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Autore: _ayachan_    10/09/2008    26 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Capitolo quarto

L'adolescenza di Jin




Kakashi era quasi pronto per la partenza.
Erano passati alcuni giorni dall’annuncio delle sue dimissioni e il Consiglio ancora insisteva perché continuasse a presentarsi in ufficio a dirigere i suoi sostituti, ma non avrebbe concesso loro molto altro tempo. In quel breve periodo aveva svolto alcune ricerche discrete, aveva preparato lo zaino da viaggio e aveva cercato di tenersi sempre incredibilmente impegnato. Voleva evitare i problemi e voleva evitare Jin; non credeva che la scusa della vacanza avrebbe retto, ma sperava di defilarsi prima di farsi intrappolare da doveri e piccoli shinobi intuitivi.
Fino a quel momento ci era riuscito abbastanza bene.
«Una squadra di rinforzo verso la Roccia e una medica di supporto. Al campo base troverete chi dovete sostituire e darete loro il cambio. Lì attenderete istruzioni.»
La voce di Kakashi fu soffocata dal ‘sissignore’ degli Anbu nel suo studio, tutti a volto coperto e rigidamente sull’attenti. Lui li congedò con un cenno, rivolgendosi quindi all’assistente che bussava.
«Un messaggio da Suna» annunciò Koichi posando un foglio sulla scrivania. Kakashi lo prese e lo lesse rapidamente. «Chiama Naruto, Sasuke, Sakura e Shikamaru» ordinò arrivato in fondo «In fretta.»
L’assistente chinò la testa e scomparve oltre la porta, mentre Kakashi dava fuoco al messaggio nel posacenere sulla scrivania. Aveva quasi dimenticato la faccenda di Suna, rifletté preoccupato, ma naturalmente Gaara l’aveva sottolineata con una certa urgenza. L’inaspettata mole di lavoro che si era trovato a dover sbrigare a causa del Consiglio rendeva l’Hokage nervoso, distratto e facile agli scatti d’ira; per complicare le cose una parte della sua mente si dedicava costantemente al pensiero del figlio, che non gli rivolgeva la parola da quando avevano litigato, e in quelle condizioni era difficile non perdere colpi.
Forse avrebbe dovuto parlare a Jin: era un ragazzo in gamba, uno shinobi straordinario, e probabilmente aveva già elaborato una dozzina di piani diversi per seguirlo nel suo viaggio. Ma aveva solo dodici anni... Oppure aveva già dodici anni. Magari era troppo tardi. Magari non lo avrebbe perdonato.
Prima che i suoi pensieri prendessero una piega infelice fu distratto da un sommesso bussare e vide comparire sulla soglia dello studio Sakura e Shikamaru.
«Ci ha fatti chiamare?» chiese Shikamaru, facendosi avanti con una certa indolenza. «Dobbiamo già sgobbare?»
«Più o meno» ammise Kakashi, snebbiando rapido la testa. «Condividerete la fatica con Sasuke e Naruto, ma in questo momento ho troppo da fare per aspettarli; penserete voi ad aggiornarli.»
«Aggiornare Naruto?» Shikamaru gemette mentre Sakura sbuffava con un accenno di sorriso. «Già è difficile fargli capire le cose, se poi aggiungiamo che non gli è stato tributato il rispetto che merita come sostituto Hokage...»
«Lo so» tagliò corto Kakashi. «Ma non ho tempo da perdere in tributi.»
Shikamaru si tolse dalla faccia l’espressione annoiata e Sakura fece scomparire il sorriso.
«Ho detto di volermene andare prima che la situazione precipiti, ma in effetti anche adesso è piuttosto critica» continuò Kakashi sfogliando i dispacci sulla scrivania. «C'è qualcosa di cui non siete al corrente, perché non potevo parlarne davanti al Consiglio, ma è una cosa della massima importanza: è in corso un’operazione segreta a Suna. Non è un caso che abbia affidato dei supporti a Naruto, perché francamente non so fino a che punto riuscirebbe a gestire, da solo, la diplomazia internazionale e i problemi interni. Dunque, e mi rivolgo in particolare a te, Shikamaru, ho bisogno di qualcuno che separi i compiti e in particolare che collabori con Gaara per portare a termine la sua missione. Che naturalmente non è nulla di risolvibile con la sola forza bruta, come proporrebbe Naruto.»
«Che seccatura...» bofonchiò Shikamaru.
«Da quasi sei anni una spia si è infiltrata a Suna» Kakashi ignorò l’interruzione. «Pur sapendo da molto tempo della sua esistenza, non abbiamo mai potuto eliminarla perché la Roccia, il paese da cui la spia proviene, ha un ostaggio. Ma io e Gaara abbiamo lavorato duramente e siamo riusciti a scoprire dove lo tengono, il che ci ha permesso di iniziare a elaborare una strategia per liberarlo. Il piano è praticamente pronto, vanno solo verificate le condizioni di partenza e coordinati gli spostamenti. Ritengo di poter affidare tranquillamente questo compito a te.»
«Aspetti un attimo» lo interruppe Shikamaru alzando una mano. «Come è riuscito a concordare un piano con il Kazekage senza che la spia né il Consiglio vi scoprissero?»
«Usiamo un codice segreto, te lo insegnerò.»
«E la spia non se n’è mai accorta? Che posizione occupa? Chi è, insomma? L’ostaggio è tanto importante?»
Kakashi sospirò: Naruto era impulsivo, irragionevole, esagitato e spaccone, ma ti lasciava la mente libera. I geni invece tendevano a fare le domande giuste - una cosa molto seccante, se il tempo per i dettagli era scarso.
«La spia è la segretaria personale del Kazekage» rivelò. «O meglio, uno shinobi appositamente trasformato; e grazie alla sua posizione può seguirlo in ogni suo spostamento e controllarlo ad ogni istante. L’ostaggio è ancora una volta la segretaria del Kazekage. L’originale, naturalmente. Ed è importante per una semplice ma fondamentale ragione: è la donna che Gaara ama.»
Sia Sakura sia Shikamaru non riuscirono a non stupirsi.
«Prego?» fece Shikamaru, allibito. «Gaara ama?»
«Ehi!» sbottò Sakura. «Certo che ama, come tutti! E’ un uomo, è normale... Anzi, era strano che finora non...»
«Sakura» la interruppe Kakashi. «Capisco che la tua passione per gli amori tormentati abbia trovato terreno fertile, ma, ripeto, non ho tempo da perdere.»
«Chiedo scusa» arrossì lei.
«Le ragioni per cui il Consiglio non è stato informato della missione sono ovvie» proseguì Kakashi. «Non avrebbero mai permesso di mettere in pericolo l’Alleanza solo per salvare una donna di scarsa rilevanza strategica. Suggerisco di avvisarli solo dopo aver dato il via alle operazioni e di prepararvi a momenti molto difficili al tavolo delle riunioni. Confido nella tua capacità di riparare le falle, Shikamaru, sia strategiche sia politiche.»
«Purtroppo» rognò lui. «Agli ordini» aggiunse dopo un attimo, quando sentì l’occhiata di rimprovero di Sakura sul collo.
«Bene, credo di avervi fornito le informazioni necessarie. Ora, se Sasuke e Naruto si degnassero di comparire...»
«Ci sono, ci sono, ci sono!» gridò una voce in quel preciso istante, e un Naruto affannato e coperto di sudore spalancò la porta e quasi inciampò addosso a Sakura per precipitarsi all’interno dell’ufficio. «Ci sono! Non iniziate senza di me!»
«E’ un po’ tardi» ribatté Sakura staccandoselo di dosso.
«Che cosa? Tardi?» allibì lui, riprendendo fiato. «Mi avete lasciato fuori? Ehi, io sono il legittimo Hokage! Come avete potuto iniziare senza di me?»
Shikamaru si grattò un orecchio rimpiangendo i bei tempi da Genin e Sakura si passò una mano sulla faccia, già stanca. Kakashi cercò di trovare mentalmente una scusa per allontanarsi, ma l’irruenza di Naruto non era mai facile da schivare con pretesti plausibili.
Fuori dalla porta Sasuke si fermò, le mani affondate in tasca e gli occhi all’interno dello studio.
«Prego, la stanno aspettando» lo esortò un Koichi particolarmente zelante.
Ma il capo della polizia di Konoha, celebre esempio di integrità e ardore morale, semplicemente fece dietro front e se ne andò: il suo istinto era allenato a subodorare una grana quando se la trovava davanti.
Kakashi, vedendolo sgattaiolare via nonostante le proteste di Koichi, rimpianse di non potersi defilare altrettanto facilmente: con un profondo sospiro all’indirizzo del furibondo Naruto dovette accomodarsi meglio sulla sedia e prepararsi a una lunga discussione... Dubitava che ripetere per l’ennesima volta quanto poco tempo avesse avrebbe sortito qualche effetto.

Alla fine lasciò lo studio dell’Hokage che il sole era già calato, e per riuscire a finire tutte le scartoffie urgenti si portò un pacco di documenti a casa.
Nonostante fosse piuttosto tardi, al suo rientro si chiuse nello studio accanto al salotto per rileggere le consegne che avrebbe lasciato a Sakura. Sapeva che la parte burocratica sarebbe stata quasi esclusivamente compito suo, ma sperava che lei e Koichi sarebbero andati d’accordo.
Tra un documento e l’altro gettava brevi occhiate allo zaino da viaggio pronto su una sedia. Al massimo altre due notti a casa, poi se la sarebbe svignata. Doveva solo convincere Naruto che partiva per una bella vacanza; era certo che a differenza di Jin lui avrebbe accolto l’idea con entusiasmo, prendendola come una splendida occasione per dimostrare quale perfetto Hokage poteva essere. Kakashi contava sul fatto che i suoi ragazzi lo avrebbero difeso davanti al Consiglio quando fosse sparito, altrimenti rischiava un’accusa di tradimento... conosceva troppi segreti del villaggio per andarsene a zonzo come un ragazzino in gita.
Mentre finiva un noioso documento sui rifornimenti di materiale per l’Accademia sentì bussare alla porta dello studio e si irrigidì. Fino ad allora Jin non si era azzardato a cercarlo: dopo l’ultima lite era sempre uscito presto la mattina ed era rientrato tardi la sera, e tutto il poco tempo che aveva passato a casa era rimasto rintanato nella sua stanza. Kakashi non pensava che si sarebbe più presentato per discutere.
«Sì?» chiese, sentendo la bocca che si asciugava.
«Posso?»
La testa castana che che si affacciò sulla soglia non era quella che si aspettava. Con grande sorpresa e una piccola fitta allo stomaco Kakashi vide Natsumi Muto entrare nello studio, e per un istante si sentì in trappola.
«Non eri in missione?» le domandò schiarendosi la voce.
«Avevi fatto in modo che lo fossi, in effetti, ma ho finito prima del previsto» ribatté lei, piantandogli addosso gli occhi blu. Natsumi aveva ormai superato la trentina, e Kakashi, che conosceva così bene il viso di Haruka, poteva dire che le due sorelle si somigliavano molto: avevano gli stessi occhi, anche se in quelli di Natsumi mancava quel velo di dolcezza con cui Haruka era solito guardarlo, prima che...
«E’ molto tardi» disse Kakashi, forzandosi a non divagare col pensiero.
«Mi ha fatto entrare Jin» spiegò Natsumi, richiudendo la porta abbastanza lentamente da permettergli di vedere un’ombra scomparire lungo il corridoio.
«Devi avere molta urgenza di parlarmi, se sei venuta fin qui subito dopo la missione.»
«Un uccellino mi ha detto che forse non resterai disponibile a lungo» Natsumi lanciò uno sguardo eloquente allo zaino sulla sedia e Kakashi si ripromise di nasconderlo dietro la scrivania.
«Jin è un gran chiacchierone» mormorò. Avrebbe dovuto immaginare che la notizia sarebbe arrivata a lei: Natsumi e Jin erano molto legati.
«Sei un buon bugiardo, Kakashi, ma se continui rischio di offendermi» mormorò la kunoichi. «Non hai qualcosa da dirmi su Haruka?»
Non ci girava certo intorno.
Negli ultimi cinque anni Natsumi era stata reintegrata tra i ninja della Foglia dopo la fine un po’ brusca della sua missione alla Roccia. In previsione dell’inizio delle ostilità il Consiglio aveva deciso di ritirare lentamente la maggior parte delle spie, per lasciare oltre confine solo quelle in posizioni strategicamente importanti. Natsumi era stata una delle prime. Al suo rientro aveva subito chiesto notizie di sua sorella e di Jin, e Kakashi aveva risposto in maniera volutamente vaga, lasciando che si facesse un’idea parziale. Era stato troppo vigliacco per dirle tutta la verità. Probabilmente avrebbe dovuto stringere i denti e parlarle subito, realizzò in quel momento.
«Natsumi, Jin si è messo in testa un’idea che non corrisponde alla realtà» disse in tono paziente, cercando di convincerla con la forza della persuasione. «Non sto andando a cercare Haruka. Voglio solo fare una perlustrazione dei confini...»
«Non dovevi andare in vacanza?» lo interruppe lei. «Mi sto arrabbiando, Kakashi» Questa volta il tono di minaccia nella sua voce era ben chiaro. «Non tenermi fuori, questi sono affari di famiglia, della mia famiglia! Cosa è successo a mia sorella?»
Kakashi tacque.
Per un momento pensò quasi di dirle tutto. Sarebbe stato così liberatorio, purificante, un vero sollievo... Ma si trattenne. Natsumi era la sorella di Haruka: si sarebbe infuriata, avrebbe fatto una scenata e se ne sarebbe andata da Konoha all’istante.
Non era proprio il caso.
Per evitare che la discussione degenerasse si alzò in piedi, tirando fuori la vecchia aura di autorità da Hokage. «Hai già interferito fin troppo nel rapporto con mio figlio» disse in tono quasi duro. «Qualunque cosa io dica o non dica in questa stanza la prima cosa che farai sarà correre da lui. E io non posso permetterlo.»
Le guance di Natsumi arrossirono di indignazione. «Non è vero!»
«Sì che lo è. Da quando hai conosciuto quel bambino gli hai riempito la testa di discorsi e idee che io non ti ho mai autorizzato a diffondere. Ho sbagliato a non fermarti prima, ma mi aspettavo che avessi più buonsenso» disse asciutto.
«Tu avresti dovuto parlare a Jin di Haruka! Ho fatto soltanto quello che non hai mai voluto fare!»
Kakashi serrò le labbra e prese un respiro profondo. «Non ho mai detto che Jin fosse tuo nipote.»
Silenzio.
Natsumi sbatté le palpebre in un attimo di smarrimento.
«Non dire idiozie» ribatté poco dopo, riprendendo lentamente il controllo. «Non mi avresti permesso di ronzargli intorno tutto questo tempo, non... Non avresti lasciato che credesse a tutto quello che gli dicevo di Haruka, se... Tu mi avresti fermata prima! Se avessi fatto un errore così grossolano mi avresti fermata molto tempo fa!»
Kakashi tacque e la fissò.
«Io non ti credo!» riprese lei, la voce di qualche tono più acuta. «E non capisco perché ti ostini a negare così spudoratamente! Jin ha gli occhi di mia sorella! Lo so! La conosco da sempre, da molto più tempo di te! E so che Jin è mio nipote, così come so che ora stai mentendo! Quello che non capisco è perché!»
Ancora nessuna risposta.
Senza che Natsumi potesse impedirlo il tarlo del dubbio si insinuò nella sua mente... E se Jin non fosse stato il figlio di Haruka? Era possibile? Ma allora perché lasciarlo credere a tutti, perché lasciarla avvicinare, perché permetterle di affezionarsi a un ragazzino con cui non aveva nulla a che fare? Doveva ammetterlo, in quel modo gli strani silenzi di Kakashi riguardo Haruka potevano trovare una parvenza di spiegazione... Incompleta, insoddisfacente, piena di falle, però sempre una spiegazione. Ma non era abbastanza, perché distruggevano una serie di certezze che dava per scontate e creavano garbugli ancora più intricati: se Haruka non era la madre di Jin allora chi lo aveva messo al mondo? E che fine aveva fatto sua sorella?
«Lascia stare, Natsumi» le consigliò Kakashi. «In questo momento Haruka è un argomento che non può uscire dall’ufficio dell’Hokage. Sei uno shinobi di Konoha, sai cosa vuol dire.»
Si che lo sapeva: voleva dire che il suo fascicolo era rinchiuso nell’archivio segreto della Foglia, dove i cospiratori, i demoni e tutte le malefatte della nobiltà dovevano essere seppelliti per salvare il buon nome del Vilaggio.
Perché si trovava lì?
Natsumi deglutì.
«E’ viva?» domandò piano.
«Natsumi...»
«Ok. Ok, non dirmelo. Non ora. Non so se ce la...» deglutì a vuoto. «Se, come ha detto Jin, stai partendo per un viaggio di cui non vuoi parlare, voglio pensare che tu vada da mia sorella. Quando tornerai mi parlerai. Perché la mia famiglia ha sacrificato tutto quello che aveva per questo villaggio, e Konoha ce lo deve. Ce lo deve! Tu mi racconterai tutta la storia, riservata o no. Va bene?» ansimò.
Natsumi aveva ragione, in fondo. Ma il problema non era Konoha, il problema era lui, sospirò Kakashi. Se Haruka era un file segreto nell’ufficio dell’Hokage in gran parte era proprio per causa sua e della sua indecisione. Se il messaggio di Akiko Kato non fosse mai arrivato, prima o poi avrebbe parlato a Natsumi, le avrebbe spiegato cosa era successo, cosa ne pensava lui e cosa ne aveva pensato Tsunade all’epoca, le avrebbe detto tutto. Ma quel messaggio era arrivato, e il suo arrivo aveva cancellato tutte le parole che avrebbe potuto dire. Ormai nemmeno lui sapeva più cosa pensare... Per questo doveva andare di persona.
«Quando tornerò» cedette crollando le spalle. «Quando tornerò parleremo.»
«A Jin devi parlare adesso» mormorò Natsumi senza guardarlo. «Io so che è suo figlio: ha i suoi occhi, non posso sbagliarmi. Che sia viva o...» deglutì. «Devi parlargli prima di andartene. Ha il diritto di sapere prima di tutti. Glielo devi.»
«Torna a casa» sospirò Kakashi. «E’ molto tardi, e domani dovrai lavorare. Buona notte Natsumi.»
«Parla a Jin» insisté lei un’ultima volta, accogliendo il congedo suo malgrado: era scossa, voleva tornare a casa e riflettere sulle cose che aveva sentito.
Kakashi non rispose, ma quando la donna uscì dallo studio si sentì molto solo. Natsumi lo aveva sempre guardato con una luce speciale negli occhi: quando era piccola lui era stato il suo eroe, poi l’uomo di sua sorella, poi il padre di suo nipote... Il suo sguardo lo aveva sempre fatto sentire un po’ migliore di quanto fosse in realtà, anche se sapeva di essere crudele a lasciarle alimentare l’infatuazione. Ora forse era riuscito a fargliela passare, per il bene di lei e il proprio sconforto. Non aveva nemmeno dovuto impegnarsi, era bastato lasciar scivolare gli eventi. Forse anche con Jin sarebbe successa la stessa cosa, forse se avesse lasciato correre...
No. Non poteva. Non con Jin, comprese.
Natsumi aveva ragione: glielo doveva.


I giorni in cui il cielo era a pecorelle erano i peggiori per allenarsi. La luce cadeva in macchie irregolari, era instabile, confondeva i contorni e accecava all’improvviso, scomparendo sempre sul più bello. Ma a Jin andava bene così, perché in quel momento aveva bisogno di concentrarsi disperatamente su cose che non richiedevano pensieri, concentrarsi tanto da dimenticare tutto il resto e farsi assorbire da qualcosa di difficile.
La copia con cui stava combattendo gli rilanciò uno sguardo vacuo mentre elaborava il suo attacco. All’improvviso si lanciò contro di lui, sfruttò una zona d’ombra a terra e scartò bruscamente, pronta a colpire sul lato destro. Jin rotolò via all’ultimo istante e lasciò partire due shuriken che si persero nell’aria, schivati senza difficoltà. Lui e la copia furono di nuovo in piedi in meno di un attimo, abbastanza vicini da attaccarsi corpo a corpo.
Jin sentiva di avere il fiato corto. Per un breve istante si chiese da quanto andava avanti l’allenamento, ma non seppe rispondersi. La distrazione però gli costò cara: sentì il bruciore del kunai sul viso quando già c’era un lungo graffio sulla sua guancia. Si spinse indietro, allontanandosi con un paio di capriole, e scagliò di nuovo i suoi shuriken, ancora una volta scansati. Quindi, senza che riuscisse a capire esattamente la dinamica degli avvenimenti, si trovò scaraventato a terra e vide la lama del kunai a pochi centimetri dai suoi occhi.
«Merda...» ansimò stringendo la polvere tra i pugni.
La copia su di lui arretrò e scomparve in uno sbuffo di fumo, proprio mentre un lembo di nuvola si faceva da parte e un raggio di sole lo colpiva sul viso. Jin storse il naso e si schermò la fronte, senza rialzarsi, aspettando che il respiro tornasse normale. Quand’ecco che il suo campo visivo fu occupato da una faccia decisamente molto compiaciuta, al centro della quale brillavano un paio di occhi candidi.
«Jin Hatake nella polvere. Non pensavo che avrei mai visto una simile rarità» commentò Hinagiku, facendosi indietro mentre lui si tirava a sedere.
«Succede più spesso di quel che pensi, invece» sbuffò Jin, scuotendo con una mano i capelli più grigi del solito.
«Con le tue copie, forse... Tutto bene?» chiese lei, facendo sparire il ghigno e tendendogli una bottiglietta.
«E questa da dove esce?»
Hinagiku arrossì e si affrettò a guardare altrove, tutta interessata a una formica che trasportava una vespa morta. «Mah, così... ce l’avevo dietro per caso» mentì, ricordando di aver assillato sua madre per venti minuti affinché fosse acqua fresca, anzi freschissima, e ricca di sali minerali.
«Beh, grazie comunque» disse lui sforzandosi di sorridere e mettere da parte il malumore.
«Hai bisogno di un cerotto?» Hinagiku accennò con il mento al graffio sulla sua faccia.
«Passerà da solo.»
La ragazzina si lasciò cadere seduta al suo fianco, abbracciandosi le ginocchia, e rimase a guardarlo mentre beveva.
Certe volte pensava di essere strana, ma quando lo guardava dopo gli allenamenti, sporco e sudato, a lei sembrava sempre un po’ più bello del solito. Non lo aveva mai detto a nessuno, naturalmente, da sua madre aveva ereditato una certa introversione e la tendenza a tenere per sé i fatti personali, ma le piaceva stargli vicino dopo che si era allenato.
Jin smise di bere e riavvitò il tappo, tendendole la bottiglia.
«Grazie ancora» le disse appoggiando le mani all’indietro per riprendere fiato.
«Sai che in Accademia abbiamo iniziato le prove per il test finale?» ricominciò Hinagiku in cerca un argomento di conversazione.
«Davvero? Come vanno?»
Hinagiku si strinse nelle spalle. «Vanno. Secondo il maestro Aburame non dovrei rilassarmi troppo, ma il maestro Iruka dice che passerò l’esame senza problemi, al contrario di mio padre. Però mi sa che lui da quando si è sposato con la figlia di Ichiraku ha messo su un po’ di buonismo, oltre alla pancetta.»
«Ma quale pancetta, sono addominali!» borbottò Jin, imitando la voce del maestro Iruka.
Hinagiku scoppiò a ridere e si lasciò cadere con la schiena a terra, fissando il cielo nuvoloso.
«Sai, in realtà non vorrei mai finire l’Accademia» confessò. «Mi piace stare lì, ormai conosco tutti gli insegnanti e gli angoli della scuola, mi piace dormicchiare durante le lezioni, mi piace la pausa pranzo, mi piacciono gli esercizi scemi che ci fanno fare... Non voglio rinunciare a tutto questo, anche se sono contentissima di avere il coprifronte.»
Jin la guardò. «Non saprei» mormorò. «Quando ho studiato io tutti gli altri ragazzi erano molto più grandi di me, e gli esercizi davvero troppo semplici... Non ero particolarmente legato a quel posto. Però so che quando mi hanno affidato la prima missione e mi sono reso conto che era completamente diversa dall’Accademia, avrei voluto picchiarli tutti, gli adulti.»
«E’ questo che non mi piace!» Hinagiku tornò a sedere di scatto. «Che all’Accademia è tutto un test a punteggio, ma quando esci fuori – puf! – ecco che le cose si fanno serie! Insomma, nessuno ci prepara a questo! Potrei anche restare traumatizzata dalla differenza, ci pensano mai?»
«Suppongo che questo sia il lavoro dei capogruppo.»
«Seee, e se mi capita come capogruppo uno scemo come mio padre? Io mica mi fido ad andare in missione con uno come lui!»
«Tuo padre è in gamba» sorrise Jin. «Altrimenti non sarebbe stato scelto come sostituto Hokage.»
«Bella roba, insieme ad altri tre!» Hinagiku gonfiò le guance oltraggiata. «Una grama volta che fa qualcosa di importante deve rovinare tutto facendosi accollare le balie! Come faccio a vantarmi di lui in queste condizioni? Gli Uchiha non fanno che prendermi in giro, è frustrante non poter rispondere per le rime!»
«Che Uchiha e Uzumaki non si sopportino è una cosa normale» la rassicurò Jin. «Anzi, mi stupirei del contrario. Finora gli unici a ignorare la tradizione sono Minato e Itachi, ma quei due non sono esattamente a posto.»
«Tutta colpa di quel testone di papà!» commentò Hinagiku. Poi, senza pensarci, svitò la bottiglia e ne bevve un sorso.
«Un bacio indiretto» disse Jin osservandola. E lei si fece andare l’acqua di traverso, se la rovesciò sulle gambe e ne sputacchiò metà tutt’attorno, tossendo disperata.
«Che cavolo ti salta in mente?!» balbettò tra una lacrima e l’altra, il viso arrossato e gli occhi fuori dalle orbite.
«L’idea ti dispiace tanto?»
Hinagiku sentì qualcosa che esplodeva nella sua teca cranica, o che comunque andava in pezzi con un grande spettacolo pirotecnico. Sentì il sangue schizzare su per il collo e la testa che girava all’improvviso, e provò il folle desiderio di fracassare un macigno sul collo di Jin.
«Certo che mi dispiace!» esclamò, indignata. «Chi diavolo ti credi di essere? Perché dovrebbe piacermi l’idea di b-b-b...»
«Baciarmi?»
«L’hai detto tu, non io!»
«Solo perché tu non ci riuscivi. Comunque» Jin si rialzò, spolverando il didietro dei pantaloni con pacche lente. «Grazie ancora per l’acqua. Ora è meglio se rientriamo, credo che nel giro di mezzora si metterà a piovere.»
Prima che Hinagiku si rendesse conto che l’improvvisa morte del discorso era una delusione per lei, vide Jin che le tendeva una mano e gli permise di aiutarla a rialzarsi.
«Comunque ti ricordo che non mi piaci» ci tenne a precisare, e se fosse stata un galletto avrebbe arruffato le piume.
«Certo che no» rispose Jin conciliante, tenendola vicina un secondo più del dovuto.
Il cuore di Hinagiku mancò un battito, al che la ragazzina sfilò rapidamente la mano da quella di lui e se la strinse al petto come faceva sua madre da giovane. Jin sospirò e si offrì di portarla a casa.

Dopo aver accompagnato Hinagiku ed essersi sorbito lungo il tragitto l’infinita serie dei motivi per cui lui non le piaceva, correndo sotto le prime gocce aveva tagliato per i tetti ed era rientrato a casa passando dalla finestra della sua stanza - che lasciava sempre aperta in caso di emergenza - evitando per un soffio l’acquazzone.
Lì aveva trovato suo padre, seduto sul letto con L’Esperienza della Pomiciata tra le mani.
«Oh, eccoti» gli disse quando lui si bloccò sul davanzale. «Ti stavo aspettando.»
Richiuse il volume, lasciando il segnalibro tra le pagine, mentre Jin atterrava sul pavimento con atteggiamento sostenuto.
«Che vuoi? Sei qui per salutarmi prima di svignartela?» chiese asciutto, ignorandolo per andare a prendere vestiti puliti da un cassetto.
«Non esattamente» rispose lui, e qualcosa nel suo tono spinse Jin a fermarsi e guardarlo.
Kakashi inspirò a fondo tormentando il bordo del libro con le dita. Era lì principalmente perché il senso di colpa si era fatto troppo opprimente e perché Natsumi lo aveva fatto sentire un deficiente. Ma poteva dirlo in modo migliore.
«Natsumi è venuta a cercarmi» esordì mantenendo un tono controllato. «Immagino che tu le abbia parlato... Mi ha fatto una gran lavata di capo, tanto che alla fine ho dovuto riconoscere che su alcune cose aveva ragione. Quindi ho pensato di chiederti se vorresti partire insieme a me, domattina.»
Il cuore di Jin mancò un battito.
«Davvero?» chiese troppo in fretta.
Kakashi lo scrutò a lungo, ancora, suo malgrado, combattuto. Non aveva le forze per parlare a Jin, non subito almeno. Ma portandolo con sé gli avrebbe dimostrato di avere buone intenzioni e forse avrebbe riacquistato un briciolo della sua fiducia... Anche se il rischio che proprio quel viaggio la distruggesse per sempre era elevatissimo.
Deglutì, odiando ciò che stava per dire così come avrebbe odiato il contrario. Chiuse gli occhi e chinò appena il capo. «Sì. Voglio che tu venga con me, Jin.»
D’istinto Jin strinse le dita sui vestiti puliti che aveva in mano, tanto forte da sbiancarsi le nocche.
«Stai dicendo sul serio?» alitò con gli occhi scintillanti. «Posso davvero venire con te, o domani ti sveglierai e mi dirai che hai cambiato idea?»
«Se lo facessi resteresti a Konoha?»
«No, mai!»
«Allora sarebbe inutile» Kakashi sospirò di nuovo. «Non cambierò idea, Jin. Mi seguirai nel mio viaggio e sarai la mia ombra, siamo intesi? Pretendo che tu non rimanga indietro, che mi obbedisca come e più di Pak, che non parli se non ti dico di farlo e soprattutto che non faccia domande. Pensi di riuscirci?»
Jin strinse le labbra. Non fare domande era la condizione più pesante, ma se non altro suo padre aveva smesso di insistere con la farsa della vacanza. Era una prova delle sue buone intenzioni, per quanto piccola.
«Sì, ce la faccio» assicurò. «Sarò il miglior compagno che tu abbia mai avuto, migliore anche di Obito! Lo giuro.»
Kakashi sorrise mesto sotto la maschera. «Oh, a dire il vero è piuttosto semplice essere migliori di Obito... era un tale pasticcione» mormorò, serio solo a metà. «La nostra partenza dovrà restare strettamente riservata» aggiunse dopo un attimo, ogni traccia di ilarità completamente scomparsa dalla sua voce. «E voglio che mi giuri una cosa, Jin, una cosa molto importante» lui annuì rapidamente. Le nocche della mano con cui Kakashi teneva il libro si delinearono per la tensione. «Qualunque cosa accada, qualunque cosa tu veda o senta, devi giurarmi che obbedirai ai miei ordini finché non saremo di nuovo a Konoha. Hai capito? Anche se a un certo punto tu dovessi odiarmi, anche se dovessi perdere il rispetto che hai di me, dovrai obbedirmi finché non saremo di nuovo all’interno dei cancelli.»
Jin corrugò la fronte. «Che significa?» chiese, con una strana sensazione di disagio.
«Significa esattamente quello che è» rispose Kakashi. «Giuramelo, Jin.»
Lui esitò per un lungo istante. Non riteneva possibile che accadesse ciò che suo padre temeva: se c’era stato un momento in cui aveva rischiato di odiarlo e perdere la fiducia che aveva in lui, quel momento si era concluso pochi minuti prima, quando lo aveva visto nella sua stanza e aveva sentito ciò che aveva da dire. Non sembrava un giuramento impegnativo.
«Va bene, lo giuro» annuì dubbioso.
Kakashi tirò un sospiro di sollievo. «Grazie» mormorò a sorpresa. «Ricordalo sempre, per favore. Io farò qualunque cosa perché tu ritorni a Konoha sano e salvo, ma devi collaborare con me, Jin.»
«Certo. Mi sembra scontato» ribatté lui con una certa perplessità.
E in questo era ancora immaturo, come ninja e come persona.
Non esiste nulla di scontato.

Venti minuti più tardi un piccolo shinobi bagnato e affannato era davanti alla casa di Naruto, una grande villa costruita di recente sui resti dell’abitazione che era andata distrutta cinque anni prima, per colpa degli shinobi della Roccia che avevano attaccato Konoha e delle signore Nara e la loro mania per trappole, terremoti e lame di vento. Il ragazzino zuppo si fece annunciare da una delle domestiche e rimase ad attendere nell’ingresso, troppo agitato per prestare attenzione ai gatti che sonnecchiavano sul portico evitando il giardino bagnato dalla pioggia. Sotto la frangia appiccicata alla fronte e lo scintillare degli occhi si poteva a malapena riconoscere Jin.
Si sentiva euforico come mai prima di quel momento: suo padre l’avrebbe portato con sé alla ricerca della madre - sì, non lo aveva mai detto esplicitamente, ma ormai era chiaro, no? - e finalmente sarebbe riuscito a incontrarla, dopo averla sognata tante volte. Era un pensiero così assurdo che se non glielo avessero sbattuto in faccia non avrebbe nemmeno osato sperarci. Doveva condividere la novità con qualcuno.
«Ci siamo visti mezzora fa, cosa vuoi da me?» esordì Hinagiku, comparendo sulla porta avvolta in un kimono bianco e con i capelli bagnati raccolti sulla nuca. Aveva il viso arrossato, ma Jin non avrebbe saputo dire se fosse per via del bagno o cosa. Decise di ignorare il tono ostile e le sorrise, dimostrando per una volta i dodici anni che ancora aveva.
«Parto con mio padre» spiegò tutto d’un fiato. «Quando sono tornato a casa mi ha detto di aver parlato con la zia, e ha deciso di portarmi con sé... Sono... Sono così felice che dovevo dirlo a qualcuno!»
Hinagiku rimase interdetta per un attimo. «Dov’è che vai?» chiese confusa.
Jin si bloccò. La clausola di segretezza di Kakashi gli tornò improvvisamente alla memoria e per un breve istante si sentì molto stupido, evento piuttosto nuovo nella sua vita. Non ci aveva proprio pensato. Di solito non faceva errori così grossolani, doveva essere davvero fuori di sé. Però Hinagiku era affidabile, e lui doveva, doveva far sapere a qualcuno quello che stava succedendo!
Senza neanche rendersene conto era sgusciato fuori dai suoi panni di shinobi per entrare in quelli di un normale ragazzino emozionato.

«Ascolta...» iniziò, abbassando la voce a un sussurro. «Domattina partirò con mio padre. Non so per dove né a fare cosa, ma sono sicuro che abbia a che vedere con mia madre. Non devi dirlo a nessuno, intesi? Nemmeno a Naruto» le spiegò.
Hinagiku sbatté le palpebre un paio di volte. «Oh. Congratulazioni» si sentì dire, con una vocina atona che non era la sua. Non riuscì neanche a stupirsi per l’insolita vitalità dell’apatico Jin.
«Qualcosa non va?» chiese lui confuso.
«No no, sono contenta per te» si affrettò ad assicurare Hinagiku, ma il ragazzino non smise di fissarla interrogativo. Lei allora strinse le labbra e confessò. «Beh, non è che l’idea che tu te ne vada così all’improvviso, per imbarcarti in una misteriosa e probabilmente pericolosa missione, mi entusiasmi poi tanto» bofonchiò, tanto in fretta che era quasi difficile distinguere le parole.
Negli occhi di Jin passò un lampo di comprensione. Sorrise divertito. «Pensavo che l’idea della mia morte, o comunque della mia assenza, ti piacesse parecchio.»
«Infatti mi piace da morire!» scattò Hinagiku avvampando. «Anzi, perché non stai via un po’ più a lungo, tipo dieci anni?»
«Hina, adesso perché piangi?»
«Non sto piangendo, è la pioggia!» esclamò rabbiosa, passandosi una mano sugli occhi umidi.
«Ma sei ancora in casa...»
«E’ la pioggia! E’ la pioggia... non mi interessa niente di te, stupido scemo...» un singhiozzo le sfuggì dalla gola, involontario.
«Beh, tutto questo mi lusinga» mormorò lui, ora in leggero imbarazzo.
«E perché dovrebbe?» gracchiò Hinagiku, tirando su con il naso. «E’ allergia al polline!»
«Che non vola quando piove...»
«Smettila di fare il saputello, accidenti a te!» la ragazzina pestò un piede a terra. «Bene, mi hai detto che vai a farti ammazzare, sono contenta! Ciao! Ora lasciami stare, devo asciugarmi i capelli!»
«Hina, sei sicura?»
«Io? Non sono mica io quella che parte!»
«No, dico, sei sicura che vuoi che me ne vada così?»
Silenzio. Hinagiku si morse le labbra per impedire alle lacrime di debordare, fissandosi i piedi con testardaggine.
«Sì che sono sicura...» piagnucolò, dondolandosi nervosa sui talloni. «Cioè... tornerai, no?» finalmente trovò il coraggio di guardarlo. Arrossì violentemente.
«Me lo auguro» rispose lui con un sorriso rassicurante.
«Allora ti insulterò ancora quando sarai tornato» sussurrò lei, e asciugò veloce una lacrima che era sfuggita al suo controllo.
«Strano modo per dimostrare l’affetto.»
«Affetto? Quale affetto? Tu mi stai antipatico. E non mi piaci.»
«Tu invece mi piaci.»
Hinagiku si irrigidì così di botto che anche i suoi polmoni smisero di dilatarsi. «Eh?» fece con voce improvvisamente arrochita.
«Anche se continui a ripetere che io non ti piaccio, tu mi piaci» ripeté lui, con un leggero, leggerissimo batticuore. «Ma è inutile che te lo dica adesso, probabilmente è meglio che lo faccia una volta tornato.»
«No!» esclamò Hinagiku. «Cioè, non che non abbia fiducia nel tuo ritorno, eh... Però... dillo adesso.»
Jin prese un respiro profondo. Okay, questo era più difficile dell’esame per Jonin.
«Quando sarò tornato...» mormorò, sentendo il viso accaldato. «Verrò qui e ti dirò che mi piaci. Te lo dirò bene, non a spanne come ora, e tu la smetterai di ripetere che non ti piaccio e mi dirai che, invece, ti piaccio. E puoi pure buttare la lista dei motivi per cui non ti piaccio, perché nemmeno uno sta in piedi.»
Hinagiku deglutì a vuoto, la bocca improvvisamente asciutta. «Tecnicamente uno sì...» mormorò, a corto di frasi più intelligenti. «Preferisco i biondi.»
«Davvero? Non ti piaccio per questo
L’orgoglio di Hinagiku voleva gridare di sì. La sua bocca, però, glielo proibì.
«...Nnnnno. Credo» bofonchiò, grattando il pavimento con la punta del piede.
«Hina...» Jin sospirò. «Per favore, solo questa volta, metti un attimo da parte la tua testaccia dura, okay?»
«Non ti conviene di più che lo faccia quando mi ripeterai tutto, una volta tornato?» pigolò lei a disagio.
«No, fallo ora.»
«Oh... Va bene.»
«Quando tornerò, dicevamo, verrò qui e ti dirò che mi piaci» Hinagiku annuì. «E tu mi dirai che anche io ti piaccio» Hinagiku esitò. «Hina?» a fatica, annuì di nuovo. «E poi mi porterai ancora l’acqua quando mi alleno, e io farò in modo che tu faccia l’esame più memorabile nella storia dell’Accademia, e ti porterò fuori a prendere il gelato, e ti permetterò di insultarmi anche più di prima» Hinagiku annuì con più convinzione. «A patto che prima tu mi dia un bacio» Hinagiku si trovò a scuotere la testa. «Hina?»
«Proprio un bacio?» gemette lei in evidente imbarazzo.
«Di solito si parte da quello.»
«E le strette di mano che fine hanno fatto?»
«Quelle sono cose da primo anno di Accademia!»
«Io non le ho mai fatte!»
Jin sospirò. «Va bene, va bene. Partiamo da quelle. Ma poi il bacio.»
«Con calma e per piacere. O lo dico a papà, e sai che è tanto geloso...»
«Perché siamo già alle minacce?»
«Tu hai iniziato con le minacce!»
«Non credi che dovremmo calmarci un po’?»
«E tu non credi che dovremmo parlarne al tuo ritorno?»
«E se non torn...»
Hinagiku gli tappò la bocca prima che finisse di parlare.
«Non dirlo» mormorò. «Non dirlo mai davanti a me.»
Jin sorrise e le allontanò gentilmente la mano, tenendola nella sua. «Va bene, non lo dico. Ma tu non dire niente a Naruto, o sarà lui a farmi fuori.»
«Va bene... Vedremo, quando tornerai. Magari starai via tanto che mi troverò qualcun altro.»
«E chi potrebbe reggere il confronto?»
Hinagiku sospirò e liberò la mano dalla sua stretta. Da un lato avrebbe voluto invitarlo dentro e stare ancora con lui, sentire cosa avrebbe e non avrebbe fatto, ma dall’altro voleva correre nella sua stanza, buttarsi sul letto e gridare per l’euforia, quindi correre da sua madre e raccontarle tutto, parola per parola, e rotolarsi sul suo letto e ridere, ridere, ridere di felicità.
«Signorina Hina, i capelli!» chiamò una voce da dentro.
Allora capì che la scelta era una sola. Con una certa delusione tornò a guardare Jin.
«Devo andare» sospirò. «Ci vedremo ancora prima della partenza?»
«Credo di no. Il viaggio deve rimanere riservato, ricordi? Ti prego, non sbagliarti... Mio padre mi ammazzerebbe prima del tuo. Sul serio.»
Hinagiku annuì. Giusto. Non poteva raccontare a sua madre parola per parola... Avrebbe riferito solo i particolari importanti della dichiarazione di Jin. Al pensiero il suo cuore tornò a battere velocissimo, subito stroncato dai passi della domestica che si avvicinavano.
«Buona fortuna!» disse in un sussurro frenetico. «Stai attento, mi raccomando!»
«Lo farò. Tu non dire niente a Naruto, d’accordo?» rispose lui sottovoce.
«Non sono pazza» Hinagiku rabbrividì al pensiero della reazione del padre.
E Jin rise, sollevato, pensando che in quel momento per la prima volta nella sua vita le cose andavano davvero bene.

Non altrettanto bene andava a Kakashi, invece. Involontariamente, infatti, aveva assistito ai primi amoreggiamenti di suo figlio, e tra i cespugli che circondavano il giardino di Naruto si chiedeva con un lungo sospiro interiore perché Jin avesse scelto proprio la primogenita e adoratissima figlia del padre più geloso e possessivo di tutta Konoha. Chissà quanto avanti si spingevano i dodicenni, di quei tempi? C’era da preoccuparsi? Ma soprattutto: Jin aveva parlato a Hinagiku della loro missione?
Kakashi si ritrasse più a fondo tra le ombre mentre Jin correva a casa a preparare lo zaino. Vedeva le sue impronte nel fango riempirsi rapidamente d’acqua piovana, e si disse che erano orme troppo piccole per andarsene in giro a rischiare la vita... Ma anche lui, alla sua età, era andato in giro a fare la stessa cosa. Vivevano in una triste società.
Non appena Jin fu fuori dalla sua vista Kakashi percorse il viale d’ingresso di casa Uzumaki e suonò la campanella nell’atrio.
«Nobile Hokage!» lo accolse una domestica. Poi arrossì di colpo, ricordando che tecnicamente adesso l’Hokage era il suo datore di lavoro, e Kakashi poté immaginare facilmente la reazione di Naruto se fosse stato presente. «Nobile... Hatake?» si corresse la ragazza con un’occhiata interrogativa.
«Va bene così, grazie. Potresti annunciare a Naruto il mio arrivo?»
Kakashi fu invitato ad entrare e gli fu porto un telo per asciugare viso e mani. Naruto arrivò quasi subito, imbastendo con risultati piuttosto scarsi una seria espressione da autorità preoccupata, ma Kakashi quasi scoppiò a ridere, e di fronte a un’ironia così palese il biondo allievo si affrettò a imbronciarsi come sempre.
«E’ successo qualcosa?» domandò un po’ stizzito.
«Domani vorrei partire per un viaggio» rispose il maestro, facendo scemare la risata in un tono volutamente discorsivo. «Sono stufo del Consiglio che mi costringe a stare nell’ufficio dell’Hokage come se non avessi mai dato le dimissioni. Voglio prendermi un periodo di ferie come si deve e non dover vedere nessuno dei Consiglieri almeno per un po'.»
«Non credo che ti lasceranno partire...» mormorò Naruto dubbioso, ma incapace di nascondere la scintilla di trionfo che per un attimo aveva brillato in fondo ai suoi occhi.
«Lo so bene. E’ per questo che ho bisogno del tuo aiuto» replicò Kakashi. «Solo tu, dopo la mia partenza, avrai l’autorità necessaria per importi sul Consiglio» Parole ben ponderate che, sapeva, avrebbero avuto un effetto strabiliante sull’orgoglio di Naruto.
«Assolutamente!» esclamò infatti il Jonin, incrociando le braccia sul petto proteso.
«Sono contento di vederti d’accordo» sorrise Kakashi. «Sapevo che saresti stato un ottimo Hokage.»
Se Naruto avesse spinto ancora più in alto lo sterno lo avrebbe sbattuto contro il mento. Mentre lui scoppiava a ridere un po’ imbarazzato ma fiero, in lontananza riecheggiò la risata molto più acuta ed eccitata di Hinagiku, che proprio in quel momento stava raccontando a sua madre della confessione di Jin.
«Quando tornerai?» chiese Naruto ancora gongolante.
Kakashi si rabbuiò. «In un paio di settimane» mormorò vago. A dire il vero non ne aveva la minima idea.
«E dov’è che vai di preciso?»
«A nord. Alle terme di Kannon.»
Naruto si accigliò. Kakashi aveva appena schivato il suo sguardo? «Maestro, sei sicuro che vada tutto bene?» indagò.
«Certo. Sono solo un po’ preoccupato: sai, lascerò tutto in mano a voi...»
«Non avrò nessunissimo problema!» scattò l’allievo. «Sasuke, Sakura e Shikamaru si annoieranno talmente tanto che tra una settimana imploreranno il Consiglio di esonerarli dal ruolo di assistenti, e io potrò avere ufficialmente la mia nomina a settimo Hokage!»
Kakashi sospirò. Naruto non avrebbe mai potuto fare a meno di Sakura per la burocrazia, ma spiegarglielo adesso sarebbe stato completamente inutile.
«Allora posso partire tranquillo?» chiese con un’evidente patina di lusinga nel tono.
«Tranquillissimo!» esclamò Naruto, ignorando fermamente la vocina nella sua mente che cercava di esporgli alcune perplessità, prima fra tutte l’obiezione che l’Hokage emerito non poteva gironzolare per il Paese in tempo di guerra.
Kakashi, ignaro della lotta che avveniva dentro Naruto, tirò un silenzioso sospiro di sollievo. Ora non restava che infilare nel plico delle missioni già iniziate il nome di Jin, e poi avrebbe potuto riposare prima della partenza. Mentre Naruto blaterava qualcosa sul dimostrare le proprie capacità, lui lanciò un’occhiata sconsolata alla pioggia che ancora cadeva: avrebbe cancellato le tracce, ma li avrebbe costretti a viaggiare bagnati come pulcini. Chissà, magari sarebbe riuscito a rispedire Jin a casa prima di aver raggiunto il confine, se si fosse ammalato?


Partirono poco prima dell’alba. Il cielo aveva smesso di riversare le sue cateratte sulla terra e si era tinto di un brutto color piombo striato di rosso, che invece di allontanare le ombre sembrava ricalcarne i contorni come le chine di Sai. In casa Hatake si udivano rumori leggeri, ma le imposte erano serrate e non lasciavano trapelare la luce della torcia.
Kakashi controllò un’ultima volta il contenuto dello zaino prima di caricarselo in spalla. Jin, già pronto vicino alla porta, fremeva di impazienza come un bambino prima della gita di compleanno.
«Ho portato le mappe di tutti i Paesi che confinano con il Fuoco» annunciò orgoglioso.
Kakashi lo guardò brevemente. «Tieni solo quella della Roccia» mormorò spegnendo la torcia. «Le altre non ti serviranno.»
Jin si affrettò a togliere dallo zaino le mappe superflue e tornò a fissare il padre. Certo, ora che conosceva la meta non poteva dire di essersi tranquillizzato granché... Ma si morse la lingua e mandò giù la domanda che avrebbe voluto fare. Aveva promesso.
«Ieri sono stato da Naruto per procurarci una copertura» disse Kakashi nella breve parentesi di penombra. «Mi è sembrato che tu e Hinagiku siate piuttosto intimi...»
La schiena di Jin si cosparse di sudore freddo. Hinagiku aveva parlato?
«Credo che lei mi piaccia» disse per sviare il discorso.
«Non le hai detto niente, vero?»
Negare, negare fino alla morte. «Certo che no.»
Naturalmente, pensò Kakashi con un moto di orgoglio. Suo figlio era davvero uno shinobi ineccepibile. «Andiamo» tagliò corto, nascondendo un sorriso.
Jin si accorse che le sue mani tremavano. Era stato così vicino a tirarsi la zappa sui piedi da solo... Qualche divinità benevola probabilmente vegliava su di lui, si disse, e Hinagiku era meravigliosa.
Uscirono di casa in punta di piedi, chiudendo tutte le serrature. Scesero le scale dell’appartamento e si ritrovarono nella strada deserta: era troppo presto perché il villaggio iniziasse a svegliarsi.
La pioggia aveva smesso di scendere. Ovunque c’erano pozzanghere color acciaio e grondaie che sgocciolavano malinconicamente. Padre e figlio attraversarono il villaggio passando per le vie più contorte e nascondendosi dietro gli angoli quando passava un compaesano troppo mattiniero; era importante che nessuno li vedesse, perché dovevano essere ben lontani quando il Consiglio avesse saputo della scomparsa dell’Hokage. Decisero di uscire dal villaggio da una porta secondaria, un ingresso riservato alle guardie di cui pochi erano a conoscenza: si trovava a una certa distanza dall’ingresso principale, alla base di una torretta di osservazione, e di solito era ben sprangato dall’interno. Kakashi sciolse i sigilli apposti al chiavistello e guardò un’ultima volta Jin.
«Ricorda le tue promesse» mormorò.
«Sono uno shinobi» rispose il ragazzino.
Allora, insieme, uscirono.


Tra le colonne della torretta sotto cui erano appena passati, un’ombra si sporse di poco per scrutare la direzione che avevano preso. Ovest. Verso la Roccia.
Sorrise. Sapeva che tenere d’occhio Kakashi Hatake sarebbe tornato utile... Quando il gatto non c’è, i topi ballano.






* * *



Ed ecco i primi quattro capitoli del nuovo Penne.
Una specie di lunga introduzione, per chi già lo conosce,
più una selva di accenni e indizi gettati a caso che dovreste riconoscere come nuovi,
sempre se siete vecchi lettori.

Dal momento che i vecchi capitoli restano, ma vuoti,
per farvi sapere quando ci sono nuovi aggiornamenti pubblicherò un falso nuovo capitolo,
che vi rimanderà al punto in cui eravamo rimasti.
E' più complicato da spiegare che da eseguire:
quando vedete che la storia è aggiornata aprite l'ultimo capitolo e riceverete istruzioni.

Gli aggiornamenti saranno a cadenza settimanale,
preferibilmente di mercoledì.


Grazie a tutti,
e in particolar modo a te che leggi.



  
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