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Autore: REAwhereverIgo    06/08/2014    1 recensioni
La battaglia per difendere la luce e ritrovare il vero Kingdom Hearts è ormai vicina. Non si può più sfuggire al destino, questo i possessori del keyblade lo sanno bene. Ma cosa succederà a Ventus, Xion e Roxas? È davvero inevitabile una nuova guerra?
Una nuova alleata sarà chiamata a lottare per il predominio della luce. Ma è davvero questo ciò che vuole?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Racconto

Axel aveva seguito tutto quel discorso nascosto da una parte, con le braccia incrociate, e non gli piaceva per niente il modo in cui Rea aveva reagito alla vista di Alice. Iniziava a comprendere chi… COSA fosse, ma questo non andava bene affatto.

Aspettò che la bionda se ne fosse andata e poi si avvicinò con l’agilità di un felino, silenziosamente, alle spalle della ragazza, che stava guardando il cielo con occhi persi.

Si stampò sul viso un sorriso irriverente (come suo solito) e poi le si sedette accanto.

“Ehilà!” la salutò. Rea sobbalzò impaurita.

“Non ti ho sentito arrivare!” esclamò.

“La prossima volta farò squillare le fanfare, promesso” la prese in giro. La ragazza sospirò e si rimise a fissare le stelle.

Axel rimase un po’ zitto, rispettando i suoi pensieri, poi la sua indole chiacchierona ebbe la meglio.

“Cosa osservi con tanta concentrazione?” le chiese. Lei scrollò le spalle.

“Non lo so, avevo bisogno di un po’ di pace. Stavo solo riflettendo sul fatto che io non so per cosa sono qui” rispose tristemente.

“In che senso?”

Rea ci pensò.

“Vedi, Alice prima mi stava dicendo che non riesce a sopportare questa situazione nella quale tutti si aspettano da lei che uccida… qualcosa, non so cosa sia un Ciciarampa sinceramente. Comunque più parlava e più mi rendevo conto del fatto che io sono partita con voi senza un motivo reale. Voi vi conoscete da due anni, avete uno scopo, state cercando di raggiungere qualcosa, ma io… io perché posso usare il Keyblade?” spiegò.

Lo fece apparire un’altra volta ancora e lo osservò.

“Ne abbiamo di tutti i tipi, vero? Sora ha una chiave, tu quella specie di fiamma… e io questo! Come mai cambiano in base alla persona?” domandò.

Axel fece comparire il suo e lo fissò incuriosito.

“Non ti so dire, mi spiace. Credo che si tratti di qualcosa che abbiamo nel cuore, tipo uno specchio di ciò che siamo. Come membro dell’Organizzazione XIII potevo comandare dei Chackram, che sono armi infuocate, per cui il mio Keyblade è un Keyblade di fuoco. Penso sia solo questo” le rispose.

Rea mosse un po’ i piedi, sbattendoli tra loro e sorridendo.

“Che fai?” le chiese il ragazzo. Lei rise imbarazzata.

“Niente, una volta mi hanno raccontato una storia: se batti tre volte i talloni dei piedi tra di loro e poi esprimi un desiderio, questo si avvererà” disse arrossendo.

“E tu che desiderio hai espresso?”

La ragazza sorrise.

“Io voglio solo tornare alla mia vita”

Axel sospirò e si appoggiò alle mani, fissando il cielo.

“Com’è? Intendo dire… cadere nell’oscurità senza sapere se mai ne uscirai. Cosa si prova?” indagò Rea, incapace di tenere a freno la lingua. Lui abbassò gli occhi color smeraldo e glieli piantò addosso, facendole provare la sensazione di inadeguatezza più totale.

Stava per scusarsi quando Axel prese un grosso respiro.

“Da quando sono tornato ad essere Lea non lo so più” rispose.

“Lea? Non sei Axel?”

Il ragazzo rise, poi scosse la testa.

“Scusami, mi dimentico sempre che tu sei nuova. Io sono Lea, anche se tutti continuano a chiamarmi Axel. Prima di diventare un Nessuno il mio nome era Lea, dopo esserlo diventato Axel, ma nonostante io sia di nuovo un essere umano il nome da membro dell’Organizzazione continua a seguirmi. A dire la verità, nessuno di quelli che erano legati al nome di Lea esiste più, per cui anche Axel non mi dispiace” le spiegò. Rea annuì.

“Ok, penso di aver capito” disse.

“Comunque non lo so com’è finire nell’oscurità. Per un tempo infinito sono stato convinto del fatto che essere un Nessuno significasse non avere un cuore, ma nonostante questo io provavo dei sentimenti per gli altri. Riesco a capirlo solo oggi, ma come Nessuno ero quasi meglio che come persona” osservò contrariato.

La ragazza aspettò un po’, poi la curiosità vinse sul buonsenso.

“Come è successo che sei stato uomo-Nessuno-uomo?” domandò. Lui ci pensò.

“Non ricordo quasi per niente quale fosse la mia vita prima di far parte dell’Organizzazione. Sono stato per talmente tanto tempo nell’oscurità che le cose accadute precedentemente sono state quasi del tutto rimosse dalla mia mente. All'epoca in cui ero Lea, mi sono fatto accecare dal senso di potere che mi davano le parole di Xehanort e ho ceduto all'oscurità, convincendomi di non poter provare emozioni o sentimenti di alcun genere. Eravamo tutti quanti dei gusci vuoti, in cerca di un cuore, anche fittizio, pur di tornare a sentire ciò che sentivamo da umani. Anni dopo ho conosciuto Roxas, il ragazzo che ho nominato prima” raccontò.

Rea sapeva che era una cosa assurda, ma quei nomi gli suonavano familiari. Rimase in ascolto.

“Ero già parte dell’Organizzazione ed eravamo entrambi Nessuno, solo che, nonostante questo, ci siamo affezionati l’uno all’altro. Siamo diventati amici quasi subito e mi ricordava incredibilmente qualcuno. Solo molto tempo dopo, quando ormai avevo perso Roxas, mi sono ricordato di quel ragazzino conosciuto a Radiant Garden, un tipo di nome Ventus, che era uguale identico a lui. Stesso sguardo, stesso  modo di combattere.”

Axel fissò le stelle, ricordando quei momenti.

“La verità è che un Nessuno ha un cuore, è solo convinto di non averlo. Durante l’anno passato con Roxas e con Xion, un'altra ragazza dell'Organizzazione, mi sono accorto di provare sentimenti quasi dimenticati, di provare per loro affetto e istinto protettivo. Loro erano i miei migliori amici ed io ho fatto loro una promessa” raccontò serio. Per un fugace istante il pensiero che tutto quello che stava facendo fosse inutile lo sfiorò, ma lo scacciò con forza.

Rea attese.

“Cosa c’entra Ventus con Roxas? E chi è Xion?” chiese infine. Odiava le pause lunghe e ad effetto, le stuzzicavano la curiosità e poi non riusciva a non fare domande.

Ventus, Roxas e Xion dici?” Axel fece una risatina.

“Loro sono tutti quanti Sora” rispose. Vide negli occhi della ragazza l’incredulità più completa e scosse la testa.

“Ti dico solo di Roxas: è il nessuno di Sora”

“Quindi Sora è tornato umano?”

“Affatto, Sora non è mai stato trasformato. O almeno, lo è stato ma è tornato subito sé stesso” le spiegò.

Rea si grattò una tempia.

“Non farò altre domande, per ora, il mio cervello sta fondendo già così” decise. Lui rise e poi sospirò.

“Te la senti di rimanere con noi?” le domandò. Lei fece spallucce.

“Non ho altra scelta. Dentro di me sento che è la cosa più giusta anche se sono confusa” rispose.

“Siamo tutti un po’ confusi, nessuno si è scelto questa missione, dobbiamo solo andare avanti e credere in ciò che facciamo” le disse.

“Sì, quello che dici è vero, però… non so, sento che c’è qualcosa di più” commentò lei. Si mise una mano sul cuore e la strinse a pugno.

“So che tutto questo mi porterà a capire qualcosa in più su di me. È come se sapessi che questa strada è quella che mi sono scelta io da molto tempo, come se fosse parte di me, capisci? È strano, lo so, ed è un discorso totalmente delirante ma… nel mio cuore so che sto dicendo la verità” gli spiegò seria.

Axel vide quello scintillio nei suoi occhi che aveva già visto molte altre volte negli sguardi di coloro che possedevano un Keyblade e fu pervaso da un’immensa sensazione di tristezza: quando le persone a cui teneva dicevano così, finivano per scomparire. Roxas. Xion. Erano tutti andati, spariti nel nulla, per finire tutti quanti nello stesso posto: il cuore di Sora. Li aveva a pochissima distanza ma, nonostante questo, erano tutti lontani anni luce da lui.

Proprio come Rea in quel momento, mentre guardava le stelle con un misto di nostalgia e solitudine negli occhi. In un attimo lui seppe che anche lei rischiava di scomparire prima o poi, e questo non gli andava bene, affatto. Strinse i pugni per evitare di dire qualcosa di inopportuno e fissò i suoi piedi.

“Che ne dici di andare a dormire? Domani dovremo ripartire con Alice e tornare da Yen Sid, sarà una lunghissima giornata” le propose, alzandosi in piedi. La ragazza annuì sorridendo.

“Sì, direi che ho proprio bisogno di riposarmi” ammise imbarazzata.

Si alzò a sua volta stiracchiandosi un po’.

“Ci vediamo domattina!” lo salutò, correndo nella sua camera.

Axel la guardò sparire in fondo al corridoio e si scompigliò i capelli: quella storia del poter provare sensazioni ed emozioni iniziava ad essere snervante. Quando era convinto di non avere sentimenti era quasi meglio.

Una volta a letto, si chiese quanto fosse già affezionato a Rea per avere così presto la paura di perderla. La conosceva da trentasei ore, dopo tutto, anche se se ne fosse andata per il momento non sarebbe stato un problema. No?

 

Rea aprì gli occhi e si trovò su una spiaggia. Era tutto buio e nel cielo non c’era nemmeno una stella.

“Chi sei tu?”

Si alzò con un po’ di fatica, le mani tremanti che non riuscivano quasi a reggere il suo peso. Qualcuno la stava guardando incuriosita.

“Chi sei tu?” le ripeté.

“M-mi chiamo Rea” balbettò mettendosi in piedi. Possibile che il suo corpo fosse tanto opprimente?

Si guardò intorno confusa: quando era arrivata lì? Ma soprattutto, cos’era lì? Dove si trovava?

“Io non ti ho chiesto come ti chiami, ti ho chiesto chi sei” le fece presente l’altra ragazza che si trovava sulla spiaggia.

La fissò confusa.

“I-io… io sono… sono Rea…” rispose poco sicura. Al momento quella ragazzina che andava a scuola con sua sorella e litigava con i suoi genitori le pareva mille miglia lontana da ciò che realmente era.

“Hai bisogno di una mano?” le domandò quella ragazza. Lei rifiutò la mano che le stava porgendo, portandosi le dita sulle tempie e sentendo la testa scoppiare.

“Stammi lontana, io non… non… AH!”

Gridò dal dolore: immagini confuse e ricordi che non le appartenevano si riversavano nella sua mente, facendola soffrire.

“Da qualche parte c’è un’isola sulla quale nascono dei frutti a forma di stella che segnano un legame indissolubile. Ho fatto questi portafortuna pensando a quei frutti”

Finì tutto in un attimo, lasciandola ansimante e stesa a terra.

Si appoggiò ai palmi delle mani, tirandosi un po’ su e puntando gli occhi sulla ragazza, che la stava osservando preoccupata.

“Stai bene?” le domandò.

Rea la fissò, notando che le era familiare.

“Chi sei tu?”

“Io? Io sono Aqua

 

  
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