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Autore: millyray    21/07/2014    1 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SEDICI – MALEDETTO TORCHWOOD!

Quanta luce, quanto cielo,
orizzonti da guardare.

(Silver e Missie, E. Ramazzotti)

“Benvenuti alla casa degli orrori!”

“Non essere così terrificante!”

“Be’, ma scusa, guarda che posto!”

Quando Rhys e Gwen uscirono dalla loro auto, Jack entrava con una manovra da professionista nel cortile  di un’imponente villa e parcheggiava il Suv accanto alla macchina dei primi due arrivati. Effettivamente suo marito non aveva tutti i torti, dovette concedergli Gwen, la villa era terrificante. Certo, era grande e non affatto banale, con tutti quei aggetti e quelle decorazioni in stile gotico, ma non faceva affatto per lei. Qualcosa nell’aspetto di quel posto le metteva i brividi soltanto a guardarla, forse per il fatto che aveva trovato quello stile sempre molto inquietante; in quel momento avrebbe voluto risalire in auto e tornare al sicuro nel suo modesto ma confortevole appartamento.
Tuttavia il lavoro chiamava e lo sguardo deciso di Jack non ammetteva repliche.

“Be’, che aspettiamo?” chiese Owen, aprendo la strada a tutto il gruppo e salendo i pochi gradini che lo separavano dal portone d’ingresso. Gli altri lo seguirono senza fiatare e il Capitano inserì la grossa chiave nella serratura girando un paio di volte finché non udì lo scatto.

“Wow!” esclamò Rhys non appena ebbe varcato la soglia. Il suo sguardo corse immediatamente attraverso la stanza cadendo su ogni dettaglio: i quadri appesi alle pareti che mostravano i mezzi busti di personaggi sicuramente importanti, le teste d’angelo che ornavano quasi ogni angolo, dai soprammobili sugli scaffali alle maniglie delle mensole, il lampadario enorme che faceva bella mostra di sé in salotto, i tappeti con fantasie complicate, la scala dal corrimano elegante che portava al piano superiore… se il piano inferiore era così, chissà come erano le altre stanze! E la polvere e le ragnatele di certo non nascondevano tutta quella ricchezza, appartenuta a chissà quale erede di una famiglia importante.

Rhys appoggiò le valigie vicino al basso tavolino in salotto e si buttò sulla prima poltrona che gli capitò a tiro, saggiandone la comodità e la morbidezza. “Non ti piacerebbe vivere in un posto del genere?” chiese eccitato rivolto a Gwen. “Mi accontento anche di qualcosa di più modesto. Qui sarebbe troppo silenzioso”, gli rispose la ragazza accomodandosi accanto a lui. “Be’, gli schiamazzi e le risate dei bambini la riempirebbero”, fu la sua contro-risposta, ma Gwen a quelle parole si rabbuiò un po’ ed evitò il suo sguardo.
Entrambi furono distratti da Jack che aveva spalancato le imposte delle finestre per far passare un po’ di luce e aria, non aspettandosi che queste emettessero tutto quel cigolio. Dopotutto, era da un po’ che non venivano aperte.

“L’ultimo proprietario di questa residenza era stato un certo Sir John Mallerick”, iniziò Tosh tenendo il cellulare di fronte a sé “figlio di un eminente personaggio politico dal quale l’ha ereditata negli anni venti. Il padre a sua volta l’ha ereditata dalla famiglia e così fino al milleseicento, quando la villa è stata costruita. Adesso è di proprietà di questo comune del Galles che ha cercato di venderla più di una volta, senza mai riuscirci, a causa di certe storie sui fantasmi che girano”.

“E che a quanto pare non sono infondate”, aggiunse Owen osservando i soprammobili sul caminetto. “Tutti quelli che hanno trascorso qui la notte giurano di aver sentito grida di bambini e non hanno più voluto metterci piede”.

“Quindi avremo ancora a che fare coi fantasmi?” chiese Ianto, ricordando la sua ultima esperienze con qualcosa di simile e subito sentì i brividi corrergli lungo la schiena.

“I fantasmi non esistono”, lo rassicurò Jack dandogli una pacca sulla schiena e afferrando la propria valigia insieme a quella del compagno. “E ora andiamo a prenderci le stanze”.

Le stanze, come tutti avevano immaginato, rendevano giustizia al piano inferiore: ogni stanza aveva un piccolo caminetto e un letto a baldacchino sorretto da colonne a intarsio. E, tanto per non essere da meno, anche lì c’erano teste d’angelo che ornavano quasi tutti i mobili, la testiera del letto, l’armadio, i cassetti… ricordavano vagamente i visi dei bambini.

Il gruppo si riunì in cucina, decisamente meno ricca rispetto alle altre stanze della sala, per cenare e discutere della missione. I sofisticati computer che tenevano al Nucleo avevano rilevato un picco di energia della Fessura in quegli ultimi giorni e così avevano deciso di farci una capatina per quel fine settimana. A Jack non ci era voluto niente nel farsi dare le chiavi dal custode.
Purtroppo per lui anche Rhys aveva deciso di unirsi, il quale, da quando Gwen gliene aveva parlato, non aveva voluto sentire ragioni e aveva rimarcato diverse volte che sarebbe stato divertente e che era da un po’ che non passavano un fine settimana insieme, lontano da casa. La moglie gli aveva detto che si trattava solo di lavoro e che non sarebbero comunque restati da soli, visto che c’era tutto il team, ma per Rhys faceva lo stesso e aveva detto che sarebbe stato divertente comunque. E che una caccia agli alieni o a qualche altra strana creatura misteriosa era quello che gli ci voleva.

“Allora, pensi che troveremo qualcosa di interessante in questo posto?” chiese Ianto, sdraiandosi sul letto accanto al Capitano, una volta che i due si furono ritrovati da soli nella propria stanza.

“Non saprei. Promette bene”, fu la risposta sommessa dell’altro, intento a guardare il baldacchino sopra di sé. Creava un’atmosfera decisamente romantica.

Il ragazzo si voltò verso di lui e rimase a osservare il suo profilo. “Che c’è che non va?”

Jack lo guardò confuso. “Perché pensi ci sia qualcosa che non va?”

“Sei pensieroso”.

“Non mi hai mai visto pensieroso?”

Ianto sorrise dolcemente. “Sì, ma non così”.

Jack, allora, per scongelare la situazione e creare un’atmosfera più favorevole, una di quelle che piacevano a lui, si sollevò di scatto e si mise a cavalcioni sopra il compagno, evitando di poggiarcisi con tutto il peso. Poi calò sul collo di Ianto e cominciò a baciarlo.

“Jack?” lo chiamò questi con voce roca. Faticò a trattenere una risatina quando questi gli solleticò un lembo di pelle con la propria lingua. Il Capitano si mise a slacciargli i bottoni della camicia e, quando arrivò all’ultimo, gliela aprì ben bene scoprendo il suo petto pallido e liscio. Poi cominciò a baciarlo anche lì, saggiandone ogni pezzo finché non arrivò alla pancia dove un piccolo rigonfiamento faceva bella mostra di sé. Jack baciò anche quella, delicatamente, e Ianto gli affondò una mano tra i capelli, gustandosi la loro consistenza tra le dita. L’altro, allora, smise di baciarlo e rimase col mento appoggiato sopra all’ombelico.

“Spero si sbrighi ad uscire”, sussurrò ma nel silenzio della stanza era perfettamente udibile.

“Sei così impaziente?” gli chiese Ianto sorridendo.

“E’ mio figlio, ovvio che sono impaziente”.

Suo figlio… era la prima volta che Jack lo diceva e forse la prima volta che lo considerava tale. E Ianto lo adorava. Gli piaceva quando diceva certe cose e gli piaceva il modo in cui le diceva. Non credeva si sarebbe mai innamorato così intensamente, non dopo Lisa. Eppure…

“Potrebbe anche essere una bambina”, lo contraddisse cercando di non mostrare tutta l’emozione che provava.

“E’ lo stesso. Basta che mi somigli”.

“Non abbiamo ancora pensato a un nome”.

A quella constatazione Jack ammutolì di colpo e assunse di nuovo la sua espressione misteriosa. “Prima o poi ci verrà in mente qualcosa”, concluse poi, tornando a sdraiarsi sul letto affianco a Ianto, una mano poggiata sulla sua pancia scoperta.

Rimasero per un po’ in silenzio, ascoltando solo il rumore del vento che sbatteva contro le finestre. “Jack?”

“Hmmm?”

“Ti amo”.

Jack, che aveva chiuso gli occhi, li riaprì di colpo e li puntò in quelli altrettanto chiari del compagno. “Non dirlo con quel tono”.

“Che tono?”

“Quello che hai appena usato. Come se fosse l’ultima volta che me lo dici”.

Ianto sospirò. “Be’, chi lo sa… con quello che facciamo non si sa mai cosa può succedere”.

“Sta’ zitto!” gli intimò il Capitano affondando il viso nella sua spalla. “Non dire queste cose. Non dire più che mi ami”.

“E perché no?”

“Perché di no”.

Il ragazzo prese ad accarezzare la schiena dell’altro sentendo diverse sensazioni agitarsi dentro di lui. Quand’è che Jack era diventato così dolce? Quella era forse la prima vera dimostrazione del fatto che a lui ci teneva, che ci teneva davvero.

“D’accordo”, concluse infine, stringendosi di più a lui.

 

Gwen sedeva e fissava il proprio riflesso nello specchio posto sopra a uno di quei tavolini di legno che servivano per il trucco. Aveva trovato una vecchia spazzola in uno dei cassetti, non una spazzola comune, ma una di quelle da antiquariato. Doveva essere appartenuta alla padrona della villa.
La prese in mano e cominciò a pettinarsi delicatamente i capelli, sentendosi proprio come lei. Provò a immaginarsela, seduta lì davanti allo specchio a pettinarsi i suoi splendidi capelli, magari biondi e lunghi, proprio come stava facendo lei in quel momento. Sicuramente aveva avuto una bellissima pelle chiara e liscia, come quella delle bambole di porcellana. E di certo indossava dei bellissimi vestiti eleganti e gioielli preziosi.
Accarezzò delicatamente il retro della spazzola e l’immagine della donna le passò davanti agli occhi come un lampo che illumina il cielo.

Improvvisamente Rhys aprì la porta della stanza facendo prendere un colpo a Gwen che balzò sulla sedia. L’uomo non si accorse di nulla.
“Questo posto è strepitoso. Ci sono un sacco di stanze, ci vorrà un’intera giornata per visitarle tutte”.
Gwen si voltò a guardarlo con una strana espressione, come se lui non dovesse essere lì.
“Che c’è tesoro? Stai bene?” le chiese il marito, accorgendosi del suo viso diventato improvvisamente pallido. Lei non gli rispose subito. Dopo un po’ però gli sorrise rassicurante, mostrando la sua dentatura bianca. “Sì, sto bene. sono solo un po’ stanca”.

“Andiamo a dormire”, suggerò Rhys allora, scostando le coperte del grande letto a baldacchino. “Domani ci aspetta una lunga giornata”.

I due si infilarono sotto le coperte, rabbrividendo contro le lenzuola fredde. Poi spensero le lampadine sui comodini e si strinsero l’uno all’altro, aspettando che Morfeo li cogliesse tra le braccia.
Le testoline d’angelo che decoravano il letto e gli altri mobili li guardavano con i loro occhi di marmo nell’oscurità. Ma Gwen e Rhys non potevano vederli.

 

Tosh camminava per i  corridoi della villa, reggendo una candela in mano. Non aveva idea di dove fosse l’interruttore delle luci e in ogni caso non le andava di accenderle, rischiando di svegliare tutti. Così ora vagava come un fantasma, in pigiama e a piedi nudi. Ridacchiò tra sé e sé per la situazione piuttosto comica.
Si sentiva come dentro a uno di quei film horror che parlano di spiriti e lei ne era la protagonista. 

Improvvisamente sentì uno soffio di aria fredda colpirle il viso e rimase bloccata sul posto, rabbrividendo. Le sembrava che ci fosse qualcosa dietro di lei e non aveva il coraggio di girarsi. La fiamma della candela si spostò verso sinistra e minacciò di spegnersi.

Allora Tosh, molto lentamente, girò il capo verso destra e si accorse che una delle finestre era aperta. Esalò un sospiro di sollievo. Il soffio d’aria che aveva sentito era il vento che stava soffiando fuori e che stava facendo sbattere le tende.
Si stava lasciando suggestionare un po’ troppo; non era da lei.

Posò la candela sul davanzale e chiuse velocemente la finestra. Poi proseguì la sua esplorazione, affrettandosi ad attraversare il corridoio.
Non si accorse, però, che un paio di occhi freddi la stavano scrutando dall’alto.

Una volta raggiunto il salotto, Tosh si imbatté in Owen, seduto sul divano al buio. Per poco non le venne un colpo e immediatamente si portò una mano alla maglia del pigiama. Non si aspettava di trovare il ragazzo lì, altrimenti si sarebbe messa qualcosa di un po’ più carino e non quell’orribile pigiama di flanella appartenuto a sua nonna.
Possibile che dovesse sempre vederla in situazioni imbarazzanti?

“Tosh!” esclamò lui. “Che ci fai qui?”

“Non riuscivo a dormire”.

“E perché hai una candela in mano?”

La ragazza non sapeva come ribattere a questa domanda, così si limitò a posarla sul tavolino davanti al divano e a sedersi in una piccola poltrona raccogliendo le gambe contro il petto. Sembrava che avesse davanti uno sconosciuto poco affidabile, anziché Owen.

“Questa casa mette i brividi”, commentò lei, cercando di fare una battuta e togliere quel silenzio imbarazzante.

“Già”, fu l’unica risposta da parte dell’amico che non la stava neanche guardando. Probabilmente non era in vena di chiacchiere. L’unica luce che illuminava la stanza era quella della candela, perciò gran parte della stanza era immersa nell’oscurità. Tuttavia riusciva a scorgere il profilo di Owen e si accorse che era seduto in una posizione piuttosto rigida, la schiena dritta, le mani poggiate sulle gambe e lo sguardo perso a guardare qualcosa di fronte a sé.

“Ti va un bicchiere di latte?” chiese allora Toshiko, tanto per avere qualcosa da fare.

“Si, perché no?” Finalmente il ragazzo si era girato nella sua direzione e le stava mostrando un po’ di interesse.

“Vado a prenderlo in cucina”.

La ragazza si alzò con uno scatto e cominciò a camminare in direzione della cucina. Ma proprio quando stava per superare la soglia, un grido perforò le pareti della casa.
Tornò in salotto di corsa e rimase a guardarsi attorno. “Che cos’è stato?”

“Non lo so. Proveniva dal piano superiore!” esclamò Owen precipitandosi verso le scale.

 

Jack e Ianto si erano appena addormentati quando avevano sentito qualcuno urlare. Proveniva dalla stanza di Gwen e Rhys e sembrava proprio che fosse stata la ragazza ad aver gridato.

Il Capitano raggiunse la loro porta per primo e cercò di entrare, ma quella era chiusa a chiave.

“Aprite!” gridò ai due che erano chiusi dentro, battendo i pugni sul duro legno. In quel momento vennero raggiunti anche da Owen e Toshiko. Sentirono dei passi avvicinarsi alla porta e qualcuno che girava il chiavistello. Jack tentò un’altra volta di aprire la porta. Ma ancora niente. “Aprite questa dannata porta!”

“Non si apre!” gli gridò di rimando la forte voce di Rhys.

“Spostati!” fece Owen, spingendo il Capitano di lato. Cominciò a tirare la maniglia verso di sé cercando di romperla e, quando non ci riuscì, prese a dare spallate alla porta.

“Così ti fai male, Owen!” gli fece notare Tosh, la voce spezzata dal panico. Stava succedendo qualcosa in quella stanza e loro non riuscivano a capire cosa.
Improvvisamente, Gwen lanciò un altro grido e tutti rimasero raggelati. Owen riprese a colpire la porta, questa volta con i calci.
A quel punto il chiavistello scattò e la porta si spalancò facendo ruzzolare il ragazzo a terra.

Jack, Ianto e Tosh si precipitarono dentro posando subito gli occhi su Gwen che se ne stava seduta sul letto, pallida e sudata, gli occhi scuri spalancati verso il soffitto.

 

“Che cos’è successo?” chiese Ianto sedendosi di fronte a Gwen e sporgendosi verso di lei. Si erano di nuovo riuniti tutti in cucina; la ragazza sedeva al tavolo con un bicchiere di latte in mano. Sembrava più tranquilla e aveva recuperato un po’ di colore, ma tremava ancora.

Alzò lo sguardo su Ianto e puntò i suoi occhi scuri in quelli chiari di lui. “C’erano… c’era qualcosa nella stanza”.

“Che cosa?”

“Come… come dei fantasmi”.

Gli altri presenti si lanciarono degli sguardi confusi, come se si stessero dicendo mentalmente che Gwen tutto d’un tratto fosse impazzita.

“Non sto scherzando. C’era una faccia nel mio cuscino”.

“Che tipo di faccia?”

“Non lo so. Era come coperta da un lenzuolo, ma potevo distinguerne il profilo. E poi qualcosa è passato sul soffitto. Una… una persona, non lo so. È stato tutto molto veloce. Ma c’era qualcosa, dovete credermi!”

“Ti credo!” esclamò Jack e lei si voltò a guardarlo con espressione grata, come se sapesse che adesso tutto si sarebbe sistemato.

Rhys si sedette accanto alla moglie e le pose un braccio attorno alle spalle. Lei lasciò andare la testa contro la sua spalla.

“Che cosa sarà stato, Jack?” chiese Ianto rivolto al compagno.

“Non ne ho idea. Ma lo scopriremo!”

Senza aspettare nessuno, il Capitano corse verso le scale, diretto al piano superiore. Tosh fu l’unica a seguirlo, mentre Owen e Ianto si diressero in salotto.

“Owen, cerchiamo anche noi qualcosa”, disse Ianto, guardandosi attorno con fare circospetto.

“E cosa vuoi che cerchiamo?”

“Non lo so, qualsiasi cosa. Guarda nei cassetti, negli armadi… vedi se trovi qualcosa di sospetto”.

“Potremmo metterci tutta la vita, visto quanto è grande questo posto”, si lamentò il dottore, tuttavia fece come aveva detto Ianto e cominciò ad aprire dei cassetti. L’altro, invece, si avvicinò al camino, attirato dai putti che lo decoravano. Erano sparsi per tutta la casa, quei cosi, c’erano quasi in ogni angolo. Dovevano essere stati la decorazione preferita dei vecchi proprietari. Solo che quelli sul camino erano diversi, sembravano… Ianto si abbassò per guardarne uno da vicino, soffermandosi sugli occhi di marmo, quando a un tratto gli parve di veder muoversi qualcosa.
Scosse il capo cercando di tornare in sé. Doveva essere stata la stanchezza a causargli l’allucinazione.

Lanciò un’occhiata all’interno del camino dove c’erano ancora della cenere e dei ciocchi di legno e scorse qualcosa che spuntava dalla cenere grigia. Non era un ciocco di legno.
Si inginocchiò e immerse le mani nella cenere. Ce n’era parecchia.

“Ianto, hai finito di giocare con la sabbia? Ho trovato qualcosa”, fece Owen, chiudendo di scatto un cassetto.

“Anche io credo di aver trovato qualcosa”.

Il dottore raggiunse l’amico e prese in mano quello che il collega gli porgeva: era qualcosa di lungo e liscio, con una forma concava.

“Che cos’è?”

“Dimmelo tu”, soffiò Ianto mentre un terribile sospetto gli stava passando per la testa. Scavò ancora nella sabbia per vedere se c’era altro e ne tirò fuori quella che sembrava essere una mano. O meglio, lo scheletro di una mano, una mano molto piccola a cui mancavano un paio di dita, però era proprio una mano.
Ianto la lasciò cadere e si tirò indietro con uno scatto.
In quel momento l’orologio a pendolo batté l’una ed entrambi i ragazzi balzarono sul posto.

“Cristo!” esclamò Owen osservando la mano. “Qui è decisamente successo qualcosa”.

“Vai a chiamare Jack”.

 

“Avete trovato qualcosa?” chiese il Capitano non appena ebbe sceso le scale.

“Abbiamo trovato delle ossa nella cenere del camino”, lo informò Ianto.

“E io ho trovato delle foto”, aggiunse Owen buttando sul tavolo le suddette foto.

Jack le prese in mano le foto e le guardò attentamente: erano in bianco e nero, molto vecchie, tant’è che tutte erano un po’ rovinate, macchiate qui e là e coi bordi frastagliati. Tuttavia le figure si vedevano ancora bene e chiaramente rappresentavano quella che doveva essere una famiglia, con i due genitori e i figli. La cosa strana, però, era che in ogni foto c’era dei bambini diversi.

“Che significa?” chiese Jack guardando il suo team.

“I due adulti nelle foto sono gli ultimi proprietari della casa”, iniziò a spiegare Owen. “Ma chi sono tutti quei bambini?”

“Ho fatto una rapida ricerca”, aggiunse Gwen. “E ho trovato degli articoli che dicevano che i Mallerick avevano avuto dei figli, alcuni che sono nati morti e altri deceduti a causa di malattie o incidenti domestici. In ogni caso, nessuno di loro è riuscito a superare i sette anni”.

“Ma io pensavo che la moglie del Signor Mallerick non potesse avere figli”, la contraddisse Tosh.

“Questo era quello che dicevano. A quanto pare non volevano che queste disgrazie si venissero a sapere. Ho trovato quegli articoli in mezzo ad alcuni file molto riservati”.

“Jack!” chiamò Ianto, fermo vicino al camino. “Lo scheletro della mano che abbiamo trovato sembra essere quella di un bambino”.

Il Capitano si avvicinò al camino e osservò la mano che era stata posata in un angolo. Poi rovistò tra la cenere, finché non scoprì un piccolo anello circolare di ferro arrugginito. Lo tirò verso di sé aprendo una piccola porticina quadrata che celava una specie pozzo o nascondiglio.

“E’ una botola? Quella è una botola?” esclamò Rhys con gli occhi spalancati. “Una botola nel camino!?”

“C’è una scala”, notò Jack ignorando le parole di Rhys. “Vado a vedere cosa c’è lì sotto. Voi restate qui”.

“Vengo con te, Jack”, disse Ianto afferrando subito una torcia. Jack gli lanciò una strana occhiata, ma non disse niente. Scese le scale fino in fondo e poi aiutò il compagno. Quando entrambi toccarono il terreno, il Capitano accese la torcia e si guardò attorno.

“Sembra un sotterraneo”, osservò il gallese, osservando le pareti di roccia piene di muffa e umidità. Davanti a loro si estendeva un lungo corridoio piuttosto buio e stretto. “Perché improvvisamente mi sembra di essere entrato in una storia di Edgar Allan Poe?”

“Dai, andiamo”, lo incitò Jack, precedendolo lungo il tunnel.

Per un po’ camminarono in silenzio, concentrati più che altro su eventuali rumori e su quello che c’era attorno a loro. Ma a Ianto non piaceva tutta quella calma, perciò sbottò di nuovo: “Perché ti sei cambiato?” Il ragazzo solo in quel momento aveva notato che Jack aveva di nuovo indossato i suoi soliti vestiti da soldato; doveva averlo fatto quando era tornato al piano superiore con Tosh. Lui invece era rimasto con la sua tenuta da notte.

L’altro lo guardò come se avesse chiesto la cosa più stupida del mondo. “Preferivi che andassi in esplorazione in pigiama?”

“Be’, io sono in pigiama”.

“Sì. E ti sta anche bene. Sei sexy”.

Ianto sorrise tra sé e sé e non disse altro.  Era sempre il solito, Jack, mai una volta che lo prendesse sul serio. Non che la cosa gli dispiacesse…

A dispetto di quello che sembrava, non dovettero camminare a lungo. Salirono qualche rampa di scale e poi giunsero ad una piccola porta in metallo, molto vecchia ma ancora resistente. Era chiusa a chiave così Jack dovette colpire la maniglia con la porta per romperla e far scattare la serratura.
La prima cosa che saltò loro agli occhi fu la quantità di scheletri e ossa sparse per la stanza. Non erano tantissimi, ma abbastanza per impressionarli. La cosa ancora più terrificante era che sembravano appartenere a dei bambini. E al centro della stanza c’era una specie di enorme boiler che quasi sfiorava il soffitto.

“Che cos’è?” chiese Ianto.

“Sembra essere un amplificatore di energia”, rispose il Capitano, gli occhi puntati sull’oggetto.

 

“Io non ci sto capendo niente”, sbottò Rhys frustrato, buttandosi sul divano con un sospiro.

Gli altri si scambiarono diversi sguardi ma nessuno disse niente. Gwen, seduta accanto al marito, si passò una mano sul viso stancamente.

Calò di nuovo il silenzio nel salotto, interrotto solo dal ticchettio ritmato del pendolo. Si respirava un’aria pesante.
A un tratto Owen si alzò in piedi e si stropicciò i capelli. “Non ce la faccio più a stare qui. Vado da Jack e Ianto”.

“Owen!” lo chiamò Tosh, ma lo sguardo, anziché guardare lui, era posato sul mobiletto di fronte a lei. “Quegli angeli si sono mossi”.

“Cosa?”

“E’ vero!” concordò Gwen, avvicinandosi ai putti che decoravano i cassetti del mobile. “Avevano la testa girata dall’altra parte prima”. Proprio nel momento in cui lo disse, una figura trasparente che aveva chiaramente le sembianze di una persona, sbucò dall’angelo e le venne addosso. La ragazza urlò e cadde a terra.

“Gwen!” gridò Rhys cercando di raggiungerla, ma un’altra figura uguale alla precedente lo bloccò volandogli tutt’intorno. Anche gli altri vennero attaccati da quelle strane creature dalle sembianze umane che volavano ed emettevano una strana luce fluorescente, come un’aureola. Sembravano dei veri e propri fantasmi. Ed erano centinaia.

Tosh e Gwen si avvicinarono l’una all’altra cercando di proteggersi, mentre Owen si buttò per terra e sparò due colpi con la pistola per cercare di colpirne qualcuno. Ma come aveva immaginato, i proiettili li trapassarono.

“Voi ci avete disturbati!” dicevano le creature con voce sibilante. “Andate via! Andate via! Andate via!”

“O vi uccideremo tutti”.

Uno dei fantasmi si fiondò su Gwen e spalancò la bocca in un urlo disumano a poca distanza dalla sua faccia. La ragazza impallidì di colpo e rimase paralizzata dalla paura.
Gli oggetti nella stanza cominciarono a volare dappertutto, sollevati dal vento che stavano causando gli spettri volando velocemente attorno al lampadario. Continuavano a sghignazzare con le loro voci stridule.

“Vi uccideremo tutti!”

Improvvisamente dei colpi di pistola sconquassarono le pareti della stanza e i fantasmi, come spaventati da qualcosa, si dileguarono alla velocità della luce attraversando i muri. I ragazzi si voltarono nella direzione da cui avevano sentito provenire il colpo, aspettandosi un’altra minaccia; invece trovarono solo Jack e Ianto, il primo con la pistola ancora puntata al soffitto e l’altro con uno sguardo raggelato.  

Ci volle qualche attimo perché tutti quanti riuscissero a riprendersi. Owen si massaggiò la testa dove l’aveva sbattuta e Tosh si sistemò la maglietta del pigiama. “Che cosa diamine erano quei cosi?”

“Fantasmi?”

“No, non credo fossero fantasmi”, disse Jack, riponendo la pistola nella fondina e piazzandosi in mezzo alla stanza, le mani sui fianchi. “Io e Ianto abbiamo trovato un amplificatore di energia. Non so che cosa esattamente ci facessero i proprietari ma è uno di quelli che vengono usati nelle navi spaziali. E poi…”, si interruppe per lanciare un’occhiata d’intesa al compagno, al che il giovane gallese poggiò sul tavolo una specie di piccolo taccuino in cuoio nero. “… abbiamo trovato questo diario. Apparteneva al Signor Mallerick e ci annotava… annotava il nome dei suoi figli e il modo in cui sono morti. A quanto pare era lui ad ucciderli”.

“Che cosa?! Uccideva i suoi figli?!” esclamò Tosh con espressione sconvolta e disgustata.

“Sì, ma sembra che fosse stato costretto. E forse questi fant… queste creature c’entrano qualcosa”. 

“Dobbiamo scoprire cosa sono e perché sono qui”, sbottò Owen in tono deciso.

“Forse sono gli spiriti di quei bambini che…”, ipotizzò Tosh ancora tremante.

“Non esistono i fantasmi!” la interruppe il dottore sgarbatamente.

“Ragazzi…”, chiamò allora Rhys.

“Probabilmente sono alieni, se pensiamo all’amplificatore di energia”, proseguì Jack.

“Ragazzi…”.

“Sì, ma… che razza di alieni possono…”.

“Ragazzi!” urlò a quel punto Rhys spazientito.

“Che c’è?” Il Capitano lo guardò con espressione frustrata.

“Gwen ha qualcosa che non va”. Solo allora Jack cominciò a prestargli attenzione. Gwen era seduta sulla poltrona, lo sguardo puntato in avanti, in un punto indefinito. Sembrava essere caduta in trance. L’uomo le si avvicinò, scostando il marito piuttosto sgarbatamente. “Gwen?” la chiamò scandendo bene il suo nome. “Gwen, mi senti?” Le schioccò due dita davanti al viso, ma lei non reagì.

“Gwen, tesoro?” fece Rhys.

A quel punto Gwen spostò gli occhi dal punto che aveva continuato a fissare e li posò su Jack. La sua espressione era fredda e glaciale. Piegò le labbra in un sorriso sghembo, malvagio. “La vostra Gwen se n’è andata”.

Tutti i presenti spalancarono gli occhi, spaventati. “Questo non è divertente, Gwen!” la rimbeccò Owen, inginocchiandosi accanto a lei.

“Sta’ zitto! Non vedi che è posseduta?” gli urlò Rhys, furioso. Aveva le lacrime agli occhi e un’espressione disperata. Maledetto Torchwood! Era sempre colpa sua. “Fa’ qualcosa, Jack!”

Gwen scoppiò in una risata malvagia. “Poveri illusi. Siete così ingenui”.

“Chi siete?”

“Non lo sai?” la testa della ragazza si piegò di lato, gli occhi erano ridotti a due fessure che sembravano pronti a mandare lampi. Chiaramente non era più lei. “Siamo caduti qui, con la nostra nave. E abbiamo fatto il meglio che abbiamo potuto. Per sopravvivere”.

“Sopravvivere? Come?” Jack la teneva per le spalle; temeva che gli sarebbe sfuggita.

“Avevamo bisogno di corpi, corpi caldi e vivi”. La voce di Gwen si era trasformata in un sibilo serpentesco che stava mettendo i brividi a tutti quanti.

Jack alzò lo sguardo sui suoi compagni; una luce di comprensione gli aveva improvvisamente illuminato gli occhi. “I bambini! Avete posseduto i bambini dei Mallerick! Il Signor Mallerick però se n’era accorto per questo li aveva uccisi tutti”.

“Quell’inutile umano continuava a intralciarci”.

“Ma perché siete rimasti qui? Questa casa è disabitata da anni”.

Gwen storse la bocca, disgustata. Evidentemente considerava quella domanda stupida e inutile. “Perché non eravamo abbastanza forti per uscire fuori. Ma adesso…”. Di nuovo mise su l’espressione di malvagia soddisfazione. “Adesso lo siamo. E usciremo fuori per occupare i corpi di tutti quei stupidi umani”.

Delle risate malefiche si levarono da ogni angolo della casa e le creature fluorescenti comparvero nella stanza, uscendo dalle pareti o dai mobili, per mettersi a girare intorno alla stanza. Infine, si riunirono attorno al soffitto e lo oltrepassarono.
Anche Gwen, spingendo via Jack affinché le lasciasse le spalle, sparì in un fascio di luce azzurrognola.

“Dov’è andata?” chiese Rhys, mal celando la sua paura e la sua preoccupazione.

“Penso di sapere dove sia andata”.

Senza aggiungere altre spiegazioni, Jack corse verso le scale, seguito dagli altri che avevano già iniziato a preparare le armi.
Percorsero tutto il corridoio fino a giungere ad una porta più piccola delle altre. “Qui abbiamo trovato l’amplificatore di energia!” spiegò Jack. “Hanno bisogno di questo per uscire”. Dalla stanza si sentiva provenire un suono di voci, risate e strani sibili e rumori meccanici.

“Dannazione! Ha chiuso la porta!” esclamò il Capitano, tirando la maniglia.

“Fai provare me!” Rhys lo scostò e si mise a martellare contro la porta. “Gwen, apri questa porta!”

“Non è Gwen. Non ti darà ascolto!”

“Ma riusciremo a recuperarla, vero? Lei non è… non è…”.

Jack non poté fare a meno di vedere l’espressione disperata e sconvolta dell’uomo, tuttavia non  seppe come rispondergli. Non aveva idea di cosa facessero quegli alieni una volta entrati dentro il corpo di qualcuno. Poteva solo sperare che tutto si risolvesse per il meglio.

“Tieni, Jack! Usa questo!” Tosh gli passò un piccolo oggetto quadrato con strani ganci attaccati ai lati. Lui lo prese in mano e lo poggiò sulla porta.

“Che cos’è?” chiese Rhys.

“E’ un artefatto alieno che abbiamo trovato in un vecchio magazzino. Può aprire tutte le porte, di ogni tipo”, spiegò la giapponesina.

“Anche quelle blindate?”

“Certo”.  

Jack schiacciò qualche pulsante e la porta si aprì con un cigolio. In mezzo alla stanza trovarono quell’amplificatore a forma di boiler e Gwen che schiacciava dei pulsanti posti sopra di esso. Tutt’intorno a lei volteggiavano le creature.

“Fermati!”

“E perché dovrei?”

“Non ci penso proprio!”

Il Capitano si voltò verso Rhys e lo guardò con l’espressione più dispiaciuta che fosse in grado di fare. In quel momento sembrava essere crollata la sua corazza imperturbabile e i suoi occhi mostrarono la loro vera età e tutto ciò che avevano visto. “Mi dispiace”. Tirò fuori un coltello dalla tasca e, lanciatosi addosso a Gwen, la prese da dietro stringendola forte con le braccia. Infine, con un colpo deciso, piantò il coltello nel suo stomaco facendola boccheggiare. Il suo corpo si illuminò di una luce azzurra e l’alieno che l’aveva posseduta la lasciò andare, unendosi ai suoi compagni che stavano ancora volando per la stanza.

“Owen, pensaci tu!” gridò Jack, lasciando Gwen nelle mani del dottore.

“Tu puoi fermare quella macchina?” chiese il ragazzo, guardando la macchina con occhi preoccupati. Questa aveva cominciato ad emettere sbuffi e sibili e sembrava che stesse per scoppiare. “Sì!” esclamò Jack, voltandosi completamente verso il suo team. “Ma voi dovete uscire da qui il più in fretta possibile”.
Gli altri non se lo fecero ripetere due volte e abbandonarono la stanza, Owen e Rhys che sorreggevano Gwen. Soltanto Ianto esitò, ma un’occhiata decisa del Capitano lo convinse a seguire gli altri.

Rimasto solo, Jack si inginocchiò sul pavimento e infilò la testa sotto l’amplificatore, trovando proprio quello che cercava: il serbatoio. Ed era pieno di benzina.
Estrasse un accendino dalla tasca e lo accese, puntando la fiammella proprio al centro del serbatoio. Gli alieni, capendo il suo piano, cercarono di impedirglielo, lanciando oggetti contro di lui, ma il Capitano riuscì ad evitarli tutti.
Infine, strisciò fuori chiudendo la porta dietro di sé. Corse verso le scale, mentre la stanza dietro di lui esplodeva in un gran boato e potenti fiamme.

 

I cinque membri del Torchwood insieme a Rhys guardavano la villa divorata dal fuoco. Le fiamme l’avevano abbracciata piuttosto in fretta e le finestre e il tetto avevano cominciato a crollare. Presto non ne sarebbe rimasto più niente. E insieme a lei sarebbero morti anche le creature intrappolate lì dentro, mentre loro erano al sicuro, lontano da essa.

“State tutti bene?” chiese Jack. “Gwen stai bene?”

“Sì”, rispose la ragazza appoggiata al Suv perché Owen le potesse curare la ferita.

“No che non sta bene, figlio di puttana!” gridò Rhys guardando Jack con sguardo omicida. “L’hai accoltellata. L’hai quasi ammazzata”.

“Rhys!” lo chiamò la moglie. “Lascialo stare. Non poteva fare altro”.

“Questo lo crede lui”.

“Mi dispiace, Rhys”.

Forse Rhys aveva ragione, ma quella era stata l’unica soluzione che gli era venuta in mente, per fermare il disastro e anche per far uscire quell’entità dal corpo di Gwen. Dopotutto, aveva cercato di non colpirla in un punto troppo vitale.

 

Ianto mise l’acqua del tè sul forno e si asciugò le mani con uno straccio. “Una cosa che mi chiedo”, sbottò ad un tratto voltandosi verso Jack che se ne stava seduto al tavolo da pranzo. L’uomo alzò gli occhi su di lui con fare curioso. “Perché seppelliva i suoi figli in casa. Il signor Mallerick, intendo”.

“Forse perché erano i suoi figli e non voleva separarsene”.

Il ragazzo rabbrividì al ricordo degli scheletri che avevano trovato. “Che coraggio, però, ammazzare i propri figli. Insomma, era proprio necessario? Gwen non è dovuta morire per esserne liberata”.

“Probabilmente pensava che fossero posseduti dal demonio e che l’unico modo per liberarsene fosse ucciderli. L’hai letto anche tu il suo diario, stava impazzendo”.

“Già, sarà così”. Ianto lasciò il tè a bollire e si sedette accanto a Jack. Questi gli mise una mano attorno alle spalle, lasciandolo poggiare la testa sulla sua spalla, e portò una mano ad accarezzargli la pancia di quasi cinque mesi.
Il cielo fuori dalla finestra si stava rannuvolando; forse quel giorno avrebbe piovuto.

 


MILLY’S SPACE

Buonsalve, sì, lo so, è da un secolo che non aggiorno. Ma ho avuto così tanti impegni. Non posso far altro che porgervi le mie più sentite scuse, sperando che questo capitolo vi sia piaciuto e che abbia compensato la mia assenza.

Non voglio tediarvi troppo, perciò vi lascio andare. Volevo solo provi un quesito: secondo voi sarà un maschio o una femmina? Intendo il bambino di Jack e Ianto. Sono curiosa di sapere che cosa pensate voi. Provate a sparare, vediamo ^^ tanto io ho già deciso.
E ricordatevi anche di venirmi a trovare sulla mia pagina facebook che si chiama Milly’s Space. Potete lasciarmi lì le vostre recensioncine, se volete. O parlarmi di qualsiasi altra cosa, sono sempre disponibile ad ascoltare : )

Un bacione,
M.

LORI LIESMITH: wow, allora considero la tua recensione un vero onore. Scusami se ti ho fatta attendere. Fammi sapere. Un bacio, Milly.

HELLOSWAG: oddio, metti via quel coltello ^^ ho aggiornato, un po’ in ritardo, ma ho aggiornato. Eh sì, Jack e Ianto sono dolcissimi. Purtroppo non riesco a evitare di inserire scene fluff, ma cerco comunque di rimanere abbastanza nei caratteri dei pg. Anche se forse non ci riesco del tutto. Va be’, dimmi che ne pensi. Un Bacio, M.

AMAYAFOX91: mi sarebbe piaciuto vedere uno sviluppo simile nella serie, comunque. Potrei telefonare a Davies e propormi di scrivere la sceneggiatura per la quinta stagione di Torchwood ^^ troverei un modo per far tornare Ianto. Ahaha. Un abbraccio, M.

  
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