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Autore: Hidden_Fire    22/07/2014    0 recensioni
Esiste un terra, né lontana né vicina.
Non la si può raggiungere, né la si può immaginare.
Non si sa come sia stata creata, né quale sia il suo passato.
La sua funzione è di trattenere le anime dei defunti che i vivi non vogliono abbandonare.
Un giovane umano vigila su di lei.
Non si sa da dove provenga, né quali siano le sue origini.
La sua funzione è di dare pace a quelle anime.
******
Salve a tutti gente, sono tornata con una nuova storia! Questa volta mi sono ispirata al video della canzone "Lost in the Echo" dei Linkin Park. La storia non conterrà più di 4/5 capitoli in tutto e verrà aggiornata una volta a settimana, il lunedì.
Detto questo vi saluto con la speranza che il mio lavoro sia di vostro gradimento.
Godetevelo!
ATTENZIONE! FIC. SOSPESA A TEMPO INDETERMINATO A CAUSA DI SERI PROBLEMI GESTIONALI. SCUSATE IL DISAGIO.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Sorpresa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale
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Un ragazzo stava camminando per le strade deserte di una città in rovina. Aveva il cappuccio della felpa nera tirato fino alla punta del naso e avanzava con lo sguardo fisso sui suoi piedi nudi, coperti a malapena dai suoi vecchi jeans grigi. Percorreva una strada fatta già tante volte, che portava al teatro grande della città, unica struttura ancora veramente sicura, nonostante l'ingiuria del tempo. Spesso doveva scansare i detriti sull'asfalto oppure aggirare le zone in cui l'edera e le erbacce, che già avevano preso praticamente il pieno possesso della città, coprivano le insidie del terreno.

Ogni volta che passava si domandava come avrebbe dovuto essere quel luogo un tempo, se mai fosse mai stato un vero luogo di vita. Per quanto ne sapeva poteva anche essere nato così, già in rovina, già con i segni del tempo a devastarne la natura.

Qua e là erano sparse le carcasse metalliche di vecchie automobili, biciclette arrugginite, camion divorati dal tempo. Una volta abitavano quelle strade anche alcuni scheletri di esseri umani, ma quelli un po' per via degli animali selvatici che se ne cibavano, un po' perché lui era riuscito a dar loro una pietosa sepoltura, erano scomparsi da un pezzo.

Finalmente giunse davanti al teatro grande. Dei suoi antichi colori sgargianti non era rimasto che un ricordo sbiadito sui muri.

Si prese un attimo di tempo per osservarlo con attenzione, immaginando come avrebbe dovuto apparire un tempo e cercando con gli occhi l'entrata che dopo tanti anni di immobilità era stata ricoperta dalle sterpaglie, poi si strinse al petto con un braccio la valigetta color grigio metallico che si portava dietro e con l'altro braccio tentò inutilmente di strappare ogni impedimento vegetale. Ovviamente l'operazione risultò inutile, perciò fu costretto a fare un giro più lungo per poter entrare attraverso una fenditura nel muro laterale.

Sapeva di essere osservato. Già da quando era entrato in quella città molti occhi ne avevano seguito il peregrinare in silenzio, mantenendosi nell'ombra, scrutandolo dalle finestre vuote come le orbite dei teschi. Lui non ne aveva paura. Era lì per loro, per coloro che ancora si rifiutavano di andarsene.

I corridoi interni del teatro erano ingombri di calcinacci e mattoni caduti, i mobili marci che un tempo li arredavano giacevano a terra in modo scomposto. Più di una volta il ragazzo si ferì la pianta dei piedi sulle macerie, ma nemmeno una volta se ne lamentò.

Dopo un tempo indefinibile passato a cercare una via d'uscita giunse finalmente sotto il palcoscenico del salone principale. La platea, che un tempo conteneva centinaia di sedie rosse disposte in decine di file ordinate, era semi sgombra, fatta eccezione per un paio di poltroncine al centro che, nonostante le loro condizioni pietose, resistevano al loro posto.

Il ragazzo si avviò verso il centro della sala con come unico sottofondo i suoi passi che scricchiolavano sui calcinacci, e una volta giunto sul posto prese la valigetta, deponendola a terra per aprirla.

In quel momento uscì allo scoperto la prima figura. Era un ragazzo dai capelli corti e neri, abbastanza basso, con la pelle scura e gli occhi spenti. Indossava abiti giovanili sporchi di sangue rappreso all'altezza del torace. Lo fissava da lontano senza muoversi, sostando sotto l'architrave di quella che una volta era l'uscita di emergenza.

Il ragazzo incappucciato ricambiò il suo sguardo.

-Dave- Disse salutandolo cordialmente. Come evocato dal suo nome il ragazzo avanzò verso di lui. L'incappucciato si inginocchiò e aprì la valigia, rivelandone il contenuto: decine di foto istantanee erano ordinatamente impilate l'una sopra l'altra. Erano talmente tante da riempire la metà perfetta della valigia.

La mano dell'incappucciato si mosse con sicurezza, prendendone una senza nemmeno controllare se fosse quella giusta e la consegnò a Dave. Lui le diede uno sguardo fugace e se la mise in tasca. Si guardarono di nuovo dritto negli occhi, poi Dave chinò il capo lievemente in un cenno che significava contemporaneamente una sorta d'intesa, un muto ringraziamento e un saluto d'addio. L'incappucciato lo imitò, rimanendo fermo ad osservarlo mentre gli dava le spalle per andarsene.

Presto anche altre figure comparvero. Inizialmente si fecero avanti una alla volta, poi, gradualmente, diventarono sempre più. Attorno al ragazzo incappucciato si formò un capannello di persone che tendevano impazienti le mani verso le foto, come se da esse fosse dipesa la sanità mentale di ciascuna di loro.

Il ragazzo incappucciato accontentò tutti, dalla ragazza coi capelli tinti a ciocche blu con un camice da clinica bianco al sergente istruttore dell'esercito in tenuta mimetica, dal bambino nero gracile come una foglia alla donna di mezza età bionda con un vestito rosso da sera che un tempo era stato sgargiante ma che ora era strappato e sporco, dallo spagnolo bello e muscoloso al ragazzone giamaicano grande quanto un armadio.

Si svolse tutto in un silenzio quasi religioso. Ogni persona, dopo aver preso la propria foto, se ne andò con lo stesso silenzio con la quale era arrivata, diretta verso un luogo appartato per poter rimanere da sola con la propria foto.

Il ragazzo incappucciato richiuse la valigia senza degnare di uno sguardo l'ultima foto rimasta sul suo fondo. Semlicemente mosse la mano verso di essa e se la infilò in tasca. Si rialzò lentamente da terra, si spolverò i jeans e si mise a sedere sul bordo del palcoscenico. Ancora poco e se ne sarebbe andato. Ancora poco e avrebbe potuto lasciare di nuovo quel luogo. Doveva solo attendere.

Poco dopo si levarono le prima urla.

  
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