Nel giro di qualche ora, nell’oscurità della notte (nonostante le numerose magie di luce lanciate dai maghi), ebbe inizio la fine di Mu.
Dall’alto caddero le tre colonne colonne d’avorio disponendosi a triangolo equilatero come già successo a Magdana e a Rattissana.
L’ultima cadde sul castello ove risiedeva Sharlak il Magnifico ma prima di cadere si fermò per qualche istante a mezz’aria: chi avesse potuto assistere alla scena da sotto avrebbe notato che decine di maghi, guerrieri e lo stesso Sharlak con la forza fisica e della magia avevano cercato di fermare la caduta dell’ultimo pilastro.
Quando la base dell’ultima colonna toccò il suolo le anime ancora una volta si condensarono al centro in un vortice di spiriti e urla e anch’esso sparì nel giro di pochi minuti.
Sembrava una copia di quello ch’era successo a Magdana ma un altro evento accadde: le colonne iniziarono a vibrare e a colorarsi di rosso.
Dalle tre colonne partirono tre gigantesche mura color del sangue, tutti nella medesima direzione anche se con un angolo diverso.
Se qualcuno avesse visto la scena dallo spazio avrebbe notato che tutte le nove colonne cadute sinora (a Magdana, a Rattissana e a Mu) si erano collegate con delle mura formando un gigantesco triangolo con le bisettrici.
E nel baricentro risiedeva il vaso.
Come successo per le anime delle tre città, così successe per le magie di tutto il mondo: improvvisamente ogni piccola essenza magica, ogni gigantesco spirito invocato e ogni incantesimo narrato si concentrarono in un unico enorme tornado al centro del continente, esattamente sul vaso.
Il tornado durò per ore e ore poi si concentrò e confluì tutto all’interno del relativo piccolo otre.
"Ma cosa sta succedendo?" esclamò Demoveen.
"La magia sta scomparendo dal mondo. Come ti avevo predetto." disse il viviano.
"Ma questa sarà la fine del mondo!" urlò Dasa.
"Ne dubito, gli abitanti del mondo esterno hanno praticamente vissuto senza magia e si sono comunque evoluti. Al contrario questa è la fine di Ladad e soprattutto la nostra fine."
"La nostra fine? E perché?"
"Siamo su di una struttura che vola per natura magica. Non ricordi? Appena anche quest’incantesimo sarà assorbito noi precipiteremo."
"Non è possibile!"
"E invece si. Ma sempre meglio morire così piuttosto che usati come energia per caricare le pile di quelle colonne."
"Anche tu, Demoveen, hai notato questa cosa? Già… non avrei pensato che questo era lo scopo delle città. Anime per creare energia per togliere la magia dal mon..."
"Cosa succede?" chiese Dasa notando l’esitazione del vecchio.
"Sto morendo…" rispose il vecchio con uno strano sorriso.
"Tutti siamo per morire qui."
"No. Io sto morendo ora. L’otre si sta prendendo la mia magia di rinascita. Addio miei cari amici. Siete stati i più cari compagni che abbia mai avuto. Sul serio."
"Non ci credo… non può finire così! NON PUO’!"
"E invece credo di si. Non si può fare nulla contro la potenz…" non concluse la frase, il suo corpo si mutò in polvere e si disperse per la stanza.
"Addio caro amico." chinò la testa Demoveen.
"Addio" lo imitò Dasa.
Pochi minuti dopo le stanze del panorama persero la magia ch’era legata a loro e precipitarono sul mare provocando la morte dei due jainisti.
Il contraccolpo dell’afflusso di magia fu estremamente forte e l’intero continente precipitò sotto le acque dell’oceano che ora noi conosciamo come Oceano Atlantico.
Gli tsunami che seguirono coinvolsero l’intero pianeta ricoprendo, in contemporanea, per giorni e giorni, zone che non erano mai state raggiunte per così tanto tempo dall’acqua: molti libri religiosi, tutt’ora ricordano questa gigantesca alluvione.
Iafet e Sanico furono gli unici superstiti del viaggio della Nave Oltreoceano Esmeralda, in quanto, più forti di costituzione riuscirono a reggere alla traversata anche senza l’uso della magia: gli altri morirono sia per un ammutinamento sia perché non potevano usare magie nutritive.
Iafet scrisse del suo viaggio su di un libro che passò di generazione in generazione venendo pian piano idealizzato e divinizzato e di cui si perse quindi la storia originale.
Sanico riuscì a tornare in patria, narrò questo brano ai suoi figli che lo raccontarono ai loro figli e così via finchè tale storia divenne mito e fu ascoltata da uno dei filosofi della scuola d’Atene mutandosi da mito a leggenda.
Passarono gli anni, i secoli e i millenni: del continente di Ladad non si sentì più parlare se non con il nome di Atlantide e il mondo esterno progredì talmente tanto da poter sopperire alla magia con le forze naturali e i sentimenti.
Quello era un freddo giorno d’inverno e Paul Winson e Jack Sherman stavano facendo delle spedizioni subacque sul fondo dell’oceano Atlantico per delle ricerche petrolifere.
I due avevano sempre amato andare sott’acqua e si meravigliavano sempre di cosa potevano trovare e ammirare nelle profondità marine: pesci, alghe, scogli, canyon sottomarini, vecchi relitti di navi, tubi per il trasporto del greggio, strani sogni di sirene e così via.
Ma quel giorno trovarono una cosa che risvegliò strani ricordi a Winson, che amava andare nei vecchi musei della Grecia.
Sulla base petrolifera San Kennigton, a pranzo, Paul mostrò a tutti cosa aveva trovato nell’ultima spedizione: un’anfora d’estrema bellezza, color dell’avorio.
"WOW! E’ una figata. Ehm… che cos’è?" chiese Sherman.
Paul gli diede una manata e rispose: "E’ un’anfora antica no? Ho sempre desiderato averne una da quando ho visitato il museo delle anfore in Grecia."
"Tsk, è solo un vaso. Cosa vuoi che sia?" rispose Greta Mascelle, il capo di quella base.
"Comunque è ben chiuso. Hai qualche arnese per aprirlo?" chiese Sherman.
A domanda Greta rispose con una domanda: "Sai che giorno è oggi?"
"Il ventun dicembre duemiladodici?"
"Esatto! E domani bisogna consegnare l’intera catasta d’informazioni alla società petrolifera, quindi vediamo di muoverci!"
"Essia. Apriremo quest’anfora stasera!"
"A stasera."