*entra in punta di piedi*
Qualcuno si ricorda ancora di me? No? Sono
quella che sparì per l’imminente laurea di Aprile e che dopo aver finalmente
finito è caduta nel circolo vizioso del foglio bianco.
Sì, gente, sono ufficialmente un architetto (e
ancora disoccupata, ovviamente) e non nego che ritrovare le forze per
riprendere a scrivere dopo tutta quella stanchezza sia stato più che difficile.
Oltre al fatto che sono stata traviata altrove
dall’ispirazione, il ché non ha aiutato di certo. E io non so scrivere capitoli
tranquilli come quello che state per leggere, quindi peggio ancora!
Ma rieccomi qui, sperando che la vostra pazienza
non vi abbia abbandonati.
Il nuovo trailer de Lo Hobbit mi ha forse ridato
la voglia di scrivere sulla Terra di Mezzo e preghiamo Eru che non mi metta
depressione e che non mi faccia uccidere tutti.
*paura eh?*
Vi lascio subito al capitolo, un po’ corto forse,
e tremendamente orribile; ma vi ho già avvisato: non so scrivere di
tranquillità. E l’ho riletto solo un paio di volte, spero di non aver lasciato
orrori lungo la strada.
Un abbraccio e un bacio a chiunque continui a
seguirmi e mi ha seguita!
Vi adoro,
Marta.
Pietra
- sequel di Betulla -
24.
2 Ottobre 3019 T. E.
Se Ioreth non fece cadere il vassoio della colazione per la
sorpresa, fu solo grazie al suo poco autocontrollo; ma era più che sicura che
fosse sul punto di perdere la pazienza quando entrò nella stanza che ospitava
il Signore di Osgiliath per quei giorni di riposo e trovò il letto vuoto. Non
ebbe la stessa calma quando si diresse di tutta velocità verso la camera di
Brethil, che sedeva sul bordo del letto e si controllava con attenzione la
ferita sul fianco, ancora rossa e dolente, ma ormai sulla via della
cicatrizzazione.
«Dove è finito il Sovrintendente?!»
Brethil sarebbe saltata dallo spavento se non l’avesse udita
giungere prima ancora di vederla piombarle in camera. «Non ne ho idea. È per
caso sparito?»
«Non fare la furba con me, mia signora.» replicò stizzita la
vecchia curatrice, ficcandosi le mani sui fianchi e scrutandola con fare
impettito. «Sono andata a portargli la colazione e tutto quello che ho trovato
sono stati tre cuscini nascosti sotto le lenzuola! Per il buon nome del Re, lo
faceva quando era un ragazzino!»
La Prima Guardia dovette sforzarsi di non ridacchiare e si
strinse nelle spalle. «Giuro che non so dove sia; e no, non lo sto nascondendo
sotto il letto, amica mia.»
«Non mi meraviglierei e anzi; forse dovrei controllare.»
borbottò Ioreth, le labbra strette in una preoccupante linea sottile. «E tu,
invece, cosa stai facendo in piedi?»
«Tecnicamente sono seduta.»
«Non ti dissi di rimanere sdraiata per il prossimi sette
giorni?»
«Ne sono trascorsi quattro e mi sento decisamente b–»
«Se avessi a che fare con un esercito di neonati mi
capirebbero meglio di voi.» borbottò tra sé e sé la guaritrice, scuotendo il
capo e schiaffeggiandole una mano che stava palpando la ferita, di cui si prese
cura personalmente.
«Ha davvero nascosto i cuscini sotto le coperte?» domandò
Brethil dopo qualche lungo istante di silenzio, non riuscendo a nascondere un
sorriso.
«Sì, e non è divertente.» sbottò l’altra, sospirando. «Soprattutto
perché, quando soleva farlo da ragazzo, niente di buono ne seguiva.»
«Non credo che sarà in grado di creare troppi guai. Sta
ancora riprendendo le forze.»
«Oh, ragazza, allora proprio non lo conosci.» Per la prima
volta da quando Brethil l’aveva incontrata, l’espressione perennemente
crucciata di Ioreth si distese in chissà quale piacevole e divertente ricordo. Ma
fu rapido come il battito delle sue palpebre e subito quella tornò imbronciata.
«Se dovessi vederlo prima che lo afferri io, raccomandagli di trovare una scusa
più che valida.»
«Credo che ce l’abbia, buona donna.» fece la voce gioviale
di Elrohir, che comparve con il fratello sulla soglia della porta.
«Oh, ce l’ha eccome. Dal Re in persona.» proseguì il
fratello, strizzando un occhio a Brethil.
Ioreth scattò in piedi, brandendo il vassoio ormai vuoto
dalle ciotole. «Dov’è? Ditemi dov’è?»
«Abbiamo giurato di non dirlo, signora. Neppure sotto tortura.»
disse solennemente Elladan, alludendo all’arma che la vecchia donna minacciava
di cadergli pesantemente sulla testa. «Ordini dall’alto.»
Per loro fortuna, quella se ne andò poco dopo promettendo
vendetta, e i gemelli si richiusero la porta alle spalle.
«Allora, thêl,
come ti senti oggi?»
«Hai certo un colorito migliore di qualche giorno fa.»
«Sto bene, fisicamente.» sospirò la donna, sdraiandosi
contro la pila di cuscini alle sue spalle, mentre i fratelli le avvicinavano la
colazione – porridge, profumate salsicce arrosto e fette di pane imburrato con
prosciutto e formaggio. Pipino ne sarebbe andato matto, pensò con nostalgia. «È
che odio stare chiu–»
«–chiusa in queste quattro mura.» terminarono in coro i
gemelli, ridendo.
«Lo sai che ora non saresti di grande aiuto al Re, sì?»
Brethil sospirò. «Sapete meglio
di me che l’ho servito in condizioni peggiori di queste.»
«Sì, ma non indossavi la divisa
ufficiale di Gondor. Né lui indossava una corona.»
«Aragorn non ha mai avuto bisogno
di una corona sul capo per ricordarmi chi sia.» La donna agitò una mano per
scacciare qualsiasi cattivo pensiero. «Piuttosto, a proposito del Re, ditemi:
cosa c’è dietro la sparizione di Boromir?»
I gemelli si scambiarono
un’occhiata malandrina che non fece altro se non preoccuparla ulteriormente.
«Dobbiamo recarci qualche giorno
nell’Ithilien per un incontro con il Principe Faramir.» disse Elladan. «
Legolas e Gimli verranno con noi.»
«E Boromir in tutto ciò cosa
c’entra? Vi accompagnerà anche lui, quando a malapena riesce a reggersi in
piedi?»
«Oh, mi è parso parecchio
energetico, prima.» commentò Elrohir, mentre il fratello annuiva con
entusiasmo.
«Sto ancora attendendo una
risposta, amici miei.»
«E tu sei intelligente a
sufficienza per capire che stiamo tergiversando e non siamo autorizzati a darti
spiegazioni di alcun tipo.»
Brethil alzò gli occhi al soffitto, ben sapendo che quando quei due decidevano di allearsi contro di lei, non ci sarebbe stato modo per vincerli.
Avrebbe dovuto aspettare.
Ancora. Su quel dannato letto che ormai aveva acquisito la forma
del suo fondoschiena.
«Torneremo giusto in tempo, comunque.»
«Giusto in tempo per cosa?»
«Per rivederti in piedi, ovvio.»
Elladan rise nel sentire l’occhiata pesante di Brethil che,
chiaramente, non si stava bevendo neppure una parola di ciò che le stavano
dicendo. «Ad ogni modo, sarai contenta di sapere che la tua amica dama Trán
stia facendo conquiste tra gli uomini di Éomer: pare che siano tutti molto
soddisfatti dei suoi servigi.»
L’espressione crucciata della donna si distese in un sorriso.
«Oh, questo sì che mi fa piacere. L’ho veduta poco, questi giorni; immagino che
sia molto indaffarata.»
Elrohir annuì. «Dovresti vedere Re Thorin, però: non so se
sia più contento di averla sott’occhio alle forge, o più imbestialito dai
commenti dei Rohirrim.»
Quelle parole le fecero tornare in mente un particolare che,
tra una cosa e l’altra, si era dimenticata di chiedere alla sua amica. «Mi è
parso di capire che ora siano più... come dire, in buoni termini?»
«Oh, direi di sì.» ammiccò Elladan. «Ma non sta a noi raccontarti la storia. Sai cosa possiamo dirti, invece?»
«Cosa sta facendo Boromir?» tentò la donna.
«Gimli aveva fatto una scommessa con Legolas, durante la
battaglia. E a quanto pare ha perso.» disse invece Elladan.
«Anche se continua a rifiutarsi di ammetterlo – i Nani hanno
davvero la testa più dura della roccia che lavorano.»
Brethil ebbe quasi timore di chiederlo. «E cosa avevano
scommesso?»
I gemelli risposero in coro, come sempre. «La sua barba.»
Gli occhi grigi le si spalancarono immediatamente, così come
la bocca. «Non ditemi che ha dovuto tagliarla?»
Ci furono attimi di silenzio che, per un istante, le fecero
credere ad una risposta affermativa. Sapeva quanto i Nani e le scommesse andassero
a braccetto come gli Hobbit con i funghi, ma non poteva credere che potessero
addirittura giocarsi il motivo del loro orgoglio e simbolo della loro famiglia.
«No, può stare tranquillo; Legolas è stato fin troppo
buono.» fece Elladan, e il gemello aggiunse: «Se fosse stato per noi,
gliel’avremmo rasata personalmente.»
«Oh, non lo metto in dubbio!» ridacchiò Brethil, ora più
rilassata. L’idea di un Gimli senza barba l’avrebbe scossa più del dovuto. «E
come pensa di ripagarlo, dunque?»
«Ci accompagna nell’Ithilien, come ti abbiamo detto.»
«Niente lo fa infuriare più delle foreste.»
«E di altri Elfi, chiaro.»
La donna scosse
il capo, sinceramente divertita. «Quanto tempo starete via?»
«Un paio di
settimane, al massimo. Ti mancheremo, vero?» domandò Elladan, malandrino.
«Assolutamente
no.» replicò lei. Ovviamente, ciò che intendeva era l’esatto contrario, ma non
lo avrebbe mai ammesso a voce alta. «E quando partirete?»
«Questa
mattina; siamo infatti passati a salutarti prima di metterci in viaggio.»
Se l’idea di
non rivederli, seppure per una settimana, la rattristasse e le stringesse la
bocca dello stomaco, Brethil non lo diede a vedere; ma vi era stata quell’ultima
volta in cui aveva salutato qualcuno, consapevole che non stesse andando in
guerra, e alla fine della corsa lo aveva quasi perso; ma non voleva
rinchiudersi nel pessimismo. Per quello bastava ed avanzava Trán.
«Perdonatemi se
non vi accompagno fino al cancello principale, amici miei.» disse solo,
abbozzando un sorriso stanco.
«Ah, thêl, conosciamo la strada, ormai.»
Elladan si chinò per baciarle la fronte, e così il fratello. «Torneremo prima
che te ne renda conto.»
Brethil annuì,
sapendo bene che avrebbero mantenuto fede alla loro parola, come sempre avevano
fatto. Se ne andarono poco dopo, quando anche Legolas e Gimli furono passati
per un breve saluto – uno gioviale come sempre, l’altro più scuro di una nuvola
carica di pioggia.
Terminò in
solitudine la sua colazione, chiedendosi che fine avesse fatto Boromir e cosa
stesse architettando con Aragorn. Ma durante tutto l’arco della giornata, che
trascorse lenta e noiosa come le precedenti, non riuscì a ricevere alcuna
notizia; neppure Rainiel, la sua fidata ancella, né Ioreth, che tornò a farle
visita più tardi prima di pranzo, le seppero dare qualche notizia in più.
E giacché
nessuno pareva ricordarsi della sua esistenza, per quel giorno, decise che ne
avrebbe approfittato per scappare lontano da quelle Case tranquille che ormai
le andavano troppo strette. Si spogliò lentamente della veste bianca da camera,
per indossare una tunica grigia con dei pantaloni scuri e i suoi logori
stivali. Afferrò il suo vecchio mantello e si nascose il viso sfregiato sotto
il cappuccio, sperando che nessuno la riconoscesse e la fermasse.
Dopo una rapida
occhiata al corridoio su cui si affacciava la sua stanza, Brethil si dileguò
verso i livelli inferiori di Minas Tirith, silenziosa ed invisibile come sempre
era stata.
Se sguardo
avesse potuto incenerire, il soldato che aveva appena lasciato la bottega si
sarebbe ritrovato con la schiena perforata. Nessuno di quegli Uomini poteva
sapere che la bella Nana, che di Nanico aveva ben poco, fosse la compagna del
Re e che i loro sorrisi ammiccanti e i loro complimenti sulle sue notevoli doti
di fabbro erano del tutto inopportuni. Il tutto sotto lo sguardo infuriato di
Thorin, quello divertito dei nipoti e dei suoi amici più fidati e quello
innocente della diretta interessata che, ovviamente, non si rendeva conto di
niente. Trán, infatti, era talmente concentrata sul suo lavoro, nel tentativo
di non ricadere nello sconforto del lutto e di non distrarsi dalla presenza
troppo vicina del suo Re, per accorgersi di quello che le stesse accadendo
intorno; anzi, a volte neppure sentiva le belle parole che le venivano rivolte.
«Zia Trán potrebbe ritrovarsi un Orchetto
accanto che neppure lo vedrebbe.» commentò Kili, rimarcando il nomignolo che
lui ed il fratello avevano deciso di darle – più per dispetto allo zio, che per
imbarazzarla. Ovviamente lei neppure li udì, facendoli ridere. «Visto? Che vi
ho detto?»
Thorin, che non
aveva più neppure la forza di riprenderli, gli scoccò solo una penetrante e
severa occhiata e quelli ripresero a lavorare. La porta della fucina si riaprì
ancora una volta e, con un sospiro esasperato, osservò il nuovo arrivato,
pronto a sbottare qualcosa di poco elegante se non si fosse comportato
decentemente nei riguardi della sua corteggiata; ma ogni parola bellicosa svanì
nel momento in cui lo straniero si tolse il cappuccio calato sul viso e gli
occhi grigi e brillanti di Brethil lo salutarono.
«Mia signora!
In nome di Durin, cosa ci fai qui?» le domandò, mentre Trán parve risvegliarsi,
sollevò subito lo sguardo sull’amica, quasi non credendo alle sue orecchie, e
le corse incontro per aiutarla a sedersi.
Fili, che
ovviamente non poteva non civettare con la donna, in quello che ormai era
diventato più un passatempo che qualcosa di serio, spostò con gran fracasso
degli attrezzi da una sedia lì vicino e Brethil si sedette, affaticata ma
divertita. «Perdona il caos, dama Brethil, non attendevamo visite di riguardo.»
le disse, ammiccando.
Quella scosse
il capo. «Perdonatemi voi per l’arrivo inaspettato. Ma non potevo più stare su
quel letto.»
«E giustamente
hai ben visto di camminare per mezza città con un fianco ferito.» la riprese
Dwalin, la cui espressione dura ed impassibile si distese in un ghigno. «Mi
piaci proprio, ragazza.»
«Sei
un’incosciente, amica mia.» dissentì Trán, le mani sui fianchi e l’aria
impettita. «Devi riposarti, non sottoporti a sforzi simili!»
«Oh, per
favore; Ioreth ti ha per caso istruita?» La Nana arrossì, guardandosi le punte
dei piedi, e Brethil le strinse una mano. «Sto meglio, Trán, davvero. Non mi
sarei mossa se ciò avesse significato rischiare di arrecarmi ulteriore danno.
Beh? Cosa sono quelle espressioni?» aggiunse, perplessa, quando incontrò gli
sguardi poco convinti dei Nani.
«Hai la mia stessa pazienza, quando si tratta
di degenza, mia signora.» disse Thorin, tornando alla sua postazione. «E con
questo intendo che non ne abbia affatto.»
Brethil
sorrise, rilassandosi. «Spero di non disturbarvi; ma non sapevo dove andare
senza destare l’ira di qualcuno.»
«La desterai
sicuramente appena si accorgeranno della tua assenza.» replicò il Re. «Ma per
il momento puoi considerarti al sicuro.»
«I lavori come
procedono?»
Thorin sospirò.
Le raccontò che stessero lavorando giorno e notte per risanare ciò che la
battaglia aveva distrutto, soprattutto per ridare una casa a chi l’aveva persa
con l’esplosione; tutti gli Uomini in forze, ovviamente, si stavano dando da
fare per velocizzare il processo. D’altra parte, il cancello aveva ben retto e
sarebbe stato terminato in due settimane, tre al massimo. «I Nani di mio
cugino, invece, credo che rimarranno ad Osgiliath più del tempo previsto. A
quanto pare gli Olifanti hanno triplicato il lavoro.»
Quelle parole
ebbero il potere di raggelarla. Se Thorin e i suoi avessero finito i loro
compiti in tre settimane, allora sarebbero presto ripartiti verso il Nord. E
ciò significava salutarli... salutare lei.
Eru, non si sarebbe mai abituata agli
addii. Vi erano notti in cui ancora sognava il momento in cui lei e Boromir
avevano salutato Pipino e Merry, ed il solo ricordo faceva ancora male.
«Quando starai
meglio verrai a trovarci, mia signora?» domandò Káel. «Avevi detto di essere
nata a Dale.»
«Oh sì!»
esclamarono Fili e Kili in coro. «Certo che verrai!» Persino Trán aveva alzato
lo sguardo, speranzosa di una sua risposta positiva.
Brethil sorrise
tristemente. Sarebbe voluta tornare nel lontano Nord, per visitare i posti che
l’avevano vista crescere, per farli vedere a Boromir e raccontargli della sua
vita lassù; e magari fare un salto nella Contea, dopo aver salutato i Nani di
Erebor. «Mi farebbe molto piacere
ripercorrere quella strada. Chissà, magari un giorno.»
«Beh, dovrai
venire per forza, una volta che ci sarà una data.» fece pensieroso Kili. «Vero,
zio?»
«Oh,
solitamente cade per il Giorno di Durin, ma forse ora sarebbe ancora troppo
presto per–»
«Silenzio.»
sbottò Thorin, che parve arrossire fin sopra le orecchie; Trán, invece, e che
Mahal la tenesse innocente come l’aveva fatta, non capì di che data stessero
parlando. Ovviamente, tutti scoppiarono a ridere quando chiese spiegazioni e il
fratello le batté una manona sulla schiena, come per consolarla.
«Ad ogni modo,
bisogna ricambiare il favore.» proseguì Fili.
«Che favore?»
fu ora la volta di Brethil, a cui non sfuggirono le occhiate che i Nani si
scambiarono. Ma lei non era addormentata ed ingenua come l’amica e capì che
anche loro sapessero qualcosa in più di lei. «Perfetto, sono circondata da persone
che credevo fidate e invece mantengono segreti.»
«No, stai pure
tranquilla.» la rassicurò Fili, con un occhiolino. «Solo una cerchia ristretta
di persone.»
Brethil scosse
il capo. Era più che sicura che stessero preparando qualche festa per la fine
della battaglia e per festeggiare i vivi e i sopravvissuti, ma, per qualche
assurdo motivo, lei non doveva esserne al corrente. Del resto, tutti i suoi più
vicini amici sapevano quanto odiasse celebrare qualsiasi cosa – dal suo
compleanno al giorno del Yuletide; probabilmente volevano solo farla
arrabbiare, più che farle una piacevole sorpresa.
L’ora del
pranzo giunse velocemente, ora che Brethil aveva trovato della compagnia, e
Trán fu come sempre gentile e premurosa, chiedendole di attenderla nascosta
alle forge, mentre lei andava a recuperare del cibo per entrambe; chiaramente,
anche gli altri Nani decisero di non attardarsi alla mensa e tornarono carichi
di ciotole fumanti e boccali di birra, ripulendo un lungo tavolo dagli attrezzi
di lavoro ed apparecchiandolo.
«Mia signora!»
esclamò una voce sottile sull’uscio della porta, affaticata dal fiatone. Le
teste dei presenti si voltarono verso la nuova arrivata, che arrossì
furiosamente e chinò il capo. «Chiedo perdono per l’interruzione, ma lassù stanno
impazzendo per trovarti, dama Brethil.»
«Oh, Rainiel,
mi domandavo quanto tempo ancora sarebbe passato prima che suonassero le trombe
d’allarme.» scherzò Brethil. «Come vedi sto bene e nessuno mi ha rapita; ma per
favore, non una parola sul mio nascondiglio.»
«Mia signora, Ioreth
mi strapperà l’informazione dalla lingua, sai bene come sia insistente quella
donna.»
«Oh beh.»
esordì Kili, dando una gomitata al fratello, e saltando in piedi. «Allora temo
che dovrai attardarti con noi, finché la tua signora non deciderà di tornare alle
sue stanze.»
Brethil rise
nel vedere gli occhi spalancati per lo stupore e l’imbarazzo, mentre scuoteva
veementemente il capo.
«Non–non potrei
mai, miei Principi!» disse infatti l’ancella. «Sono attesa per i miei compiti e
non posso–»
«Sciocchezze!»
esclamò Fili, che insieme al fratello la prese per mano e le fece posto tra
loro.
Rainiel lanciò una tacita supplica alla sua signora, che alzò le spalle impotente. «Sono Nani e sono testardi; non c’è niente che possa fare per fargli cambiare idea, ora.»
E con quelle parole, iniziarono a mangiare.
Brethil fu ben
accorta a tenere un occhio sulla sua piccola amica, giacché non sembrava avere
molto appetito, e notò che anche Re Thorin la stesse tenendo sotto controllo,
dalla parte opposta del tavolo. Quel Nano aveva davvero preso in parola la sua
richiesta di non perderla di vista.
Discussero
principalmente di lavoro, come sempre facevano ogni volta che si riposavano, e
Brethil preferì ascoltarli piuttosto che interromperli. Gli unici che non
presero viva parte alla discussione furono i due malandrini dei Principi,
troppo intenti a vezzeggiare e far ridere la sua ancella, che sedeva stretta
tra loro, piuttosto che preoccuparsi dei loro doveri. A quanto pare, quando una
preda non era disponibile si fiondavano su una nuova, pensò Brethil divertita.
Il pranzo volò
via velocemente, lasciandoli con lo stomaco pieno e soddisfatti, pronti a
tornare a lavorare in men che non si dica. Brethil si alzò con un po’ di sforzo,
aiutata da Trán che la sorresse, per quanto la sua statura glielo permettesse.
«Mi
accompagneresti alle stalle?» domandò la donna alla Nana, i cui occhi verdi
saettarono sui suoi, spalancati e sorpresi.
«E magari poi
potremmo camminare fino ad Osgiliath, perché no.» replicò sarcasticamente Trán.
«Sai, non credo proprio che sia il caso di affaticarti ulteriormente.»
«Non mi
affaticherò troppo; e sono qui vicino.» la rassicurò, stringendole una mano
sulla spalla. «Ho solo bisogno di vedere il mio cavallo. Aveva una brutta
ferita quando lo lasciai e non ho ancora avuto modo di accertarmi che stia
bene. E vorrei spendere qualche minuto in tua compagnia; se il tuo Re te lo
permette, chiaro.»
Thorin annuì,
percependo la sua tacita richiesta, e Trán sospirò. «E sia.»
«Mia signora.»
fece Rainiel, le guance ancora imporporate dalle risate, ma ora visibilmente
preoccupata. «Cosa dovrei fare? Verrò sicuramente ripresa e–»
«Mi assumo ogni
responsabilità, amica mia; non devi preoccuparti. Racconta pure la verità; io
ti raggiungerò presto.»
«Non torni con
me? Dove devi andare, ancora, mia signora? Non è saggio tirare troppo la corda.»
Trán fece
scivolare lo sguardo dall’ancella all’altra donna, un “ha ragione lei” ben visibile nell’espressione del suo minuto viso.
Brethil le
strinse una mano, rassicurante. «Ormai ho messo in allarme tutti; se dovessi
mancare una mezzora in più o una in meno non cambierebbe troppo le carte in
tavola, no? Farò presto, stai pure tranquilla.»
Rainiel non fu
per niente convinta dalle sue parole, ma del resto non era nei suoi poteri – né
nelle sue capacità fisiche – prendere la sua signora di peso e portarsela in
spalle fino alle Case di Guarigione. Oh, se solo il Sovrintendente fosse stato
disponibile!
La Dúnadan e la
Nana si diressero a passo lento verso le scuderie, che si trovavano al Primo
Livello, non lontano dal Grande Cancello. Trascorsero la prima parte della
passeggiata in silenzio, una sorretta sulle spalle della più bassa, intenta a
pensare un modo per iniziare il discorso che aveva in mente. «Ho saputo che il
tuo lavoro è parecchio apprezzato dai soldati di Éomer.»
«Oh, l’ho
sentito dire anche io.» scherzò Trán, arrossendo. «Temo che mi lusinghino
troppo; non è un grande e difficile compito quello che mi chiedono di fare.»
«Ma lo fai bene,
e ciò è quello che conta.» disse in un sorriso la donna. «Re Thorin sarà
orgoglioso, immagino; anche se non è esattamente il tuo sovrano, certo.» Le
gote della Nana divennero ancora più paonazze, se per l’imbarazzo o per lo
sforzo di rimanere impassibile Brethil non seppe dirlo. Ma capì di aver toccato
il tasto giusto quando la sentì balbettare qualche parola di assenso.
«Ad ogni modo,
ti stai tenendo ben occupata e questo è ottimo; anche se ho sentito la mancanza
delle tue visite.»
«Perdonami, non
sai quante volte avrei preferito scappare e andare a trovarti!»
«Ognuno ha i
propri doveri, amica mia. Non devi scusarti. Sono felice che stia lavorando,
invece; servire il Re di Rohan non è un qualcosa che tutti possono vantare.»
Dopo qualche altro lungo istante di silenzio, Brethil continuò. «E dimmi; prima
di partire mi dissi che le trecce hanno un significato nella tua cultura.»
esordì la donna, spiando la sua reazione con la coda dell’occhio. «E non ho
potuto non notare che la tua pettinatura sia un po’ cambiata.»
Il colore arrossato delle guance si propagò fino alla punta delle orecchie e la donna si morsicò le labbra pur di non sorridere.
«Hai... un
occhio attento.»
«Devo averlo,
amica mia. Ebbene? Hanno un significato particolare?»
Trán sollevò lo
sguardo su di lei, aggrottando le sopracciglia. «Provo la cattiva sensazione
che tu sappia bene cosa ci sia dietro queste trecce, ma nonostante tutto voglia
sentirmelo dire a voce alta.»
«Oh, no, no!»
si affrettò Brethil, sorridendo malandrina. «Non ne sono sicura, vorrei solo
avere la conferma; e la tua pettinatura non è la sola cosa che ho notato essere
cambiata, durante la mia assenza.»
Nonostante l’imbarazzo
dell’argomento, Trán sorrise sognante e scosse il capo. «Non saprei dove
cominciare.»
«Proviamo dalla
fine; il resto verrà da sé.»
E così Trán
fece. Le raccontò, all’inizio con un po’ di imbarazzo, che indossasse trecce e
clip tipiche di un corteggiamento, e quasi non credette alle sue stesse parole
quando disse a voce alta chi fosse il Nano che gliele aveva intrecciate. «Se
penso che fino a qualche settimana fa ci detestavamo...»
«Sicura che vi detestaste
sul serio?»
Trán strinse le
labbra, ricordandosi le parole di Thorin. Ti
odio perché non riesco a farlo. «No, forse non realmente. Anche se c’erano
momenti in cui avrei desiderato picchiarlo, piuttosto che guardarlo in viso; e
credo viceversa! Ad ogni modo, se avessi pensato che avrei indossato il simbolo
dei Durin tra i capelli, avrei riso fino a non avere più forze.»
«Cosa è
cambiato, dunque?»
E la Nana
proseguì il suo incredibile racconto: dal chiarimento, quella notte lungo le
mura, a come le cose tra loro, lentamente ma inesorabilmente, fossero
migliorate. «È tutto così irreale e bello, per essere vero, che temo un giorno
o l’altro di risvegliarmi e rendermi conto che fosse tutto un lunghissimo
sogno.»
Brethil le
baciò il capo. «È tutto reale, quanto me e te in questo momento. E non posso
esserne che felice. Ma sai cosa significa questo, sì?» L’occhiata confusa della
Nana quasi la fece ridere. «Che diventerai Regina di Erebor, un giorno.»
«Oh Mahal.» mormorò Trán, sentendosi
mancare per un momento. Non che l’idea non le avesse accarezzato la mente, nei
giorni precedenti; ma era stata fin troppo occupata a lavorare e a piangere la
perdita di suo padre, per rendersi realmente conto di cosa avrebbe
probabilmente portato quel corteggiamento. «Ecco, ancora non è niente di
ufficiale. Insomma, sire Thorin potrebbe anche decidere di interrompere l’assurdità
che sta compiendo nei miei confronti.»
«Non dirne tu,
di assurdità.» la rimbeccò la donna.
«Hai detto bene sulla mia vista: osservo più di quanto occhio riesca a vedere;
e persino un cieco si accorgerebbe di cosa vi lega. Piuttosto dimmi, quanto
dura un corteggiamento?»
«Dipende...»
mormorò. «Insomma, non sono un’esperta in materia, credo più di qualche mese.
Ma non ho idea di come le cose funzionino per la Famiglia Reale. Oh, Brethil,
sarei una pessima Regina!»
«Ne dubito.» la rassicurò la Dúnadan.
«E se il Consiglio Reale dovesse andare contro la sua decisione?»
«Oh beh, è il Re. Potrebbe anche essere un tiranno, per una volta.»
Le due
ridacchiarono.
«E tu ed il
Sovrintendente, invece?» chiese la Nana, tentando di cambiare argomento. «Da
quanto tempo vi corteggiate?»
«Noi non ci corteggiamo.» La sola idea la fece ridere
di sincero divertimento. «Non siamo esattamente la coppia più romantica che
possa incontrare, Trán. Non credo nemmeno che Boromir sappia il significato di
corteggiare qualcuno.»
«Oh... ma vi
sposerete un giorno, no?»
Brethil
sospirò. «Ne abbiamo parlato... un paio di volte.»
«E?»
Si strinse
nelle spalle. «Non credo che sposarci cambierebbe molto le cose, tra noi, né il
modo in cui comportarci in presenza di altre persone. Sarebbe una cerimonia più
ufficiale, che altro.» E con sguardo inorridito, aggiunse: «Oltre al fatto che
dovrei indossare un abito.»
Trán rise con
lei e si ritrovarono presto alle scuderie.
Trovarono
Nerian accovacciato in un angolo della sua stalla, la coscia ben fasciata e
tremante. Lo stalliere, che le accolse subito, spiegò loro che avesse subito un
forte trauma, tra l’esplosione e la ferita che aveva subito, ed era evidente
che non sarebbe stato più in grado di farsi montare. Zoppicava vistosamente e
avrebbe continuato a farlo per il resto dei suoi giorni.
Brethil ascoltò
le sue parole in silenzio, l’espressione tremendamente addolorata, e Trán capì
che vi era molto legata. «Da quanto lo cavalchi?»
«Da numerosi
anni, ormai.» mormorò Brethil, aprendo il cancello in legno ed inginocchiandosi
su di lui, accarezzandogli il collo. Il cavallo sollevò subito il capo,
rianimandosi nel vedere la sua padrona, e lei sorrise. «Da quando ancora
servivo Re Théoden, a Rohan. È stato un fidato compagno di viaggi; ma ahimè,
temo che le nostre avventure insieme terminino qui.» Si rimise in piedi e
quello ne seguì i movimenti, rialzandosi a fatica e scuotendo la criniera,
orgoglioso per esserci riuscito. Dopo aver controllato che riuscisse a poggiare
lo zoccolo della zampa lesionata, lo afferrò per una briglia e lentamente lo
portò fuori dalla stalla, fino al Grande Cancello. Trán li seguì senza una
parola, forse indovinando ciò che stava per succedere. Oltre le mura della
Città Bianca, Brethil si fermò e gli baciò il manto ramato, abbracciandogli il
collo per interminabili istanti. Poi, con cautela, gli tolse le briglie, stando
ben attenta a non spaventarlo. Era irrequieto per lo shock che aveva avuto, ma
si era calmato visibilmente quando la sua padrona era finalmente tornata.
Sarebbe stato
ancora più difficile dirgli addio.
Con un ultimo
bacio tra gli occhi castani, Brethil gli diede una pacca sulla coscia, per
intimargli di andare. Ma Nerian non si mosse, quasi non capendo cosa stesse
facendo. Gli sussurrò così qualche parola in elfico, che Aragorn le aveva
insegnato decenni addietro, e il cavallo sbuffò, scuotendo la criniera come se
dissentisse.
«Andiamo, amico
mio. Sei libero.»
Nerian parve
accarezzarle il viso con il muso in un bacio d’addio e lei rise, le lacrime sul
punto di bagnarle le guance sfregiate. Con un’ultima pacca, il cavallo
finalmente si mosse e cavalcò qualche metro, zoppicante ma apparentemente in
forze, prima di girarsi e controllare che lo stesse seguendo. Ma Brethil non
ebbe più la forza di osservarlo e gli diede le spalle, accompagnata dall’amica,
e più si guardò indietro.
*
A voi l’ardua sentenza – io continuo a credere che
sia un capitolo terribile.
A presto (?),
Marta.