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Autore: Utrem    21/07/2014    5 recensioni
Post VII stagione. Buffy non vuole più soffrire e si rifugia laddove crede d'essere circondata solo da ciò che è bene. Senza più i suoi amici, in procinto di sposarsi, dopo l'incontro con qualcuno riuscirà a riformulare le sue priorità non solo come cacciatrice, ma anche come persona.
Dal prologo: "Si era ripristinata in tempo. Stava bene, benissimo in verità, anche se era ovviamente scioccata dai pensieri aberranti appena avuti. Era stata evidentemente raccattata da una temporanea follia. [...] Equipararsi a una cacciatrice brancolante nella notte, perennemente sola, equivaleva a una condanna a una permanenza nell’ Inferno. Lei amava il suo Paradiso. Il suo imperfetto Paradiso. [...]"
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Buffy Anne Summers, Nuovo personaggio, Un po' tutti, William Spike
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Normal again.



Si diceva che rompere uno specchio portasse ben sette anni di guai.
Spike ghignò.
Tale leggenda derivava dalla credenza che nel riflesso della persona fosse insita un’importante parte della persona stessa.
Sulla base di ciò, in teoria, per un vampiro privo di riflesso non sarebbe dovuto  sussistere alcun pericolo; di conseguenza, rotto o meno, lo specchio era del tutto innocuo.
Questo però generava in lui un dilemma. Se fosse stato umano, o comunque fosse riuscito a far apparire il proprio riflesso su quella superficie, nella medesima condizione, rompere lo specchio avrebbe davvero apportato una qualche materiale differenza alla sua vita?
Stavolta rise deliberatamente. Sette anni di guai costituivano una sciocchezza confrontati alla sua eternità di irreparabili, dannatissime disgrazie.
Soltanto il resoconto degli ultimi due giorni andava ben oltre le capacità di quella superstizione, vera o falsa che fosse.
Resuscitato dall’amuleto, si era ritrovato ad arrancare per un chilometro buono, nudo e mezzo orbo, nelle fogne più buie e squallide di quella maledettissima città. Poi, all’improvviso, manna del cielo, aveva scorto un tombino. Tuttavia, non c’era una scaletta, o comunque un mezzo, per raggiungerlo. Così, dopo numerosi balzi ed altrettante testate, era finalmente riuscito ad appendervisi, a sfondarlo con un pugno e a uscire di lì.
Avrebbe cantato vittoria, se solo non fosse stato ancora completamente svestito, lezzo, lurido e maleodorante e non avesse avuto una fame che gli divorava l’anima, letteralmente. Fortunatamente – il sarcasmo trapela dalla parola, poiché Spike conveniva che non c’era alcuna fortuna in ciò –era riuscito a ovviare a questi problemi con discreta velocità: approfittando della zona isolata, aveva usato una fontanella per pulirsi il meglio possibile, si era abbigliato scoperchiando un cassonetto contenente vestiti usati per la carità e si era saziato– come aveva riferito a Buffy – nutrendosi di tutti i ratti che era riuscito a scovare. Successivamente, stufatosi delle fogne, aveva atteso la notte successiva per cercare una sistemazione temporanea in una bara del cimitero locale, ed il resto era storia – che non voleva ricordare assolutamente.
E che nell’atto di respingere si era ora fissato in testa di nuovo, come un cretino.
Chiuse gli occhi e si morse il labbro, contraendo con stizza i muscoli della mascella.
Piegò un po’ la testa ed estrasse con cautela due pelucchi che gli erano scivolati nell’orecchio. Rimirandoli, decise che forse era opportuno distrarsi indignandosi per il resoconto di quella giornata, anche quello davvero notevole.
Dopo aver speso un’ora inutile del proprio tempo a cercare gatti che erano scappati chissà dove, era ritornato all’appartamento poco prima che albeggiasse. Non avendo Buffy portato la biancheria ed i cuscini puliti promessi, aveva optato per sfruttare come giaciglio uno dei tappeti polverosi del soggiorno, doveva aveva trascorso deprimenti ore insonni, sino a quando non vi aveva rinunciato per impiegare un tempo indefinito a rinfrescare le zone del corpo che gli bruciavano con abbondante acqua, cercare di riordinarsi i capelli con una forchetta in assenza d’un pettine, mordersi le nocche dall’impellente, devastante fame, guardare passivamente la TV – che non aveva manco il via cavo –,  inventare una volgarissima e vergognosa poesia a rima incatenata sulla sua inopportuna iella e, appunto, disinfestarsi dai pruriginosi pelucchi del tappeto, abbarbicatisi un po’ ovunque sul suo corpo.
Proprio mentre ripassava con astio le sue inconcludenti attività giornaliere, però, gli sovvenne un’illuminazione.
Ringalluzzitosi d’un tratto, marciò in cucina, tenendo inavvertitamente due dita incrociate: fu confermata.
Erano le sei di pomeriggio.
Il sole era calato e poteva evadere da quel bilocale infernale per andare a caccia.
Lì per lì si sentì così contento che volle baciare l’orologio, ma alla fine la brama per il cibo prevalse e sbatté furiosamente la porta dietro di sé, facendosi strada, un po’ zoppicante per i lividi del giorno prima, verso il parcheggio.
Era immacolato. Non c’era anima viva: gli unici rombi d’auto udibili erano in lontananza. Meglio: c’erano due gatti spelacchiati, appollaiati su dei cofani, ignari del loro misero destino.
Allora c’era anche per lui uno sprizzo di speranza, dopotutto.
Intraprese la strada lunga per stanarli, così che credessero che fosse completamente disinteressato a loro e fosse lì solo di passaggio.
“Mi spiace, piccole palle di pelo, ma stasera a cena per ospite c’è papà Spike!”
Funzionò. Nessuno dei due girò l’infingarda testolina.
L’unico vantaggio delle scarpe di tela: quello di garantire che ogni suo passo si mimetizzasse deliziosamente nel silenzio circostante.
Nell’incedere, si scoprì più furtivo, subdolo, incattivito di quanto si fosse aspettato: chiaramente la fame lo guidava con maggiore spietatezza del solito, ma non ne fece un gran dilemma. L’anima gli aveva restituito abbastanza controllo – e senno – da non pensare nemmeno al sangue umano.
Ecco, ne aveva uno davanti. Comodamente sdraiato, gli dava la schiena. La pelosa coda fluttuava nel freddo vento di quella sera, cingendogli a tratti l’addome.
Il metodo più conveniente di cattura comprendeva necessariamente il fattore sorpresa: così, caricata ogni fibra del suo corpo, mani in avanti, mutò faccia e si avventò in scivolata sullo sventurato micio, che disperato si dimenò inutilmente nella sua presa, più sfuggevole d’una dannata saponetta.
Ma Spike aveva già sfoderato i canini e si accingeva ad azzannarlo, quando intravide per caso i fari di un’auto sfiorarli.
Diamine. Il languore gli doveva aver tappato occhi e orecchie, perché normalmente se ne sarebbe accorto prima.
Rapidissimo, smise la faccia demoniaca e si alzò in piedi ma, un po’ per istinto e un po’ per presunta astuzia, non lasciò andare il gatto.
Ne scese un uomo di alta statura, che richiuse con un colpo secco la portiera e gli si piazzò davanti, un po’ sfrontatamente.
“Cristo! Ma lo vede che qui passano le macchine?! Se l’avessi stirata mi sarei ficcato in un mare di casini ed è l’ultima cosa che… aspetti, ma perché ha un gatto in mano?”
Spike era sbalordito. Farsi quasi investire da un pallone gonfiato con un gatto in mano non era la piega che si aspettava la sera avrebbe preso.
“P-perché…” balbettò, facendo passare al vaglio ogni possibile alibi alla ricerca del meno assurdo “Perché, chiaramente, io sono un gattaro”
Nello stesso momento in cui pronunciò quella frase, Spike sentì il suo amor proprio scemare, scemare, scemare, fino a diventare un inesistente puntino microscopico.
“Un che?!” esclamò il tizio, alterato, mettendo le mani sui fianchi.
“Gattaro. Parola che definisce una persona che dedica la propria vita alla cura dei gatti. Io… mi stavo giusto preoccupando di questo qui… siccome l’ho visto denutrito e…” Spike fu obbligato a fermarsi, interrotto da un feroce gorgoglio dello stomaco. Se lì c’era un povero diavolo denutrito, quello era lui.
“Un gattaro? Veramente?” l’uomo aveva messo su un sorriso di scherno, ma era ancora recuperabile. Sembrava sinceramente incuriosito.
“Sul serio! Probabilmente non ne ha mai sentito parlare, poiché respingiamo per principio ogni tipo di pubblicità o sponsorizzazione, ma siamo un gruppo affiatato di colleghi molto affezionati ai felini; infatti sono stati proprio loro ad assegnarmi questa zona – il parcheggio, per inteso. La nostra missione è far sì che tutti i gatti di Mountyville abbiano pari diritti, a prescindere che siano randagi o casalinghi, maschi o femmine, di razza o bastardini, giovani o… be’, vecchi, ed il nostro motto è: ‘Se un gatto ti ghermisce, tu porgi l’altra guancia… perché probabilmente te lo sei meritato’”
Concluso il discorso, Spike si rammentò che aveva ancora il collo del micio stretto in mano e così si affannò precipitosamente a simulare una goffa carezza.
“Be’… è interessante!”
Annuì con vigore, internamente sbalordito. Impossibile, se l’era bevuta sino in fondo! Anche la stronzata del motto! Che razza di dementi circolavano. Non che lui non fosse credibile, anzi, però…
“Ma… allora perché prima ci è saltato addosso?”
Ecco, appunto. Strano che fosse andata così bene. Avrebbe stonato col resto di quella giornata di m*&%!...
“È un allenamento. Il gatto ne ha bisogno, in quanto predatore. Noi gattari non trascuriamo nessuna loro necessità”
Lo sconosciuto spostò il labbro inferiore verso il naso a sovrastare l’altro, assentendo col capo.
Spike si era fossilizzato nella posizione in cui lo aveva trovato, con occhi supplichevoli, nella vana speranza che se ne andasse, lasciandolo finalmente banchettare in pace.
“Gattaro… questa non l’avevo mai sentita! I miei complimenti! Non si finisce proprio mai d’imparare” gli strinse la mano con forza, inebetendolo ulteriormente “Vorrà dire che la rivedrò qui in giro in questi giorni! Che ne direbbe se le facessi un pensierino, portandole due scatolette? Le dispiacerebbe?”
“No, no! Sarebbe molto gentile da parte sua!” Spike rispose frettolosamente, fingendo un gratissimo sorriso.
“Adesso scusi, ma devo andare a casa, altrimenti Buffy diventerà una piaga! Voglio dire, sa come sono le donne… non sono mai puntuali e si ostinano a pretendere sempre che lo siamo noi uomini!”
All’udire ‘Buffy’, gli occhi di Spike triplicarono tempestivamente il diametro. Eccolo dunque, il dannato Angel III… simpatico quanto lui, non c’era dubbio. Forse anche di più, il che non era mica un’impresa da tutti.
“Sì sì, certo, si figuri, non vorrà fare tardi! Parcheggi pure, mi levo di mezzo” alzò gli occhi, contemplando la triste ironia delle sue ultime parole.
“Buonasera!” lo salutò Ryan, rimettendosi al volante e sfrecciando via.
Spike alzò un braccio in aria con la mano semiaperta, per poi percuotersi il bacino con la stessa non appena fu fuori dal suo campo visivo.
Al diavolo! Proprio una buona sera, proprio. Ed il bello doveva ancora venire: la ‘piaga’ doveva ancora presentarsi!
Afferrando il gatto per la collottola, sfoggiò nuovamente i canini e voracemente lo addentò.



Nota:
Il modo in cui Spike è tornato in vita è di mia invenzione. Può essere quindi considerato AU rispetto al differente sviluppo dell'evento che si ha in "Angel".
   
 
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