VOGLIO
SALVARTI
19
– Sepoltura e
fuga
Il
respiro mi torna
prepotente, invadendomi e ardendomi i polmoni; anche Ignem è
esausta e ferita,
fatica a restare sollevata in aria. La guarisco e le dono un
po’ di energia che
è racchiusa nella squama che mi aveva dato. Sono ancora un
po’ intorpidita, è
come se non usassi il mio corpo da anni e dovessi farci
l’abitudine; guardo in
basso e quello che vedo non mi sorprende, gli elfi si stanno ritirando
e
scappano nei boschi.
Planiamo verso il basso e con
la voce amplificata dalla magia ordino di fermarsi e non inseguirli, i
soldati
ubbidienti si schierano e aspettano miei ordini. Li osservo, le perdite
sono
ingenti e l’esercito esausto; gli elfi erano meno e minori
sono le loro
perdite, ma loro sono elfi. Se li inseguissi ora sarei una stupida, gli
uomini
devono riposare, ma non le creature con le orecchie a punta.
“Tornate all’accampamento,
mangiate e riposatevi. Domani marcerete sulla città e
prenderete quello che ha
da offrire” grido, mi rispondono acclamazioni di gioia, tra
me e me aggiungo
“ormai devono essere rimasti in pochi là dentro e
saranno vostri anche loro, a
me non servono”
Scendo dalla mia dragonessa e
con lei mi dirigo nel mezzo del campo di battaglia, un ufficiale mi
affianca
“Mio cavaliere, c’è una tenda che vi
aspetta e un pasto caldo, ai feriti
penseremo noi” sorrido cupamente.
“Non voglio occuparmi dei
feriti, capitano; è dei morti che ho intenzione di
occuparmi. Ora vai e fa il
tuo dovere, non risparmiate i feriti nemici”
“Nemmeno le donne?” Domanda
quello.
“Nemmeno le donne, nessuno”
Proseguo mentre quello resta fermo e dopo una piccola riverenza
raggiunge il
suo gruppo di stregoni.
Il cadavere di Oromis giace
nel sangue suo e di altri, con una gamba schiacciata sotto il suo
potente, e
pesante, drago; con la magia che mi rimane scosto la massa enorme e
dorata di
Glaedr, taglio le funi della sella che sono avvolte intorno ai polpacci
dell’elfo e ne sposto il cadavere in uno sprazzo di terra
libera. Osservo la
sua ferita che va dalla spalla al fianco e la guarisco, la carne si
rimargina
velocemente e il sangue secco scompare; impongo su entrambi i cadaveri
un incantesimo
di conservazione.
“Ignem saresti in grado di
trasportare Glaedr con il mio aiuto?” Domando;
lei mi osserva dubbiosa, ma poi annuisce. La dragonessa afferra con gli
artigli
l’enorme massa dorata di Glaedr e scuotendo convulsivamente
le ali si solleva
di poco, la iuto con la magia e, sempre con la magia, sollevo anche
Oromis;
insieme ci dirigiamo verso la foresta.
Quando i due corpi vengono
accasciati a terra sono stanca, ma mi riprendo velocemente; mentre
camminavamo
ho trovato la spada del cavaliere, per quanto mi dispiaccia non gliela
posso
lasciare e trasferisco la sua energia nella squama di Ignem, un vero
arsenale.
Osservando la corazza dorata di Glaedr provo l’innato
sentimento di sottrargli
una squama, non se ne accorgerà nessuno e a lui non servono
più.
Mi avvicino ad una squama
della zampa mutilata, sembra essere già quasi del tutto
staccata e con un
piccolo tiro la prelevo, la rigiro tra le mani e poi la attacco alla
collana
con quella di Ignem.
“Cosa vuoi farne?” Chiede
Ignem, riferendosi ai due cadaveri; scuoto
la testa “Hai intenzione di darli
agli
elfi?”
“No, non sono degni di seppellire un
drago, solo un cavaliere può farlo
e visto che sono l’unico cavaliere lo farò
io” Uso l’energia che era
conservata nella spada e pronuncio poche parole.
Gli alberi si chiudono come a
cupola su di noi, i rami e le radici avvolgono i due corpi, li
trascinano e li
posizionano; i rami si irrigidiscono e si fermano. I due sembrano drago
e
cavaliere fatti di intrichi di rami, non si vedono i lineamenti del
viso, ma la
forma dei corpi è ben delineata e l’arto mancante
di Glaedr è stato sostituito
dai rami.
La testa del drago è puntata
verso l’alto, nell’atto di ruggire, con una zampa
sollevata; il cavaliere si
regge alla sella con una mano e l’altra è protesa
verso l’alto, la mano chiusa
intorno a un’elsa di spada inesistente. Guardo la lama dorata
che pende al mio
fianco; non è mia e non mi serve, ma…
“Puoi dire al re che è
andata perduta” Suggerisce Ignem, annuisco e
posiziono la spada dorata nel suo legittimo posto “Dovremmo dire qualcosa?” Domanda
ancora lei.
“Bè, polvere alla polvere,
immagino. E tu, elfo, diventerai il cibo per le piante che il tuo
popolo ama
tanto; non credo che il tuo riposo sarà eterno, presto anche
da qui vedrai la
tua foresta bruciare del fuoco della mia compagna di mente e di
cuore”
Un’ultima minaccia detta a un morto e il fruscio del mantello
stracciato,
mentre esco dalla cupola di alberi.
La città è stata conquistata,
gli abitanti sono morti tra atroci torture e le ricchezze sono finite
nelle
case dei sodati; dal re ho ricevuto l’ordine di tornare a
casa e un comandante,
vecchio e rugoso, ha preso il mio posto, per continuare la conquista
della
foresta. Ora torno a “casa”.
***
I
mesi passano mesti nella
grande città di Urû’baen, il re
è sempre più preso dalla scoperta che sta per
fare: il vero nome dell’antica lingua, cosa che mi lascia
completamente
indifferente, ho già il controllo sulla magia, tutta la
magia e non solo la
lingua con cui è amministrata. Non ho più
ricevuto incarichi dopo Oromis e
Glaedr, a quanto pare Ignem è troppo preziosa, ma io non
metterei mai in
pericolo la sua vita.
Alla fine trovo il mio talento
in guerra recesso a “consigliere” della corona,
posso seguire passo a passo gli
eserciti e formulare strategie, ma non amministrare i soldati sul
campo. I
Varden accumulano successi su successi e tutti i tentativi di catturare
Eragon
falliscono. Dopo un’altra sconfitta di Murtagh a Dars-Leona
l’ira del re era
alle stelle.
“Sire, lui vuole ucciderti,
no?” Attiro su di me gli sguardi truci di tutti i generali,
compreso il re, che
annuisce “Per fare questo dovrà venire qui, un
topo che cerca il formaggio e
cade in trappola; è tutto così semplice. Sire,
sposta gli eserciti qui e
aspetta che arrivi; lo farai entrare nel palazzo, lui e pochi altri e
pian
piano potrai sfoltire le sue fila. Metti delle trappole, altri andranno
avanti
per testare la sicurezza del terreno e quando saranno morti quelli che
non ti
servono lui sarà esattamente dove vuoi che sia” Lo
sguardo di Galbatorix si
illumina.
“Questa è l’idea che mi
serviva” Annuisce e poi indurendo lo sguardo si volta verso i
suoi generali
“Voi siete inutili, questa ragazza capisce la guerra
più di voi, ed è molto più
giovane; fate come ha suggerito, ma lasciate qualche sostanzioso gruppo
di
soldati, per provocargli più perdite possibili" Appena
ricevuti gli ordini
i generali si dileguano con un lungo e spaventato inchino.
“Anna, veniamo a noi, io
penso…” Mentre le parole gli escono di bocca sullo
specchio posato accanto al
tavolo appare l’immagine tremolante di Murtagh.
“Sire, come avete saputo
abbiamo perso la città; sarebbe opportuno attaccarli subito,
questa notte,
mentre festeggiano” Il re sorride.
“Voglio che la regina dei
Varden venga uccisa, senza una guida sono un toro senza gli occhi,
colpiscono
alla cieca” Lo sguardo del cavaliere rosso sembra rabbuiarsi,
che si sia preso
una cotta per quella… smidollata?
“Sire, posso parlare
liberamente?” Galbatorix annuisce, è curioso
“Credo che Nasuada possa essere il
cavaliere dell’ultimo uovo, se dovesse morire potremmo
cercare un giusto
compagno per anni e ora, forse, lo abbiamo a portata di mano”
Il re si gratta
il mento e poi lascia ricadere mollemente il braccio lungo il fianco,
si gira
verso di me.
“Tu, Anna, cosa ne pensi?”
Inclino la testa; sono certa che Nasuada non potrà mai
diventare un cavaliere
di drago, ma se dovesse morire mi mancherebbe un aiuto inaspettato.
“Credo…” lancio un’occhiata a
Murtagh, che mi osserva silenzioso “… sia
difficile che questa eventualità possa
diventare reale, ma potrei sbagliarmi e non varrebbe la pena perdere
questa
opportunità”
“Bene, allora vedi di
catturarla!” La figura di Murtagh scompare e lo specchio
torna a riflettere la
sala poco illuminata. “C’è qualcosa che
non hai detto cara, fammi diventare
partecipe dei tuoi pensieri” Mi stupisco sempre di come
Galbatorix sappia
interpretare le mie parole e, ancora meglio, i miei silenzi. Valuto la
possibilità di mentirgli, ma è troppo rischioso e
non mi voglio espormi troppo,
così gli dico la verità.
“Sembra che Murtagh abbia un
attaccamento particolare a questa… donna; credo che lei sia
il modo per
controllarlo meglio” Il sorriso sul viso del re si accentua.
“All’inizio credevo che tu
fossi come Morzan, ma adesso vedo che sei esattamente come
me” Rispondo al
sorriso.
“Non sai quanto” Mi
inchino e raggiungo l’uscita.
“Cosa te ne fai di
Nasuada?” Chiede Ignem curiosa.
“Quello che ho detto a Galbatorix,
Murtagh è diffidente e cercherà di
mettermi i bastoni tra le ruote; se ho qualcosa con cui controllarlo
ben venga”
“Dubito che quella duegambe cambi
qualcosa; esprimo
il concetto usando una tua
espressione: hai gli occhi foderati di pancetta?!” Corrugo
la fronte, non
riesco a capire cosa vuole dire.
“Non capisco, spiegati
meglio” L’unica spiegazione che mi
arriva è
la fragorosa risata della dragonessa e poi più niente. Che
comportamento
bizzarro.
***
Il
giorno seguente Murtagh
arriva con la prigioniera svenuta; Nasuada viene portata nei
sotterranei, ma
invece di essere rinchiusa nelle segrete viene legata nella Stanza
dell’Oracolo. Per disposizione del re nessuno
dovrà farle visita senza un suo
preciso ordine, tranne il carceriere; due guardie vengono stazionate
davanti
alla porta, per prevenire qualsiasi minaccia e con esse vengono imposti
anche
vari incantesimi di allarme, di cui uno allerta me.
Passano tre giorni in
tranquillità; il re sembra persino essersi dimenticato della
sua “ospite”; ma
verso mezzanotte del terzo giorno mi sveglio di soprassalto, il braccio
destro
mi brucia terribilmente. Accendo una candela e lo osservo, a lettere
scarlatte,
scavate nella pelle arrossata vi è scritto una sola parola: fuga.
Mi alzo di scatto, indosso un
paio di brache sopra la camicia leggermente lunga e prendo la spada;
quando
riguardo il braccio la scritta è scomparsa e senza farmi
altre domande mi
precipito nei sotterranei. Non mi scapperai reginetta; non oggi.
Nelle scale sono già affollati
una ventina di soldati “FATEMI LARGO IDIOTI!” Urlo
e questi si spostano di lato
lasciandomi passare; scendo le scale come una furia e dopo due svolte
mi trovo
davanti la reginetta.
“Ma guarda chi si vede” la
schernisco “Bella camicia da notte” forse un
po’ di tempo fa doveva essere
bella veramente, ma ora stracciata e sporca sembra solo uno straccio.
Nasuada
brandisce una spada, ma non sembra essere in forma, anche se alle sue
spalle ci
sono due soldati morti.
Getto il fodero della spada di
lato, non avendo avuto il tempo di legarmi il cinturone alla vita;
avanzo e
tento un fendente, che viene prontamente parato dall’altra
spada, sorrido. Ho
appena iniziato.
Faccio un passo indietro e
inizio la mia danza; le infliggo piccoli tagli su tutto il corpo, vado
troppo
veloce perché possa tenermi dietro, sarebbe impossibile
anche per un soldato
nel pieno delle sue capacità. Poco dopo, ferita e stanca,
lascia cadere la
spada e si accascia a terra; calcio l’arma, che roteando sul
pavimento si
allontana da lei.
Mi giro verso le guardie che,
arrivate, stavano osservando il mio balletto “Riportatela in
cella, legatela bene
e sgombrate i cadaveri” Chiudo il colletto della camicia, che
nello scontro si
era leggermente aperto, recupero il fodero della spada e me ne torno a
letto.
NOTE
DELL’AUTRICE: Salve a tutti; anche
in questo capitolo c’è solamente una piccola
apparizione di Murtagh, ma non
preoccupatevi nel prossimo capitolo avrà un ruolo
fondamentale… Vi annuncio che
non manca ancora molto alla fine della storia: tre o quattro capitoli,
non ho
ancora deciso.
Sto già scrivendo una nuova storia e vi
chiedo un consiglio: come dovrei intitolarla?
-
La storia dietro il tiranno
-
Danzare con i propri demoni
Parlerà,
come forse avrete già capito
di Galbatorix, ma anche di Morzan e Brom. Credo che arriverà
fino alla morte
del primo cavaliere rosso, ma non ne sono ancora sicura.
Fatemi sapere quello che pensate. Ciao
e alla prossima.