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Autore: Utrem    04/08/2014    4 recensioni
Post VII stagione. Buffy non vuole più soffrire e si rifugia laddove crede d'essere circondata solo da ciò che è bene. Senza più i suoi amici, in procinto di sposarsi, dopo l'incontro con qualcuno riuscirà a riformulare le sue priorità non solo come cacciatrice, ma anche come persona.
Dal prologo: "Si era ripristinata in tempo. Stava bene, benissimo in verità, anche se era ovviamente scioccata dai pensieri aberranti appena avuti. Era stata evidentemente raccattata da una temporanea follia. [...] Equipararsi a una cacciatrice brancolante nella notte, perennemente sola, equivaleva a una condanna a una permanenza nell’ Inferno. Lei amava il suo Paradiso. Il suo imperfetto Paradiso. [...]"
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Buffy Anne Summers, Nuovo personaggio, Un po' tutti, William Spike
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Normal again.



Lo stordimento giunse con rapidità, abituandolo presto all’alterazione dei sensi.
Una brezza ambivalente lo accarezzò e lo percosse allo stesso tempo, mentre, lentamente ma inesorabilmente, cominciò a perdere diottrie, fino a non riuscire più a distinguere le forme a un palmo dal suo naso.
Colto da un confortante e familiare istinto, frugò nelle tasche dei pantaloni e ne estrasse un paio di occhiali ormai datati, la cui montatura però non sembrava essere stata mai scalfita e le cui lenti erano ben chiare e trasparenti.
Solo dopo averli indossati, capì di trovarsi di fronte ad un alto e ampio specchio, che gli mostrava il luminoso riflesso di William.
Quello vivo e vegeto.
Spalancò la bocca dallo stupore, e la sua controparte fece lo stesso.
Allora si tastò ovunque con circospezione e sospetto, facendo urlare ogni nervo, finché non s’imbatté nei battiti del suo stesso cuore alla sinistra del petto.
Vivo.
“Sono vivo” sussurrò basito, quasi impercettibilmente per le sue stesse orecchie per istinto di protezione nei confronti di quella fragile e meravigliosa scoperta: aveva infatti la forte impressione che dicendo anche una sola parola sbagliata avrebbe potuto cancellarla.
Il suo entusiasmo fu ancor più accresciuto quando vide comparire, come uno spirito, sua madre Anne. Tuttavia non appariva altrettanto radiosa: anzi, nella sua espressione sorniona si poteva scorgere un velo di preoccupazione, un cupo presagio che William non volle assecondare. Al contrario, le si accostò, desideroso più che mai di condividere con lei la sua gioia.
“Madre! È un miracolo, madre! Respiro! Sto respirando!”
Si batté il petto col pugno e poi soffiò, a mo’ di dimostrazione.
“Sento il sangue pulsare nelle vene e sono pervaso di vitalità e voglia di ricominciare! Perché adesso posso ricominciare! Sono ancora giovane e prestante, pronto ad imparare e a lavorare di nuovo! Madre, madre, perché non esulti anche tu?”
Lei gli diede cinicamente la schiena, senza emettere un suono, senza esalare respiro. Pareva come giacere in piedi, rigida e impassibile a ogni cosa: eppure William le era vicino come non le era stato da tanto tempo.
Ben lungi dall’arrendersi, le afferrò delicatamente le spalle e le diede un lieve scossone.
“Madre? C’è forse qualcosa che ti turba? Non ti senti molto bene? O forse è il mio blaterare che ti infastidisce? Devi perdonarmi, ma sono a dir poco estatico e… be’, fuori controllo”
Le spalle dell’anziana erano sottili e frangibili quanto un capello, così decise di ritrarre le mani per evitare di ferirla e, nel farlo, ebbe occasione di osservarla meglio tramite il riflesso dello specchio.
Aveva la pelle diafana e grinzosa, le labbra secche e tirate, lo sguardo vacuo e languido, ogni suo osso era concavo e incavato ed indossava una larga vestaglia di lino, che ne accentuava la malsana magrezza.
La sua scontrosità e apparente mancanza di loquacità impensierirono William, che inizialmente, accecato dal giubilo per aver ritrovato il proprio calore corporeo, non aveva compreso appieno quanto fosse avvizzita e malata. Era una sua responsabilità.
Così si risolse a parlarle dei propositi che aveva appena formulato sul suo futuro:
“Mi impiegherò nel settore economico come mio padre e ti renderò orgogliosa, madre, te lo prometto. Faticherò tutti i giorni: mi recherò in banca la mattina nelle ore più propizie, farò affari con gli azionisti, mi butterò nei settori più trascurati per farli rinascere e farò onore alla fortuna che la nostra famiglia ha accumulato nei tempi d’oro. Mi prenderò cura di te tutti i giorni e potrai sempre contare sul mio aiuto, tutte le volte che ne avrai bisogno. Questa è una promessa! Madre? Madre? Ti prego ascoltami, rispondi!”
Non ricevette alcuna reazione.
William quasi singhiozzava mentre abbracciava la donna, totalmente apatica e inerte.
Perché si comportava così? Eppure aveva giurato di migliorare non solo per lei, ma anche per sé stesso. In questa vita nuova, avrebbe reso fieri entrambi, avrebbe…
D’un tratto, si liberò con violenza dalla sua amorosa stretta e lo colpì in pieno viso.
Sbigottito, William abbassò la nuca dall’umiliazione e dal dolore, mille inadeguate scuse soffocate tra i denti, quando udì la sua voce carica d’agonia:
“Tu sei morto, William. Non ricordi perché?”
Gemette, basito da quel gesto e da quelle dure parole, pronunciate con un timbro ed un vigore inimmaginabile per lo stato in cui lei aveva mostrato di trovarsi prima.
“È vero, madre, ma adesso-“
Fu interrotto da un inaspettato levarsi di fiamme, che in brevissimo tempo la arsero viva davanti ai suoi occhi, lasciando come traccia una scia di polvere fumante.
William si coprì la bocca con la mano, in preda al terrore, e inciampando capitombolò all’indietro.
Nel rialzarsi, penetrò con la testa in una densa e opprimente coltre di fumo, prodotto dell’orrenda combustione. Iniziò a tossire convulsamente, inframmezzando l’accesso con pietosi singulti, letteralmente asfissiato dalla nuova devastante perdita di lei.
Dopo che la nebbia si fu diradata, si accorse d’essere in un immenso spazio, gremito di gente che conosceva e non conosceva. In realtà, i volti erano troppo fitti perché li potesse discernere bene, ma un sesto senso gli suggeriva con certezza ogni loro identità.
Tutti lo guardavano e tutti ridevano di lui.
Deliberatamente e senza freni, colmi di malizia e crudeltà.
Si accanivano, lo indicavano e, accorati, lo insultavano, lo assillavano con interminabili e giuste accuse.
Per un attimo William indagò, il cuore in gola, alla ricerca d’uno spiraglio sufficiente a costituire una via di fuga, ma fallì. Era distratto dal clamore e da un fulminante, atroce malessere.
Strozzato dalla vergogna, camminava a stento, in una sorta di solitaria processione, mentre un’indeterminata folla divisa in due blocchi lo scherniva, esprimendo disprezzo, disgusto, odio.
La tortura non finiva mai.
Mai.
Le voci, gli echi delle risate, delle battute e degli improperi al contrario si approssimavano sempre di più, tanto che riusciva quasi a capire chi li producesse ed il loro senso.
Riuscì a stento a chiudere i timpani e bloccarli, ma una domanda trapassò ineluttabilmente tutte le sue difese e William non avrebbe saputo dire se provenisse da dentro o da fuori di lui:
“Chi sei tu?”
Non poteva ignorarla, ma neppure considerarla.
Prese a correre, goffamente e disperatamente, ma a ogni falcata le sue gambe erano più deboli, più dure da smuovere.
Così, nella foga, gli occhiali caddero a terra e si ruppero.
Il sentiero davanti a lui perse definizione e lui non seppe più dove andare.
Si chinò con terrore a raccogliere il vetro spezzato, consapevole di ciò che quella sbadataggine avrebbe potuto suscitare.
Raggomitolato a terra, schiacciò le palpebre e corrugò la fronte, ormai troppo stremato per opporsi e pronto a cedere.
Proprio in quell’istante, mentre era dilaniato dal chiasso, squartato delle risate sempre più forti, la domanda si ripropose, molto più tonante e prepotente:
“CHI SEI TU?!”
“Nessuno! Non sono nessuno! Per favore…” accettò, in ginocchio, la testa conficcata tra le gambe.
Improvvisamente, il mondo attorno s’acquietò e il silenzio spaccò l’aria.
William riaprì gli occhi con curiosità, il peso dell’amarezza ancora gravoso sulle spalle, per scoprire lo stesso spazio, deserto, e che aveva recuperato un’ottima vista.
Superato l’iniziale smarrimento, si fece cullare in un delizioso sentimento di sollievo, che lo fece rialzare con leggerezza e sorridere.
Non aveva motivo di sorridere, pensò, ma gli era impossibile trattenersi.
Avanzò tranquillo, addirittura spensierato, per diverso tempo, quando casualmente s’imbatté nello stesso specchio di prima.
Vi si piazzò davanti senza ambizione, senza speranza, senza mai separarsi dal sorriso ottenuto: il suo riflesso era scomparso.
Non se ne rammaricò affatto, anzi, ciò generò in lui smisurata gratitudine, al punto che sferrò un colpo tale da frantumarlo in mille pezzi.
Non si spaventò quando vide Drusilla, coperta da una candida veste che le arrivava sino ai piedi, avvicinarsi a lui col suo passo trasognato.
William rabbrividì di piacere al contatto del suo collo con quelle dita sottili e attese, quasi con impazienza, che gli parlasse, che lo ammaliasse, finché:
“Per cosa vivi, William? Non vedi che adesso puoi riposare in pace?”
Si guardò attorno e vide le stesse persone di prima. I loro corpi erano stati sgozzati, smembrati e disseminati ovunque e l’odore del sangue sparso gli pungeva dolcemente le narici.
Nessuno lo additava o lo insultava più.
William sorrise, ed il sorriso mutò in un ghigno, e il ghigno mutò in una faccia demoniaca, che ruggì di piacere.
“Pace…” ripeté esultante e l’affondò eccitato sul collo del cadavere più vicino, mentre si levava un divertito battito di mani…

Spike si svegliò di soprassalto.
Scandalizzato dall’affluire dei dettagli del sogno, si premette i canini.
Erano sguainati e al tocco facevano male.

-

Buffy si schiacciò le palpebre con l'indice e il pollice d'una mano, lasciando che l’altra slittasse col mouse sino allo spigolo della scrivania.
Non poteva più soffrire quei documenti. Fortuitamente, il giorno prima aveva portato a termine quell’odioso lavoro arretrato, altrimenti la mole di scartoffie che aveva per le mani avrebbe raggiunto proporzioni macroscopiche.
Era da aggiungere che quel giorno, essendo Ryan fuori dall’ufficio, mancava di quel momento di stacco e rigenerazione che sempre aveva il potere di rovesciare il suo umore. Non aiutava il fatto che si fosse solennemente ripromessa di non ritornare più sulle sue fiabesche ipotesi per la sorpresa, quasi per superstizione.
Sbuffò impotente sullo schermo. In verità il suo lavoro, anche svincolato dall’affetto che provava per i colleghi, dall’ambiente e dal salario più che soddisfacente, non le dispiaceva affatto, anzi: lo trovava piuttosto gratificante. Si trattava principalmente di semplici mansioni di segretaria e archivista, ma alle volte si trovava coinvolta in piccole sfide ed enigmi che si divertiva un mondo a districare. Per esempio, una volta ad Alice era stato assegnato un compito che si sarebbe addetto di più a un correttore di bozze: richiedeva infatti che cambiasse il nome di un cliente in alcune ricevute salvate, essendovi un caso di omonimia con un truffatore seriale attualmente ricercato a Mountyville. Keaton l’aveva spronata a farlo con massima fretta, affermando che l’avventore si era già dichiarato consenziente e che, seppure anche delle eventuali indagini erroneamente basate su questo dato si sarebbero concluse con un buco nell’acqua, fosse terribilmente sconveniente che la polizia gettasse un occhio sospettoso sulla RHD, anche solo per tempo limitato.
Alice, tremendamente intimorita dalla pressione di Keaton, aveva chiesto aiuto a Buffy, che si era così prodigata insieme a lei nella scelta di un nome convincente. Facendo uso della sua migliore creatività, se ne era inventato davvero esilarante e perlopiù anche credibile. Così si erano messe al lavoro, interrompendosi di tanto in tanto per ammirare la figura che faceva in mezzo a tutte quelle formule seriose e tentando invano di calmare una Betty totalmente fuori controllo. A lavoro terminato, Keaton aveva effettuato personalmente la revisione e, anche se tra una rotazione d’occhi e un tic nervoso, si era persino complimentato con loro per lo zelo dimostrato. Buffy ne era stata molto orgogliosa e aveva sperato che questi rinforzi aiutassero Alice a sconfiggere la paura che serbava per Keaton: tuttavia, questa li attribuì esclusivamente al suo impegno, persuadendosi che avesse parlato al plurale solo per pigrizia.
Scosse la testa al ricordo, mentre la sua mano giaceva mollemente sul mouse, le unghie che ne grattavano irrefrenabilmente la superficie plastica.
Doveva compilare ancora quindici pratiche e, anche se tanti dati erano già stati inseriti, erano pur sempre quindici pratiche.
Mosse la rotellina del mouse verso di lei e le fece scorrere, in una seccata e contenziosa contemplazione.
Quel giorno, il fatto che la sua noia fosse così esasperata e ben radicata non era per niente accidentale. Avrebbe dovuto costituire una specie di distrazione, ma, realizzò presto, finiva soltanto per accentuare il problema.
Doveva ammettere quel sentimento. Lo aveva riposto in fondo alla gola sin dall’inizio del turno e si rifiutava ancora di riesumarlo, futilmente: prima o poi sarebbe emerso.
Così, con tetra solennità, lo ammise.
Quella mattina Ryan era stato accoppiato con Giselle Lefevbre e lei era gelosa. O meglio, in un certo senso preoccupata.
Giselle era la collega che lo aveva accompagnato quando si erano incontrati la prima volta per l’ispezione della sua casa. Era una ragazza francese, alta e taciturna, con labbra rosse molto piene ed uno sguardo malinconico. Per l’intera durata della visita le aveva a malapena rivolto la parola, ostentando un cipiglio quasi risentito. Non era mai stata apertamente maleducata con lei, ma da quel momento in poi aveva sempre avuto la sensazione che la scrutasse di sottecchi con una sorta d’alterigia.
Ma non era Giselle in sé il punto focale della questione, quanto il suo rapporto con Ryan: infatti, apparentemente lui era l'unico in grado di spezzare la corazza della sua chiaccherata scontrosità. Dal canto suo, Ryan era molto intimo e affettuoso con lei e, per sua stessa definizione, fra loro vi era una buona amicizia. Sebbene nessuno le avesse mai riferito riguardo anche a solo un accennato flirt tra i due, quando li sapeva insieme Buffy rizzava sempre le antenne e faticava a mantenere il controllo.
Inutile a dirsi, Alice e Betty nutrivano una profonda antipatia per Giselle e, pur non avendoci mai conversato, quest’ultima affermava sempre con sicurezza che era la spocchia fatta a persona e si prestava a spiarla ogniqualvolta ne avesse la possibilità. Buffy in cuor suo sapeva che si trattava solo di una sua immatura esagerazione, dato che non conosceva neppure Giselle ed i due non si frequentavano nemmeno così assiduamente, ma non poteva fare a meno di sussultare non appena veniva a conoscenza di una loro affiliazione.
“Li ho visti sbucare dall’uscita ed erano sufficientemente distaccati. Lei però mi è sembrata più agghindata del solito: una combinazione, chiaramente” aveva brontolato Betty qualche ora prima.
“Non importa se si gonfia quei labbroni con la pompetta della bici pur di impressionarlo: lui non la avvicinerebbe comunque per paura di sgonfiarli!” aveva replicato Buffy, ridendo.
Adesso però, stupidamente, non rideva.
Conficcò le mani nelle tempie, stizzita, ignorando i conseguenti e pruriginosi spostamenti dei suoi capelli.
Aveva fiducia in Ryan, ovviamente, e tutte queste insensate riflessioni erano frutto della scottatura avuta da Riley ed Angel. Ne era più che sicura e difatti riconosceva con chiarezza la minaccia.
Era una spina, una maliziosa piccola spina priva di fondamento che, alle volte, amava punzecchiarla e infastidirla, intessendosi non richiesta ed invisibile nella sua felicità. Accadeva di rado, ma poi subito si ricordava che per estrometterla bastava un semplice bicchier d’acqua.
Come un vestito bianco.
Buffy sistemò il busto in modo da renderlo aderente allo schienale e con opportune ditate sciolse buona parte dei nodi nelle ciocche che aveva acciuffato.
Ci sarebbe voluto molto di più per abbatterla.
Con un gesto, Alice segnalò che Keaton l’aveva puntata e lei accolse di buon grado l’invito a tornare serenamente a occuparsi delle sue faccende quotidiane.
   
 
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