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Autore: Fluxx    03/08/2014    4 recensioni
C’era profumo di salsedine nell’aria quella sera, e di cambiamento, solo che Steve questo non lo aveva ancora capito.
L'amore non sempre è giusto, l'amore non sempre vince, e a volte - forse - è meglio così.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Sogni come Sabbia


 

 

1. Prologo

 

 

Era un tranquillo Venerdì sera di Agosto in Florida, dopo cena le persone cominciavano a riversarsi nelle strade per iniziare il loro pazzo fine settimana e la città, proprio come ogni week-end, sembrava in festa. I grattacieli alti ed illuminati si riflettevano sul golfo dando vita a giochi di luci mozzafiato ed il cielo, striato da soffici e impalpabili nuvolette, assumeva svariati colori che viravano dall’arancione più vivo al rosa più delicato. Il tramonto era da sempre uno spettacolo emozionante e meraviglioso.
Steve era felice di essere tornato a casa seppur per una breve licenza. Era un militare, un Maggiore, ed era di ritorno da sei lunghi mesi passati in missione. Aveva trentaquattro anni ed un’eccellente carriera alle spalle, si era arruolato non appena raggiunta la maggiore età e terminati gli studi. Era un bell’uomo alto e ben piazzato, al posto degli occhi possedeva due gemme verdi che sembravano di inestimabile valore. I capelli biondo scuro e corti erano portati con un’impeccabile ordine e precisione, eccezion fatta per il ciuffo sbarazzino verso la fronte, il quale mirava sempre dritto verso il cielo. Le labbra erano piene, carnose, rosate, oggetto di desiderio di chissà quante donne in passato, ed il suo sguardo era intenso, profondo, un abisso, custode di molte, forse troppe storie per un uomo solo.
Passeggiava sulla costa mentre si godeva quel panorama: il sole che sembrava un’enorme palla di fuoco incandescente pronta a spegnersi da un momento all’altro nelle profondità dell’oceano e la spiaggia dalla sabbia bianca che assumeva mille diverse sfumature. Nonostante il caldo fosse ben percettibile, la lieve e fresca brezza rendeva l’afa più sopportabile. C’era profumo di salsedine nell’aria quella sera, e di cambiamento, solo che Steve questo non lo aveva ancora capito.


Il cielo era ormai completamente scuro, le stelle non erano visibili da quella parte della città per via del massiccio inquinamento luminoso, eppure la luna era alta nel cielo, grande, piena, maestosa ed elegante come mai.
Dopo una lunga ed interminabile passeggiata che si era conclusa nel cuore della movida notturna, il militare si fermò di fronte al locale nel quale aveva appuntamento con il suo amico e collega. Guardò l’orologio che teneva al polso e vide che le lancette segnavano quasi l’una di notte, non v’era l’ombra del commilitone così Steve decise di entrare e di aspettarlo all’interno.
Non appena fu dentro l’uomo venne investito dalla musica ad alto volume, le note che risuonavano nella testa ed i bassi che sembravano rimbombare nella cassa toracica. Più che un locale tranquillo sembrava una discoteca.
L’ambiente era dislocato su due piani: al centro del primo v’era una pista da ballo dal pavimento liscio e lucido e soprattutto gremito di persone, tutt’intorno dei divanetti di pelle nera e dei tavolini del medesimo colore. In fondo alla sala si trovava il bancone lungo e massiccio che occupava tutta la parete, dietro ad esso si muovevano veloci i vari barman impegnati a servire i loro clienti. Il piano di sopra era una balconata che affacciava sul centro della pista, una zona più intima e adatta a concludere la serata, soprattutto se in coppia.
Dopo un iniziale momento di smarrimento Steve si fece spazio tra la folla per raggiungere il bancone nella parte opposta del locale, trovava quasi fastidiosa quella luce soffusa blu e intervallata di continuo da lampi più chiari, ma c’era anche da dire che non era più abituato a quei climi festosi e frizzanti.
Raggiunse finalmente il bancone e riuscì ad accaparrarsi uno sgabello che si era appena liberato. Una volta messosi comodo cominciò la lunga attesa per essere servito. Gli occhi di Steve si posarono sugli scaffali al muro sui quali erano esposte svariate bottiglie, tutte erano messe in fila come soldatini, ordinate e precise, neppure una di esse risultava fuori posto.
“Buonasera! Cosa ti porto?” domandò una voce dal timbro basso ma giovane e gioviale.
L’immagine delle bottiglie come soldati svanì e Steve fu riportato con i piedi a terra da chissà quali pensieri. Spostò lo sguardo sul ragazzo che sembrava essersi materializzato dal nulla di fronte a lui. Gli occhi scuri ed intensi ma sorridenti del barman continuavano a scrutarlo silenziosi.
“Una birra” rispose il militare ponendosi in maniera cordiale a quel ragazzo così affabile.
“Solo?” chiese il giovanotto, sembrò piuttosto deluso. L’espressione confusa sul volto di Steve lo portò a proseguire. “Così uccidi la mia creatività!” si lamentò e probabilmente si riferì alla sua abilità nel preparare i cocktail.
Steve gli offrì un lieve sorriso al quale il giovane barman rispose con un occhiolino prima di tuffarsi tra le celle frigo per servirgli la sua birra. Una volta presa la bottiglia la lanciò in aria, in alto, facendola roteare un paio di volte su sé stessa e recuperandola con una tale prontezza che fece sembrare il tutto quasi un semplice gioco. La stappò velocemente e la lasciò sul bancone di fronte al soldato.
“Sono due dollari.”
Steve fece scivolare una banconota da cinque dollari sul piano. “Tieni il resto.”
“Credi di farti perdonare? Non basterà!” rispose scherzoso il giovane prima di dileguarsi per servire altri clienti.
Steve prese la bottiglia e se la portò alle labbra prendendone un lungo sorso poi la appoggiò nuovamente sul bancone e la girò tra le mani per leggerne l’etichetta, per ingannare il tempo, ma la voce del ragazzo che lo aveva appena servito rapì la sua attenzione: lo sguardo si posò nuovamente su di lui, lo osservò muoversi veloce e sicuro dietro al bancone, miscelare i vari sapori con estro e fantasia, lanciare in alto e far roteare le bottiglie ed i bicchieri quasi fosse un giocoliere al circo. Ne rimase ammaliato.
Gli occhi del soldato si spostarono dalle mani operose ed instancabili del ragazzo alle sue braccia, si soffermarono sulla divisa semplice e di buon gusto costituita da una camicia color borgogna e dei pantaloni scuri e conclusero il loro viaggio sul volto di lui. Lo analizzò silenzioso, seguì le linee semplici del viso, studiò l’espressione che da seria sembrava tutta un mistero ma che quando si apriva in un sorriso sembrava appartenere ad un’altra persona. I capelli corti e castani scendevano delicati sulla fronte incorniciando parte del viso, osservò le sopracciglia folte ma che non stonavano affatto nell’insieme, anzi gli donavano una nota di particolarità. E poi ancora il naso dal tratto deciso ma mai esagerato e le labbra morbide e quasi sempre incurvate in un sorriso spontaneo o in un lieve ghigno saccente.
Forse a primo impatto quando il barman gli si era rivolto non vi aveva fatto caso, ma quel giovane lo aveva colpito e pian piano lo stava scoprendo: lo intuiva dal bisogno di osservarlo di continuo, di studiarlo, e dall’incapacità di abbandonarlo con lo sguardo. Non v’era nulla che non andasse in quel giovanotto, non riusciva a trovare una singola nota che stonasse. Ai suoi occhi, per lo meno, sembrava perfetto.

 

   
 
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