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Autore: _Fox    22/07/2014    6 recensioni
One shot iscritta al contest: "Segui la corrente" indetto da AmahyP sul forum di EFP.
Un oscillare incessante tra passato, presente e futuro, screziato da tutte le sfumature possibili di una storia d'amore - non proprio con lieto fine.
Dal testo:
Sediamo entrambi a questo tavolo, pronti allo schianto con lo sguardo dell’altro, al muro di argomentazioni avverse che ci divide. Occupiamo lo stesso spazio eppure non siamo insieme – spezzati, sfrangiati da coincidenze mai possibili – ma ti prego, gioca con me - resta - mentre questa clessidra oscilla tra le onde della nostra vita, tra passato, futuro, un presente che non esiste.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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 Questa One Shot partecipa al contest "Segui la corrente", indetto da AmahyP sul forum di EFP.
 
 
“Tu non provi quello che provo io, non sai cosa significa amare, forse un giorno lo saprai, ma non è ancora il tuo momento.”
 
John Keats
 
 
 
 
 
 
 
Questa clessidra mi fa pensare a noi - sai? –, alla nostra sincronia impossibile.
Questo piccolo nodo di vetro che bacia istanti piccoli, sporchi come granelli di sabbia, infinitesimi, quasi banali; un continuo scivolare tra passato e futuro, il nostro, tra mancanze passate e impossibilità future – siamo sempre stati così, io e te: granelli di sabbia attraverso un collo di vetro troppo stretto per passarci insieme, io che ti corro dietro, io che sogno la tua schiena; io che mi sforzo di andare avanti mentre scorri alle mie spalle; una sospensione eterna, capisci? Passato e futuro, quello che siamo stati – quello che non abbiamo potuto essere -, quello che non saremo mai.
 
Voglio fare un gioco, ora: ferirmi con questa clessidra amara.
Ti guardo negli occhi - sei qui ma non sei qui, con i tuoi capelli troppo biondi e lo sguardo vuoto di consapevolezze; sei sempre stato un naufrago – non vuoi capire il presente, ti ci abbandoni soltanto.
 
 
Sediamo entrambi a questo tavolo, pronti allo schianto con lo sguardo dell’altro, al muro di argomentazioni avverse che ci divide. Occupiamo lo stesso spazio eppure non siamo insieme – spezzati, sfrangiati da coincidenze mai possibili – ma ti prego, gioca con me - resta - mentre questa clessidra oscilla tra le onde della nostra vita, tra passato, futuro, un presente che non esiste.
 
 
Perciò,
 
vai a un anno fa, quando ci siamo visti per la prima volta.
Vai a me che cerco i tuoi occhi, incastrato nei miei spigoli d’avorio; vai a me che scopro me stesso, io che non mi sapevo in grado di amare.
Spontaneo come un fiore scagliato su questa terra da un dio, eri tutto ciò che io non sapevo essere e mi piaceva. I petali che sbocciavano dal tuo petto li vedevo perfino io – solo io -, dall’alto della mia torre.
 
E vai a me tra un anno, quando mi sentirò solo sul cuore della terra. Vai a me che cerco di dimenticarti e dimenticarmi in una città troppo grande che pure non vuole ospitarti; vai a me che ti penso come un vago effluvio di seta tra i miei ricordi ma ancora ti cerco negli occhi degli sconosciuti, come una pallida luce errabonda.
 
Torna a noi, ora – sei qui e vedo il tuo viso anche se mi dai la schiena -, torna a tutte le cose che ci mancano per essere perfetti, noi che non vogliamo essere perfetti, tu che non vuoi essere, io che vorrei essere con te.
 
Ora fa’ qualche passo indietro, a due settimane fa, quando dentro di me ti supplicavo di amarmi ma tu non avevi anima per sentirmi; eppure ai miei occhi eri perfetto, anche se m’abbandonavi sempre, come il volantino di una pubblicità che ti distrae da te stesso; ero un blando pezzo di carta tra le grinfie del vento, legato a te da un solo filo di seta che non vedevi, anche quando ti finivo tra i piedi, sperando che inciampassi nel mio amore.
 
 
Vai a me in un’altra vita, tra dieci anni oppure mai, quando capirò che sei un desiderio inestinguibile, non importa quanto ti bruci, quanto mi bruci; sei una fenice - la mia fenice - che ogni volta mi logora la pelle affinché non tocchi altro – ho sempre pensato che sentire equivalesse a sentirti.
 
 
Torna da me ora, che disegno le capriole della nostra clessidra su questo tavolo e allungo la mano, nella speranza di afferrarti almeno una volta.
 
Vai a noi che non siamo mai stati noi, ma forse, almeno un anno fa, eravamo qualcosa.
Vai a me che mesi fa, o forse da sempre, sognavo di baciarti, di stropicciare il nostro amore sotto lenzuola di seta;
vai a me che non avrò mai lenzuola di seta.
 
 
Fa’ un salto avanti, nel buio, nel futuro, anche se temi d’inciampare; dimmi – mi vedi? Sono un volantino sporco o una tela impressionista a cui regalerai i colori che mi spettano?
L’arte mi condanna così splendidamente, se sei tu a reggere il pennello, come Van Gogh che squarciava la tela di Madre Natura per schizzarci sopra i suoi gialli, i suoi blu, e comporre tutt’un altro ritratto di questa vita con troppe scale di grigio.
 
Torna a me, ora, che ti vedo come sei stato sempre, anche se non ci sei; torna a me che come sempre vorrei baciarti.
Vai a me troppo tempo fa, quando avrei potuto bruciare qualche passo in meno ed evitare di amarti.
Torna a me, ora, alle mie lacrime in questa clessidra - torna a me che non ho mai voluto evitare di amarti.
 
Mi sono gettato dalla mia torre d’avorio senza paracadute e sono atterrato sui tuoi petali amari.
E la seta è solo bella, mica resiste: l’ho pensato tante volte, ma mai abbastanza da non farmelo bastare.
 
 
 
 
 
 
 
_________________________ 
Note:
Probabilmente non ci potrebbe essere qualcosa di più distante da me, in quanto stile, di John Keats, per quanto possa amarne la poetica. L’oggetto che ho deciso di chiamare in causa è una clessidra, simbolo più che eloquente di un incessante scorrere del tempo e della sua stessa indeterminatezza: il “nodo di vetro” dove scorrono i granelli di sabbia è il presente, mentre agli estremi troviamo il passato e il futuro. Questa narrazione, per quanto breve, vorrebbe essere l’oscillare di una storia d’amore proprio tra passato, presente e futuro. Come simbolo il capovolgersi continuo della clessidra per i salti temporali affrontati dal protagonista, che ripercorre la storia del proprio amore negli occhi del compagno. Di Keats ho voluto riprendere proprio questo senso d’indeterminatezza e sospensione (riscontrabile perlopiù nella sua “Ode su un’urna greca”, in cui figurano fanciulli che rincorrono incessantemente le fanciulle amate senza poterle mai afferrare, vivendo così un amore sempre incompleto). Spero di essere stata all’altezza del compito e soprattutto delle parole sublimi di questo sommo poeta. Ringrazio in anticipo chi avrà il piacere e il buon cuore di recensire. Un abbraccio e alla prossima.

 
 
Fox
 
   
 
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