II – La
Papessa
Colui che
Volse lo Sguardo alla Luna
Villa Courteney,
Dover. 31 Luglio 2011
Verity scese in cucina in camicia da notte.
Si era svegliata per andare in bagno e dopo non era più
riuscita a prendere sonno. Aveva continuato a rigirarsi nel letto e a dormire a
tratti, ma non era più riuscita a proseguire il sogno da dove si era interrotto
e la cosa le dispiaceva. Non ricordava molto bene cosa aveva rivissuto, era
stato confuso, ma per una volta le erano sembrati momenti di vita allegri, passati
a giocare con altre donne e a raccogliere fiori in riva al fiume. Si era
svegliata nel momento in cui una delle ragazze le aveva spruzzato addosso
l’acqua fredda del fiume con il sorriso sulle labbra. Accanto a quella ragazza
si era sentita accolta e compresa come se lei fosse stata in grado di
comprendere cosa la turbava e la facesse propria, donandole in cambio sicurezza
e amore. Solo Alessio era riuscito a darle una sensazione simile, ma non così
profonda.
La mano le corse al collo cercando l’anello che Dubois le
aveva rubato. Proprio lui, che si era vantato di poter accedere ai diamanti più
preziosi, le aveva portato via quel cerchietto d’oro con un’acquamarina. Per
Michael non doveva essere una goccia in un oceano di diamanti, per lei era
l’unica cosa che la collegava ad Alessio. Avrebbe potuto perdonargli il
rapimento se si fosse scusato, ma non quello. Non erano molte le cose che
potessero portarle via e ancora meno a cui tenesse, ma lui era riuscito a
strapparle la cosa più preziosa che avesse.
Dopo quelle che parvero ore passate a rimuginare sul loro
incontro a Parigi, si era alzata. Non avrebbe più preso sonno e il tempo
passato a letto a non fare nulla era sprecato. Doveva aiutare Christian a
trovare Michael e farsi riconsegnare l’anello. poi avrebbe proseguito con le
altre sue ricerche.
Già in corridoio si accorse che qualcosa non andava. Di
mattina, i suoni della cucina erano ovattati, con le cameriere che facevano
colazione con calma e chiacchieravano assonnate. L'odore di uova, caffè e
brioche che permeava l’aria arrivando fino al piano della sua stanza
spingendola a scendere prima di Chris e Nyvie per scambiare due parole in
allegria. Adesso arrivavano dei gridolini allarmati mischiati a imprecazioni.
– Quello era il mio rubinetto, ragazzino! – urlò
scandalizzata Susan, la cuoca di famiglia. – Scordati la mia torta di mele per
un mese. Oddio, il mio povero rubinetto!
– Dai, Sue! Posso comprartene uno nuovo. Scegli quello che ti
piace di più. – Christian rise e lei si domandò cosa ci facesse in cucina a
quell’ora. Faceva sempre colazione in biblioteca o nello studio e poi la
raggiungeva in palestra per gli allenamenti. Non lo aveva mai visto in cucina
in quelle settimane.
– Questa volta voglio che sia un Franke, capito? – non aveva
mai sentito Susan urlare così a Chris. In genere lo trattava con l’affetto di
una madre, cucinando per lui tutto quello che desiderava mentre cantava
sovrastando la radio.
Una delle cameriere uscì passandosi le mani tra i capelli
rosso fiamma, ma si bloccò di colpo quando vide Verity in corridoio. Si
scambiarono uno sguardo prima che Kate corresse indietro. – Allarme! È qui!
– Io ho detto che dovevamo installarla ieri notte! – dalla
voce sembrava Andrew, il marito di Susan che si occupava del parco della villa
e anche lui sembrava turbato.
– Nella mia cucina quella cosa non entra! – urlò Susan.
– Ma siamo sicuri che funzioni?
Verity percorse gli ultimi passi e si fermò sulla soglia.
Le due cameriere erano contro il muro dall’altra parte della
cucina, mentre Susan, Andrew e Chris studiavano la nuova macchina appoggiata
sul bancone. Susan e le cameriere urlavano, Andrew si grattava la barba con un
angolo della chiave inglese e Chris rideva in maniche di camicia.
– Silenzio! – tuonò Mikelich. – Signori, contegno.
Christian lo raggelò con lo sguardo, ma il maggiordomo gli
indicò Verity con un cenno. – La signorina è sveglia.
Sul volto di Kate si dipinse uno sguardo soddisfatto, felice
di essere stata lei a dare l’allarme per prima, anche se a quel che Verity
aveva capito, non l’avevano ascoltata.
– Ehi, – sussurrò Chris spostandosi lateralmente per coprire
la macchina. – sei mattiniera.
– Cosa state facendo? – domandò cercando di vedere cosa le
nascondesse Chris. Il gruppetto si scambiò un’occhiata colpevole, ma quello che
si schermì di più fu il proprietario della villa.
– Nulla di che. – rispose evasivo. – Manutenzione e qualche
cambiamento. Kate e Aisha dovranno fare un salto in città a comprare la
colazione stamattina. Cosa desideri? – sorrise, sotto lo sguardo furibondo di
Susan. – Rimetterò tutto a posto, promesso. – aggiunse rivolto alla donna.
– E farai bene a mantenere la promessa, ragazzino. – lo
minacciò lei indicando il rubinetto smontato. – Cucino per te da quando sapevi
appena camminare e conosci le regole. Non si fanno danni nella mia cucina.
Susan era l’unica che si permettesse di trattare così
Christian e il ragazzo accettava di buon grado di essere il figlioccio viziato
della cuoca. Verity non capiva come mai lui non si rendesse conto di essere
circondato da affetti e da persone che si prendevano cura di lui. Anche se
diceva che Nyvie era l’unica ad avergli aperto gli occhi, quelle persone lo
amavano, soprattutto Susan.
Aveva sentito voci dalle ragazze sul suo passato e dei suoi
comportamenti, ma da quel che aveva capito, il rapporto con Susan e Andrew era
sempre stato speciale e diverso, così com’era quello con Mikelich fino al
viaggio in India dove avevano vissuto per due anni. Susan le aveva confidato
che da quando era tornato, Christian non parlava più a Mikelich dei suoi
problemi cercando un consiglio, ma li teneva per sé e gli dava degli ordini
freddi. Cosa che non aveva mai fatto prima. E sempre a detta di Susan, anche se
Mikelich non lo ammetteva, ne soffriva.
Quei tre lo avevano visto crescere, ed erano per persone più
simili ad una famiglia che Chris potesse avere e Susan non capiva come il
rapporto tra Christian e Mikelich si fosse incrinato così tanto in poco tempo.
Qualsiasi cosa fosse successa a Christian in India l’aveva
cambiato profondamente, compreso il suo modo di trattare le persone.
Sorridendo, Chris incrociò le braccia al petto. – Oggi dovrai
fare a meno della cucina, dovremo chiamare un idraulico. Mikelich, occupatene.
– ordinò gelido. – Voglio che per stasera sia tutto apposto.
A quel brusco cambiamento di umore, le due cameriere uscirono
con la scusa di doversi occupare della colazione. Susan e Andrew le seguirono,
congedandosi di Christian. Non piaceva a nessuno l’aria tesa che si respirava,
ben che meno che a Verity. Anche se il gigante non mostrò alcuna emozione, si
sentì in pena per lui.
Cambiò di discorso. – Ma quella è una Gaggia? – chiese
studiando la macchina per il caffè. Anche non ne aveva mai comprata una di
persona, l’aveva usata al bar dove lavorava e sapeva che costavano una fortuna.
– Pensavo che fossi stufa del caffè come lo facevamo noi. –
spiegò Chris quando le passò davanti. – Così ho controllato quali fossero le
migliori e ne ho ordinata una. Arriva dall’Italia.
Prima o poi avrebbe dovuto parlare con Chris riguardo ai
bizzarri acquisti che faceva, ma per ora si mise a studiare la macchina. – C’è
proprio tutto. – commentò a un rapido sguardo. Poggiò una mano sullo
scaldatazze e tolse il gruppo per saggiarne il peso. Quando la mano si chiuse
attorno alla maniglia si sentì di nuovo a casa. – Dio, – mormorò quasi
pregasse. Le mancavano quelle macchine. Le mancava tutto della sua vecchia
vita. – è perfetta. – mentre spostava l’indice sui pulsante, notò che i gruppi
erano più alti del normale ed era dotata di una grata estraibile. Non stava più
nella pelle. Voleva provarla e servire a Chris un vero caffè italiano. – Oh,
mio Dio. È adatta anche alle tazzine da caffè lungo! Questa macchina è un
sogno.
Christian le si avvicinò. – Ne farei ordinare altre se
servisse a vedere ogni giorno il sorriso che hai ora.
Verity lo ascoltò appena continuando a giocherellare con la
macchina per il caffè. Non vedeva l’ora di mettersi all’opera. Voleva fare le
prove di macinatura e pressione, trovare quale fosse la combinazione migliore
per avere il gusto più intenso. Peccato che non fosse collegata alla corrente e
alla presa dell’acqua. Si voltò per chiedere quando potesse essere pronta e si
rese conto che non era al bar e davanti aveva Christian che la stava studiando.
La verità le franò addosso. – Hai comprato una macchina per
il caffè. – cominciò.
– Sì.
– Italiana. – precisò lei. – Di quelle professionali.
– Esatto. – proseguì Christian con lo stesso sorriso.
– Una macchina che costa un sacco di soldi.
– Più o meno. Non so esattamente quanto abbia pagato tra
quella, il macinacaffè, i sacchetti di chicchi e spedizione. Mikelich si è
occupato dei dettagli, io ho solo detto cosa volevo.
A quella spiegazione, Verity si arrabbiò. Lui aveva detto
solo quello che voleva e gli altri avevano fatto il resto. Era normale, si
disse, era pieno di soldi e poteva permetterselo, ma quando a Roma si era rotta
la sua macchina per il caffè e non riuscivano ad arrivare a fine mese, Alessio
aveva resuscitato la vecchia moka da tre tazze. Con stizza si accorse che la
sua non era rabbia, ma gelosia e non poteva più fermarsi. – Hai una vaga idea
di quanto valga? Perché l’hai fatto? – urlò in cucina lasciandolo a bocca
aperta. – Tu bevi quella specie di brodino la mattina! Non ha alcun senso
è...è... – cercò le parole giuste e puntò il dito sulla marca, aggrappandosi a
quella. – È una Gaggia!
Christian le tolse il gruppo d’acciaio che teneva ancora
stretto in mano e la voltò verso la macchina. – Per quei minuti che hai passato
a esaminarla sorridevi spensierata. In queste settimane non ti ho mai visto
così felice. Mi ripeto: ne comprerei ancora se servisse a farti ridere così. È
un mio regalo per te.
Non sapeva cosa dire, non si sarebbe mai aspettato che
qualcuno le regalasse una cosa del genere. – Non avresti dovuto. – sussurrò
senza schiodare gli occhi dalla vernice rossa. – Sei stato gentile ed è
bellissima, ma è...
– È tua. – la interruppe Chris appoggiando il gruppo sullo
scaldatazze. – Puoi farci quello che vuoi. Anche non accenderla mai.
– Non posso accettarla. – mormorò in imbarazzo. La gelosia di
poco prima se n’era andata così come la rabbia. – Christian, questo è troppo.
Non posso accettare un regalo simile.
Il ragazzo le si fece più vicino, prendendole i polsi. La
delusione gli apparve in volto. – Non ti piace il colore? Posso farla cambiare,
posso...
– No! – si affrettò a spiegare lei. La aveva fraintesa e
pensava che non le piacesse. – È perfetta così ed è bellissima per un bar,
Chris. Ma per un bar. È una macchina
professionale, non casalinga.
Verity sperava di essere riuscita a convincerlo che il regalo
le piacesse, ma fosse troppo per lei. Non era riuscito a farlo cedere sul
guardaroba che le aveva donato, ma gli avrebbe permesso di lasciarle quella macchinetta.
– Per favore. – gli sussurrò. – È meravigliosa, Chris, ma non posso accettarla.
Lui annuì titubante, ma non aveva lo stesso sguardo ferito e
stupefatto di prima. – Vorresti provarla una volta pronta? – domandò
scostandosi i capelli da viso. – Ora che è qui mi dispiacerebbe mandarla
indietro e vorrei provare un espresso.
Stavolta fu Verity a rimanere stupefatta. – Non l’hai mai
provato? Mai?
– Non mi piacciono le cose amare, però quando mi parli di
Roma e del tuo lavoro ti si illuminano gli occhi. Una cosa preparata da una
persona che ha uno sguardo del genere deve essere eccezionale.
– Non... – si schiarì la voce e riprovò. – Mi piaceva
lavorare al bar, mi facevano sentire a casa, ecco tutto. Ed è lì che ho
incontrato... – si bloccò al ricordo doloroso che le serrò la gola e la mano
corse a cercare l’anello, chiudendosi sul nulla. Christian la coprì con la sua,
dandole conforto.
– Recupereremo quello che ti ha rubato e gliela faremo
pagare.
Quando parlava di Michael, Chris aveva sempre un tono
risoluto, ma triste e lei ogni volta voleva chiedergli perché gli stesse dando
la caccia, ma non ci riusciva. Aveva paura che dietro ci fossero altre
malefatte di Michael e una parte di lei non voleva conoscerle. Era già furiosa
con lui, non voleva arrivare a odiarlo.
Gli hai già detto che
lo odi, la pungolò una
voce nella testa.
Mi aveva puntato un
coltello alla gola ed ero arrabbiata.
Si liberò della presa di Christian, più confusa di prima. Non
capiva perché i suoi pensieri verso Michael fossero tanto contrastanti. Se lo
avesse rivisto non avrebbe esitato due volte a dargli quattro schiaffi, ma allo
stesso tempo aveva fiducia nelle ultime parole che le aveva detto. Gli
dispiaceva e sarebbe venuto a cercarla. In qualche modo credeva in quelle
parole e non capiva perché.
Fece un passo indietro, allontanandosi da Chris. C’era
qualcosa dentro di lei che la spingeva ad allontanare Christian, come se stesse
tradendo qualcuno. Alessio, mormorò
dentro di sé, sto tradendo Alessio.
Eppure quando se lo diceva, le sembrava di mentire. – Meglio che vada a
vestirmi. – disse allontanandosi.
– Mi raggiungi in terrazza per la colazione? – le domandò. –
Oggi è una bella giornata.
– Va bene. – rispose senza voltarsi a guardarlo, fuggendo
via.
Tornò in camera con il cuore in gola e confusa per quello che
stava succedendo. Non era solo stato il regalo di Christian ad averla
sconvolta, ma anche tutti i pensieri che faceva su Michael. Non era normale che
lei attendesse il momento in cui lui sarebbe tornato a cercarla e avrebbero
parlato ancora. La rabbia iniziale che aveva provato ne i suoi confronti stava scemando con i
giorni, sostituita da un’impazienza che riusciva a scrollarsi di dosso. Quando
le aveva chiesto del ritaglio sul diamante lei era rimasta colpita
dall’intensità del suo sguardo e certi sorrisi in cui si apriva le stuzzicavano
la memoria. Perché tutti le dicevano che erano legati da un passato e lei era
l’unica a non riuscire a ricordare nulla?
Provò a scavare nella sua mente, cercando di far tornare a
galla anche un solo indizio, ma il dolore la trafisse come se la testa si
stesse spaccando in due. Con le vertigini si allungò verso il letto, ma cadde a
terra percorsa dal dolore. Perché ogni volta stava così male? Il suo corpo si e
il dolore spariva solo quando smetteva di cercare di ricordare qualcosa di più.
– Signorina? – Mikelich la raccolse da terra e la stese sul
letto, guardandola con apprensione. – Si sente bene? Faccio chiamare il
signorino Courteney?
– A-acqua. – balbettò con la gola riarsa. Deglutì e riprovò:
– Dell’acqua per favore.
Mikelich spalancò lo sportello del piccolo frigo in camera e
prese una bottiglia di acqua sorgiva senza mai distogliere lo sguardo da lei.
Già con i primi sorsi lo stomaco le si calmò e il cerchio
alla testa scomparve. – Le succede spesso, signorina?
Scosse la testa, stringendo la bottiglia dell’acqua. – No.
Non so. – mormorò massaggiandosi le tempie. – A volte mi vengono dei lancinanti
mal di testa, ma passano in fretta. Ora va molto meglio. Grazie per l’aiuto.
Piuttosto, come mai è nella mia stanza?
L’uomo le sorrise e per un istante le parve più giovane dei
suoi cinquant’anni. Aveva l’aria paterna che le scaldo il cuore. – Deve
perdonare la mia intrusione, signorina. E perdonare le parole che le dirò, ma
non dovrebbe rifiutare i regali che le fa il signorino Courteney.
– Non capisco. – rispose stringendo la presa sulla bottiglia.
– La macchina per il caffè era troppo per me. Non posso accettare una cosa del
genere. Mi dispiace, Mikelich, ma non posso.
– Conosco il signorino Courteney dal giorno che è nato. –
spiegò l’uomo rimanendo in piedi davanti a lei con aria gentile. – Ho fatto la
guardia davanti alla stanza della clinica in cui la signora ha partorito. L’ho
visto muovere i primi passi, imparare a parlare e l’ho allenato. In tanti anni
che ho seguito il signorino non l’ho mai visto prendere a cuore delle persone
come lei e la signorina Nyvie. Ci tiene a voi e ha bisogno di dimostrarvelo, ma
non conosce altre strade se non quelle che il denaro può ottenere. Per questo
vi dico che non vi fa questi regali con malizia. Non sa come altro dimostrare
quello che prova. Vi prego di accettare i suoi regali per quanto siano bizzarri.
Ne ha bisogno. – Mikelich parve sorpreso dalle sue stesse parole e chinò la
testa. – Ho parlato troppo, signorina. Se permettete, mi congedo.
– Mikelich. – lo richiamò lei ancora stordita per il mal di
testa. – Tenete molto a Christian, vero? Perché non glielo dite?
L’uomo non si voltò. – Non bisogna affezionarsi al
principale, questa è la prima regola di una guardia del corpo. Faccio il bene
del mio principale e penso ai suoi interessi, ecco tutto.
La lasciò sola, ancora turbata per quella strana
conversazione. Per quanto capisse le buone intenzioni di Christian e la
preoccupazione di Mikelich non poteva permettere che il ragazzo continuasse a
farle regali del genere, soprattutto perché quando la faccenda di Michael
sarebbe stata sistemata, lei se ne sarebbe andata per la sua strada.
Si lavò e si vestì con calma, prendendosi più tempo possibile
per pensare a come spiegare a Christian che non doveva più farle regali simili
senza offenderlo. Non riuscì a trovare nulla. Ogni volta che formulava una
frase in testa le venivano solo parole di circostanza, vuote e senza senso. Parole
che Christian non meritava.
Finì di vestirsi con gli shorts jeans e un paio di sandali e
lo raggiunse in terrazza per fare colazione ancora piena di dubbi.
Nyvie era già seduta a tavola accanto a Christian con un
quaderno aperto davanti a sé e Christian le indicava delle immagini dal libro
di scienze per bambini. – E di conseguenza i dinosauri si sono estinti. – le
spiegò con dolcezza. Christian alzò la testa e le sorrise, invitandola a
sedersi accanto a lui scostando la sedia. – Approfittavamo del tempo per
ripassare un po’ di storia.
Verity si unì a loro, ricordando come anche a lei da bambina
piacesse sfogliare le enciclopedie di suo padre e soffermarsi sui disegni. – A
me piaceva l’Antico Egitto e l’Era dei Faraoni. – disse con nostalgia. –
Passavo le ore guardando le ricostruzioni di com’erano i templi e le città.
– Chissà come mai. – aggiunse Christian servendo a Nyvie il
tè. – Voglio dire: conosciamo quella storia.
Verity lo guardò senza capire, mentre lui continuava a
riempire il piatto di Nyvie e le spostava i libri. – Che storia?
Christian parve non sentirla mentre spalmava la marmellata di
arance sul pane tostato di Nyvie e glielo serviva. Verity scosse la testa
quando le offrì il bricco del latte da aggiungere all’espresso che erano andate
a prenderle al bar. Ormai il caffè era freddo e la crema scomparsa, ma lo
preferiva così piuttosto che bere un caffè americano. – Non mi hai risposto, –
proseguì dopo un minuto. – che storia?
– La storia del guerriero egiziano che si era innamorato di
una schiava appartenente a un altro uomo.
La vista le si appannò e le cadde la tazzina di mano che si
ruppe al suolo. Nyvie la fissò con il pane a metà strada per la bocca aperta.
Il mal di testa tornò più forte di prima, provocandole dei conati e le mani le
tremarono. Si allontanò da tavola cercando rifugio nella penombra della stanza.
– Nyvie, fai colazione con calma. – disse Christian,
grattando la sedia sul pavimento mentre si alzava. – Dopo mi disegneresti un
dinosauro? A tua scelta, lo appendo nello studio.
Verity cadde in ginocchio vicino al divano, senza più
riuscire a vedere nulla per dolore e le orecchie che fischiavano. Le faceva
male tutto e il suo corpo era scosso fino a farle battere i denti.
– Prendete dei panni bagnati e portatemeli. – ordinò
Christian raccogliendola e mettendole una mano sulla fronte. – E dell’acqua.
Il suo corpo scottava come se fosse circondata da fiamme e i
polmoni bruciavano cercando disperatamente l’aria che non li raggiungeva. Il
dolore al petto era lancinante. La stringeva in una morsa e si irradiava fino
alle punte dei piedi. Christian le prese il volto tra le mani costringendola a
guardarlo. – Segui i miei ordini. Inspira. Pausa. Espira. Pausa. – Verity provò
a seguire le indicazioni con scarso successo. Ogni volta che il dolore
accennava a diminuire, uno più intenso e violento di prima la assaliva. Ora non
si sentiva più bruciare, ma stava congelando mentre il petto era attraversato
da mille aghi. – Portatemi la cassetta con i farmaci. – sbraitò Christian. –
Subito!
Aiutato, Christian la immobilizzò sul tappeto, ma Verity non
riusciva a vedere niente altro che il suo viso concentrato, mentre dava
indicazioni alle cameriere intorno a lui. – Tenetela ferma e mettetela su un
fianco. Devo farle un’intramuscolo. – senza aggiungere altro, Christian le
tolse i pantaloni, aiutato da due persone che la girarono come se fosse una
bambola e la tennero ferma trattenendola per le spalle e per le gambe. Si
sentiva prigioniera di quelle mani e la sensazione non era nuova, ma quando il
suo cervello in crisi cercò di capirne il motivo, un’ondata di nuovo dolore le
mozzò il fiato lasciandola ansante nelle mani di Christian. – Andrà bene, – le
sussurrò prima di piantarle l’ago nel muscolo. – questo ti aiuterà a sentirti
meglio.
Il farmaco bruciava, ma non era paragonabile alle fiamme vive
che sentiva sulla pelle e alla gola riarsa. Per un attimo, le sembrò di non
essere più in grado di urlare, che avesse riportato dei danni alle corde vocali
o che stesse soffocando. L’urlo esplose in fondo alla gola permettendole di
tornare a respirare. Le sembrava di essersi liberata di qualcosa che la stesse
soffocando.
Christian la sollevò prendendola tra le braccia e la depositò
sul divano. – Portatemi qualcosa per coprirla. – disse sedendosi accanto a lei.
– Per favore. – aggiunse più gentilmente rendendosi conto che l’emergenza era
passata.
Verity era esausta. Tutti i muscoli le facevano male come se
avesse deciso di correre una maratona senza allenamento, ma le vertigini erano
diminuite. Batté le palpebre, cercando di scacciare il senso di stordimento con
Christian che continuava a studiarla. – Il farmaco che ti ho dato ti sederà. –
le stese addosso il lenzuolo che le cameriere avevano portato mentre la
guardavano con preoccupazione e pietà, ma non le importava come la guardassero,
voleva solo capire cosa le era successo. Non aveva mai vissuto niente del
genere e la testa continuava a pulsare impedendole di pensare con lucidità.
– Cosa ti è successo, Verity? – le domandò Chris.
Scosse la testa, non fidandosi delle proprie parole. Come
poteva spiegare qualcosa che non riusciva a capire? Chiuse gli occhi
stringendosi fino al mento il lenzuolo bianco che profumava di lavanda. Si lasciò
cullare dall’indolenza farmaco, felice di sentirsi assonnata e di poter
sfuggire allo sguardo indagatore di Christian.
– Vieni pure dentro, Nyvie. – chiamò il ragazzo con un cenno
della mano. – Verity è stata male, ma ora va meglio. Vero? – chiese rivolto a
lei. Con gli occhi le implorava di annuire e di non far preoccupare la bambina.
Il pallore spiccava sulla sua pelle color moka mentre si
avvicinava con un foglio stretto al petto. – Io... – si schiarì la voce rauca e
riprovò. Doveva fare uno sforzo per quella piccola di otto anni e i suoi grandi
occhi verdi. – Non volevo spaventarti. Sto meglio, ora.
Nyvie le sorrise e le sfiorò i capelli biondi con una mano.
Anche se mezza addormentata, gli occhi di Verity caddero sulle cicatrici che la
bambina aveva sulle braccia. Le aveva viste altre volte, ma non riusciva ad
abituarsi a quella pelle rosea e tesa che deturpava la bambina. Christian
tossicchiò accanto a loro, ricordandole di non fissare troppo le cicatrici per
non farla sentire a disagio.
Con timore, Nyvie le allungò il foglio su cui aveva disegnato
un dinosauro verde brillante. – Grazie. – mormorò Christian. Scosse la testa e
lo mise accanto a Verity, prima di donarle un sorriso e tornare in terrazza.
Verity sapeva che Nyvie parlava lo stretto indispensabile quando era con altre
persone. Solo con Christian si rilassava e si lasciava andare, giocando e
ridendo. Con tutti gli altri, Nyvie era dolce, ma schiva e Verity era felice
che le avesse regalato il disegno. – Le piaci. – disse Christian scivolando sul
pavimento. – E mi piacerebbe vedervi andare d’accordo. – il suo sorriso si
spense e la guardò dritta negli occhi. – Ho bisogno di sapere cosa ti è successo.
Noi non possiamo ammalarci fisicamente, ma la nostra mente non è immune alla
follia. Se sei pericolosa per Nyvie, devo saperlo.
Con il farmaco in corpo, Verity ci mise qualche secondo a
capire cosa le stesse chiedendo, voleva sapere se era pazza e pericolosa per la
bambina. – No. – mormorò con la testa pesante e quasi vinta dal sonno. – Quando
hai detto quelle parole, avevo la sensazione che non mi fossero nuove, ma poi
ho sentito male ovunque.
Christian meditò sulle sue parole. – Ti è successo altre
volte?
– Ogni volta che provo a ricordare qualcosa. Quando ripenso
alla mia adolescenza o ad alcune cose che mi sono successe da bambina non ho
problemi, ma come mi sforzo di ricordare qualcosa di più mi viene mal di testa.
– Sogni i nostri passati?
Verity annuì. – Certo. Li rivedo nei sogni, però...
– Però? – la incalzò lui.
– Ci sono momenti in cui mi sveglio sapendo di aver sognato
qualcosa delle mie vite passate, ma il ricordo è sfocato e più ci penso, più
scompare.
– Perdonami. – le sussurrò baciandole la fronte. – Ricordi
chi era Atlaeia?
Lo guardò storto. Quel nome continuava a perseguitarla, ma l’aiuto
che le aveva dato Christian meritava una risposta. – No, ma ho trovato scritto
il suo nome su un biglietto a Roma. Sai chi è? Perché è così importante?
Il ragazzo la guardò con tristezza. – Mi dispiace, Verity. –
le disse. – Se non è Atlaeia a provocare tutto allora... Ricordi chi era Nefer?
A quel nome, il dolore tornò a bruciarle in petto, facendola
urlare come non mai. Il suo cuore sembrava tranciato in due nonostante
continuasse a battere. Christian si mise a cavalcioni sopra di lei e la afferrò
per le braccia con una mano, tenendola ferma mentre lei lottava con tutta se
stessa per sottrarsi a quella tortura. Le tappò la bocca con un cuscino,
impedendole di urlare. – Perdonami. – disse lottando contro di lei mentre fuori
il cielo si rannuvolava e in lontananza si sentivano dei fulmini. – Non posso
permetterti di spaventare ancora Nyvie. Preparate un’altra fiala da farle in
muscolo. – la tenne ferma dando indicazioni a Mikelich su dove pungerla.
Quando si calmò, vinta di nuovo dal farmaco, Chris la lasciò
andare e scivolò via dal suo corpo, stringendola con gentilezza. – Trovami
Dubois. – ordinò a Mikelich senza distogliere lo sguardo da quello in lacrime
di Verity. – Ovunque sia, trovamelo. Ti do carta bianca, usa tutti i mezzi
necessari.
– Signorino?
– Qualsiasi cosa sia stata fatta a Verity, c’entra la Luna.
Voglio scoprire come e perché.
– Sì, signorino.
– Mi dispiace. – continuò a sussurrarle cullandola mentre lei
scivolava nel sonno indotto da una doppia dose. – Non volevo farti del male
così, ma qualsiasi sia il motivo, è opera di un Arcano e scoprirò perché ti fa
soffrire cercare di ricordare la Luna.
Mentre si addormentava, Verity pensò alla ragazza di cui non
ricordava il volto che aveva sognato quella notte. Lei era la Luna, questo le
stava dicendo Christian? Come se volesse confermare le sue parole, il mal di
testa tornò e con esso la sensazione di avere il petto squarciato, ma non aveva
più la forza di emettere un suono. Cullata da Christian, scivolò nel sonno con
la consapevolezza che qualsiasi cosa la stesse aspettando, sarebbe diventata presto
un incubo.
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NdA: contro ogni aspettativa, non sono scomparsa. Purtroppo alcuni impegni accademici mi hanno tenuta lontano da EFP, ma ora sono riuscita ad aggiornare. (credo che ora gli aggiornamenti saranno una volta al mese, visti gli impegni). Vorrei ringraziare Nimue e Aniasolaty per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato. Un grazie di cuore. PS: con questo capitolo si conclude la seconda parte La Papessa, dal prossimo ci sposteremo ancora e si aprirà il ciclo "L'Imperatrice".
A presto