capitolo difficile ed impegnativo.
Questa scena finale è
stata davvero complicata e sarà così anche per i
prossimi capitoli perché lo
stato d'animo della protagonista è complicata.
Vorrei ricordare che la storia
è drammatica, sotto ogni
punto di vista. Ringrazio tutti coloro che hanno letto sinora.