Sogni come Sabbia
1. Prologo
Era un
tranquillo
Venerdì sera di Agosto in Florida, dopo cena le persone
cominciavano a
riversarsi nelle strade per iniziare il loro pazzo fine settimana e la
città,
proprio come ogni week-end, sembrava in festa. I grattacieli alti ed
illuminati
si riflettevano sul golfo dando vita a giochi di luci mozzafiato ed il
cielo,
striato da soffici e impalpabili nuvolette, assumeva svariati colori
che
viravano dall’arancione più vivo al rosa
più delicato. Il tramonto era da
sempre uno spettacolo emozionante e meraviglioso.
Steve era felice di essere tornato a casa seppur per una breve licenza.
Era un
militare, un Maggiore, ed era di ritorno da sei lunghi mesi passati in
missione. Aveva trentaquattro anni ed un’eccellente carriera
alle spalle, si
era arruolato non appena raggiunta la maggiore età e
terminati gli studi. Era
un bell’uomo alto e ben piazzato, al posto degli occhi
possedeva due gemme
verdi che sembravano di inestimabile valore. I capelli biondo scuro e
corti erano
portati con un’impeccabile ordine e precisione, eccezion
fatta per il ciuffo
sbarazzino verso la fronte, il quale mirava sempre dritto verso il
cielo. Le
labbra erano piene, carnose, rosate, oggetto di desiderio di
chissà quante
donne in passato, ed il suo sguardo era intenso, profondo, un abisso,
custode
di molte, forse troppe storie per un uomo solo.
Passeggiava sulla costa mentre si godeva quel panorama: il sole che
sembrava un’enorme
palla di fuoco incandescente pronta a spegnersi da un momento
all’altro nelle
profondità dell’oceano e la spiaggia dalla sabbia
bianca che assumeva mille
diverse sfumature. Nonostante il caldo fosse ben percettibile, la lieve
e
fresca brezza rendeva l’afa più sopportabile.
C’era profumo di salsedine
nell’aria quella sera, e di cambiamento, solo che Steve
questo non lo aveva
ancora capito.
Il cielo era ormai completamente scuro, le stelle non erano visibili da
quella
parte della città per via del massiccio inquinamento
luminoso, eppure la luna
era alta nel cielo, grande, piena, maestosa ed elegante come mai.
Dopo una lunga ed interminabile passeggiata che si era conclusa nel
cuore della
movida notturna, il militare si fermò di fronte al locale
nel quale aveva
appuntamento con il suo amico e collega. Guardò
l’orologio che teneva al polso
e vide che le lancette segnavano quasi l’una di notte, non
v’era l’ombra del
commilitone così Steve decise di entrare e di aspettarlo
all’interno.
Non appena fu dentro l’uomo venne investito dalla musica ad
alto volume, le
note che risuonavano nella testa ed i bassi che sembravano rimbombare
nella
cassa toracica. Più che un locale tranquillo sembrava una
discoteca.
L’ambiente era dislocato su due piani: al centro del primo
v’era una pista da
ballo dal pavimento liscio e lucido e soprattutto gremito di persone,
tutt’intorno dei divanetti di pelle nera e dei tavolini del
medesimo colore. In
fondo alla sala si trovava il bancone lungo e massiccio che occupava
tutta la
parete, dietro ad esso si muovevano veloci i vari barman impegnati a
servire i
loro clienti. Il piano di sopra era una balconata che affacciava sul
centro
della pista, una zona più intima e adatta a concludere la
serata, soprattutto
se in coppia.
Dopo un iniziale momento di smarrimento Steve si fece spazio tra la
folla per
raggiungere il bancone nella parte opposta del locale, trovava quasi
fastidiosa
quella luce soffusa blu e intervallata di continuo da lampi
più chiari, ma
c’era anche da dire che non era più abituato a
quei climi festosi e frizzanti.
Raggiunse finalmente il bancone e riuscì ad accaparrarsi uno
sgabello che si
era appena liberato. Una volta messosi comodo cominciò la
lunga attesa per
essere servito. Gli occhi di Steve si posarono sugli scaffali al muro
sui quali
erano esposte svariate bottiglie, tutte erano messe in fila come
soldatini,
ordinate e precise, neppure una di esse risultava fuori posto.
“Buonasera! Cosa ti porto?” domandò una
voce dal timbro basso ma giovane e
gioviale.
L’immagine delle bottiglie come soldati svanì e
Steve fu riportato con i piedi
a terra da chissà quali pensieri. Spostò lo
sguardo sul ragazzo che sembrava
essersi materializzato dal nulla di fronte a lui. Gli occhi scuri ed
intensi ma
sorridenti del barman continuavano a scrutarlo silenziosi.
“Una birra” rispose il militare ponendosi in
maniera cordiale a quel ragazzo
così affabile.
“Solo?” chiese il giovanotto, sembrò
piuttosto deluso. L’espressione confusa
sul volto di Steve lo portò a proseguire.
“Così uccidi la mia
creatività!” si
lamentò e probabilmente si riferì alla sua
abilità nel preparare i cocktail.
Steve gli offrì un lieve sorriso al quale il giovane barman
rispose con un
occhiolino prima di tuffarsi tra le celle frigo per servirgli la sua
birra. Una
volta presa la bottiglia la lanciò in aria, in alto,
facendola roteare un paio
di volte su sé stessa e recuperandola con una tale prontezza
che fece sembrare
il tutto quasi un semplice gioco. La stappò velocemente e la
lasciò sul bancone
di fronte al soldato.
“Sono due dollari.”
Steve fece scivolare una banconota da cinque dollari sul piano.
“Tieni il
resto.”
“Credi di farti perdonare? Non basterà!”
rispose scherzoso il giovane prima di
dileguarsi per servire altri clienti.
Steve prese la bottiglia e se la portò alle labbra
prendendone un lungo sorso
poi la appoggiò nuovamente sul bancone e la girò
tra le mani per leggerne
l’etichetta, per ingannare il tempo, ma la voce del ragazzo
che lo aveva appena
servito rapì la sua attenzione: lo sguardo si
posò nuovamente su di lui, lo
osservò muoversi veloce e sicuro dietro al bancone,
miscelare i vari sapori con
estro e fantasia, lanciare in alto e far roteare le bottiglie ed i
bicchieri
quasi fosse un giocoliere al circo. Ne rimase ammaliato.
Gli occhi del soldato si spostarono dalle mani operose ed instancabili
del
ragazzo alle sue braccia, si soffermarono sulla divisa semplice e di
buon gusto
costituita da una camicia color borgogna e dei pantaloni scuri e
conclusero il
loro viaggio sul volto di lui. Lo analizzò silenzioso,
seguì le linee semplici
del viso, studiò l’espressione che da seria
sembrava tutta un mistero ma che
quando si apriva in un sorriso sembrava appartenere ad
un’altra persona. I
capelli corti e castani scendevano delicati sulla fronte incorniciando
parte
del viso, osservò le sopracciglia folte ma che non stonavano
affatto nell’insieme,
anzi gli donavano una nota di particolarità. E poi ancora il
naso dal tratto
deciso ma mai esagerato e le labbra morbide e quasi sempre incurvate in
un
sorriso spontaneo o in un lieve ghigno saccente.
Forse a primo impatto quando il barman gli si era rivolto non vi aveva
fatto
caso, ma quel giovane lo aveva colpito e pian piano lo stava scoprendo:
lo intuiva
dal bisogno di osservarlo di continuo, di studiarlo, e
dall’incapacità di
abbandonarlo con lo sguardo. Non v’era nulla che non andasse
in quel
giovanotto, non riusciva a trovare una singola nota che stonasse. Ai
suoi
occhi, per lo meno, sembrava perfetto.