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Autore: Ella Rogers    30/07/2014    4 recensioni
La giovane si sporse sul corpo del biondo, in modo da proteggere il suo bel viso dalla debole pioggia incessante.
"Steve, non farmi questo, ti prego."
Gli carezzò la fronte. La pelle del ragazzo era fredda, gelida.
"Apri gli occhi, Steve, avanti" pregò con voce tremante, sotto lo sguardo indecifrabile di Stark.
Cercò di trasferire la propria forza vitale in lui, ma ormai era tardi.
"È colpa mia. È soltanto colpa mia. Se solo fossi stata più forte, invece di crollare in quel modo. Ti ho lasciato da solo, non ti ho protetto e adesso … adesso …"
Prese a scuoterlo per le spalle, disperata.
"Steve, svegliati, ti scongiuro."
Lo baciò e le labbra erano fredde, non più calde e morbide.
Posò la fronte sul suo torace e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
"Mi assicurerò che continui a battere, te lo prometto, a qualsiasi costo."
Era stata la muta promessa fatta a lui e a sé stessa, dopo averlo amato, dopo aver sperimentato con lui cosa significasse essere una cosa sola sia nell'anima sia nella carne.
E lei lo aveva tradito. Perché quel cuore aveva smesso di battere.
Lo aveva ucciso.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Tradimento

La superficie del fiume gli sembrò fatta di cemento, quando la colpì con la schiena.
L’impatto violento gli fece mancare il respiro e la colonna vertebrale fu sul punto di spezzarsi come un ramoscello secco.
L’acqua fredda lo avvolse, la corrente lo travolse come un treno in corsa e il suo corpo cominciò a scendere verso il fondo sabbioso.
Non sentiva dolore. Non sentiva sulla pelle il gelo pungente dell’acqua.
Non sentiva niente.
Era paralizzato e completamente insensibile.
Però era lucido e l’unico pensiero che vorticava nella sua testa era che stava per morire.
L’acqua gli penetrò prepotentemente nel naso e nella bocca e raggiunse presto i polmoni.
Steve percepì un forte bruciore al petto, accompagnato da una paradossale sensazione di calma e tranquillità.
Capì che avrebbe perso conoscenza da un momento all’altro, poi avrebbe avuto un arresto cardiaco seguito dalla morte celebrale.
Morto per annegamento, ecco cosa sarebbe stato tra qualche istante.
Gli balenò in mente il pensiero che nessuno sarebbe venuto al suo funerale, se mai avessero ritrovato il suo cadavere.
Gli unici amici li aveva perduti per la paura di mostrarsi loro debole.
Doveva loro delle scuse. Enormi scuse.
Ma era arrivato al capolinea e non li avrebbe più rivisti.
Chiuse gli occhi, cullato dal battito sempre più debole del suo cuore.
 
“No!”

I muscoli cominciarono a irrigidirsi.

“Reagisci!”

Un calore sempre più forte gli invase il petto, sostituendo il fastidioso bruciore. Una scarica di elettricità percorse ogni muscolo ed il corpo si mosse da solo, senza l’ausilio del cervello.
Steve si ritrovò a nuotare con tutte le sue forze verso un argine del fiume, alimentato da una forza sconosciuta che invadeva ogni fibra del suo essere.
Affondò le mani nella fanghiglia che costituiva il bordo del fiume e si trascinò fuori dall’acqua, sull’erba fresca.
Mentre era in ginocchio, con i palmi poggiati a terra e la testa china, violenti colpi di tosse gli scossero il corpo, facendogli lacrimare gli occhi per lo sforzo nel ricacciare tutta l’acqua ingerita. Vomitò diverse volte e le tempie presero a pulsare sempre più fastidiosamente.
Quando i polmoni si furono svuotati completamente, si accasciò a terra stremato e tremante per il freddo ed il dolore.
Perdeva sangue nei punti dove erano conficcati i proiettili e la pelle sulla schiena bruciava a causa dell’impatto con la superficie del fiume.
Doveva fare qualcosa o sarebbe morto dissanguato.
Gattonò fino ai piedi di un albero altissimo, la cui corteccia ruvida era ricoperta di muschio verde smeraldo. Si sorresse al tronco per rimettersi in piedi e se ne staccò barcollando. Mosse qualche passo per recuperare una certa stabilità, ignorando le fitte di dolore provenienti dalle ferite alle gambe causate dai proiettili.

La luce pallida della luna si tuffava nel fiume, facendo brillare l’acqua limpida, e una lieve brezza accarezzava la vegetazione tutt’intorno.

Steve notò a qualche passo da sé una sagoma nera di quello che pareva un sasso, ma più si avvicinava e più l’oggetto si mostrava per quello che era davvero.
Sospirò sollevato, pensando che forse la Dea Bendata, impietosita dalla sua condizione, gli aveva concesso un piccolo aiuto. Lo zaino che aveva portato con sé era a meno di un metro dai suoi piedi e Steve lo afferrò trepidante, rovistando al suo interno. Ringraziò la sua eccessiva meticolosità nel prendere precauzioni, quando trovò all’interno del piccolo bagaglio una ricetrasmittente, un cellulare - sfortunatamente andato in mille pezzi dopo la caduta - e, cosa più importante, una piccola cassettina del pronto soccorso.
Tornò all’alto albero e si mise seduto, appoggiandosi con la schiena al suo possente tronco.
Esaminò il contenuto della cassettina e ne tirò fuori un paio di pinze sterili, che avrebbe usato per estrarre i proiettili. Le infilò nella ferita della spalla sinistra e si fece spazio tra la carne lacerata, fino ad arrivare nel punto in cui incontrava la superficie dura del proiettile. L’operazione di estrazione fu estenuante e dolorosa, ma fu portata a termine con successo per tutte e quattro le ferite.
Steve si tolse la felpa e la maglia, rabbrividendo appena per l’aria gelida. Prese poi delle garze sterili e le avvolse intorno alle cosce e alle spalle, stringendole per fermare il liquido vermiglio che continuava a scivolare fuori dal suo corpo, rendendolo pallido e debole. Infine fasciò l’addome, laddove aveva la profonda ferita causatagli dal coltello del suo aggressore.
Si rivestì, facendo attenzione a non forzare le spalle ferite.
Ripose ogni cosa nello zaino, ma si soffermò con lo sguardo sulla piccola ed ultratecnologica ricetrasmittente.
Avrebbe potuto contattare lo SHIELD per un veloce recupero. Oppure avrebbe anche potuto mettersi in contatto con i suoi compagni.
Poteva scegliere, ma alla fine scartò entrambe le ipotesi.
La missione non era terminata e Capitan America non aveva intenzione di battere in ritirata proprio ad un passo dalla verità.
Inoltre, aveva appena scoperto che c’era qualcuno che lo voleva morto per motivi che ignorava, ma che era certo avessero a che fare con Lei.
Sperava di essere aiutato dagli agenti della base immersa in quella fitta foresta, anche se qualcosa gli diceva che avrebbe fatto meglio a rimanere all’erta e a procurarsi un’arma il prima possibile.
Si era sempre affidato all’istinto e fino a quel momento non aveva mai sbagliato, così decise che anche quella volta lo avrebbe seguito ad occhi chiusi.
 
 

                                                        ***
 
 

Bruce Banner aveva guardato e riguardato quei dati centinaia di volte in soli sette giorni ed ora si trovava di nuovo nel suo piccolo laboratorio - quello che Tony gli aveva gentilmente offerto -, seduto su una sedia girevole di plastica nera, ad osservare gli ologrammi che galleggiavano nell’aria e su cui era riprodotta l’immagine perfetta di un cervello.
Il cervello di Steve Rogers.
Bruce aveva registrato il comportamento del sistema nervoso del Capitano, quando il giovane aveva avuto la visione che, per qualche istante, aveva fermato il suo cuore, e ancora c’era qualcosa che non gli tornava nei dati che ne aveva ricavato.
C’era stata una iperattivazione del centro emozionale, l’amigdala. Ma l’amigdala, allo stesso tempo, doveva essere coinvolta nell’attivazione di collegamenti tra le tracce mnemoniche e le reazioni emotive che si erano verificate nel momento in cui quell’incubo ad occhi aperti era cominciato.
Che cos’erano infatti gli incubi, se non una specie di rivisitazione angosciante di fatti accaduti e conservati nella memoria?
Ma allora, perché non era avvenuto il logico e naturale collegamento tra l’amigdala e l’ippocampo, responsabile della memoria stessa?
Bruce aveva già dato una risposta a questa domanda. L’incubo non si basava sui ricordi di Steve, come invece aveva presupposto Stark all’inizio.
Il fatto più sconcertante, però, era un altro: la corteccia celebrale aveva ricevuto stimolazioni sensoriali dalla vista, dall’udito, dal tatto.
Steve aveva visto, imprimendo le immagini nella propria retina.
Aveva sentito.
Aveva provato dolore sulla sua pelle.

Banner si passò una mano tra i ricci castani e sospirò.
Con un gesto di stizza fece sparire gli ologrammi e si massaggiò il collo indolenzito. Non riusciva a smettere di pensare a quella strana anomalia.
La prima volta che aveva visto quei dati non era riuscito a credere ai suoi occhi, ma poi si era dovuto convincere che erano reali e in quel momento pensò che probabilmente non sarebbe mai venuto a capo di quell’assurdità.
Bruce credeva fermamente nella scienza, era la sua fede. Ma la scienza non aveva risposte per tutto ed ancora una volta si ritrovò davanti a questa ineluttabile verità.
Le leggi dell’universo erano troppo complicate - a volte incomprensibili -, anche per un genio come lui.
Forse era proprio per questo motivo che le persone continuavano a credere in un’entità superiore ed onnisciente, che donava loro una sicurezza illusoria, ma pur sempre una sicurezza.
Bruce però preferiva galleggiare nell’ignoto piuttosto che dire ‘Ciò è così perché qualcuno là in alto vuole sia così’, o frasi del tipo ‘Era destino’.
Bruce aveva l’esigenza di dare spiegazioni a tutto ciò che accadeva e non riuscire a farlo lo innervosiva parecchio.

Per l’Altro era molto più semplice invece, perché non si faceva domande. Distruggeva e basta, senza alcuna logica.
E Banner per un momento avrebbe voluto essere l’Altro e spegnere il cervello per qualche minuto.

“Ci vuole una camomilla” sussurrò, prima di lasciare il laboratorio a grandi passi.
 
 

                                                      ***
 
 

Il sole sorgeva pigramente, schiarendo il cielo con la luce pallida dei suoi raggi, che si facevano largo tra le nubi grigie.
Steve schiuse gli occhi ed inspirò l’aria fresca, impregnata dell’odore di terra umida.
L’erba, bagnata dalla brina, era di un verde brillante e il dolce suono dello scrosciare dell’acqua riempiva la placida atmosfera dell’alba di un nuovo giorno.
Aveva dormito qualche ora ai piedi dell’alto albero, per riposare e recuperare le forze. Non nascondeva di aver esitato prima di lasciarsi cullare dalle braccia di Morfeo, temendo di rivivere gli incubi che lo avevano tenuto sveglio per più di centosessantotto ore. Alla fine però aveva ceduto, troppo stanco e debole anche solo per tenere le palpebre sollevate.
Sorprendentemente, nessun orribile sogno era giunto a torturarlo.
Aveva dormito profondamente fino al momento in cui la fievole luce dell’alba aveva bussato gentilmente sulle sue palpebre, invitandolo a destarsi da quel sonno tranquillo.
 
Steve si rimise in piedi e ringraziò la velocità con la quale il suo organismo risanava il corpo dalle ferite. Infatti, era sopravvissuto solo un fievole fastidio alle ferite causate dalla pistola e un dolore poco più pronunciato all’addome. Aveva qualche acciacco, ma le ore di riposo, anche se poche, avevano avuto un effetto rigenerante sul fisico e sulla mente.
Si mise lo zaino in spalla e, orientandosi attraverso il ponte sopra di sé, si incamminò verso la base SHIELD.
La foresta si stava svegliando, animandosi dei suoni appartenenti agli animali che la abitavano da sempre.
Steve aveva la mente affollata dai pensieri, ma quello che più lo lasciava perplesso riguardava Lei.
Provava un certo rancore per quell’entità sconosciuta, che lo aveva infilato in un casino talmente incasinato da rendergli la vita impossibile. Ora c’era anche un pazzoide che lo voleva morto e che riteneva gli umani “schifosi e deboli”, come se lui non fosse uno di loro e forse non lo era davvero.
Rogers era consapevole anche di un’altra cosa: lui era vivo grazie a Lei.
Lei gli aveva dato la forza, quando stava per annegare. Lei gli aveva salvato la vita.

“Io sono con te” gli aveva detto ed era stata di parola.

Fino al giorno prima, pensava di essere impazzito, mentre ora sapeva che la presenza che abitava nella sua testa da una settimana era tutt’altro che un frutto della sua mente.
Certo, c’erano ancora tante cose che non gli erano chiare, ma decise che, al momento, le avrebbe accantonate in un angolo remoto del suo cervello confuso.
La sua priorità era una adesso: salvarla.

Non seppe per quanto tempo camminò, facendosi spazio tra la fitta vegetazione, e non poté nemmeno affidarsi alla posizione del Sole, visto che la nana gialla era completamente nascosta dietro nuvoloni grigi che preannunciavano un temporale imminente.
L’interno della foresta, già normalmente immerso nella penombra a causa delle folte chiome degli alberi che ostacolavano il passaggio della luce, era talmente scuro che pareva fosse notte.
Steve riuscì comunque a scorgere da lontano la piccola cupola di acciaio che avrebbe dato la stessa impressione di un squalo in un bosco: completamente fuori posto.
 
La cupola era alta poco più di due metri ed aveva una lieve rientranza di forma rettangolare, che il giovane identificò come la porta di ingresso. La vera e propria base si ramificava sotto terra.
Era stata costruita durante la seconda guerra mondiale, come uno dei disparati rifugi per le personalità di spicco degli Stati Uniti. Era poi caduta in disuso al termine della guerra e lo SHIELD, alcuni anni dopo, ne aveva preso il possesso per farne uno dei laboratori di ricerca più avanzati.
Tra quelle pareti venivano studiate e create armi chimiche che avrebbero potuto provocare un vero e proprio sterminio. Quel continuo processo di produzione di armamenti sempre più devastanti per la razza umana stessa, era in una inarrestabile evoluzione e nessuno tra coloro che lo finanziavano riusciva a vedere ciò che veramente si stava creando. La fine del mondo non era un’idea così lontana e rarefatta,
ma diveniva più tangibile, ogni volta che menti brillanti, menti che avrebbero potuto fare davvero qualcosa per il bene e la sopravvivenza dell’umanità, usavano il proprio genio per la realizzazione di quello che si poteva definire veleno a cui non c’era antidoto.

Steve si acquattò dietro un largo tronco ed esaminò i dintorni della base con circospezione, non rilevando la presenza di soldati di guardia.
Accanto alla porta, a destra, vi era un pannello con un tastierino - serviva quindi un codice d’accesso - e uno scanner della retina.
Non poteva eludere nessuno dei due sistemi di sicurezza e non poteva sfondare una porta fatta da tonnellate di acciaio.
Ma poteva semplicemente bussare e chiedere permesso.
Anche se qualcosa gli diceva che non sarebbe stato il benvenuto, era quasi certo che comunque non avrebbero potuto fare mosse azzardate, poiché la base era controllata dallo SHIELD, di cui lui stesso faceva parte.
Uscì dal suo nascondiglio e percorse la breve distanza che lo separava dalla base, rimuginando sul fatto di stare agendo come uno sconsiderato. Come Stark, anzi, e ciò era anche peggio.
Quando gli passò per l’anticamera del cervello che forse la sua non era una tattica abbastanza sicura, era già davanti al panello a spingere pulsanti a caso.
Il raggio rosso dello scanner entrò improvvisamente in funzione e subito dopo una voce metallica femminile riecheggiò nell’aria.

“Identificazione completata. Steven Grant Rogers aka Capitan America. Accesso non consentito.”

Steve rimase alquanto sconcertato e si avvicinò maggiormente al pannello da cui era scaturita la voce.
“Sono stato mandato dal direttore Fury per un controllo. Richiedo l’accesso immediato alla base.”
Silenzio.
Forse non potevano sentirlo o non si erano bevuti la balla del controllo.
Non era molto bravo a mentire.
Un suono strano attirò la sua attenzione. Proveniva dall’interno della cupola e pareva il rumore di cavi d’acciaio che venivano riavvolti.
Poco dopo la porta si aprì, scivolando di lato e rivelando la presenza di tre uomini. Due di essi vestivano divise nere ed erano armati di pistole.
L’altro era un signore di età avanzata dalla folta chioma bianca e dagli occhi piccoli e scuri, con indosso un camice bianco.
Steve rimase immobile. I muscoli tesi, pronti a scattare in caso di pericolo.

“Sono il Dottor Adam Lewis, responsabile di questa base. È un piacere conoscerla, Capitano Rogers.”
L’uomo allungò una mano e Steve la strinse, esitando appena.
“Il direttore Fury deve aver dimenticato di fornirle il codice di accesso.”
Rogers rimase qualche istante imbambolato, prima di capire il significato di ciò che il dottore aveva appena detto.
“Ah sì. Deve averlo dimenticato.”
Si grattò la nuca, imbarazzato, rimproverandosi per la sua incapacità di inventare giustificazioni credibili.
Adam continuò a sorridergli cortesemente, mentre gli uomini dietro di lui avevano rinfoderato le pistole.
“La guiderò io stesso, affinché lei possa eseguire un accurato controllo dell’intera base. Ma mi dica, cos’è che deve controllare esattamente?”

Uno.
Due.
Tre.

Dieci.


“Io … cioè Fury vuole che … che controlli il vostro lavoro. Vuole sapere come procede.”
Adam corrugò la fronte e Steve si irrigidì.
“Devo dedurre che i rapporti che spediamo mensilmente non siano di suo gradimento.”
Rogers fece un sorriso complice, cercando di rilassarsi.
“Sa com’è il direttore. Un po’ paranoico e troppo esigente.”
Il dottore rise divertito.
“Non la contraddico, Capitano. Prego da questa parte.”

Entrarono tutti all’interno della cupola e si ritrovarono circondati da quattro pareti di metallo, quando la porta si chiuse alle loro spalle.
Erano in un ascensore.
Adam schiacciò un pulsante rosso e cominciarono a scendere, inoltrandosi sempre più in profondità, sotto terra.

Il dottor Lewis condusse Steve in diversi laboratori e gli spiegò che tipo di lavoro veniva svolto in ognuno di essi.
Armi, armi e ancora armi.
Rogers cercava di sembrare il più professionale possibile, anche se non riusciva a capire nemmeno una parola delle lunghe e dettagliate spiegazioni del dottore.
Il controllo durò ore, a causa dell’elevato numero di dipartimenti che componevano la base sotterranea.
Poi, svoltarono in un corridoio.

Piccole luci al neon fissate al soffitto illuminavano il pavimento coperto da lucide piastrelle bianche e le candide pareti. Su entrambi i lati c’erano porte di acciaio.

Quel corridoio.

“Cosa fanno qui?” chiese il super soldato a bruciapelo.
“Sperimentazioni su cadaveri.”

Steve percepì lo stomaco contorcersi e arricciò il naso, nauseato.
Il dottore doveva aver notato la sua reazione - difficile non farlo, visto che mancava solo vomitasse - e si sentì in dovere di precisare.
“La sperimentazione su soggetti vivi è assolutamente vietata. Questa è una regola entrata in vigore da quando Nick Fury ha preso il comando dello SHIELD. Infrangerla significherebbe essere confinati a vita nelle prigioni dell’organizzazione stessa e, lascia che glielo dica, è peggio di morire.”
Adam fece una smorfia e Steve poté scorgere del rancore attraversargli le iridi scure.
“Non sembra molto felice di questa imposizione.”
“No, non lo sono.”

“Lei giocherebbe con la vita umana?”
Il biondo gli lanciò uno sguardo di fuoco.

“Non si tratta di giocare, Capitano, ma di trovare ed analizzare quelli che sono i punti più deboli dell’uomo, quelli che lo rendono fragile, per poi trasformarli in punti di forza. Si tratta di rendere l’uomo più forte e resistente di fronte all’universo intero. Invincibile.”

“È un’utopia. Nemmeno un dio come Thor è invincibile. Vi servireste di centinaia di vite per realizzare l’irrealizzabile.”
Rogers aveva alzato sensibilmente la voce ed alcuni soldati erano accorsi.

Adam rise.
“Lei stesso è la prova vivente che l’uomo può essere perfezionato e non è l’unica che possediamo, mi creda. Riusciremo a raggiungere l’obietto che ci siamo posti, con o senza lo SHIELD.”

Quando Steve realizzò il significato di quelle parole, era già troppo tardi.
I soldati lo avevano circondato e gli puntavano contro le pistole.

“Mi dispiace Capitano, ma questa è un’occasione più unica che rara e non posso perderla. Finalmente ho l’occasione di scoprire tutti i segreti di ciò che Erskine ha creato.”
Adam sorrise sadico.
“Non può trattenermi qui. Fury-”
Steve non riuscì a terminare la frase.
“Fury non sa che lei è qui e non esiste nessun controllo. Mi credeva così stupido? Vorrei tanto sapere cosa è venuto a fare in questo posto.”
“Lei è un traditore e verrà condotto sotto il giudizio della Corte Marziale.”
Il dottore gli diede le spalle e si allontanò, non conferendo peso a quelle parole di minaccia.
“Portatelo nella Stanza 137.”
Due uomini affiancarono il Capitano e lo presero per le braccia, mentre un altro gli puntava una pistola alla nuca, intimandogli di camminare.

Steve decise momentaneamente di non opporre resistenza.
Avrebbe aspettato il momento giusto per agire.

I tre soldati lo condussero lungo il corridoio, fino ad una grande porta di acciaio.
Quella porta.
La varcarono e si ritrovarono in una piccola stanza completamente bianca.
Quella stanza.
Il giovane sentì di nuovo l’odore forte di disinfettante bruciargli le narici. Il cuore cominciò a palpitare più velocemente alla vista della lastra di metallo, dove una settimana prima si era visto martoriare da quattro uomini.
Forse quell’incubo era una premonizione ed adesso stava prendendo forma nella realtà.
Doveva agire. Ora o mai più.

Il soldato che gli puntava la pistola alla nuca si allontanò di qualche passo, per permettere agli altri due che lo tenevano e che avevano rifoderato le armi di posizionarlo sulla fredda lastra.
Fu un attimo.
Steve prese la pistola all’uomo alla sua destra, si voltò velocissimo e sparò a quello alle sue spalle. Sparò poi al soldato alla sua sinistra, prima che quello riuscisse anche solo a toccare la pistola. Alla fine, puntò l’arma sull’uomo che aveva disarmato, lanciandogli uno sguardo intimidatorio.

“In questa base ci sono uomini o donne che usate come cavie da laboratorio?”
Il soldato rimase muto e Rogers fu costretto ad usare le maniere forti. Gli premette la pistola sulla fronte.
“Ti concedo tre secondi. Poi ti faccio saltare il cervello.”
No, non lo avrebbe fatto, ma confidò nell’istinto di autoconservazione di quell’uomo.

“Uno … due …”

“Aspetta! Una sola! Una solo cavia è ancora viva.”
“Dove si trova?”
“Non lo so con esattezza, ma dovrebbe essere in una delle stanze del corridoio che abbiamo appena percorso.”
“Bene.”
Steve colpì in testa il soldato con il calcio della pistola, facendogli perdere i sensi. Uscì a grandi passi dalla stanza bianca e percorse a ritroso il corridoio, aprendo tutte le porte che incontrava e sperando al tempo stesso di non imbattersi in nessuno.
Molte delle stanze in cui entrò contenevano solo attrezzi da laboratorio, tre erano vuote ed alcune parevano delle sale operatorie.
Non incontrò anima viva e ringraziò lo scarso livello di sicurezza della base.
Aprì un’altra porta e si ritrovò in un obitorio. Al centro della stanza c’era un tavolo di metallo, con sopra appoggiata una cartellina. Rogers la aprì e vi trovò un registro dei morti durante gli esperimenti. Su ogni pagina vi era la foto della persona che era stata usata come cavia, la descrizione dell’esperimento a cui era stata sottoposta e, alla fine, la data e la causa della morte.
Sfogliò le pagine e notò che molte foto ritraevano ragazzi e ragazze molto giovani.
Arresto cardiaco. Emorragia interna. Allergia al farmaco testato. Morte celebrale. Sconosciuta.
Sentì la rabbia accendersi, pensando che quei farabutti avevano ucciso tutte quelle persone, senza venire scoperti.
Ripose il registro sul tavolo e abbandonò l’obitorio, ricominciando a cercare.

Ormai aveva abbandonato le speranze, quando arrivò all’ultima porta.
La aprì e si trovò faccia a faccia con Adam Lewis, che sgranò gli occhi vedendolo e subito dopo infilò le mani nelle tasche del camice bianco.
“Che uomini incapaci. Dovevo aspettarmelo” soffiò seccato.
Steve parve non sentirlo, troppo preso ad osservare la figura distesa su un tavolo d’acciaio alle spalle del dottore.

Adam sorrise, notando l’interesse sul viso del biondo.
“Ha buon occhio Capitano” esordì, scivolando dietro il tavolo, così da permettere a Rogers di ammirare quel corpo esile ed inerme.
Per prendere tempo.
Poi continuò.
“Questo è il motivo principale per cui conduco i miei studi ed è la prova schiacciante che l’uomo può essere migliorato.”

Steve sentì dei passi appena fuori la stanza e si affrettò a bloccare la porta d’acciaio con le serrature annesse.
“È in trappola. Non può scappare” disse il dottore, tirando fuori dalla tasca un piccolo telecomando, con il quale aveva dato l’allarme.
Rogers strinse i denti e soffiò di rabbia. Sollevò la pistola e sparò, colpendo alla spalla destra Adam, che gridò e si accasciò al suolo.
Corse verso il tavolo, soffermandosi a contemplare quel viso dai lineamenti dolci, il naso piccolo e leggermente all’insù, le labbra rosee, i lunghissimi capelli ondulati color miele. Sembrava dormire.
Il corpo pallido era coperto da un semplice camice da ospedale bianco.

I forti colpi sulla porta riportarono alla realtà Steve, che si affrettò a liberare i polsi e le caviglie sottili della ragazza da anelli di metallo. Li forzò fino a romperli, poi le fece passare un braccio sotto le spalle e uno sotto le gambe e la sollevò con delicatezza, quasi credesse di poterla spezzare.
 
Adam si allarmò all’istante.
“Capitano, si fermi! Non può portarla fuori di qui! Non si rende conto di-”
 
“Dica ai suoi uomini di lasciarci uscire o giuro che questa volta la uccido” lo interruppe Steve, guardandolo con disprezzo.
 
                                                            *
 
Non appena mise piede fuori dalla cupola, l’aria fresca lo inebriò e la pioggia battente lo investì, infradiciandolo.
Corse velocissimo tra la fitta vegetazione, zigzagando tra le alte conifere e prendendo direzioni a caso, così da confondere le tracce.
Se Adam gli aveva concesso la possibilità di uscire da lì - come aveva immaginato il dottor Lewis non aveva voluto rinunciare a vivere, troppo spaventato dal dolore e dalla morte stessa -, non significava che non lo avrebbe fatto braccare dai suoi uomini.
Infatti, già sentiva le grida dei soldati dietro di sé.
Non si voltò nemmeno una volta, continuando a correre come un forsennato e stringendo tra le braccia il corpo privo di sensi della giovane con la quale condivideva la mente da più di una settimana.
 
 

                                                      ***
 
 

“Signore, c’è una comunicazione urgente da parte del Capitano Rogers.”

La voce atona di JARVIS riempì la stanza e Tony, che era intento a prepararsi un cocktail al suo bancone-bar nella Sala Comune, rimase per un attimo sconcertato.

“Spero che si tratti di un messaggio di scuse.”

“Mi spiace deluderla, signore, ma il Capitano non le ha mandato delle scuse.”

Stark scosse il capo, appoggiandosi con le mani al bancone.
“Fammi ascoltare la comunicazione.”

L’ A.I. ubbidì.
 
“Stark, sono Rogers. Ho bisogno di un recupero immediato. Siamo inseguiti da uomini disertori dello SHIELD. Segui il segnale della mia ricetrasmittente e vieni a prenderci. Ti prego.
 
Siamo? Prenderci?
Chi era con lui?

“JARVIS rintraccia Rogers.”
Poco dopo apparve un ologramma su cui lampeggiava un puntino rosso.

“Non vedo l’ora di rinfacciargli a vita il fatto che mi abbia pregato come un disperato.”
Stark sorrise e bevve tutto d’un fiato il cocktail che aveva preparato.
 
“È ora di indossare l’armatura.”







Note
Ciao!
Mi scuso per il ritardo e spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Steve si ritrova in quei luoghi che già aveva visto nel suo primo incubo.
Premonizioni? O è altro?
Ringrazio chi sta seguendo la mia storia :D
Alla prossima!
Un abbraccio :)
Ella
   
 
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