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Autore: Laylath    20/07/2014    1 recensioni
(Spin off di Un anno per crescere )
Più di venti anni prima che un gruppo di ragazzi intrecciasse i propri destini in un piccolo angolo di mondo, a New Optain, una pasticciera ed un poliziotto fanno il loro primo incontro.
Ecco la storia di Vincent e Rosie, i genitori di Vato.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Vato Falman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo XVII

1884. Tornare assieme

 

“Sì, è vero, sembra un po’ trascurata – disse la donna, guardandosi intorno con aria noncurante – ma non ha bisogno di grandissimi lavori e con un poco di olio di gomito torna come nuova. Per le cose più pesanti, come sostituire quella porta rovinata, le darà una mano mio marito, stia tranquillo.”
Vincent annuì soddisfatto, felice di aver trovato una casa decente nell’arco di due settimane. Per quanto potesse stare alla locanda a tempo indeterminato, considerato che la comunità era molto felice del suo arrivo, aveva preferito mettersi immediatamente alla ricerca di un posto che avrebbe potuto chiamare casa. Certamente gli dava maggiore intimità e libertà rispetto alla stanza nel piccolo albergo del paese, ma soprattutto gli dava l’illusione che un primo passo verso la riunione con la sua famiglia era stato fatto.
Adesso aveva una casa dove accoglierli.
“Sono felice che abbia voluto prendere questa casa, signore – sorrise Steve mentre uscivano dall’edificio e si congedavano dalla donna, pronti ad iniziare la loro giornata di lavoro – era ormai abbandonata da sette anni dopo che i vecchi proprietari sono morti senza nessuno a cui lasciarla. Ed era un peccato, trovandosi proprio al centro del paese.”
“Però me la state praticamente regalando – ammise Vincent con lieve fastidio – il prezzo è irrisorio per una casa di quelle dimensioni: l’appartamento che avevo a New Optain costava molto di più ed era la metà.”
“Però da quello che si dice i prezzi tra città e campagna sono molto differenti.”
“Anche questo è vero.”
“Spero che la sua famiglia la raggiunga presto, signore. Saranno i benvenuti qui gliel’assicuro.”
Vincent sorrise, non trovando niente da ridire nelle parole del giovane che era diventato di fatto il suo assistente. Se doveva essere sincero quel posto non si stava rivelando così malvagio come invece si era prospettato, una volta che si prendeva coscienza che non era la città e che dunque andavano un attimo ridimensionate le proprie ambizioni e abitudini di vita.
Dando un’occhiata a diversa documentazione, giusto per prendere confidenza con il suo nuovo incarico, il capitano aveva scoperto che si trattava di circa seicento anime, buona parte delle quali si trovava in fattorie sparse in giro per la campagna. Il paese vero e proprio contava poco meno di quattrocento persone e si trovava poco distante da un’ansa del grande fiume che scorreva in quella regione, un affluente di quello che poi attraversava East City gli aveva spiegato Steve, autonominatosi sua guida per quei primi tempi.
I negozi ed i servizi erano ovviamente essenziali, ma Vincent non aveva mancato di notare che avevano comunque una loro varietà che riusciva a rendere indipendente il paese quasi in tutto.
“Dopo la ronda presumo che ci aspetti il solito lavoro d’ufficio…” sospirò Steve.
“E’ una cosa che avete trascurato per tantissimo tempo – obbiettò Vincent – quell’archivio è un disastro.”
“Dannazione, è proprio vero che voi cittadini siete fissati con la documentazione.”
Già, rimettere un minimo di ordine in tutte quelle scartoffie non era certo un’attività divertente, ma andava fatta. Una delle prime cose che Vincent aveva imparato su quelle persone era che avevano uno spirito pratico molto forte e, di conseguenza, erano poco inclini alla burocrazia. Un esempio su tutti era stato al suo arrivo: si era aspettato di dover riempire decine e decine di moduli ed invece si era trovato davanti un unico foglio con il quale dichiarava di aver iniziato a prestare servizio in quel posto.
Sembrava una follia, eppure era bastato quello perché potesse percepire lo stipendio che gli spettava e tutto il resto.
“Comunque consolati, Steve, vedrai che… uh?”
“Lasciami!” una voce li fece girare di scatto verso un vicolo laterale.
Immediatamente videro un robusto ragazzone che stava spingendo contro il muro una ragazza.
“Ehi – scattò immediatamente Vincent, andando verso di loro, tallonato da Steve – lasciala subito andare.”
Il giovane si voltò verso di loro: non aveva l’aria propriamente cattiva, ma sembrava reduce da una bella bevuta.
“E’ una sgualdrina – rispose con voce leggermente impastata – sta solo facendo il suo mestiere.”
“Il locale ha i suoi orari – protestò la ragazza – e noi non prestiamo servizio al di fuori e… ahia!”
“Zitta, stupida!” la prese per un braccio, torcendoglielo bruscamente.
Ma quel gesto durò poco perché Vincent l’aveva già allontanato con un brusco spintone.
“Vai a prendere una boccata d’aria, ragazzo – gli disse, guardandolo con severità – altrimenti una notte al fresco non te la leva nessuno. Chissà se i fumi dell’alcool ti passano con maggiore rapidità.”
Davanti ad una simile minaccia, dato che era palese che Vincent non scherzava, il giovane si dileguò.
“Grazie, capitano – sospirò la ragazza, massaggiandosi lievemente il polso – quando quello beve troppo non capisce più niente, ma le assicuro che in genere è un bravo ragazzo. Ecco, guarda che disastro, mi ha fatto cadere il cestino con la spesa… spero che non si sia rovinato nulla, sennò Madame Christmas chi la sente.”
Facendo un cenno a Steve, Vincent si chinò per aiutare la giovane a raccogliere la spesa che, fortunatamente, non aveva subito troppi danni. Alla fine insistette per fare da scorta alla ragazza, nonostante il locale si trovasse a nemmeno cinquanta metri di distanza.
“Perché non entrate a bere un caffè? – chiese lei, salendo i gradini – Giusto per ringraziarvi.”
“Ehi, siamo entrambi sposati.” le ricordò Steve, alzando la mano per mostrare l’anulare con la vera.
“Perché pensi che tutti i nostri clienti siano celibi? – lo prese in giro la ragazza, con una risatina divertita – E comunque era solo per un caffè: noi ragazze lavoriamo solo la sera, a partire dalle nove.”
Vincent stava per rifiutare e congedarsi, ma poi gli venne in mente un pensiero: nella sua carriera di poliziotto aveva imparato che niente è meglio di un buon informatore. Ora, non che quel paese presentasse particolari problemi di quel tipo, tutt’altro, ma dove poteva trovare qualcuno che sapesse bene dei soggetti più pericolosi da tenere d’occhio? E che fosse anche abbastanza smaliziato da parlarne?
Ovviamente in un bordello.
“Steve, tu prosegui pure la ronda: io invece quel caffè lo prendo volentieri. Mi sono accorto che in questo posto non ci sono ancora stato e mi pare una lacuna da colmare.”
Steve lo guardò perplesso, ma poi annuì docilmente: non che penasse chissà che cosa, ma proprio non capiva che cosa ci facesse un capitano di polizia, chiaramente non interessato alla tipologia di servizi offerti, dentro un posto simile.
Vincent aveva visto diversi bordelli in vita sua, da quelli di alto livello ai più infimi: questo si discostava da qualsiasi altro per l’aria di tranquillità che emanava. Ovviamente si era in un orario di chiusura, ma l’uomo fu sicuro che anche durante l’attività ci fosse comunque una notevole serietà.
“Madame Christmas? Ho portato un ospite! – chiamò la ragazza ad alta voce – Ah, mi scusi, io sono Luana, non mi sono ancora presentata.”
“Capitano Vincent Falman al suo servizio, signorina.”
“Signorina? – i suoi occhi scuri brillarono di malizia – Molte persone dovrebbero prendere lezioni da lei.”
“Che succede, ochetta?”
“Madame Christmas, ho il piacere di presentarle il nostro nuovo capitano di polizia che, poco fa, mi ha gentilmente offerto il suo aiuto contro un cliente troppo… entusiasta. Che dice? Lo merita un caffè?”
Vincent stava per salutare con cortesia anche la nuova arrivata, ma poi si girò verso di lei e rimase di stucco: quel donnone era molto diverso dalle altre donne d’affari che lui aveva conosciuto. Grossa e tozza, viso segnato da rughe, era una che ne aveva visto di cotte e di crude, certamente. Ma invece che subire lei aveva giocato con il suo destino ed aveva vinto la sua partita: lo si notava dall’atteggiamento sicuro con cui indossava quella vestaglia sgargiante e teneva tra le labbra quel bocchino d’oro. Delle cose che addosso ad altre donne, magari più belle, sarebbero risultate esagerate e fuori luogo, ma che su di lei contribuivano a dare vita ad un vero e proprio personaggio.
“Ah, ecco il nostro nuovo arrivo – la voce era roca, ma non mancava di una certa eleganza: non era originaria del paese, si capiva – benvenuto nel mio piccolo regno, capitano. Sono Chris Mustang, ma tutti qui mi conoscono come Madame Christmas.”
“E’ un piacere conoscerla, signora.”
E lo disse con sincerità, il suo istinto che lo avvisava che con quella donna si sarebbe creato un bel legame.
 
“No, amore, oggi non può arrivare una lettera di papà: bisogna aspettare almeno altri due giorni.”
A quell’avviso Vato si sedette sconsolato davanti alla porta: quella era l’ora in cui passava il postino ed ogni giorno si metteva lì in attesa. Per quanto Rosie cercasse di spiegargli come funzionava il flusso postale, lui non demordeva nel suo piccolo rituale quotidiano.
“E non possiamo spedirla noi a papà?”
“L’abbiamo fatto ieri – gli tese la mano e lo fece alzare – adesso vieni, dobbiamo prepararci: siamo a pranzo dai nonni oggi. Sei felice?”
Lui annuì con un lieve sorriso e le trotterellò docilmente accanto.
Erano felici, davvero?
Rosie sospirò mentre spogliava il bambino per fargli il bagno.
Era quasi passato un mese dalla partenza di Vincent e, nonostante le lettere, la mancanza si sentiva eccome. Quella casa le sembrava così vuota senza il marito, specie la camera da letto: tanto che aveva accolto con piacere l’iniziativa di Vato di voler dormire assieme a lei.
Perché sono responsabile, mamma.
Erano state quelle le sue parole mentre si infilava nel letto la prima notte, trascinando con sé il suo orso di pezza. Ma Rosie sapeva bene che anche lui sentiva quell’assenza e voleva essere rassicurato, quasi avesse paura che all’improvviso anche lei potesse andare via.
“Mamma, posso portare anche Lollo?” chiese il bambino, riferendosi al suo pupazzo.
“Vato, te lo stai sempre trascinando dietro. Perché non lo lasci a casa almeno per questa volta, eh? Sono sicura che Lollo è stanco e vuole dormire.”
Almeno per qualche ora voleva separarlo da quello che stava diventando un vero e proprio feticcio. Aveva sempre avuto una predilezione per quell’animale di pezza, ma da quando Vincent era partito era diventata una vera e propria ossessione. Se lo trascinava ovunque, masticando e succhiando l’orecchio destro non appena gli capitava l’occasione… e guai a separarlo da lui durante la notte: voleva dire scatenare una crisi di pianto non indifferente.
A conti fatti era ovvio che il bambino stava risentendo della mancanza del padre: abituato a vederlo quotidianamente, le lettere non bastavano più. Ogni giorno chiedeva quando sarebbe tornato a casa, la sua piccola mente che si rifiutava di accettare per intero l’idea del trasferimento. Suo padre era semplicemente andato via per lavoro, ma non per sempre: prima o poi sarebbe tornato e tutto avrebbe ripreso a funzionare come prima. E per quanto Rosie cercasse di spiegargli con gentilezza come stavano le cose, per una volta Vato rifiutata la sua tanto preziosa razionalità, per rifugiarsi nelle piccole ed illusorie convinzioni infantili.
“Ma se poi si sveglia e si sente solo?”
“Tranquillo, Lollo è un orso che se la sa cavare.”
Lui fece una piccola smorfia di disappunto, non completamente convinto da quella nuova separazione. Ma alla fine Rosie lo convinse e il pupazzo venne diligentemente messo sopra il letto matrimoniale, dove ormai Vato dormiva ogni sera.
 
“Vieni, giovanotto, il nonno ti fa vedere un libro con i treni.”
“Come quello che riporta papà a casa?” chiese prontamente il  bambino, seguendo l’uomo verso il salotto.
“Esatto, forza vediamo un po’ come è fatto un treno.”
Vedendo che Vato si era finalmente lasciato distrarre da qualcosa Rosie si sentì decisamente sollevata e seguì la madre in cucina, per aiutarla a lavare i piatti. Tutto sommato era stato un pranzo tranquillo, persino il bambino era stato più lieto del previsto, sapientemente distratto dai nonni.
Le due donne rimasero in completo silenzio per qualche minuto, l’acqua che scorreva ed il tintinnio delle stoviglie come unici rumori.
“Non sono affatto felice di quanto sta succedendo – disse Margaret infine – stai sbagliando tutto con tuo marito e con tuo figlio. E tuo padre è perfettamente d’accordo con me.”
A quel rimprovero, fatto con voce calma ma grave, Rosie abbassò lievemente lo sguardo.
Sì, se ne rendeva conto pure lei che c’era qualcosa di sbagliato nella soluzione che avevano adottato, ma ammetterlo ufficialmente voleva dire accettare l’idea di lasciare tutti loro e di andare in un posto sconosciuto dove non avrebbe avuto nessuno. E lei non aveva amici a New Optain, figuriamoci in un paese che non sapeva nemmeno esistesse fino a due mesi prima.
“E’ che sono preoccupata per Daisy e…”
“Quella testona di tua sorella deve risolverli da sola i suoi problemi – scosse il capo la donna – non usarla come scusa per le tue paure, figlia mia. Sono stufa di vedere che vi girate intorno come due gatte infuriate: questa situazione vi sta logorando e basta.”
“Non ne vuole parlare con Max, proprio non la capisco – si ostinò Rosie, rifiutandosi di guardare la madre negli occhi – sposarsi con una persona vuol dire condividere tutto quanto, per quanto possa essere difficile. Per quanto è dura la situazione, Max sarà sempre li per lei, ne sono certa… con o senza figli il suo amore non smetterà mai.”
“A New Optain o in quel paesino il tuo amore per Vincent potrà mai cambiare?”
Fu una domanda trabocchetto e Rosie capì di essere cascata in pieno nella rete che sua madre aveva sapientemente teso: sì, era molto ipocrita il discorso che stava facendo. Criticava tanto Daisy per aver escluso il marito da quella parte fondamentale della sua vita, ma lei forse aveva fatto anche peggio lasciando che Vincent andasse da solo in quel posto.
“E’ diverso…” provò comunque ad obbiettare.
“E’ solo paura, Rosie. E sarà difficile sia per te che per noi… ma è tuo marito, l’uomo con cui hai scelto di passare la tua vita. E se posso fare appello ai tuoi doveri di sposa, preferisco tuttavia pensare alla tua felicità, mia cara. Il tuo posto è accanto a lui, perché è con lui che sei felice… e anche Vato lo è. Hai visto pure tu come è deperito il bambino in questo mese.”
Davanti a quelle motivazioni che la spingevano con ferma gentilezza verso quella che era la cosa migliore da fare, Rosie non riuscì a trattenere le lacrime ed il piatto che teneva le cadde sul pavimento frantumandosi in mille pezzi.
“Scusa, mamma – singhiozzò, chinandosi a raccoglierlo – sono proprio un disastro.”
“No, devi semplicemente farti forza ed affrontare la tua vita, per quanto la cosa ti sembri difficile. Ma tu sei più coraggiosa di quello che pensi, figlia mia – le si inginocchiò accanto e le prese le mani – e per la tua famiglia sei disposta a fare di tutto.”
“E’ così lontano…” pianse lei.
“Ma c’è lui ed è la cosa che per te e Vato conta, lo sai bene pure tu.”
Fu sentirlo da un’altra persona che la convinse? Non lo seppe mai dire.
 
“Ehi, non sapevo saresti passata in negozio. Credevo che restassi tutto il pomeriggio da mamma e papà.”
Daisy si girò verso la sorella e la fissò con sorpresa.
“Ho lasciato Vato da loro, ti devo dire una cosa importante.” Rosie si diresse verso la cucina, prendendo la maggiore per un braccio. Chiuse la porta alle loro spalle e la fissò dritto negli occhi.
“Se è ancora per la solita storia…” iniziò Daisy.
“No, semplicemente io tra due giorni prendo Vato e parto: raggiungo mio marito.”
“Che cosa? – gli occhi scuri di Daisy si sgranarono per la sorpresa – Rosie, che cosa stai dicendo? Sei completamente fuori di testa, è chiaro.”
“No – scosse il capo lei – lo sono stata per  tutto questo mese in cui ho rimandato il più possibile… c’è voluta mamma per farmi capire quanto stavo rovinando la vita a me stessa e a Vato.”
“E quindi prendi il bambino e te ne vai a raggiungere Mister Rigidità, molto bene.”
C’era una lieve forma di accusa in quella frase, e come poteva non esserci? Non si erano mai rese conto di quanto forte fosse il loro legame e di quanto in quell’ultimo periodo si stesse in qualche modo incrinando. La Daisy di un anno prima non si sarebbe mai comportata in un modo simile.
“Sì, molto bene… io mi assumo le mie responsabilità, tu quando hai intenzione di farlo con Max? Ce li siamo sposati, Daisy, abbiamo scelto deliberatamente di passare la vita assieme a loro… e non solo per le cose belle, ma anche per quelle difficili.”
“Ehi, che succede?” proprio Max, quasi evocato, entrò dalla porta, rischiando di impattare contro le due sorelle.
“Io parto Max – annunciò Rosie, senza smettere di guardare la sorella – tra due giorni raggiungo Vincent.”
“Oh, bene, ti sei decisa.” sorrise l’uomo, mettendole una mano sulla spalla.
“Max, ma che le stai dicendo?” Daisy si girò verso di lui.
“Quello che penso – disse con semplicità l’uomo – immaginavo che ti ci sarebbe voluto un po’ di tempo, cognata, del resto sei fatta così. Ma sta tranquilla che lui ti sta aspettando a braccia aperte.”
“Parlatene.” Rosie disse quell’unica parola, prendendo una mano della sorella e una di Max.
“Rosie, ti avviso…”
“Di quello che mi stai nascondendo da mesi? – chiese con gentilezza Max, accarezzando i capelli di Daisy, cogliendo di sorpresa entrambe – Forse so già di che si tratta… ho visto alcuni medicinali che hai preso e li conosco: mia zia ha avuto il medesimo problema e… oh no, stupidina, e ora perché piangi?”
“Secondo te? – singhiozzò lei, rifugiandosi nell’abbraccio del marito – Come credi che mi senta… non potrò mai avere figli!”
“Sssh, va tutto bene, amore mio – la consolò lui – tranquilla.”
Rosie esitò qualche secondo, ma poi abbracciò le spalle della sorella: sentirla scossa da quegli orribili singhiozzi era tremendo, ma sapere che finalmente si era aperta a Max le dava un enorme sollievo.
Le cose non potevano che migliorare, ne era certa.
“Penso io alla sala – mormorò, andando a recuperare un grembiule – faccio un ultimo turno in questo negozio.”
 
“Vato, amore, svegliati, stiamo arrivando.”
Il bambino aprì gli occhi e se li stropicciò con fare assonnato.
“Oh, ma mi sono addormentato!” protestò, deluso dell’essersi perso così tanto delle meraviglie del viaggio in treno.
“E’ stato stancante – lo consolò Rosie, passandogli una salvietta umida sul viso – però adesso pensiamo a coprirci bene: fa parecchio freddo fuori.”
Effettivamente era metà dicembre e a dispetto di essere scesi parecchio a sud il freddo era parecchio pungente. Per questo provvide ad abbottonare fino in fondo il cappotto pesante del bambino e a mettergli la sciarpa attorno al collo.
“Mettiti anche i guanti – lo aiutò – altrimenti ti vengono i geloni.”
“Ma con i guanti faccio fatica a tenere Lollo.”
“Tienilo sottobraccio, da bravo… e adesso aspetta che la mamma deve recuperare le valigie.”
Certo non era facile destreggiarsi con due pesanti bagagli ed un bambino piccolo. Ma non si poteva fare altrimenti: aveva ridotto quello da portare al minimo necessario, ma era comunque diversa roba. Con cautela, non essendo per niente abituata all’andatura del treno, condusse il bambino fino alla fine del vagone, proprio mentre la vettura rallentava del tutto per fermarsi alla stazione. Per qualche secondo Rosie esitò, vedendo che nessuno degli altri passeggeri aveva intenzione di muoversi dai propri posti. Però poi sentì la manina di Vato che le tirava il cappotto e si fece forza.
Adesso iniziava una nuova vita, in una nuova casa: si era lasciata alle spalle New Optain con i suoi primi ventinove anni di vita, il negozio e tutta la sua famiglia. Ma aveva capito che stando lì rischiava di allontanarsi da loro in una maniera più tremenda, rovinando anche la vita di Vato.
“Attento ai gradini, tesoro – lo avvisò – sono un po’ scivolosi. Forse è meglio che scenda prima e…”
“Aspetti, signora, le do una mano io – una voce gentile e subito il capostazione la liberò dai due pesi portandoli sulla banchina – pensi pure al bambino.”
“Grazie mille – sorrise lei, lieta di quel gesto così umano che l’aveva accolta in quel posto – Vato, stringi forte la mano della mamma, da bravo.”
Una volta che furono approdati sani e salvi nel piano lastricato, Rosie si guardò attorno con perplessità: eccetto la piccola costruzione che costituiva la stazione c’era solo aperta campagna, così grigia e spoglia nella sua versione invernale. Sembrava che il treno si fosse fermato nel nulla più assoluto.
“Deve venire qualcuno a prenderla, signora?” le chiese l’uomo.
“Ecco io – arrossì Rosie, leggermente confusa da quel primo impatto con la sua nuova casa – dovrei raggiungere il paese, mio marito si è trasferito poco più di un mese fa e…”
“Mio papà è capitano di polizia!” esclamò Vato, stringendo Lollo.
“Ah, ma certo, voi siete la famiglia del capitano Falman! – l’uomo si tolse il berretto per un saluto formale – Del resto guardando questo giovanotto dovevo capirlo. Ma non sapevamo del suo arrivo, signora, il capitano non ci ha detto nulla.”
“A dire il vero non lo sa – spiegò lei – è stata una decisione improvvisa.”
“Dobbiamo fare una sorpresa a papà.” spiegò con timidezza Vato.
“Capisco. Beh… però è una bella camminata fino al paese: sono almeno venti minuti e con quelle valigie non sarà facile – l’uomo si guardò attorno con aria sconsolata, all’evidente ricerca di una soluzione, cosa assai improbabile dato che era chiaro che non c’era nessun’altro – vediamo se… ah, ecco il nostro salvatore! Salve James!”
Dalla porta dell’edificio entrò un uomo biondo, alto e robusto, che si faceva beffe del freddo indossando solo una leggera giacca sopra il maglione.
“Sono qui per il pacco che doveva arrivare.”
“Eccolo lì sulla banchina – il capostazione accennò ad un grosso involucro che giaceva a terra – scusa ma stavo aiutando questa giovane signora.”
“Tranquillo – sorrise l’altro, caricandoselo con disinvoltura sulle spalle – non richiede mica attenzioni.”
“Sei venuto con il carro?”
“Ovviamente, altrimenti all’emporio ci tornerei fra due ore! E non posso lasciare Angela con il piccolo soli per troppo tempo.”
“Allora ti dispiace dare un passaggio alla signora e al suo bambino? Devono andare in paese, sono la famiglia del capitano Falman.”
“Nessun problema: andiamo, amico mio, porta le loro valigie al carro, tanto è proprio qui fuori.”
“Non dovete prendervi così tanto disturbo…” cercò di protestare Rosie, confusa da tutta quella confidenza.
“Ma si figuri – sorrise l’uomo chiamato James – è sempre un piacere aiutare le persone. Venga, l’aiuto a salire in cassetta… uh, che hai ragazzino?”
“Mamma, il cavallo è grande… fa paura.” Vato indietreggiò di qualche passo vedendo il grosso equino attaccato al carro. Quasi a farlo apposta l’animale si girò verso di lui e sbuffò, una densa nuvola bianca che usciva dalle grosse narici..
“Ah, tranquillo, piccoletto – James lo prese in braccio e lo sollevò per darlo a Rosie – la vecchia Margherita è una bonacciona. Bene, possiamo andare.”
E così iniziò il piccolo viaggio nel carro, con James che si dimostrò molto amichevole e gioviale, tanto da far uscire qualche timido sorriso anche a Vato. Ad un certo punto proprio il bambino chiese:
“Mamma, ma questo è un grande parco? Non lo capisco…”
“No, Vato, questa è la campagna.”
“Vedrai, ragazzino – sorrise l’uomo – sono sicuro che ti piacerà stare qui. Avrai un sacco di spazio dove giocare. Ecco, quello è il paese: vi lascio davanti alla stazione di polizia, va bene?”
“Sì, grazie, è stato gentilissimo signor… oh, non credo di sapere il suo cognome e…”
“James Havoc, signora Falman. E mi lasci dire che su suo marito ci sono solo commenti buoni da fare, per quanto sia qui da nemmeno un mese. Benvenuta tra di noi, stia certa che si troverà bene qui.”
Fu un congedo rapido e pratico, eppure carico di sincero calore.
In qualche modo aiutò Rosie a sentirsi bene accetta in quel posto sconosciuto, dove sembrava che la gente andasse oltre un educato ma freddo buongiorno.
“Andiamo da papà adesso?” chiese Vato, stringendo Lollo con entrambe le braccia.
“Certo, amore, adesso andiamo da…” si era girata a sinistra per recuperare le valigie e il suo sguardo si incrociò con quelli di Vincent che, assieme ad un altro poliziotto, era appena uscito da una strada laterale.
Improvvisamente la vista si offuscò per le lacrime, mentre tutto quello che aveva passato in quel brutto periodo di separazione svaniva come neve al sole.
“Papà!” esclamò Vato, correndo verso il genitore e rischiando di inciampare su quella strada fatta di terra battuta. Furono le braccia di Vincent ad evitare che finisse ingloriosamente a terra assieme a Lollo.
“Vato! – l’uomo lo strinse a se, baciandolo sulla guancia – ma che ci fate qui? Io… io…”
“Io e mamma ti abbiamo fatto una sorpresa – esclamò il bambino, mentre le lacrime gli scendevano sulle guance – è che ci mancavi tanto.”
“Scusa per non aver avvisato – Rosie si accostò a loro, cercando di controllare i singhiozzi – però… ora siamo qui, con te. Non… non dovevamo essere in nessun altro posto… Oh, Vincent, non hai idea… di quanto…”
Forse avrebbe aggiunto altro, la il capitano la strinse a se.
“Benvenuta a casa, piccolo fiore.” si limitò a dire con un sussurro.
  
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