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Autore: arcadialife    07/08/2014    1 recensioni
Il titolo della storia non è direttamente riferito alla fic in sé, ma è un'ulteriore spiegazione del perché io abbia voluto scriverla.
i Mugi in un epoca completamente differente e ruoli assolutamente nuovi per riprodurre quelle che, a mio avviso, possano essere le emozioni dei nostri soldati in guerra.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Diario del Colonnello Roronoa.

15 Marzo 1967, Vietnam.

 

 

 

 

“La situazione è diventata insostenibile.

Come possono pretendere che degli esseri umani sopportino tali pressioni?

E’ contro natura fino all’inverosimile, eppure siamo qua e siamo tanti da sembrare un popolo intero.

Forse lo siamo diventati: un agglomerato di imbecilli che fanno la stessa cosa tutti insieme e senza un reale perché.

In quest’ultimo mese, la mia squadra è stata decimata e sono rimasti i più valorosi, dicono, ma io credo sia solo una questione di fortuna.

In questo mondo, non importa se tu sia forte e coraggioso poiché è sufficiente incontrare un nemico che imbraccia una mitraglietta e, qualunque cosa tu faccia, stanne certo che morirai.

Non esiste più l’addestramento militare che mira a creare soldati capaci e il modo migliore per vincere una guerra è diventato sviluppare gli armamenti prima che lo faccia il tuo avversario.

Se già la guerra è inumana, queste nuove metodologie di battaglia privano i soldati di ogni emotività.

Siamo solo dei numeri, come dimostra il mio tesserino identificativo.

Devo ringraziare la mia passione per le armi bianche se sono a capo di una squadra intera.

Non ho titoli d’onore: sono quello che sono grazie alle mie capacità e, per questo, mi hanno preso per il culo piuttosto spesso, ma ora mi temono e mi rispettano in tutto il campo.

Ho mostrato a tutti chi fosse Roronoa Zoro e ho guadagnato l’ammirazione di molti.

Non avrei mai immaginato che una semplice passione giovanile come il kendo, in un futuro lontano, sarebbe diventato il trampolino di lancio per una carriera militare.

Devo ringraziare la mia testardaggine d’adolescente nel perseguirlo se ora sono ancora vivo.

Ricordate quanto detto per la mitraglietta?

Ecco, io me ne sono ritrovate parecchie di fronte e le mie katane mi hanno spesso salvato le chiappe.

 

Ho 27 anni e sono già sommerso di responsabilità.

Non sono pesi comuni come uno qualunque di voi che si alza al mattino e ingaggia la propria routine di sempre con l’unico problema di dover pensare al lavoro.

Mi ritrovo ad avere delle vite a carico e parte del loro destino dipende dalle mie scelte.

Cazzo…!

Sono tutti giovani, i miei ragazzi, e ogni esistenza spezzata è una cicatrice in più sulla mia anima, indipendentemente dal fatto che sia colpa mia o meno.

Ho imparato a conoscere quel branco di pazzi che mi hanno affibbiato e, dai poppanti che erano, sono riuscito a farli crescere e a far risuonare il loro nome almeno quanto il mio in questo Paese puzzolente.

Mi sembrano dei bambini cresciuti troppo in fretta che prendono alla leggera questa guerriglia dove ci hanno buttati come cani e sovente non li sopporto, ma sono i miei marmocchi e mi ci sono affezionato.

Cosa estremamente pericolosa, lo so, ma li ho plasmati io e sono parte di me.

In guerra non si fanno amicizie: si uccide e basta, ma non ho potuto farne a meno.

Solo a scrivere di loro mi si stampa un cazzo di sorrisino da deficiente che mi prenderei a sberle da solo!

Mi hanno rammollito… o, forse, mi hanno semplicemente restituito la mia umanità.

Prima del loro arrivo, la guerra mi aveva rubato ogni emozione e il mio unico scopo giornaliero era di tranciare più vite nemiche possibili, ma ora ho un nuovo obbligo: proteggerli.

Sono veramente giovani, troppo!

Cosa ci fanno loro qua?

Dovrebbero starsene sui libri d’università o con le loro famiglie a svolgere le vostre stesse noiose vite, eppure si sono fatti abbindolare da sanguinosi ideali patriottici e sono finiti sotto la mia supervisione.

Idioti…

Hanno fatto il mio stesso errore e so per certo che non rivedrò mai più l’America, ma non devo permettere che tutto ciò capiti anche a loro.

Quasi non ricordo più il vialetto di casa mia, il volto dei vicini, l’abbaiare del mio cane, le pareti della mia camera disastrosamente divisa con i miei fratellini e, se continua così, finirò col scordarmi anche il profumo di mia madre.

Sembra quasi un miraggio lontano che fatico ad associare a ciò che sono adesso: una nuvoletta incorporea che mi mostra sprazzi di una vita che non è la mia.

 

Sono stato sbattuto in ogni angolo del globo e di un congedo neanche l’ombra.

Sono troppo prezioso, dicono…

Ma loro non devono dimenticare!

Quando sarà tutto finito, torneranno a casa e di guerra ne sentiranno parlare solo più da vecchi, quando quei coglioni se ne inventeranno un’altra dove mandare a morire i propri soldati e, magari, dovranno impegnarsi ad evitare che le nuove generazioni come i nipoti finiscano nella stessa rete che ha pescato loro.

Nemmeno se ne rendono conto quei pivellini…

Il ricordo di ciò che era può permettere loro di affrontare ciò che sarà dopo questo inferno in terra.

Io no… oramai la divisa è diventata una seconda pelle, ma va bene così.

Non credo che potrei mai fare un qualcosa di diverso da ciò che già faccio.

Ho vissuto troppo poco e troppo intensamente…  per poi finire in questa gigantesca e subdola famiglia che è l’esercito.

Quando mi sono arruolato, come la maggior parte di noi, l’idea di dover uccidere non era minimamente contemplata.

“E’ un lavoro come un altro” mi sono detto nelle mia stupidità di ragazzino che ero, ma poi è arrivata la guerra e mi hanno sbattuto al fronte obbligandomi a crescere troppo in fretta.

Sono passati quasi vent’anni da allora.

 

Non posso fare altro al di fuori di ciò che sono…

Mi sembra quasi di esserci nato con questa uniforme!

Battaglie su battaglie… dopo innumerevoli spargimenti di sangue, sono diventato Colonnello e mi sono ritrovato un bamboccio figlio di papà come diretto superiore.

Se ne sta li, nella sua tenda con addosso il grado che il Generale Monkey D. gli ha regalato in quanto figlio a studiare piani d’attacco e strategie, mentre noi macellai affrontiamo tutto quanto.

Non mi sta sul cazzo lui, ma il ruolo che ricopre.

Negli anni, ho sviluppato una sorta di allergia nei confronti dei bastardi che hanno deciso tutto questo.

Sono stanco di eseguire ordini che nemmeno comprendo e sono stufo di essere una pedina senza scopo.

Di certo, non sono l’unico a pensarla così e sono arrivato alla conclusione che sia questo il motivo per cui il termine “disertore” sia stato così demonizzato.

Un traditore…

Che parola disgustosa!

Ma tradire cosa?!

Un Patria che ti ha attaccato alla tetta costringendoti ad un’alimentazione forzata e infarcita di valori controproducenti con contorno di menzogne a raffica per farti il lavaggio del cervello?

Beh, se è così, scusate tanto, ma io non ci sto!

Ci hanno detto che il nostro compito è preservare la pace e, allora, io mi chiedo: lo facciamo così? Con violenza e senza alcun diritto? Facendo terra bruciata ovunque andiamo e senza fare distinzione tra soldati e civili, uomini o donne, adulti o bambini?

Forse siamo noi i veri demoni usurpatori della quiete.

Magari sta gente se ne stava bene per i cazzi loro e non avevano bisogno di un branco di americani spacconi che arrivassero in pompa magna come i salvatori del mondo.

Ci hanno indotto a credere di fare del bene e la mia squadra ci crede ancora, ma nessuno di loro ha ancora aperto gli occhi.

Bene verso chi?

Per questi poveri diavoli che trucidiamo o per l’America?

Quante cazzate!

Mi si rivolta lo stomaco e l’idea di esserci cascato anche io mi fa incazzare come…

Lasciamo perdere!

Non ho voglia di avvelenarmi con questi pensieri.

Dico solo che, se esiste giustizia a questo mondo, prima o poi chi di dovere dovrà pagarla e anche cara!

Controllare la mente di generazioni intere inducendole ad ammazzare sostenendo che è il bene.

Che squallore…

Non mi interessa chi ha ragione o chi ha torto, ma nel preservare i miei ragazzi credo di star cercando una sorta di redenzione per tutti i miei errori.

Loro devono tornare a vivere…

 

Ora basta con queste stronzate!

Vado a farmi una doccia…”

 

 

 

 

 

 

 

 

_Allora femminucce!_ guardai le due donne sopravvissute della mia squadra e le vidi scattare sull’attenti con la stessa prontezza dei compagni uomini.

Capii che di donna, in loro, fosse rimasto ben poco al di fuori delle loro curve.

_Monkey D Rufy ci ha assegnato una nuova missione. Considerando il numero ristretto di componenti, sarà un semplice compito di ispezione, ma non adagiatevi sugli allori dolcezze! E’ stata scoperta l’entrata di una galleria vietcong che ci ha dato parecchie grane in passato, ma ora sembra sia stata abbandonata. Il nostro obiettivo è semplice: entrare, trovare qualche muso giallo che sicuramente non ci sarà e tornare a fare rapporto così che la si possa ritenere fuori pericolo e chiuderla. Tutto chiaro??_

_SI SIGNORE!_ gridarono in coro i miei ragazzi senza una minima espressione sul viso come i bravi robottini che erano diventati.

_Viaggeremo leggeri quindi portatevi solo l’armamentario d’assalto su breve distanza. Riposo, ragazzi! Filate a prepararvi… la missione inizia alle ore 18!_

 

 

 

Prima di raggiungere la mia squadra, mi presi del tempo per affilare le mie katane sicuro che, come sempre, avrebbero svolto il loro lavoro al meglio.

Dentro un tunnel sotto terra sarebbero state un’ottima difesa.

La notte iniziava ad avanzare e dalla giungla si levava il vociare sinistro dei sui selvatici animali.

Trovai i soldati armati di tutto punto che se la chiacchieravano fra loro come se dovessero fare una scampagnata in allegria, ma quando si accorsero della mia presenza, furono veloci a riacquistare il giusto comportamento di un marines e mi accolsero con il saluto militare.

Non perdemmo ulteriore tempo e ci incamminammo nella selva oscura con i sensi tesi a captare qualunque pericolo.

Raggiungemmo l’entrata del tunnel dopo neanche venti minuti di marcia e, senza indugio, feci strada scomparendo nel buio corridoio sotterraneo.

Una qualunque luce avrebbe segnalato la nostra presenza ad un possibile nemico, così procedemmo con una capacità visiva scarsissima che costò caro a tutti quanti e non avemmo neanche il tempo di accorgercene.

Un membro della squadra che non aveva assolutamente la stoffa del soldato, Usopp, mise un piede in fallo e il regalino dei nostri amici vietcong prese vita.

Ci avevano lasciato un pensiero d’addio sotto forma di bomba che scoppiò con un fragoroso boato.

Io fui il più lontano, a capofila, e grazie a questo rimasi in vita ancora un po’.

Doveva essere una stramaledetta missione del cazzo con rischi insignificanti e, invece, mi ritrovai in quel buco del diavolo che presto o tardi mi sarebbe crollato addosso a cercare con lo sguardo la mia squadra.

Sangue ovunque e occhi vitrei privi di vita spalancati nel buio.

Un rantolo alla mia sinistra mi fece voltare e vidi Sanji, un mio coetaneo, che strisciava a terra cercando di raggiungermi.

Era un uomo forte e valoroso, ma nei suoi occhi non vi era altro di lui al di fuori della paura.

_Merda…!_ una fitta al costato mi fece trasalire.

Osservai il mio corpo e lo trovai infilzato da chissà quante schegge di metallo.

Poco più lontano, c’erano i corpi riversi di Franky, Chopper, Brook e Nami.

La ragazza si trovava vicino alla bomba nel momento in cui era esplosa e ora il suo corpo giaceva con le budella di fuori, mentre di Usopp non vi era l’ombra.

Forse era saltato in brandelli e la maggior parte del sangue sulle pareti era quanto restasse di lui.

Un pianto incontrollato mi inondò gli occhi e mi azzannai un labbro per la furia che mi ribolliva dentro.

Ero scioccato ed era successo tutto in un secondo.

Non era giusto!!

Niente di tutto quello lo era!

Il marines biondo spirò sotto il mio sguardo sconcertato.

Iniziai a sentirmi mancare e un sospiro catturò la mia attenzione.

Sulla parete opposta alla mia, Robin se ne stava abbandonata con la schiena mentre si teneva fra le mani quella parte di gamba rimastale.

Era più grande di me, ma anche per lei era presto per morire.

I nostri sguardi si incontrarono e la colpa si impossessò di me.

La vidi chiudere gli occhi e anche il suo corpo di abbandonò al suolo.

_Mi dispiace!_

Quella voce piagnucolante uscì dalle mie labbra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

27 Marzo 1967, Philadelphia.

 

“Coniugi Roronoa,

Siamo tremendamente addolorati nel dovervi comunicare la morte del vostro amato figlio avvenuta in data 16/03 intorno alle ore 21 avvenuta a causa di un ordigno nemico.

A breve, vi sarà comunicata la data del rimpatrio della salma.

Ci uniamo a voi nella sofferenza per l’ennesima perdita subita dall’America.

 

Il Dipartimento per la Difesa.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO DELL’AUTORE

Ciao a tutti!

Con questa storia ho voluto rubarvi un momento del vostro tempo per farvi riflettere sull’assurdità della guerra.

E’ un po’crudo ma anche la guerra lo è…

Se avete voglia di spendere altri 5 minuti in onore di questo pensiero, vi suggerisco di ascoltare parola per parola questa canzone che è quella che mi ha ispirata.

https://www.youtube.com/watch?v=lT4PvXNTeGA

Le incoerenze storiche sono state inserite per completare al meglio la storia e perdonate se ci sono errori tecnici, ma non me ne intendo più di tanto anche se mi sono informata.

Baci a tutti

Arcadia

  
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