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Autore: NotFadeAway    20/07/2014    2 recensioni
Antiche leggende narrano che le persone quando muoiono ritornano sulla terra, l'anima è la stessa, il corpo non più. Ma su sette miliardi di persone, che speranza c'è di ritrovarle?
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nei due giorni seguenti Sherlock vagò perso per Melbourne. Per vent’anni la Baker Street nella sua testa era stata il suo rifugio, ora l’unica cosa che trovava se scendeva quelle scale era la panchina davanti al campo di pallacanestro e Owen che lo salutava in lontananza, con una palla da basket sotto il braccio. Il detective non si era mai avvicinato, era sempre risalito in superficie, più sperduto di prima.
Aveva bisogno di John.
Ma John ora era Owen.

Decise di cercarsi qualcosa da fare e andò a caccia di casi. Trovò che la soluzione migliore fosse ottenere un’intervista per un quotidiano locale (la sua vecchia fama gliene avrebbe garantita una, con una piccola mano da parte di Mycroft) e così avrebbe avuto una sorta di pubblicità locale, avvisando Melbourne che il grande Sherlock Holmes era approdato in Australia.

Dovette aspettare una settimana, ma le richieste di aiuto iniziarono ad arrivare, scartate le più banali (non era così disperato), ne selezionò un paio interessanti e si preparò a fare il prossimo grande passo.
Bussò il campanello della casa di Owen.
Decise di incominciare come avevano fatto la prima volta: un caso. John aveva sempre ammirato le sue capacità deduttive, era una buona idea. In qualche modo dovevano iniziare a conoscersi.
-Sei di nuovo tu? Pensavo di essere stato abbastanza chiaro – l’accoglienza non fu delle migliori, ma Sherlock non demorse.
-Volevo chiederti se potevi aiutarmi -
-Te l’ho già detto, non vedo cosa potrei fare per te… -
Sherlock alzò una mano, per farlo stare zitto.
-Prima che ricominci con la predica e mi informi nuovamente del tuo orientamento sessuale, lascia che sia più preciso: volevo chiederti se potevi aiutarmi con uno dei miei casi -
Owen abbassò le braccia, che prima aveva alzato per sottolineare il discorso che era pronto a ripetere.
-Oh. Un caso? Sei un detective, giusto?-
-Un consulente investigativo – precisò Sherlock, alzando un dito.
-Cosa diavolo sarebbe un consulente investigativo? -
Sherlock ebbe un piacevole flashback del loro primo caso assieme. Loro due in un taxi e John che si complimentava con lui, strabiliato dalle sue qualità.
Gli spiegò quello che aveva detto a John sua volta, poi gli introdusse il caso: un uomo era scomparso da diversi mesi, dopo aver lasciato un ambiguo biglietto in cui annunciava il proprio suicidio. La moglie non aveva mai accettato la sua morte perché non era mai stato ritrovato il corpo, e aveva chiesto aiuto a Sherlock. Era tempo di fare luce su quel mistero.
-Allora? Interessato? – Sherlock fece un mezzo sorriso, non si poteva dire che avesse perso tutto il suo fascino.
-Forse… - sorrise Owen a sua volta, fingendosi distaccato. –Potrebbe essere interessante capire come svolgi le tue indagini per il mio prossimo romanzo… Accetto! -
Sherlock batté le mani l’una contro l’altra e si diresse verso la strada, era stato più semplice del previsto.–Andiamo! Hai una macchina? -
Owen si ritrovò coinvolto nell’aura di eccitazione che di solito avvolgeva Sherlock in quelle situazioni, scese le scale del portico e attraversò il giardino.
-No. Una moto -
-Anche meglio! -
Si avvicinarono al garage e una Harley Davidson nera li salutò dalla pozza di luce che si espandeva con l’apertura della saracinesca.
-Le chiavi – fece Sherlock.
-Non se ne parla, guido io! – esclamò Owen, praticamente oltraggiato.

La moto sfrecciò oltre il viale, verso la strada costiera.
Sherlock era alla guida.
-Okay, devo ammettere che la guidi piuttosto bene! – disse Owen, controvento, -Quali altre soprese tieni nascoste? -
-Non puoi averne idea – rispose Sherlock, dando un’accelerata.

Quella sera erano di nuovo al Beach Bungalow, Owen e Sherlock camminavano sulla riva. C’era una sorta di armonia nel modo in cui si muovevano.
-Oggi è stato fantastico! Il modo in cui hai risolto quel caso! Brillante! Come hai fatto a capire che il suicidio era falso? –
Sherlock sorrise sotto i baffi.
-Sai com’è… Ho una certa esperienza di finti suicidi… Una volta ho inscenato il mio. -
Owen scoppiò a ridere, affogandosi quasi con la birra.
-Ed è una cosa che tu dici come se fosse normale… E’ quello a mandarmi in bestia! Sembra che la tua vita sia come un personaggio delle mie storie! -
-Cerco di evitare che sia noiosa. Odio le cose noiose -
-Già, a chi lo dici… - convenne Owen, -Scrivere è bellissimo, non fraintendermi, ma a volte mi sento come uno spettatore delle vite dei miei personaggi e solo come un uomo di passaggio nella mia -
Sherlock assaggiò un sorso della propria birra.
-Potresti risolvere qualche altro caso con me… -
-Magari! Sarebbe fantastico! – rispose subito Owen, - Devo fare attenzione, hai detto che questo John Watson era il tuo collega, finirò per diventare anche io il tuo fidanzato così! Sei un uomo pericoloso -
-Ed è proprio questo che ti attira -
-Il pericolo? Forse… -
Camminarono per un po’ in silenzio, carico di tensione. Arrivarono fino alla scogliera più vicina, poi girarono sui propri passi e iniziarono a tornare indietro.
-E sentiamo. Questo John Watson com’era? -
Sherlock sapeva la risposta che doveva dargli, - Come te -
Gli costò ogni sforzo formulare quel pensiero ad alta voce, perché per lui nessuno era mai stato come John, ma Owen era John e Sherlock sapeva che prima o poi quella risposta avrebbe corrisposto completamente alla verità, perché il John che aveva imparato a conoscere sarebbe comparso in Owen Kelly.

Bastarono due settimane a fare nascere una nuova amicizia tra quei due. Quasi ogni giorno, Sherlock si presentava con un caso, si mettevano in sella sulla moto e si lanciavano in quelle che Owen chiamava le loro “avventure da romanzo ottocentesco”, poi, se risolvevano un caso in tempo, se ne andavano al Beach Bungalow a bere qualcosa.
Quella sera avevano concluso un caso che era costato loro tre giorni di indagini, alla fine Sherlock aveva lasciato andare il colpevole. Owen era stato a guardare, senza protestare, ma senza nemmeno capire.
-Perché non lo hai consegnato alla polizia? -
Sherlock scosse le spalle e fece un tiro alla sigaretta.
-Perché aveva ragione lui. Le leggi sono così rigide che spesso sono dalla parte del torto -
-Non è molto legale, lo sai? -
Erano appoggiati ad un muretto, al posto di guardare il mare guardavano le auto passare.
-Non sono un poliziotto. Posso farne quello che voglio delle mie deduzioni. Quell’uomo aveva ricevuto un torto e ha ricambiato, riprendendosi ciò che era suo senza fare del male a nessuno. Ha una sua giustizia per me -
Owen alzò il bicchiere, - Al tuo senso di giustizia allora! -
Sherlock brindò con lui.
-E poi come diavolo hai fatto a capire che era gay? Era un giocatore di rugby, per la miseria! -
-Il mio gaydar funziona ancora. E poi bastava guardare le sopracciglia e le mani -
-Giusto, dimenticavo che sei esperto in materia. – disse Owen, - Lo sai che non sembri gay? -
Sherlock gli lanciò un’occhiata sottecchi.
-Dovrei prenderlo come un complimento o come un’offesa? -
Owen rise, -Nessuno di tutt’e due, solo come un’osservazione -
Un grosso camion transitò proprio davanti a loro, con il suo rombo invase la conversazione.
-E non hai frequentato nessuno in questi anni? – chiese Owen, quando il tir si fu allontanato.
Sherlock stava scivolando progressivamente fuori dalla sua comfort zone.
-No -
-Sul serio? In vent’anni! Wow, ammiro il tuo coraggio, amico! -
Sherlock aveva le orecchie in fiamme, per fortuna aveva anche molti capelli a coprirle.
-Le relazioni non sono mai state il mio punto di interesse. John… E’ stato un’eccezione – rispose Sherlock, si prese il tempo di un’altra boccata di fumo, - Io ero la sua. Non era gay -
Owen bevve un sorso, con aria pensierosa, -Le eccezioni l’uno dell’altro… Dovevate essere una bella coppia! -
Sherlock abbassò lo sguardo, improvvisamente tanta nostalgia gli invase tutto il corpo.
-Già -


Sherlock si muoveva avanti e indietro per il viale del parco. C’erano trenta gradi, ma teneva comunque indosso il cappotto, con il bavero alzato.
Una voce lo chiamò da lontano.
-Vieni qui, idiota! -
Era la voce di Owen, che lo invitava a sedersi sulla panchina, accanto a lui. Sherlock lo ignorò come al solito, completamente aggrovigliato nei suoi pensieri, ma Owen stavolta si alzò e gli andò incontro. Da vicino lo sovrastava.
Sherlock scosse il capo, -No, lasciami solo! -
-Parlane con me! – gli posò le mani sulle spalle, aveva una voce calda e rassicurante.
-No, tornatene di là! Non voglio parlare con te!– cercò di liberarsi dalla presa, non era abituato ad essere più piccolo di John, Owen lo trattenne.
-Qual è il problema ancora? Mi sembrava che le cose stessero andando bene ultimamente -
-E’ proprio questo il problema! – gridò, - Un attimo tutto sembra come prima, io e te che risolviamo dei  casi, e tu sei proprio il John che ricordavo, e un secondo dopo ti estranei completamente e parli di noi come se Owen e John fossero due persone separate! Tu non sai niente di noi, non sai niente di quello che è successo! Non sai come ci siamo trovati, non sai come ci siamo messi assieme! Non sai quelle che abbiamo dovuto passare! Non sai niente! –
Sherlock si era dimenato, ma Owen era riuscito a trattenerlo lì. Lo abbracciò.
-E allora tu raccontamelo, possiamo costruire una nuova storia, senza dimenticare il passato -



-Ti ho cercato su internet, ieri sera -
Erano in metropolitana, pioveva quel giorno e prendere la moto era impossibile.
-E? -
-Ho trovato il tuo blog e quello di John Watson -
Sherlock guardava con attenzione il cartellone dov’erano indicate le prossime stazioni.
-Il tuo sito fa schifo. Perché uno dovrebbe conoscere centocinquanta tipi di tessuti diversi? – esclamò Owen, - Ma quello di John era fantastico! Dio, i casi che avete risolto! Straordinari! -
-Hai finito di auto-elogiarti? -
-Sai come la penso – fece Owen, accavallando le gambe, - Vivevate assieme, poi! Ho letto dall’inizio, il vostro primo incontro… Mad-man e Robin, così vi chiamavano. E poi ho visto le tue foto da giovane… Che ne hai fatto del cappello? -
-Okay, adesso puoi anche smetterla – lo zittì Sherlock, voltandosi stizzito, per mascherare gli occhi che gli erano diventati lucidi.
Owen capì che aveva corso un po’ troppo.
-Scusami, hai ragione. Scusami. -
La metropolitana si fermò, salirono tre persone, ne scesero due, ripartì.
-E avevi dei bellissimi zigomi – esclamò, di punto in bianco, completamente soprappensiero. Quando fosse imbarazzante quanto aveva appena detto, Owen lo notò solamente dopo, sperò che  il treno collidesse prima di arrivare alla prossima stazione.

-Hai mai giocato a pallacanestro? -
-No- rispose Sherlock, chino su di un cadavere di quattro giorni. Owen aveva una mascherina premuta contro la bocca e cercava di respirare quel tanfo il meno possibile. Sherlock ovviamente poté leccare la punta delle dita del corpo come se fossero un cono gelato e non rimettere dopo averlo fatto.
-Come fai a stare così vicino a quella roba? – protestò.
-Come hai detto tu, deve essermisi bruciato l’olfatto, John -
Owen si irrigidì quando si sentì chiamare come il fidanzato morto, ma Sherlock sembrava aver parlato senza pensare e non pareva averlo notato.
-Passami una pinzetta. È lì sul tavolo -
Owen gliela diede. Coraggiosamente si avvicinò ancora di un passo.
-Strano che tu non abbia mai giocato a pallacanestro… Sei alto -
Sherlock scoprì una caviglia e prelevò dei peli.
-Mai fatto sport come questi -
-Capisco. Che sport hai fatto? -
Sherlock sbottonò la camicia del cadavere e seguì la linea alba del morto con la lente d’ingrandimento.
-Mi è sempre piaciuto ballare -


-Dove stiamo andando? -
-Se avessi voluto dirtelo, avrei lasciato guidare te! -
-Ma il Beach Bungalow è dall’altra parte! -
-Ho già un paio di birre nello zaino, andiamo da un’altra parte, stasera -

“Un’altra parte” era il campo di basket del parco comunale, dove di solito Owen si vedeva con la sua banda di amici muscolosi e correva avanti e indietro inseguendo una grossa arancia di gomma. Tranne che quella sera erano soli.
-Ti insegnò a giocare a pallacanestro – disse Owen, rispondendo alla domanda che proveniva dallo sguardo perplesso di Sherlock.
-Non è il caso –
-Tu mi hai portato in una stanza con un cadavere in putrefazione, stasera decido io cosa facciamo – ribatté Owen, tirando fuori la palla da una busta.
-Non hai una fidanzata da qualche parte? -
-Sylvia? Abbiamo litigato. Ha detto che passavo troppo tempo con te. Se non le sta bene, può anche fottersi, non può decidere chi farmi frequentare! – rispose Owen, togliendosi il giubbotto, - Lascia il cappotto qui, iniziamo -
-Non ho i vestiti adatti, meglio di no – buttò lì Sherlock.
-Se è per questo non hai neanche l’età adatta, ma non conta – lo prese in giro Owen, facendo girare la palla sulla punta dell’indice.
Sherlock si ritrovò costretto ad ammettere che la cosa iniziava a sembrargli piuttosto eccitante. E ancora Owen non si era tolto la maglietta.

Il detective si rivelò piuttosto portato, afferrò in pochi minuti le regole e le mosse principali, poi iniziarono a correre per il campo, sottraendosi la palla a vicenda, come in una strana e sudata danza.
-C’è qualcosa in cui non sei bravo? – ansimò Owen, muovendosi di lato, per placcarlo.
-So anche fare gli origami con i tovaglioli! –
Owen riuscì a sottrargli la palla.
-Ah! Quello non me lo sarei mai aspettato da te!-
Sherlock lo rincorse, per impedirgli di tirare a canestro, - Sempre pieno di sorprese, ricorda – spiccò un salto, ma Owen era troppo alto e riuscì a fare punto.
Sherlock si appoggiò con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.
-Però! Non te la cavi male neanche quanto a prestazioni fisiche! Quanti anni hai detto che hai? -
Sherlock si rialzò prontamente, -Non te lo dirò mai! -
Owen nel frattempo si era tolto la canotta, da quel momento Sherlock iniziò a perdere colpi, concentrarsi era diventato più difficile.

Si sedettero con le spalle contro la rete di recinzione, respirando affannosamente, ridevano ad una battuta che uno dei due aveva appena fatto. Owen gli passò una bottiglietta d’acqua e poi un asciugamano. Quando si furono ripresi, stappò una birra, Sherlock si accese una sigaretta.
Per un po’ stettero in silenzio.
-E con una donna ci sei mai stato? -
Sherlock soffiò fuori il fumo, -Definisci ‘stato’ -
-Andato a letto? -
-No, mai stato interessato -
Owen scrollò le spalle e fece un altro sorso.
-Ne ho baciata qualcuna, però. Prevalentemente nell’interesse di un caso… -
L’altro si girò confuso, inghiottì sonoramente la birra, -Per un caso? Hai inscenato delle relazioni per un caso! -
Fu il turno di Sherlock di annuire rilassato. –Sì, qualche volta è stato necessario… Una volta l’ho fatto davanti a John, quando non stavamo ancora assieme. Impossibile non notare quanto fosse geloso… -
-Impossibile non notare che tu l’abbia fatto apposta per farlo ingelosire! -
-Si era appena sposato, mi aveva abbandonato. Se lo meritava!- precisò Sherlock, c’era una nota di profondo affetto nel suo tono seppur scherzoso.
-Ancora non riesco a credere che c’è stato un periodo in cui non siete stati assieme voi due. E poi che è successo alla moglie? -
-Era un sicario della CIA ed una criminale. – spiegò Sherlock, - Mi ha persino sparato una volta, sono quasi morto -
Owen rise, -Conducevate una vita molto tranquilla! -
Ma Sherlock si era momentaneamente perso nei ricordi, - Glielo rinfacciavo sempre il fatto di Mary… -
-Doveva anche essere dotato di una pazienza sovraumana -
Sherlock fece un sorrisino triste, con gli occhi velati di grigio. Owen lasciò che un po’ di silenzio si intromettesse tra loro.
-Oggi mi hai chiamato ‘John’ – disse all’improvviso.
Sherlock era già in silenzio, ma è il caso di dire che ammutolì.
-Mentre eravamo in compagnia del morto, mi hai detto una cosa e mi hai chiamato ‘John’-
-Dovevo essere soprappensiero- Sherlock capì di essere in una pessima situazione, bevve un sorso di birra e cercò di apparire rilassato.
-Okay –
Silenzio.
-Perché tu non hai mai pensato che io… Che io potessi… Tu non sei mai stato interessato a me in quel senso, giusto? -
BAM! Ecco che era arrivata la domanda!
-Figurati! Hai detto di non essere gay–
-No, certo che no – confermò. Sherlock era troppo occupato a riprendere le redini del proprio cervello, per notare la piccola esitazione nella risposta di Owen.


Sherlock bussò alla porta di Owen, aveva con sé un caso di un rapimento che sembrava piuttosto intrigante. Era stato sequestrato un infermiere da una clinica, senza un motivo apparente e non era stato ancora richiesto nessun cavallo di ritorno. L’insignificanza della persona rapita rendeva il tutto più insolito.
La porta si aprì, ma stavolta dietro c’era Sylvia. Sherlock cambiò bruscamente espressione.
Non era solo Sylvia, ma era Sylvia nuda dalle cosce in giù, con indosso solo una grossa t-shirt verde, evidentemente di Owen.
-Oh, è lei… - fece la donna, non che avesse un’espressione migliore di quella di Sherlock in volto.
Il detective non rispose, aspettò che un Owen con solo un paio di boxer bianchi gli venisse in soccorso. I boxer bianchi furono un’altra delle ragioni per cui non rispose, piuttosto distraenti. Riprovevole!
-Te l’avevo detto che era per me – disse Owen a Sylvia, infilandosi tra lei e Sherlock, -Ehi, Sherlock! Qui per un nuovo caso? -
Faccia! Sì, concentrarsi sulla faccia! Hai una lingua, usala!
-Sì… Ehm… Sì. Rapimento, notizia fresca, non è neanche uscita sui giornali -
-Grande! I rapimenti mi piacciono, sono eccitant… -
Sylvia lo intercettò con lo sguardo e gli fece capire che non era una buona idea andare avanti con quella frase.
Owen appoggiò una mano sullo stipite della porta, - Puoi darci un secondo? -
Sherlock annuì e la porta si richiuse, peccato che carpì comunque il senso della conversazione.
“Ti sei bevuto il cervello?”
“Passi ancora tutto il tuo tempo con questo tipo, invece di scrivere?”
“Ti rendi conto di quello che stavi dicendo? Un rapimento… Eccitante”
“Oggi dovevamo passare la giornata assieme”
“Sono io la tua fidanzata, non lui!”
“Allora vengo con voi”
ALLORA VENGO CON VOI.
ALLORA.VENGO.CON.VOI.

Sylvia aveva una macchina, quindi presero quella. Owen era alla guida, Sherlock era riuscito a guadagnarsi il posto davanti e Sylvia stava dietro, con un’aria di repressa soddisfazione.
-La vittima del rapimento si chiama Trevor Alleys, infermiere canadese, lavora alla Clinica Peaceful Heaven da due anni, più tre precedenti di apprendistato, ha ventisette anni, una fidanzata e una sorella, il resto della famiglia è in Canada. -
-Come era la sua situazione economica? – chiese Owen.
-Normale, non ha debiti eccessivi, almeno non tra quelli fino ad ora riportati, ha una buona paga; vive in una piccola casa di proprietà, quindi, ha un mutuo, ma non insostenibile. I movimenti in entrata e in uscita dal suo conto degli ultimi dodici mesi sembrano essere nella norma. -
Owen sorrise, cambiando marcia e svoltando, erano arrivati al vialetto dove abitava Trevor Alleys.
-Hai fatto i compiti -
Sherlock sorrise in ricambio, - Come sempre -

La casa era in un quartiere residenziale di periferia, un singolo piano, schiacciata tra due abitazioni identiche. Nell’insieme la strada dava decisamente un senso di oppressione e pace, due cose molto strane da mettere assieme.
La fidanzata di Trevor, Vicky, era in casa e li stava aspettando. Aveva contattato Sherlock per e-mail, quindi lui non aveva ancora avuto occasione di interrogarla personalmente.
-Salve, lei deve essere il signor Holmes… E il signor Kelly,  immagino -
-Il contrario in realtà – la corresse Owen, facendo un gesto con le dita. Dietro di lui, Sylvia fece un piccolo colpetto di tosse,  -Oh, è lei è Sylvia -
-La sua fidanzata, piacere! – aggiunse lei, facendosi strada nell’appartamento.
Sherlock le lanciò un’occhiata ostile mentre gli passava davanti, Owen non sembrava affatto a suo agio.
Convenevoli, convenevoli, convenevoli e finalmente si arrivò al momento delle domande.
Sherlock ne aveva due in mente, gli bastavano quelle.
-Vicky, il suo fidanzato faceva abuso di sostanze stupefacenti? – chiese il detective, come un falco, aguzzò la vista in attesa di registrare la reazione alla domanda, non tanto la risposta alla stessa.
-No, assolutamente… Non che io sappia -
Owen annotò. Da una decina di giorni andava in giro con un taccuino e segnava ogni cosa.
-Trevor è scomparso ieri mattina, mercoledì 21 gennaio. È stato sempre con lei da venerdì sera a domenica sera? -
Sherlock le lasciò il tempo per pensare, già il fatto che se lo fosse preso era significativo.
-Sabato mattina è andato a correre come sempre. Venerdì sera siamo usciti assieme, con degli amici. Sabato e domenica sera siamo rimasti a casa. Il resto del tempo siamo stati sempre assieme, mi pare… - rispose, continuando a pensare mentre parlava, - Ah, domenica mattina sono andata a fare la spesa, da sola, ma lui dormiva -
Owen registrò tutti gli spostamenti, stava ancora scrivendo quando Sherlock si alzò.
-Bene, Vicky, grazie per il suo tempo -
Sia Vicky, che Sylvia fecero una faccia da “E’ tutto qui?”; Owen non batté ciglio. Vicky espresse il pensiero ad alta voce.
-Ho tutto quello che mi serve, le farò avere mie notizie presto –

Si rimisero in auto, stavolta diretti verso l’ospedale.
-Mi dica a cosa le servivano quelle due domande. Perché solo quelle due poi! Non le ha chiesto niente!-
Sylvia si era aggrappata tra i due sedili anteriori e si sporgeva nella parte anteriore dell’abitacolo.
-E’ nel suo Palazzo Mentale. Non lo disturbare – fece Owen.
-Nel suo cosa? -
-Ssh! -
-Ma perché quelle due domande? -
-La prima era abbastanza ovvia: i drogati finiscono spesso nei guai simili, potrebbe trattarsi di una questione di soldi. La seconda era il modo più preciso di scoprire se il tipo aveva in mente qualcosa o sospettava qualcosa. Le manovre di questo genere vengono organizzate quasi sempre nel tempo libero, come il weekend, per non destare sospetti assentandosi a lavoro -
Sherlock si scosse.
-Molto bravo, Owen. Deduzione corretta -
Owen gli diede una piccola gomitata, -Ho imparato dal migliore! -
Sherlock si voltò e sorrise, Owen fece lo stesso.
-Ragazzi, mi dispiace interrompervi, ma mi pare che quello che tu abbia tra le mani sia un volante, Owen. Pensa a guidare! -

L’ispezione in ospedale fu più meticolosa e richiese più tempo. Sherlock volle esaminare l’armadietto di Trevor e tutta la sala staff, affidò ad Owen il compito di interrogare i pazienti coscienti del reparto dove lavorava l’infermiere e mandò Sylvia a prendersi un caffè. Sylvia mandò Sherlock in un posto poco piacevole e seguì Owen.
Un’ora più tardi, Sherlock aveva finito di parlare con chi voleva parlare tra medici e infermieri e cercò di liberarsi di nuovo di Sylvia.
Si tirò Owen e ragazza in un angolo della corsia.
-Adesso io vado a dare un’occhiata alle cartelle cliniche in archivio. -
-Vengo con te -
-Anche io -
-La legalità della cosa è di aperta discutibilità. Restate qui -
Owen lo ignorò e lo seguì. Sylvia si mise al seguito.
-Va bene, allora! – fece Sherlock, notando di avere due ombre di troppo, - Owen tu vieni con me, Sylvia, fai il palo e, per amor del cielo, non dare nell’occhio -
Prima che potesse protestare, Sherlock sfilò dalla tasca un portaoggetti in cuoio, pieno di utensili non dissimili da quelli di uno scassinatore. Forzò la serratura e si infilò dentro, con Owen alle costole.
-Prendi le cartelle cliniche del 22, 23 e 24 settembre dell’anno scorso, portamele qui. -
Owen non mise in discussione gli ordini e andò.
Sherlock nel frattempo prese quelle del 12, 13, 14 agosto e quelle del 26, 27 e 28 marzo. Le sfogliò con agilità, aprì quelle portategli da Owen e fece altrettanto.
-Ma certo! Geniale… Era un modo geniale… Ma questa volta qualcosa è andato storto, non è vero? – mormorava, mentre controllava l’ultimo raccoglitore. –Sì! – lo chiuse si scatto, sollevando una nuvoletta di polvere. –Andiamo, devo parlare con il primario -
Owen lo fermò per un braccio, lo fece girare e lo guardò negli occhi.
-Che sta succedendo? -
-Non c’è tempo per spiegare, ora. Potrebbe già essere troppo tardi! -
Owen si prese un ulteriore istante per guardare Sherlock, ma poi annuì e lo lasciò andare.
Uscirono di soppiatto dall’archivio, Sylvia stava egregiamente flirtando con uno dei medici poco distante, fece loro un occhiolino e Sherlock e Owen proseguirono.

Salirono di sette piani, nell’ascensore c’erano solo loro e un silenzio carico di tensione.
-Aspettami qui - Fece Sherlock, spingendolo piano contro un muro. Owen annuì e si mise con una spalla contro la parete a fissare le barelle sfrecciare da una parte all’altra. Sentiva una certa familiarità con l’ambiente ospedaliero, c’era un sottile fascino che aveva avuto su di lui fin da quando era bambino, ma non aveva idea del perché.

Sherlock non perse tempo, tornò a passo svelto. Owen poté leggergli in volto che la cosa era più seria del previsto.
-Vieni con me – ordinò, senza fermarsi, imboccarono le scale. –Chiama Sylvia, dille di uscire con discrezione e di venire al bar all’angolo. Velocemente -

-Ci sono un po’ di cose che non mi convincono in questa clinica. Non mi fido del primario, non avrei mai dovuto parlarci in primo luogo, e adesso dovete fare quello che vi chiedo. -
Sherlock, Owen e Sylvia, sedevano in un tavolino di un bar, riparati da un ombrellone, sotto il sole bollente di gennaio.
-Owen, tu devi rimanere in ospedale. Sei alto e dai nell’occhio, mettiti in sala d’attesa con un giornale e di tanto in tanto sparisci in bagno per un po’. Ho preso il nome di una paziente in coma, Anne Finnigan, se qualcuno dello staff si avvicina, dici che sei lì per lei e che se un vecchio amici delle elementari. Se qualcuno delle persone in sala d’aspetto ti dà a parlare, lascia che siano prima loro a dire perché sono lì, non vogliamo sfortunate coincidenze. Insomma, meglio se non parli.
Io devo andare da una parte.
Sylvia, tu tornatene a casa. -
Sia Owen che Sylvia ebbero da protestare, Sylvia ebbe la meglio.
-Che cosa? Io non me ne vado a casa e basta! Che sta succedendo? -
Owen si mise in mezzo.
-Sì, tu vai a casa, Sylvia, è pericoloso. E quanto a te, Sherlock, non ti lascerò andare da solo -
Sherlock aprì la bocca per parlare, ma Sylvia aveva congelato tutti con un solo sguardo.
-Pericoloso! Scusami, che cosa? Io non me ne torno a casa perché è pericoloso! Se lo ripeti un’altra volta, ti picchio così forte, che dopo non avrai più bisogno di una scusa per entrare in quell’ospedale! -
Owen capì di aver detto una grande stupidaggine e ammutolì.
-E poi non ci ha ancora detto cosa sta succedendo, signor Holmes -
-Per quello non c’è tempo -
Sylvia bevve tutto d’un sorso il suo caffè, - Bene, allora non perdiamone altro. Resto io in sala d’attesa, e Owen tu vai con lui. Devo fare qualcosa in particolare?-
-Cerca di non perdere di vista l’infermiere Goldmann. E manda un messaggio ad Owen, se noti qualcosa di sospetto. Occhi a come si muove lo staff. Se si hanno grandi spostamenti, è negativo -


Sherlock si mise alla guida, stavolta. Accese il motore e imboccarono la strada che portava fuori città.
-Allora? Non mi dici dove stiamo andando? -
-Al vecchio deposito di merce di Windmill Lane -
Owen annuì.
-Perché? -
-Perché è lì che si trova Trevor -
Owen gli lanciò un’occhiata mentre l’altro non poteva vederlo e si concesse di sorridere di fronte alle mille risorse di quello strano uomo che era piombato dal nulla nella sua vita.

Il vecchio deposito di Windmill Lane era un agglomerato di fatiscenti capannoni in metallo, che bruciavano sotto al sole e perdevano ruggine come un serpente la pelle. Il piazzale in cui erano disposti era desolato, distava un centinaio di metri dalla strada principale, ma era circondato quasi completamente da boschi e folta vegetazione. L’Australia non è l’Inghilterra, pensò Sherlock.
Avevano abbandonato l’auto ben lontana, sul ciglio della strada, e avevano proseguito a piedi tra gli alberi.
Prima di uscire allo scoperto, Sherlock si accovacciò dietro un tronco e scrutò il piazzale. Alla fine, indicò il capannone più a destra e fece cenno a Owen di seguirlo.
Si schiacciarono contro una delle pareti, che bruciò loro la pelle.
-Non potevamo chiamare la polizia? -
-Certo che potevamo, ma così è più divertente! -
Si spostarono più in fondo, sotto una sottile finestra, una fessura più che altro.
-Riesci ad arrivare lì? Vedi niente? -
Owen si sporse e annuì.
-C’è un uomo, legato, sembra il ragazzo che cerchiamo -
-Nessun altro? -
-Sì, due tipi vicino a Trevor, uno vicino alla porta principale -
Sherlock registrò l’informazione.
-Com’è l’ambiente? -
-Un grande stanzone… Ci sono parecchie cianfrusaglie nella stanza… Scaffali, pneumatici, vecchi scatoloni… -
-Meglio. Andiamo, ma ho bisogno che tu faccia una cosa per me… E’ un po’ rischiosa, ti avverto -
Owen si accovacciò assieme a lui, -Dimmi -
Sherlock tirò fuori una pistola. Una Browning L9A1 dell’Esercito Britannico.

Sherlock forzò la serratura della porta secondaria del magazzino, poi sfrecciò verso quella principale. Nemmeno questa era chiusa con un lucchetto, sarebbe bastato un leggero scatto della serratura per entrare.
In silenzio aspettò.
 Il piano era semplice, ma per funzionare doveva essere messo in pratica molto velocemente: Owen serviva da diversivo, sarebbe entrato dalla porta posteriore, puntando la pistola, e avrebbe attirato l’attenzione degli scagnozzi su di sé; Sherlock a quel punto poteva entrare, cogliere di sorpresa il tipo di guardia vicino alla porta principale, che sarebbe stato distratto dall’irruzione di Owen, e poi avrebbe assaltato gli altri due. Padroneggiare diversi tecniche di lotta era sempre stato utile nel suo mestiere e, per molte di queste, cose come la stazza o l’età erano di ben poco conto.
 Questa era la parte uno del piano, poi avrebbero dovuto portare al sicuro Trevor e avvertire Sylvia e la polizia. Anche questa parte doveva avvenire molto rapidamente: se all’ospedale fosse arrivata voce che l’ostaggio era stato liberato, era impossibile prevedere cosa sarebbe potuto succedere.

Fino a “stordire gli uomini di guardia e salutare Trevor Alleys” andò tutto bene. Riuscirono persino a slegarlo, Sherlock si riprese la pistola dalle mani nervose di Owen e andò a controllare che tutto fosse ancora calmo fuori.
Si sporse con discrezione fuori dalla porta principale, non un insetto osava sfidare quel sole.
Il piazzale era deserto.
Il capannone no.
Quando si voltò c’era un quarto uomo, con una pistola tra le mani, che mirava dritto a Sherlock.
Accadde troppo in fretta per poter capire, ci fu un boato e Sherlock fu trascinato al suolo dall’impatto. Una sensazione di calore gli invase il braccio sinistro, il calore divenne presto un dolore familiare, che pulsava ritmicamente attraverso la carne.
Sherlock sentì Owen gridare il suo nome.
L’uomo che gli aveva sparato si voltò e notò anche la sua presenza, si voltò verso di lui, puntando di nuovo la pistola.
-Fermo dove sei! -
Owen ebbe un attimo di esitazione, scrutò in volto il tipo armato, gli ci volle meno di un secondo, riprese a camminare.
-Ho detto fermo dove sei! – gridò l’altro. Owen lo ignorò, continuò ad andargli incontro, con passo rapido, deciso e costante, senza correre o fare movimenti improvvisi.
-Fermati o sparo! -
Owen era così vicino che poteva agganciare lo sguardo di lui e sostenerlo mentre si avvicinava. Non diede ascolto ai suoi comandi.
-FERMATI! – urlò ancora. Le mani che sostenevano la pistola gli tremavano. –Fermati… -
Non si fermò. Non si fermava. Andò avanti, fino a quando la pistola non fu ad un palmo dal suo petto.
-… O sparo -
Owen sorrise. –E spara -
In quel momento ci fu un gara al più veloce. Owen calò una mano sulla pistola e la allontanò, praticamente nello stesso momento un pugno dislocò completamente la mandibola dell’uomo, che lasciò andare l’arma e perse i sensi.
Sherlock era rimasto immobilizzato a terra, a guardare atterrito e incredulo la scena. Con una mano arrestava l’emorragia.
Owen gli corse affianco.
-Stai bene? – esalò, sbiancato.
Sherlock dovette cercare le lettere ad una ad una nel suo cervello, per poter parlare. Era da sempre quello il potere di John: lasciarlo senza parole.
-Io… Sì, non è niente… Tu? Cosa? -
Owen sorrise, gli tremavano le labbra.
-Non sei l’unico a conoscere qualche piccola mossa -


Sfrecciarono in direzione dell’ospedale, Sherlock aveva insistito per guidare, Owen glielo aveva impedito e ora era confinato sul sedile del passeggero a gridare di andare più veloce.
-Dammi il cellulare! Devo chiamare Sylvia. Ora è cruciale che non arrivi nulla di tutto questo all’ospedale! -
Trevor giaceva in stato di shock ed era paralizzato sul sedile posteriore, ma non c’era tempo per le parlate rassicuranti. Non che la cosa fosse nello stile di Sherlock.


Alla fine della giornata, il complotto della Clinica Peaceful Garden fu sventato. Sherlock spiegò di cosa si trattava: la mafia aveva sfruttato quella struttura per coprire alcuni dei suoi omicidi più importanti, che avrebbero attirato troppo l’attenzione. Tutto quello che dovevano fare era trascinare la futura vittima in ospedale e lasciare che alcuni membri dello staff, opportunamente corrotti, ne facessero peggiorare il quadro clinico, in maniera credibile. Trevor non era altri che un’altra vittima in quella faccenda: era il migliore amico di uno degli infermieri coinvolti, che ultimamente aveva minaciato di raccontare tutto alla polizia. Si era dunque reso necessario mettere a tacere i suoi sensi di colpa in qualche modo…

-Abbastanza intelligente – commentò Sherlock, spegnendo nella sabbia il mozzicone di sigaretta, - Ma io non avrei usato come ostaggio un membro dell’ospedale. Troppo ovvio! -
-Ovvio? Il caso di oggi è stato il più eccitante di tutti! – esclamò Owen. Erano di nuovo al Beach Bungalow, passeggiavano sulla riva, – Sei stato geniale!-
-Anche tu e Sylvia siete stati discretamente utili -
Passarono davanti ad una coppia, Owen e Sherlock interruppero la conversazione fino a quando non furono fuori dalla portata d’orecchio.
-Come facevi a sapere che non avrebbe sparato? – La domanda di Sherlock sembrò risucchiare tutti i rumori attorno a loro.
-Hai visto come gli tremavano le mani… Non avrebbe mai sparato -
-Aveva sparato a me un attimo prima -
-Non avrebbe sparato –
-Non potevi saperlo – disse Sherlock.
-Non potevo saperlo – rispose Owen.
La conversazione si interruppe di nuovo, stavolta per nessun motivo.
-Ho lasciato Sylvia – fece Owen.
-Che novità. È la quinta volta questo mese. E proprio oggi che si è dimostrata utile -
Owen non raccolse.
-Ho lasciato Sylvia perché non potevo saperlo -
Owen fermò Sherlock, sottolineando le ultime parole. Erano in piedi, sul bagnasciuga, al centro tra una scogliera e l’altra.
Sherlock capì che qualcosa di importante stava per succedere. Si lanciò in una raffica di parole.
-Owen, devi capire bene una cosa prima che tu vada avanti. Tu sei John e io ti amo. È quel sentimento che mi rovina il cervello e che mi impedisce di pensare che io provo per te. Non sono semplicemente infatuato da te o da quello che hai fatto oggi. Il livelli di ossitocina e adrenalina nel tuo sangue sono ancora piuttosto elevati, prendere decisioni in questo stato non è saggio, non vorrei che tu prendessi decisioni avventate. Vuoi sapere come ci siamo baciati io e John la prima volta? Senza accorgercene, io ero in cucina, lui andava a fare la spesa, passa e mi dice “Vado a prendere il latte”, ci diamo un bacio e se ne va. Era il nostro primo bacio e non ce ne siamo neanche accorti! Come se fosse la cosa più naturale del mondo. Eravamo a quel punto, io e John -
Owen lo era stato a sentire, seguendo per tutto il tempo le sue labbra.
-Hai finito di parlare? -
-Hai sentito quello che ho detto? -
Owen si avvicinò ancora di più. –Sì. Vuoi sapere, invece, com’è stato il nostro primo bacio? -
-Quale primo bacio? – Sherlock lo guardò senza capire.
-Quello che ci siamo dati prima, quando tu eri seduto al tavolo e io ti ho detto che andavo a prendere da bere -
Sherlock mosse gli occhi da destra a sinistra, cercando nella sua  memoria, poi ebbe l’illuminazione.
-Oh -
-Già, - Owen annuì. –Esattamente quello che ho pensato io – rise, sempre più vicino. – Adesso, se vuoi farmi la cortesia di stare zitto e di baciarmi come si deve. E non perdere la dentiera, vecchio -
Owen si chinò per baciarlo e quando lo fece e gli occhi erano chiusi e tutto il resto non importava, poteva sentirlo e, oh sì, quello era decisamente John.

 
   
 
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