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Autore: fragolottina    25/07/2014    12 recensioni
"Ogni sei mesi tutti i ragazzi di tutte le scuole dello stato, di età compresa tra i diciassette ed i venti anni, venivano sottoposti ad un test.
Tutti i test erano spediti direttamente alla sede centrale dell’ADP a Vernon, dove erano analizzati, smistati e valutati.
C’erano tre responsi possibili: il primo, ragazzo normale, potevi continuare la tua vita come se niente fosse successo; il secondo, potenziale Veggente, non eri arrestato – od ucciso, come ebbi modo di scoprire in seguito – come un Veggente attivo, ma ad ogni modo eri obbligato a sottoporti a test clinici per valutare la tua resistenza al Mitronio, per calibrare una cura su misura; il terzo, potenziale Vegliante, un soldato, una risorsa del governo, da quel giorno la tua missione era quella di dare la caccia ai Veggenti attivi.
A quanto pareva, io ero una potenziale Vegliante."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Synt'
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MSC19
fragolottina's time
mi scuso per le risposte lampo alle vostre recensioni, vi prego, non prendetelo come scarso interesse da parte mia. si tratta semplicemente e tragicamente di scarso tempo.


27.
Douquette

Jamie Ross fissò i polsi di Rebecca Farrel dall’altra parte del palo e la lasciò lì.
    «Premerò il grilletto.» disse lei. «Non ho cambiato idea, se si avvicina di nuovo a Zach ucciderò Romeo.»
    Lui rise. «Prima vedilo, ne riparliamo poi.»

Lindsey si era volatilizzata, meglio.
    Courtney entrò nella stanza di Zach e chiese sottovoce a sua madre di cercarle un’altra batteria per la valigia refrigerante che le aveva dato Romeo. Una volta uscita si chiuse dentro, abbassò le tendine e tirò fuori una delle sacche di sangue. Zach sollevò le palpebre quando la sentì sfiorargli l’ago della flebo.
    «Cos’è?» domandò assonnato.
    «Sangue.» rispose senza specificare il sangue di chi, sospettava che se gli avesse detto “È il sangue di Romeo” avrebbe trovato modi fantasiosi per uccidersi da solo, piuttosto che accettarlo. «Puoi dormire ancora se vuoi, è presto.»
    Lui annuì piano e sprofondò con la testa nel cuscino.
    Ricordava le indicazioni che le aveva dato, quindi attese paziente che metà della sacca si svuotasse, poi la tolse, consapevole che a quel punto qualsiasi cosa avesse contenuto stava circolando, spensierata, nell’organismo di Zach. Per pochi secondi riuscì perfino a colpevolizzarsi: doveva esserle andato in pappa il cervello, avrebbe potuto far fare ai laboratori delle analisi prima. Ma conosceva cosa l’aveva resa tanto precipitosa; sospettava che dopo l’ultimatum di Logan Douquette tutti gli occhi degli agenti dell’ADP fossero puntati su di lei ed i suoi movimenti: sarebbe stato impossibile fare della analisi ed evitare che terze parti mettessero gli occhi sui risultati.
    Per questo quando sentì prima abbassare la maniglia e poi bussare alla porta, sussultò. Nascose il sangue di Romeo nell’armadietto di Zach ed aprì. Con suo grande sollievo si trattava semplicemente di Nate e Lindsey.
    «Dove ti eri cacciata?» le chiese Courtney in un bisbiglio agitato, dura da ammettere, ma era quasi stata in pensiero per lei.
    «A cercare Romeo.» rispose guardandola. Fu quasi sul punto di dirle “Era con me stanotte, ci ho parlato io”, ricordando quasi troppo tardi perché non avrebbe mai potuto dire una cosa del genere.
    «Beh, non l’ha trovato.» si intromise Nate precipitoso, prima che Courtney fosse sul punto di raccontare tutta la verità, anche solo per avere qualcuno che le dicesse di condividere la sua decisione.
    O di fermarla, se fosse stata più convinta di lei che fosse una follia.
    «Devi venire con me.» continuò Nate.
    «Perché?» chiese lei, lanciò un’occhiata all’interno della stanza verso il letto di Zach, non voleva lasciarlo senza essere sicura che la trasfusione che aveva ricevuto non fosse tossica.
    «Devo parlarti, in privato.»
    «Resto io con lui.» Lindsey fece per entrare nella stanza di Zach, ma Courtney la trattenne per il braccio. «C’è una cosa nel suo armadietto, una cosa che gli ho iniettato per la quale probabilmente l’ADP ci arresterebbe per tradimento.»
    L’infermiera le lanciò un’occhiata. «Sarà bene che non lo trovino, allora.»

Jean mi era andata a prendere un tramezzino, una bibita colma di zuccheri ed un barattolino di frutta già tagliata. Visto che io tecnicamente ero ancora scomparsa, non c’erano vassoi sigillati con il mio nome sopra.
    Non avevo mangiato molto nelle ultime settimane, non che non mi dessero cibo, avevo sempre avuto una colazione, un pranzo ed una cena; ma non avevo mai molta fame e mangiare con gli occhi bendati mi metteva ansia: per quel che ne avevo potuto sapere magari mi davano insetti. Quindi mangiavo soltanto quando non ne potevo più di stare digiuna.
    «Starai qui con Matt e Nate.» mi spiegò con calma. Era sempre stata infinitamente rassicurante da quando ero tornata, anche nelle cattive notizie, come se temesse che maneggiandomi con poca cautela avrebbe potuto farmi esplodere: mi aveva accompagnata da una dottoressa che mi aveva visitata, poi mi aveva portato nel bagno della sua stanza ed aveva aspettato che mi lavassi e vestissi. Aveva cercato di spiegarmi perché non potevo vedere Zach, avevo annuito fingendo di essere d’accordo.
    «Io sono sempre nei paraggi, quindi se ti va di parlare, di raccontarmi qualcosa…»
    «Ho un messaggio per te.» dissi. «Da parte di Romeo.»
    Jean mi guardò ed annuì. «Ti ascolto.»
    «Dice che il suo ordine è ancora valido.» mi strinsi nelle spalle. «Che significa?»
    «Non te l’ha spiegato?» mi domandò spassionata.
    Scossi la testa e lei sospirò. «Romeo era un Vegliante della mia squadra. Una volta gli ordinai di fermarsi solo quando glielo avrei detto io.»
    Mi aveva detto di essere stato un Vegliante anche lui, non gli avevo creduto. Mi aveva parlato di molte cose ed io non ero riuscita a credere a tutto. Voleva Zach, voleva che gli dessi il permesso di portarlo via, come se avessi mai potuto acconsentire ad una cosa del genere. Avevo detto di no, decisa e ferma, offesa dalla sua speranza in un esito diverso di quella conversazione.
    “Allora morirà”, si era limitato a dire Romeo.
    «Gli dirai di fermarsi?» domandai a Jean.
    Lei sembrò pensarci su, poi mi lanciò un’occhiata. «Tu glielo diresti?» mi domandò a sua volta.

Courtney si era aspettata che Nate la conducesse nello stanzino delle infermiere o nel laboratorio dove lui e Matt si erano trasferiti, ma invece la portò fuori dall’ospedale. Le indicò la macchina e lei salì senza fare domande, anche se dentro il cuore le si strinse in una morsa di panico: si stava allontanando troppo da Zach e, per quanto devota, Lindsey non era lei stessa.
    Ad ogni modo non oppose lamentele e Nate guidò fino al parco dove secoli fa lei e Zach andavano a correre di nascosto da Lindsey. Le sembrò di riconoscersi in ogni ragazza in tenuta sportiva che passava, ogni volta si sentì più invecchiata e più indurita.
    «Ho trovato Becky.»
    Courtney voltò di botto il viso verso Nate, ci furono una manciata di secondi durante i quali non riuscì a pronunciare parola, poi si fece coraggio e le sue corde vocali trovarono una via attraverso la sua paura. «Lei o il suo cadavere?» si arrischiò a chiedere.
    «Lei.» disse Nate e Courtney non avrebbe mai potuto immaginare che quella parola potesse darle un tale sollievo.
    «Sembra un po’ smagrita, ma sta bene, Romeo non le ha torto un capello. Non ha un segno, un livido, un graffio.»
    «Perché non me lo hai detto in ospedale?»
    Nate la guardò. «È stata Jean a chiedermelo. Vuole tenerla nascosta finché Logan Douquette non se ne andrà da Synt.»
    «Devo dirlo a Zach.» disse seria.
    «No, non devi.» precisò. «Aveva un microchip nel braccio che controllava ogni suo dettaglio fisiologico, una cimice non mi stupirebbe.»
    Courtney sospirò, l’osservazione di Nate era giusta, la comprendeva e condivideva, ma Zach aveva ancora i lividi al polso ed usava le pochi forze che metteva insieme per continuare a strattonare quella dannata manetta, sapeva che niente lo avrebbe reso più felice che sentirla dire “Abbiamo trovato, Becky”. Nemmeno “So come curarti”.
    «La terremo con noi nel laboratorio.»
    «Non può rimanere chiusa lì per mesi.»
    Nate le lanciò un’occhiata. «Zach non ha mesi.» disse, spietato nella sua sincerità.
    Courtney avrebbe raccontato a Nate del sangue di Romeo, se in quel momento non avesse notato qualcosa che le interessava di più. Una signora camminava svelta sul marciapiede, indossava un vestito firmato color cipria e scarpe abbinate, un paio di occhiali da sole sicuramente costosi e continuava a guardarsi intorno con aria sospettosa. Non si era impegnata abbastanza a rendersi irriconoscibile.
    «Non è Dhelia Doquette quella?» chiese anche se non aveva bisogno di nessuna risposta.
    Nate la seguì con gli occhi, osservò i suoi passi brevi e veloci. «Andiamo a vedere dove va.»
    Scesero dalla macchina cercando di essere i più silenziosi possibile ed iniziarono a seguire la madre di Zach a distanza. Courtney ricordava quando Josh e Jean avevano insegnato loro, tutti loro, come pedinare una persona senza dare nell’occhio, come mantenere sempre il contatto visivo, senza avvicinarsi troppo né andare nel panico se il soggetto si allontanava. Becky non aveva avuto quegli insegnamenti, qualcuno avrebbe dovuto passare il testimone anche a lei.
    Quando fu chiara la destinazione della signora Douquette, Nate e Courtney si fermarono a guardarla dirigersi verso il vialetto di Dawn Dandley.
    «Che va a fare da quella?» chiese Nate.
    Courtney gli prese la mano e lo tirò verso il retro della casa. «Scopriamolo.»
    Come l’ultima volta che era stata lì, la finestra del bagno era aperta. La stanzetta era piena di vapore, segno evidente che qualcuno si era recentemente fatto il bagno. Lo ignorarono, febbrili nella paura di far tardi all’ascolto di quell’incontro clandestino; Courtney abbassò la maniglia, non si aprì. Nate schiavo la serratura, provò di nuovo.
    Nonostante lei avesse voluto spalancarla e spostarsi nel corridoio, Nate glielo impedì, costringendola a dischiudere appena uno spiraglio.
    Sbirciarono il corridoio e si trovarono ad osservare la schiena di Dawn Dandley.
    «Fuori dalla mia proprietà.» intimò la donna sollevando e puntando un fucile in direzione della signora Doquette in piedi sulla veranda.
    «Mi dica che sta facendo qualcosa per mio figlio.» ribatté lei senza fare una piega.
    Dawn Dandley non abbassò la sua arma. «Credo di aver fatto troppo per suo figlio.»
    «La prego.» supplicò. «Lei sa cos’ha e come aiutarlo, è l’unica a poterlo fare.»
    Courtney e Nate si lanciarono un’occhiata turbata.
    «Certo che so cos’ha: un padre folle ed inadeguato, ma, ehi, chi sono io per dirlo? Mia figlia me l’hanno tolta.»
    «Mrs. Dandley, sono mortificata per tutto quello che le hanno fatto. Ma come lei ha cercato una cura per sua figlia, io ho detto di sì all’unico uomo che poteva curare il mio. Smetta di rinfacciarmelo. Non siamo così diverse.»
    «Non siamo così diverse!» ripeté Dawn Dandley furiosa. «Hanno sterminato la mia famiglia, rapito mia figlia e minacciato mio fratello per farmi fare quello che ho fatto. Io non volevo iniziare un genocidio, volevo soltanto curare mia figlia, nessuno di loro mi ha detto davvero cosa stavo curando.» raccontò. «Tu però lo sapevi.» sibilò. «Siamo molto diverse.» ripeté, prima di voltarsi e tornare nella sua casa.
    «Cosa stiamo ascoltando?» domandò Nate in un sussurro. Courtney non rispose, non lo sapeva.
    «Mio figlio stava morendo. Nessuno lo avrebbe curato, in un mondo in cui si dà la caccia ai Veggenti a chi importa se uno di loro muore per cause naturali?»
    Courtney deglutì, abbassò lo sguardo e chiuse la porta. Non voleva ascoltare di più, aveva paura ad ascoltare di più. Nate non la fermò, entrambi avevano riconosciuto nel tono di voce della madre di Zach, l’eco di qualcos’altro, quella pretesa di avere sempre ragione, così tipica dei Veggenti.
    «Secondo te…» iniziò titubante. «Zach lo sa che sua madre e suo fratello erano dei Veggenti?» aveva paura anche di quella risposta, perché se lo sapeva e continuava a portare avanti la missione dei Veglianti senza scomporsi, era un mostro.
    Nate rimase zitto per alcuni secondi guardandola, poi il suo sguardo si spostò ed iniziò a fissare un punto alle loro spalle. Courtney deglutì e voltò lentamente il viso: c’era un’ombra dietro la tendina della doccia a fiorellini. Entrambi rimasero immobili: doveva averli sentiti, avevano parlato. Aveva schiavato la porta, come aveva potuto essere tanto precipitosa ed ottusa da non pensare che una porta chiusa dall’interno deve essere chiusa da qualcuno?
    Romeo scostò la tenda della doccia ed incrociò le braccia sul petto. «Direi di no.» sbottò. «E se vi passa nel cervello anche solo l’ipotesi di metterlo a conoscenza della cosa, giuro che vi stacco la lingua.» li minacciò.
    Courtney indietreggiò finché Nate non le posò le mani sulla schiena per impedirle di finirgli addosso. «Ma deve saperlo!» si lamentò lui.
    «Per niente!» ribatté secco Romeo.
    Courtney abbassò lo sguardo, mentre tutte le informazione che aveva appena acquisito trovavano il loro posto, accanto a quelle che aveva già. «Sean non l’ha aggiustato, l’ha rotto.»
    Nate la spostò di lato per guardarla. «Cosa?!» domandò incredulo.
    Lei si scrollò le sue mani di dosso e si voltò, attenta a mantenere Romeo nel suo campo visivo. «Non capisci? Era un Veggente, avrà capito quanto sarebbe diventato in gamba suo fratello ed avrà cercato di frenarlo un po’. Forse aveva paura.»
    «Paura?! Razza di stupida ragazzina ingrata.» ruggì Romeo prima di fiondarsi su di lei, non fece in tempo nemmeno ad urlare.
    «Come puoi dire una cosa del genere?!»
    La afferrò per le spalle, Nate cercò di colpirlo, ma Romeo era sempre troppo veloce e gli diede un pugno. Spalancò la porta del bagno e la spinse avanti, mostrando alle due donne chi altri stava assistendo alla loro conversazione. Presa alla sprovvista, dalla sorpresa e l’improvvisa paura, Courtney cadde a terra.
    «Sean è morto per cercare di aiutarlo!»
    Si tirò su puntellandosi sui palmi, cercando di fare mente locale e trovare una via d’uscita: doveva difendersi, aiutare Nate. Poi improvvisamente tutta la sua mente fu invasa dall’orrore: si era fidata di Romeo, gli stava dando il suo sangue.
    Dhelia Douquette si accucciò davanti a lei e le sollevò il viso per fissarla negli occhi. «Sei la figlia di Vivien, non puoi essere così stupida.» osservò.
    «Non lo è.» la difese a metà Romeo. «Solo preferisce non farsi domande scomode.» continuò spingendo Nate a terra accanto a lei. Se non altro, erano insieme.
    «Capisco.» commentò alzandosi, si strinse nelle spalle, un movimento aggraziato e composto che la fece infuriare.
    «Non c’è così tanta fretta.» continuò a dire, le lanciò un’occhiata: avrebbe capito che era una Veggente anche soltanto da come la guardava: con la consapevolezza di essere superiore. «Se interrompi l’attuale cura di Zach, ti uccido.» concluse semplicemente dirigendosi verso il portico della casa di Dawn Dandley. Si fermò davanti all’altra donna e le fece un cenno con il capo, i capelli freschi di parrucchiere. «Ossequi, signora Dandley, avesse voglia di parlare, sa dove trovarmi.»
    La padrona di casa tenne aperta la porta e guardò i due Veglianti a terra. «Fuori di qui. E che non vi venga in mente mai più di introdurvi abusivamente in casa mia.»
    Nate afferrò Courtney per un braccio, aiutandola ad alzarsi, poi ad uscire da quella casa.

«Che facciamo se smette di dare il tuo sangue a Zach?» chiese Dawn Dandley a Romeo.
    Lui si avvicinò alla porta aperta e li guardò allontanarsi, Nate la stava quasi tirando. Courtney si voltò a lanciare un’ultima occhiata alla costruzione, prima di fissare lo sguardo nel suo. C’era il fuoco in quell’azzurro, se avesse potuto l’avrebbe incenerito.
    «Speravo che arrivasse a conclusione diverse una volta saputo di Sean.» sospirò. «Speravo che…» capisse. Non lo disse, era folle, lui lo era stato: lei era la Vegliante Williams, lui il Veggente che aveva accoltellato una delle persone alle quali teneva di più al mondo. Non poteva fidarsi di lui, nemmeno se lo voleva.
    «Non era ancora tempo, Romeo.» disse Dawn Danadley voltandosi per tornare in casa. Le lanciò un’occhiata, gli sembrò vecchissima e stanca, la conversazione con la signora Doquette doveva averla provata. Quella famiglia stressava tutti.
    «Sei stato paziente fino adesso, perché questa fretta?»
    Romeo non rispose. Li guardò scomparire dietro una casa. Nelle ultime settimane Courtney era stata così determinata, così fuori regola e schema, aveva accettato di buon grado quello che le aveva raccontato la notte precedente: aveva sperato che fosse pronta. Smettere di essere un mostro almeno per uno di loro, anche solo per una persona, anche solo per una notte, era stato così gratificante.
    «Non diciamo a Jamie quello che ha detto lei.»
    «No.» acconsentì la donna.
    Sean Douquette era una leggenda: era quello che più di tutti aveva difeso sé stesso dalla mediocrità. Logan Douquette aveva pagato le sue cure nei migliori ospedali, aperto un fondo fiduciario a suo nome per farlo studiare, ricoperto lui e sua madre di soldi e benessere, in cambio voleva che chiudessero gli occhi su Zach.
    Sean Douquette aveva fatto l’equivalente di sputargli in faccia.
    Tutti lo rispettavano e ricordavano, pochi l’avevano conosciuto. Jamie l’aveva conosciuto, non si era mai ripreso dalla sua morte, forse non l’avrebbe mai fatto. Romeo l’aveva visto una mattina, ad occhi sbarrati, seduto sul letto, come se il mondo fosse appena finito. Aveva chiuso gli occhi, deglutito, poi si era alzato ed aveva fatto come se niente fosse successo. La condanna di ogni Veggente era vedere.
    Romeo conosceva la storia, gliela aveva raccontata Dawn. Sean Douquette era stato mandato in Medio Oriente a forza da Logan, Jamie Ross aveva scelto di seguirlo perché odiava sua sorella e lui era il suo migliore amico; Sean aveva drogato Jamie prima della missione che lo avrebbe ucciso, Jamie non l’aveva perdonato nemmeno da morto.
    Si poteva rispettare una persona per la sofferenza che provoca la sua scomparsa su un’altra? Secondo Romeo, sì.
    «I vostri pugnali sono in lavastoviglie.»
    Romeo le lanciò un’occhiata, poi sbuffò una risata. «Però è vero che sei matta, Dawn.»

Zach guardava Lindsey addormentata sulla sedia, ultimamente non gli capitava spesso di essere sveglio e controllare il sonno di chi era addetto a sorvegliarlo. Ma lei gli era sembrata sfinita da quando si era svegliato quella mattina, era contento che potesse riposare un po’.
    Suo padre bussò piano alla sua porta. «Posso entrare?» chiese.
    Zach annuì e si schiarì la voce prima di parlare. «Ti spiace metterla a letto?» gli domandò indicando con un cenno del capo la brandina accanto al suo. Logan Douquette si avvicinò alla ragazza e la sollevò con delicatezza, prima di trasferirla sul letto e sedersi al suo posto.
    «Come stai?» gli domandò.
    Lui fece una smorfia. «Mi sento la testa pesante, forse ho un po’ di febbre.» il giorno prima Courtney l’aveva portato fuori, per i suoi standard di quel periodo poteva essersi strapazzato troppo.
    Suo padre allungò una mano e gli scostò i capelli dalla fronte, aspettò qualche secondo. «Sei un po’ caldo in effetti.» constatò. «Vuoi che ti faccia portare qualcosa?»
    C’erano stati pochi momenti come quelli, tra lui e suo padre, dopo i suoi dodici/tredici anni. Di solito Logan Douquette era il bastardo che tutti vedevano, ma a volte, raramente, era un padre e Zach non avrebbe barattato quei momenti per niente al mondo. «No, va bene così.»
    «Ho una bella notizia per te.» lo informò.
    «Davvero?» domandò Zach sorpreso.
    Lui annuì e si appoggiò allo schienale della sedia. «Hanno trovato la ragazzina che ti piace.»
    Zach lo fissò senza parole. «Stai scherzando?» domandò terrorizzato all’idea che lo stesse facendo davvero.
    Ma suo padre scosse la testa, sorridendo della sua espressione. «No, l’ho vista. La tengono nascosta perché sperano che non lo scopra, hanno paura che le faccia del male.»
    «E lo farai?» domandò lui preoccupato.
    «Non ne ho motivo.» disse suo padre sincero.
    «Vorrei vederla.» rifletté ad alta voce, dando uno strattone annoiato alla manetta.
    «Vedrò cosa posso fare.» lanciò un’occhiata alla manetta. «Ma tu smettila di fare così. Finirai per romperti il polso e non servirebbe niente.»
    Zach sospirò e rilassò i muscoli del braccio. «Va bene.» abbassò lo sguardo. «Ho cercato di difenderla, se fossi stato solo probabilmente sarei riuscito a scappare.»
    Logan Douquette sorrise. «Lo so.» allungò una mano e la posò sulla spalla del figlio. «Darei la sua vita per la tua mille volte.» disse fissandolo. «Sei migliore di me, Zach, sono molto orgoglioso di te.»
    «Anche se non sono più perfetto?» chiese Zach. Quando era piccolo glielo diceva di continuo che era perfetto, poi era cresciuto, era diventato un adolescente, aveva iniziato a rivoltarsi, a dire di no. Suo padre dava la colpa a Sean, diceva che era un cattivo esempio, che non poteva fare esperimenti sul suo fratellino, che doveva essere pazzo. Zach non ne era tanto sicuro, probabilmente si sarebbe rivoltato comunque: l’obbedienza non gli apparteneva.
    «Anche se Sean ti ha scombinato la testa, sì.» lo rassicurò il padre. «Che ne dici di riposare un po’? Magari la febbre ti passa.»
    Zach annuì. «Tu resti?»
    Logan Douquette si appoggiò di nuovo allo schienale della sedia e fece di sì con la testa. «Tutto il tempo che vuoi.»

Matt mi aveva aggiornata su tutto quello che mi ero persa, aveva tentennato solo una volta, quando aveva dovuto dirmi che il padre di Zach aveva intenzione di lasciarlo morire fra sei giorni.
    Mi rimanevano sei giorni con Zach.
    Giurai di uccidere Romeo per non avermi liberata prima.
    Nate tornò nel tardo pomeriggio esibendo un occhio nero ed un labbro spaccato e medicato. Non ci diede spiegazioni, non disse niente, si limitò ad aiutarmi a sistemare delle coperte accanto a loro.
    «Sembra un pigiama party.» provò a scherzare debolmente Matt, né io né Nate fummo in grado di raccogliere la sua ironia.
    Rimasi ad occhi aperti nell’oscurità, facendo e disfacendo le trecce ai capelli per non arrendermi al sonno, aspettando che i due incaricati di controllarmi si addormentassero.
    Rubai una divisa da infermiera e mi cambiai in bagno, lasciai i capelli intrecciati sperando di essere meno riconoscibile. Non sapevo come trovare la stanza di Zach, così salii sul primo ascensore libero che trovai ed iniziai a salire; mi fermai ad ogni piano, mi affacciai e controllai. Era un Vegliante, non potevano lasciarlo semplicemente in una camera come tutti, sicuramente ci sarebbero stati degli agenti.
    Che avrei detto se mi avessero fermata o riconosciuta?
    Non ci fu bisogno di scoprirlo. Quando le porte dell’ascensore si aprirono sul quarto piano, mi trovai davanti il padre di Zach. Non lo avevo mai incontrato, nessuno me lo aveva mai mostrato, eppure sapevo che era lui. Da come mi guardava. E poi aveva i suoi occhi.
    «La signorina Farrel, suppongo.» disse.
    Io non risposi, non ero stupita che l’idea di Jean di tenermi nascosta non avesse funzionato: era difficile disegnare confini intorno a uomini tanto potenti.
    «La camera di Zach è la 203.»
    Lo fissai. «Jean mi ha messo in guardia da lei.» rivelai.
    Lui attese che scendessi dall’ascensore, prima di salire a sua volta, educato e galante come un gentiluomo d’altri tempi. «Jean è una donna saggia.» disse semplicemente.
    Rimasi a guardarlo finché le porte dell’ascensore non si chiusero, poi mi diressi verso la stanza che mi aveva indicato.
    Zach dormiva come se fosse morto.
    Mi avvicinai al suo letto in punta di piedi e lo guardai a lungo. Il suo torace si alzava e si abbassava, ma metà del suo viso era distorta da una maschera trasparente attaccata ad una bombola. Allungai una mano sul suo fianco e gli sollevai la maglia che indossava: la coltellata di Romeo era una riga chiara e lucida, leggermente rialzata sulla sua pelle, solo una cicatrice. Chiusi gli occhi, io ero quella cicatrice, io avevo pregato notte e giorno che quella cicatrice esistesse.
    Continuai a guardarla con riconoscenza, finché il mio sguardo non fu attirato da qualcos’altro. Mi allungai fino al suo polso destro ammanettato al letto, il metallo foderato di cotone: Courtney. Mi ero proposta una visita veloce, il tempo di vedere che stava bene, ma ora che ero lì, non volevo lasciarlo. Cercando di non svegliarlo salii piano, piano sul letto, facendomi piccola, piccola per non disturbare il suo sonno.
    Non ci riuscii.
    Lo sentii muoversi ed il suo braccio mi circondò la vita. Si scostò la mascherina, perché si chinò a baciarmi la testa. La sua mano salì fino alle mie trecce che iniziò a disfare con delicatezza. «Non andartene mai più.» sussurrò vicino al mio orecchio.
    Io mi appoggiai al suo torace e mi aggrappai alla sua maglietta in lacrime: non credevo che avrei mai risentito la sua voce. Il suo cuore batteva oltre i miei singhiozzi e scoprii che quel suono era tutto quello di cui avevo avuto bisogno.
    «Scotti.» gli dissi realizzando che era troppo caldo.
    Ma lui si era già riaddormentato ed io l’avrei seguito in fretta.

Courtney tornò in caserma ad occhi bassi, sconfitta. Non si era mai sentita tanto stupida in tutta la sua vita, mai. Bussò piano alla stanza di Jared, l’unico rimasto lì, l’unico in effetti a non avere niente da fare in ospedale. Le aprì e lei decise di dimenticare tutti i motivi per cui era stata arrabbiata con lui, si beò semplicemente della sua compostezza, la sua stabilità; il suo sapere sempre e comunque cosa fare, chi era il nemico verso il quale puntare la pistola.
    «Court.» disse, sorpreso di trovarsi lì.
    «Io…» si interruppe, le parole rimasero strozzate nella sua gola. Tirò su con il naso. «Io non so che mi è preso, ho sparato ad un uomo. Ho abbandonato quella bambina… io…» si posò una mano sulla fronte e si tirò indietro i capelli. «Mio dio, sarà morta ormai. L’ho fatta uccidere.»
    Jared la abbracciò. «Shh… è tutto apposto!»
    «No, non lo è.»
    «Ma certo, il paramedico è vivo e quella missione stava comunque andando male.» la rassicurò. «Non hai fatto niente di irreparabile.»
    L’aveva fatto invece, aveva dato a Zach il sangue di Romeo. Era sangue? Era di Romeo? Ma che senso poteva avere? Si era lasciata imbrogliare dalla prospettiva di una soluzione facile: non ce n’erano, non c’erano mai state.
    «Oddio, ma come ho potuto? Perché non ti ho ascoltato?»
    Lui la abbracciò e basta.
    «Credevo fossi da Zach.» le disse Jared dopo un po’. «Ho chiamato Nate per sapere come stavate e mi ha detto che Zach ha la febbre.»
    Courtney sgranò gli occhi: lo stava uccidendo.

Non ricordava di aver mai corso tanto. Arrivò in prossimità della camera di Zach, completamente spompata e trovò Lindsey in piedi, davanti alla porta. Inizialmente non capì, poi vide che accanto a lei c’era il carrello per la rianimazione.
    Aveva fatto tardi, era morto.
    Courtney si avvicinò alla porta senza dire niente. Zach dormiva con Becky aggrappata a lui, la maschera con l’ossigeno era per terra e lui ansimava con la bocca. Veloce, irregolare, troppo denso.
    Chiudi quella bocca, Zach.
    Stava annaspando, presto si sarebbe svegliato ed avrebbe chiesto aiuto o l’avrebbe fatto Becky per lui; ma in quel momento dormivano, tranquilli come se non ci fosse niente di cui preoccuparsi.
    Lei e Lindsey erano una accanto all’altra in quella veglia silenziosa, l’infermiera cercò la sua mano, lei intrecciò le loro dita.
    Zach smise di respirare.
    Courtney si morse il labbro e Lindsey strizzò gli occhi. Le loro mani si serrarono una nell’altro fino a far male, un secondo prima di intervenire, rianimarlo, attaccarlo al respiratore.
    Zach sospirò.
    Lo sentirono entrambe: Courtney trattenne il fiato e Lindsey spalancò gli occhi. Lo guardarono aggiustarsi e stringersi Becky addosso, che placida si adattò alla nuova posizione del suo corpo.
    E Zach respirava, un respiro vero, regolare e silenzioso.
    Un istinto lontano la obbligò a distogliere lo sguardo da lui e voltare il viso verso il corridoio: in fondo, davanti all’ascensore, Romeo le fissava con le mani nelle tasche dei pantaloni, scosse la testa e se ne andò.


sono di corsa, ma due cosine le devo dire:
1) lasciate stare che Mrs. Douquette ha due palle che non vi dico.
2) era impossibile che dopo tutto quello che c'era stato Courtney si fidasse di Romeo così, alla buona, soprattutto su una cosa tanto complicata, non si poteva, no.
3) Logan Douquette. mi piaceva che lo vedeste anche in veste di padre, è pessimo, ma è sempre il padre di Zach.
scusatemi ancora, ma devo fuggire!
baci


   
 
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