Alice
“Mi
racconti di queste principesse? Chi sono?” chiese Rea ad Axel
mentre Paperino comandava la Gummiship. Lui la guardò
e poi sospirò.
“Sono
sette ragazze il cui cuore è completamente privo di oscurità. Solitamente non
dovrebbero incontrarsi, soprattutto perché i passaggi che legano i mondi fino a
un paio d’anni fa erano chiusi, però a causa della guerra questa è la seconda
volta che devono riunirsi”
“Come
si chiamano e dove si trovano?” continuò ad indagare lei. Quella storia
iniziava a prendere una piega carina, tutto sommato, e l’idea di viaggiare e
conoscere nuove persone era allettante. E poi, tanto, era tutto solo un sogno.
“A
noi interessano solo due di loro, comunque sono Belle, Jasmine, Aurora, Cenerentola,
Alice e Biancaneve. Più Kairi, ovviamente” rispose il
ragazzo.
“Deve
essere bello” commentò Rea senza pensare. Axel la
guardò.
“Cosa?”
“Non
avere oscurità. Significa che sai che non puoi perderti nelle tenebre” spiegò
con una nota malinconica nella voce. Lui scrollò le spalle.
“Non
è così male, dopo tutto. Certo, un po’ tetro forse, però non è così differente
dall’essere nella luce” le assicurò.
La
ragazza strinse le labbra.
“Com’era
non avere un cuore?” domandò, nonostante il suo buonsenso le dicesse di farsi
gli affari propri. Lui la fulminò.
“Non
penso di conoscerti abbastanza per darti certe informazioni sul mio conto, ma
grazie dell’interessamento” rispose in malo modo.
“Scusa”
disse lei, mesta.
Scese
il silenzio nella Gummiship e Rea si sentì a disagio.
Tutta quella situazione era assurda e, soprattutto, ciò che era più assurdo era
la sua reazione: non stava urlando, sbraitando o piangendo, era stranamente
tranquilla. Quasi le sembrava di aver sempre saputo che la sua missione era più
importante di quella che aveva a casa.
Casa.
Quella
parola la fece sentire triste. Chissà come stavano tutti. Si stavano chiedendo
che fine avesse fatto? Oppure nessuno si era reso conto della sua assenza?
“Da dove vieni, Rea?”
Sobbalzò
e si guardò intorno: né Axel né Paperino avevano
parlato. Si era immaginata quella voce? O era stata reale?
“Qualche
problema?” le domandò il ragazzo, vedendola sudare. Lei scosse la testa e
deglutì.
“Tutto
ok” rispose poco sicura. Lui la fissò intensamente, capendo subito che qualcosa
non andava.
“Sicura?”
“Sì”
Sospirò
irritato: tutti i detentori del Keyblade si
comportavano sempre come se fosse tutto a posto, come se gli altri non
potessero capire i problemi che li affliggevano.
Aveva
amato sul serio Roxas e Xion, se così non fosse stato
non si sarebbe trovato lì in quel momento, però aveva sempre odiato i loro
comportamenti da “Posso farcela da solo”.
“Stiamo
arrivando” disse Paperino, riportando entrambi alla realtà.
Rea
si avvicinò al finestrino e rimase un po’ scioccata nel vedere una specie di
sfera tonda e colorata galleggiare nello spazio.
“Cos’è?”
domandò.
“Un
mondo” rispose il comandante.
“Un
mondo?!”
“Sì,
un mondo. È un mondo a sé, diverso a quello a cui sei abituata tu. Lì troveremo
la prima principessa” le spiegò il papero. “Un mondo diverso a quello a cui
sono abituata?” ripeté, chiedendosi di che cosa stessero parlando.
Fu
solo quando scese dalla Gummiship che comprese.
La
grossa stanza circolare e rossa in cui atterrarono era formata da piccoli
mattoncini refrattari e si chiudeva in un corridoio corto con una grossa porta
bianca.
“Vediamo
di recuperare Alice prima che quel gatto irritante ci trovi” disse Axel, passandosi una mano tra i capelli.
“Gatto?”
chiese Rea. Il ragazzo le sorrise.
“Poi
capirai” le assicurò trattenendo una risata divertita.
Paperino
li salutò mentre si incamminavano lungo il corridoio bianco e rosa.
“Dobbiamo
stare attenti soprattutto agli Heartless. Se non mi
ricordo male qui sono piuttosto aggressivi”
“Ogni
mondo ha il proprio Heartless?” domandò Rea.
“Sì,
diciamo di sì. Gli Heartless sono globali, ce ne sono
ovunque, però alcuni preferiscono determinati mondi piuttosto che altri” le
spiegò, aprendo la porta bianca.
Dietro
ad essa, ce n’era un’altra più piccola.
“Ah,
già, me n’ero dimenticato” sussurrò scocciato.
Sbuffò
e poi iniziò ad aprire una serie che parve infinita di porte, sempre più
piccole, fino a terminare con una alta quanto Rea, la quale, questo va
specificato, era rimasta ferma a fissarlo incredula. Aveva ormai rinunciato a
chiedere qualsiasi cosa, tanto le sembrava che per una domanda a cui dava
risposta ne nascevano dieci che rimanevano irrisolte.
Alla
fine riuscirono ad entrare in una specie di salotto con camino.
“Dovrebbe
essere da queste parti” si disse il ragazzo, guardandosi intorno.
“Cosa?”
“Questa!”
esclamò soddisfatto, reggendo in mano una bottiglietta. Vide il suo sguardo
confuso e sorrise.
“Se
la beviamo potremo passare di lì” le spiegò, indicando una minuscola apertura
nel pavimento. Era a grandezza topo, più o meno.
“Di
lì?” ripeté confusa.
“Esattamente.
Memorizzalo: questo posto è un concentrato di stranezze e assurdità. Cerca di
non impressionarti per niente, sarebbe inutile” le suggerì.
“M-ma…”
Axel non
la fece finire e prese un lungo sorso dalla boccetta, poi le fece l’occhiolino.
“Ci
vediamo giù” la salutò.
Ci
fu un piccolo “puff” e il ragazzo sparì in una
nuvoletta bianca. Rea strabuzzò gli occhi.
“Axel? AXEL!” chiamò nel panico.
“Quaggiù!”
rispose il ragazzo. Lei si guardò intorno e poi abbassò lo sguardo. Non
l’avesse mai fatto!
Lanciò
un urlo e si allontanò da lì, impaurita.
“T-t-t-t-t-t-t-t-tu…” balbettò.
C’era,
Axel, era sempre stato lì, solo che dall’alto del suo
metro e ottanta era rimpicciolito a circa quindici centimetri di altezza.
Sbuffò.
“Bevi
da quella bottiglietta, te ne prego!” la implorò innervosito.
“M-ma
come… tu come…” la ragazza non riusciva nemmeno a formulare la domanda, tanto
era sotto shock.
“BEVI!”
le ordinò, arrabbiandosi.
Rea
prese tra le mani la boccetta e la guardò, tremando. Chiuse gli occhi e si fece
forza, prendendo un lungo sorso del liquido trasparente che c’era dentro.
Attese
dieci secondi prima di riuscire a trovare il coraggio per controllare intorno a
sé.
La
prima cosa che vide fu il ragazzo abbastanza annoiato.
“È
stato così traumatico?” le domandò sarcastico. Lei scosse la testa, ancora un
po’ incredula.
“Sono
alta dieci centimetri” sussurrò, guardandosi le mani.
Era
stranissimo: la stanza era la solita, ma invece che osservarla dall’altezza di
un metro e mezzo (era molto piccola nonostante tutto) adesso la stava vedendo
da sotto. Il camino era enorme e il tavolo sembrava gigantesco.
“Andiamo,
dobbiamo trovare Alice e stare alla larga dagli Heartless”
la istruì Axel, precedendola.
Rea
rimase ferma un secondo, poi emise una specie di basso ringhio di frustrazione.
“Non
andare così veloce, non riesco a starti dietro!” lo sgridò, correndo per stare
al suo passo.
“Basta
che tu muova le gambe un po’ più velocemente”
“Detto
da uno altissimo come te sembra semplice! Anche se ora siamo entrambi alti
quanto il palmo di una mano le mie gambe sono più corte!”
“Roxas
non si lamentava tanto quando avevamo qualche missione” considerò lui,
attraversando il buco nel muro alla base del pavimento. La ragazza gli andò
dietro.
“Chi
diavolo è Roxas?” chiese esasperata. C’erano troppe cose che non sapeva e
questo la stava mandando fuori di testa.
Axel si
bloccò di botto nel bel mezzo di un giardino di siepi, improvvisamente cupo.
“È…
era… il mio migliore amico” rispose.
Rea
notò la sua tristezza e la sentì vicina,
come un pugno nello stomaco. Percepiva le lacrime che lui stava cercando di
trattenere e il suo cuore si colmò di sofferenza, una sofferenza tale che non riusciva
quasi a sopportarla. Per qualche motivo in quel momento le fu chiaro come il
sole che il comportamento del suo compagno aveva nascoste molte più cose di
quante poteva immaginarsi.
“Scusami”
sentì dire da sé stessa senza nemmeno rendersene conto.
“Non
ha importanza. Ora troviamo la principessina bionda, forza” rispose lui,
ricominciando a camminare. La ragazza gli andò dietro in silenzio, sentendosi
terribilmente a disagio.