Racconto
Axel aveva
seguito tutto quel discorso nascosto da una parte, con le braccia incrociate, e
non gli piaceva per niente il modo in cui Rea aveva reagito alla vista di
Alice. Iniziava a comprendere chi… COSA fosse, ma questo non andava bene
affatto.
Aspettò
che la bionda se ne fosse andata e poi si avvicinò con l’agilità di un felino,
silenziosamente, alle spalle della ragazza, che stava guardando il cielo con
occhi persi.
Si
stampò sul viso un sorriso irriverente (come suo solito) e poi le si sedette
accanto.
“Ehilà!”
la salutò. Rea sobbalzò impaurita.
“Non
ti ho sentito arrivare!” esclamò.
“La
prossima volta farò squillare le fanfare, promesso” la prese in giro. La
ragazza sospirò e si rimise a fissare le stelle.
Axel rimase un
po’ zitto, rispettando i suoi pensieri, poi la sua indole chiacchierona ebbe la
meglio.
“Cosa
osservi con tanta concentrazione?” le chiese. Lei scrollò le spalle.
“Non
lo so, avevo bisogno di un po’ di pace. Stavo solo riflettendo sul fatto che io
non so per cosa sono qui” rispose tristemente.
“In
che senso?”
Rea
ci pensò.
“Vedi,
Alice prima mi stava dicendo che non riesce a sopportare questa situazione
nella quale tutti si aspettano da lei che uccida… qualcosa, non so cosa sia un Ciciarampa sinceramente. Comunque più parlava e più mi
rendevo conto del fatto che io sono partita con voi senza un motivo reale. Voi
vi conoscete da due anni, avete uno scopo, state cercando di raggiungere
qualcosa, ma io… io perché posso usare il Keyblade?”
spiegò.
Lo
fece apparire un’altra volta ancora e lo osservò.
“Ne
abbiamo di tutti i tipi, vero? Sora ha una chiave, tu quella specie di fiamma…
e io questo! Come mai cambiano in base alla persona?” domandò.
Axel fece
comparire il suo e lo fissò incuriosito.
“Non
ti so dire, mi spiace. Credo che si tratti di qualcosa che abbiamo nel cuore,
tipo uno specchio di ciò che siamo. Come membro dell’Organizzazione XIII potevo
comandare dei Chackram, che sono armi infuocate, per
cui il mio Keyblade è un Keyblade
di fuoco. Penso sia solo questo” le rispose.
Rea
mosse un po’ i piedi, sbattendoli tra loro e sorridendo.
“Che
fai?” le chiese il ragazzo. Lei rise imbarazzata.
“Niente,
una volta mi hanno raccontato una storia: se batti tre volte i talloni dei
piedi tra di loro e poi esprimi un desiderio, questo si avvererà” disse
arrossendo.
“E
tu che desiderio hai espresso?”
La
ragazza sorrise.
“Io
voglio solo tornare alla mia vita”
Axel sospirò e
si appoggiò alle mani, fissando il cielo.
“Com’è?
Intendo dire… cadere nell’oscurità senza sapere se mai ne uscirai. Cosa si
prova?” indagò Rea, incapace di tenere a freno la lingua. Lui abbassò gli occhi
color smeraldo e glieli piantò addosso, facendole provare la sensazione di
inadeguatezza più totale.
Stava
per scusarsi quando Axel prese un grosso respiro.
“Da
quando sono tornato ad essere Lea non lo so più” rispose.
“Lea?
Non sei Axel?”
Il
ragazzo rise, poi scosse la testa.
“Scusami,
mi dimentico sempre che tu sei nuova. Io sono Lea, anche se tutti continuano a
chiamarmi Axel. Prima di diventare un Nessuno il mio
nome era Lea, dopo esserlo diventato Axel, ma
nonostante io sia di nuovo un essere umano il nome da membro
dell’Organizzazione continua a seguirmi. A dire la verità, nessuno di quelli
che erano legati al nome di Lea esiste più, per cui anche Axel
non mi dispiace” le spiegò. Rea annuì.
“Ok,
penso di aver capito” disse.
“Comunque
non lo so com’è finire nell’oscurità. Per un tempo infinito sono stato convinto
del fatto che essere un Nessuno significasse non avere un cuore, ma nonostante
questo io provavo dei sentimenti per gli altri. Riesco a capirlo solo oggi, ma
come Nessuno ero quasi meglio che come persona” osservò contrariato.
La
ragazza aspettò un po’, poi la curiosità vinse sul buonsenso.
“Come
è successo che sei stato uomo-Nessuno-uomo?” domandò. Lui ci pensò.
“Non
ricordo quasi per niente quale fosse la mia vita prima di far parte
dell’Organizzazione. Sono stato per talmente tanto tempo nell’oscurità che le
cose accadute precedentemente sono state quasi del tutto rimosse dalla mia
mente. All'epoca in cui ero Lea, mi sono fatto accecare dal senso di potere che
mi davano le parole di Xehanort e ho ceduto
all'oscurità, convincendomi di non poter provare emozioni o sentimenti di alcun
genere. Eravamo tutti quanti dei gusci vuoti, in cerca di un cuore, anche
fittizio, pur di tornare a sentire ciò che sentivamo da umani. Anni dopo ho
conosciuto Roxas, il ragazzo che ho nominato prima” raccontò.
Rea
sapeva che era una cosa assurda, ma quei nomi gli suonavano familiari. Rimase
in ascolto.
“Ero
già parte dell’Organizzazione ed eravamo entrambi Nessuno, solo che, nonostante
questo, ci siamo affezionati l’uno all’altro. Siamo diventati amici quasi
subito e mi ricordava incredibilmente qualcuno. Solo molto tempo dopo, quando
ormai avevo perso Roxas, mi sono ricordato di quel ragazzino conosciuto a Radiant Garden, un tipo di nome Ventus,
che era uguale identico a lui. Stesso sguardo, stesso modo di combattere.”
Axel fissò le
stelle, ricordando quei momenti.
“La
verità è che un Nessuno ha un cuore, è solo convinto di non averlo. Durante
l’anno passato con Roxas e con Xion, un'altra ragazza
dell'Organizzazione, mi sono accorto di provare sentimenti quasi dimenticati,
di provare per loro affetto e istinto protettivo. Loro erano i miei migliori
amici ed io ho fatto loro una promessa” raccontò serio. Per un fugace istante
il pensiero che tutto quello che stava facendo fosse inutile lo sfiorò, ma lo
scacciò con forza.
Rea
attese.
“Cosa
c’entra Ventus con Roxas? E chi è Xion?”
chiese infine. Odiava le pause lunghe e ad effetto, le stuzzicavano la
curiosità e poi non riusciva a non fare domande.
“Ventus, Roxas e Xion dici?” Axel fece una risatina.
“Loro
sono tutti quanti Sora” rispose. Vide negli occhi della ragazza l’incredulità
più completa e scosse la testa.
“Ti dico
solo di Roxas: è il nessuno di Sora”
“Quindi
Sora è tornato umano?”
“Affatto,
Sora non è mai stato trasformato. O almeno, lo è stato ma è tornato subito sé
stesso” le spiegò.
Rea
si grattò una tempia.
“Non
farò altre domande, per ora, il mio cervello sta fondendo già così” decise. Lui
rise e poi sospirò.
“Te
la senti di rimanere con noi?” le domandò. Lei fece spallucce.
“Non
ho altra scelta. Dentro di me sento che è la cosa più giusta anche se sono
confusa” rispose.
“Siamo
tutti un po’ confusi, nessuno si è scelto questa missione, dobbiamo solo andare
avanti e credere in ciò che facciamo” le disse.
“Sì,
quello che dici è vero, però… non so, sento che c’è qualcosa di più” commentò
lei. Si mise una mano sul cuore e la strinse a pugno.
“So
che tutto questo mi porterà a capire qualcosa in più su di me. È come se
sapessi che questa strada è quella che mi sono scelta io da molto tempo, come
se fosse parte di me, capisci? È strano, lo so, ed è un discorso totalmente
delirante ma… nel mio cuore so che sto dicendo la verità” gli spiegò seria.
Axel vide quello
scintillio nei suoi occhi che aveva già visto molte altre volte negli sguardi
di coloro che possedevano un Keyblade e fu pervaso da
un’immensa sensazione di tristezza: quando le persone a cui teneva dicevano
così, finivano per scomparire. Roxas. Xion. Erano
tutti andati, spariti nel nulla, per finire tutti quanti nello stesso posto: il
cuore di Sora. Li aveva a pochissima distanza ma, nonostante questo, erano
tutti lontani anni luce da lui.
Proprio
come Rea in quel momento, mentre guardava le stelle con un misto di nostalgia e
solitudine negli occhi. In un attimo lui seppe che anche lei rischiava di
scomparire prima o poi, e questo non gli andava bene, affatto. Strinse i pugni
per evitare di dire qualcosa di inopportuno e fissò i suoi piedi.
“Che
ne dici di andare a dormire? Domani dovremo ripartire con Alice e tornare da
Yen Sid, sarà una lunghissima giornata” le propose,
alzandosi in piedi. La ragazza annuì sorridendo.
“Sì,
direi che ho proprio bisogno di riposarmi” ammise imbarazzata.
Si
alzò a sua volta stiracchiandosi un po’.
“Ci
vediamo domattina!” lo salutò, correndo nella sua camera.
Axel la guardò
sparire in fondo al corridoio e si scompigliò i capelli: quella storia del
poter provare sensazioni ed emozioni iniziava ad essere snervante. Quando era
convinto di non avere sentimenti era quasi meglio.
Una
volta a letto, si chiese quanto fosse già affezionato a Rea per avere così
presto la paura di perderla. La conosceva da trentasei ore, dopo tutto, anche
se se ne fosse andata per il momento non sarebbe
stato un problema. No?
Rea
aprì gli occhi e si trovò su una spiaggia. Era tutto buio e nel cielo non c’era
nemmeno una stella.
“Chi
sei tu?”
Si
alzò con un po’ di fatica, le mani tremanti che non riuscivano quasi a reggere
il suo peso. Qualcuno la stava guardando incuriosita.
“Chi
sei tu?” le ripeté.
“M-mi
chiamo Rea” balbettò mettendosi in piedi. Possibile che il suo corpo fosse
tanto opprimente?
Si
guardò intorno confusa: quando era arrivata lì? Ma soprattutto, cos’era lì?
Dove si trovava?
“Io
non ti ho chiesto come ti chiami, ti ho chiesto chi sei” le fece presente
l’altra ragazza che si trovava sulla spiaggia.
La
fissò confusa.
“I-io…
io sono… sono Rea…” rispose poco sicura. Al momento quella ragazzina che andava
a scuola con sua sorella e litigava con i suoi genitori le pareva mille miglia
lontana da ciò che realmente era.
“Hai
bisogno di una mano?” le domandò quella ragazza. Lei rifiutò la mano che le
stava porgendo, portandosi le dita sulle tempie e sentendo la testa scoppiare.
“Stammi
lontana, io non… non… AH!”
Gridò
dal dolore: immagini confuse e ricordi che non le appartenevano si riversavano
nella sua mente, facendola soffrire.
“Da qualche parte c’è un’isola
sulla quale nascono dei frutti a forma di stella che segnano un legame
indissolubile. Ho fatto questi portafortuna pensando a quei frutti”
Finì
tutto in un attimo, lasciandola ansimante e stesa a terra.
Si
appoggiò ai palmi delle mani, tirandosi un po’ su e puntando gli occhi sulla
ragazza, che la stava osservando preoccupata.
“Stai
bene?” le domandò.
Rea
la fissò, notando che le era familiare.
“Chi
sei tu?”
“Io?
Io sono Aqua”