Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Call it Maglc    08/08/2014    6 recensioni
Elsa non avrebbe mai dovuto fare la conoscenza del traditore nelle prigioni. Hans non avrebbe mai dovuto rivelare i segreti più oscuri della sua famiglia alla regina che aveva cercato di uccidere. Ma le aspettative esistono per essere infrante.
{ Hans/Elsa | Long fic | 101648 parole | Fire!Hans | Traduzione di Hiraeth | In revisione }
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna, Elsa, Hans, Kristoff
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Due



Erano le tre del pomeriggio e le tazze di tè erano disposte accanto a dei delicati piattini, su cui erano sistemati dei sandwich in miniatura. Il loro nuovo rito, il tè quotidiano, già acquistava un gusto di familiarità, ma Elsa non si ricordava come comportarsi per essere la compagna di chiacchiere ideale.

 Anna non esauriva mai gli argomenti di cui parlare. Era in grado di andare avanti per ore e ore, colmando i buchi di silenzio che lasciava Elsa. Non che quest’ultima trovasse sgradevole conversare con la sorella. Al contrario, a Elsa piaceva il fatto che Anna fosse una persona tanto loquace. Le dava l’occasione per conoscerla meglio, ora che i muri tra di loro erano stati abbattuti. E la regina era brava ad ascoltare, per cui le due erano un’accoppiata perfetta.

 Tuttavia, anche Anna quel giorno si limitò a dire solamente un: «Wow, oggi fa davvero caldo, eh? Certo che si suda», al quale Elsa annuì, posando un dito sulla superficie del suo tè e contemplando i cristalli che si formarono su essa.

 Volevano entrambe parlare di Hans, ma allo stesso tempo non lo volevano affatto. Quello che era certo, però, era che nessuna delle due desiderava essere la prima a tirare fuori la questione.

 Non sopportando il silenzio, fu Anna a buttarsi. «Che ne faremo di lui?»

 Elsa non sollevò lo sguardo dalla sua tazza. Non le dispiacevano le bevande calde, ma preferiva il tè ghiacciato perché era nella sua natura prediligere il freddo. Adesso, però, nemmeno quello l’attirava più di tanto.

 «Secondo Kristoff dovremmo rimandarlo a casa sua» proseguì Anna data l’assenza di una risposta da parte di Elsa. «Dice che forse però dovremmo prima avvisarli con una lettera. A ogni modo, insiste che Hans se ne vada il più presto possibile. Chi se lo aspettava che, tra tutti, sarebbe stato lui quello a preoccuparsi di più, eh?» Anna fece una risatina, arricciando la punta di una treccia intorno al dito.

 Elsa continuò a non dire niente e, anche se lo avrebbe voluto, non riuscì a sorridere.

 Anna lasciò stare i suoi capelli facendoli ricadere mollemente e tamburellò senza sosta un dito sul tavolo. «Alla… Alla fine hai scoperto il motivo per cui lui è qui?» chiese più sommessamente.

 Elsa sollevò il viso per incontrare gli occhi curiosi di sua sorella. Anna cercava di celare il proprio interesse, ma stava fallendo miseramente.

 «Non esattamente» replicò infine Elsa, piano. «Quando gli ho parlato… ho perso il controllo. Me ne sono andata prima che potessi scoprire qualcosa».

 «Tu stai bene?» domandò Anna, protendendosi sopra il tavolo. Elsa nascose istintivamente sotto di esso le mani nude che erano intorno alla tazza e incrociò le braccia.

 Le sorelle si bloccarono per un attimo e Anna si ritrasse. La sua espressione era imbarazzata, quasi in colpa. «Scusami. Mi ero dimenticata di quanto fossi… delicata».

 Elsa si esaminò le mani e si morsicò l’interno delle labbra. «No, non ti scusare. Io… dovrei abituarmi a essere toccata».

 Appoggiò di nuovo le mani sul tavolo, anche se questa volta Anna non provò a stringergliene una. Elsa non sapeva se sentirsi sollevata o triste. Sperò che Anna non si accorgesse del tremolio delle sue dita.

 «Però ho saputo che vuole una nave». Elsa provò a tornare all’argomento precedente. «Ha promesso che, se gliene diamo una, non lo rivedremo mai più».

 «E tu gli hai detto di no?» chiese Anna, le guance gonfie di sandwich, disseminando briciole per tutto il tavolo.

 «Perché mai gliel’avrei accordata?» le domandò Elsa, sollevando la tazza per sorseggiare il tè e scoprendolo congelato. «Non ho motivo per fidarmi o per accogliere una sua richiesta. Dalla sua bocca non escono altro che menzogne».

 Anna annuì mentre masticava, guardando fuori dalla finestra del salotto. «Ingvalda ha detto che il commercio delle Isole del Sud probabilmente sarà in crisi per un po’. Ma è anche preoccupata per le finanze di Arendelle. Ha detto che, dopo che abbiamo tagliato i ponti con Weselton e le Isole del Sud, calerà qualcosa che c’entra con le esportazioni e le importazioni. Non sono sicura di cosa intendesse, ma era molto agitata».

 Elsa si chiese se questo non si trattasse di un altro dei suoi gesti egoistici. Non solo aveva cessato gli scambi con uno dei suoi maggiori alleati commerciali, aveva chiuso i rapporti con uno dei regni più potenti. Difatti, Elsa aveva avuto familiarità con le Isole del Sud prima ancora che Hans entrasse nelle loro vite. Le radici dell’influenza di quella nazione avevano ormai raggiunto territori vastissimi, dato che alcuni dei suoi principi avevano sposato le principesse o le nobildonne di paesi stranieri. Qualunque fosse il protocollo insegnato a loro per trovare un posto in cui vivere una volta lontani da casa, Hans probabilmente aveva saltato quella lezione.

 La mano di Anna tornò a giocherellare con una treccia, attorcigliandola e tirandola lievemente quando il dito raggiunse la punta. Era mezzogiorno e lei fissava il paesaggio fuori dalla finestra di quella calda giornata d’estate. Il sole splendeva talmente grande e luminoso nel cielo che Elsa quasi si sentiva male. Il calore la dava sempre l’impressione di essere sul punto di sciogliersi, mentre invece Anna non si stancava mai del bagliore della luce.

 «Esci» le suggerì Elsa. «Distraiti un po’».

 Anna staccò lo sguardo dalla finestra come se fosse stata colta con le mani nel sacco a fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare. «No, no, sto bene. Non mi dispiace—»

 «Anna» la interruppe Elsa con risolutezza, inclinando leggermente la testa in direzione della sorella. «Hai l’aria di un prigioniero in attesa della propria sentenza di morte. Va’ pure a divertirti».

 La ragazza guardò nuovamente fuori dalla finestra, smaniosa di uscire, ma restò comunque esitante. «Non voglio lasciarti qui da sola. So quanto non ti piace il sole e poi siamo nel bel mezzo del nostro tè e io—»

 «Trova Kristoff, digli di portare Sven e poi fatevi una cavalcata insieme. Ordini della regina» comandò Elsa, un sorriso che finalmente spuntò sulle sue labbra.

 Come se, invece delle parole della sorella, fosse stato quello a darle l’autorizzazione di congedarsi, Anna sorrise radiosa, le guance già rosee che si arrossarono ulteriormente. Saltò giù dalla sedia e per poco non fece cadere la propria tazza per la fretta.

 «Grazie, Elsa!» replicò balzando e tendendo le mani in fuori, ma davanti a Elsa si bloccò a metà, le braccia stese in un abbraccio troncato. «Oh, io, uhm… Posso… Ti va bene se…?»

 Elsa sorrise di nuovo. «Ci abbracciamo?»

 Anna si morse il labbro e scrollò le spalle. «Be’, se insisti tanto. L’hai proposto tu, non io». Ma si lanciò su Elsa e la cinse in uno stretto abbraccio che Elsa trovò in parte soffocante, ma soprattutto confortevole.

 Anna sembrava essere l’unica persona al mondo che la faceva sorridere o stare a suo agio. Era da sempre la cosa più importante della sua vita, ma adesso che lei la conosceva per ciò che era e, nonostante questo, era comunque disposta a soffocarla in abbracci come appunto aveva appena fatto, Elsa finalmente sapeva di avere un cuore per davvero, perché se lo sentiva traboccante di amore.

 Tutt’a un tratto, Anna si staccò e la salutò, esclamando: «Ciao! E grazie ancora!» e uscendo dalla stanza.

 Il salotto divenne molto più tetro quando il suo raggio di sole, Anna, andò a brillare altrove. Elsa rimase sola nel soggiorno caldo e afoso con un ghiacciolo al gusto di tè.

 Si alzò dalla sedia e vagò senza meta per la stanza, cercando di svuotare la mente. Rifletté che sarebbe stato bello non avere nulla che le passasse per la testa; solo futili fantasie. Sfortunatamente, però, nemmeno la regina poteva permettersi lussi del genere.

 I suoi piedi si fermarono di fronte al camino. Non era accesso e non vi era nemmeno la legna da ardere. Pensare al fuoco le fece venire la pelle d’oca: l’ultima cosa che voleva era che facesse più caldo. Senza riflettere, distese un braccio in avanti e rilasciò un getto di ghiaccio, che si espanse fino a riempire tutta la canna fumaria di pietra. Guardò i fiocchi di neve che cascavano dalla sommità fino alla base del camino come cenere bianca. Vederli cadere la fece sentire istantaneamente meglio.

 Oltre ad Anna, dopo che tutti ebbero scoperto che lei era la regina delle nevi, Elsa aveva ottenuto un’altra cosa ancora, e cioè era riuscita a provare amore per i suoi poteri. Potevano essere pericolosi, incontrollabili e un rischio per tutti coloro che le erano cari; ma erano bellissimi lo stesso. Erano capaci di costruire castelli di ghiaccio, far cadere la neve a luglio e, addirittura, generare delle vite, grazie all’amore e alla felicità che lei impiegava nelle sue creazioni.

 Girò i palmi in alto e si fissò le mani. Aveva visto i suoi poteri come una maledizione sin da quando aveva cominciato a nasconderli. Ma adesso, dopo tutti quegli anni, sentiva di aver sbagliato. Come il troll aveva detto tempo prima, c’era bellezza nel suo dono, ma dentro di esso si nascondeva anche un grande pericolo. Se avesse imparato a controllarlo, sarebbe stata in grado di creare chissà quali meraviglie che altri avrebbero potuto solo sognare.

 Si voltò dal camino, nel quale aveva smesso di nevicare, e osservò il salotto torrido. Stendendo le braccia, Elsa fece zampillare neve e ghiaccio dalla punta delle dita. Un flusso di aria gelida le scompigliò un po’ i capelli, ma non le importò. Dei cristalli di ghiaccio e dei delicati fiocchi di neve caddero dal soffitto e iniziarono a ricoprire il tè e i sandwich.

 Tutto questo intontì Elsa. Trascorrere il tempo con Anna per rimediare agli anni persi era senza prezzo, ma quei momenti da sola erano come una boccata d’aria fresca. Quei momenti da sola volevano dire che le era permesso far nevicare nel soggiorno e allestire uno spettacolo per il suo godimento personale.

 Assistere alla neve che cadeva sui suoi capelli e sui suoi vestiti la fece sentire più calma, più in controllo di se stessa. Aveva creato una piccola tempesta e le sue mani l’avevano tenuta sotto controllo. Niente nevischi o mulinelli di aria polare, né gelidi apocalissi. Solo una regina e il lavoro che aveva prodotto con le sue mani.

 Anche se solo per pochi attimi, quel potere la fece sentire indistruttibile. Niente poteva ferirla, nessuno era più potente di lei, era la padrona di tutto. Sotto questa impressione, la regina delle nevi decise che, piuttosto che passare dell’altro tempo in confortevole solitudine, avrebbe fatto visita al prigioniero una seconda volta. Adesso che era forte, avrebbe retto ogni cattiveria che lui le avrebbe sibilato contro. E se l’avesse messa a disagio anche solo per un secondo, le sue mani prive di guanti gli avrebbero congelato le labbra. E poi dopotutto Anna aveva ancora delle domande irrisolte, Elsa lo vedeva negli occhi della sorella. E se Anna era felice, anche Elsa lo era, non importava quanto dolore avrebbe affrontato per raggiungere quella felicità.

 Per cui la regina Elsa abbandonò la sua oasi invernale e si lasciò dietro i guanti, dirigendosi nelle prigioni alla ricerca di una spiegazione che Anna non aveva ancora ricevuto.




Una volta arrivata nelle profondità delle prigioni, il coraggio che Elsa aveva provato in salotto sembrava come essersi sciolto improvvisamente.

 I corridoi erano più bui rispetto al resto del castello e continuava a fare caldissimo, anche se non tanto quanto il giorno prima; il che era strano, dato che la temperatura esterna non era ugualmente rovente. Le pareti di pietra, insieme alle solide porte di legno, impedivano la fuga ai pochi carcerati presenti.

 Elsa indossava una vestaglia dalle maniche che le arrivavano giusto sotto il gomito e con una scollatura bassa abbastanza per non essere soffocante. Stava cominciando a chiedersi se, nonostante tutto, avrebbe dovuto portare i guanti. A ogni passo che compiva, metteva in dubbio le ragioni che la spingevano a recarsi lì una seconda volta. Era ovvio che non sarebbe riuscita a ottenere delle spiegazioni da lui senza crollare emotivamente in qualche modo.

Se solo fossi più forte la rimproverò la sua vocina interiore. Se solo non perdessi la testa e cadessi a pezzi alla minima provocazione.

 «Basta» borbottò a se stessa, i pugni che si strinsero mentre dietro di lei tracciava una sottile scia di ghiaccio. «È tutto sotto controllo. Io sono forte. Sono la regina di Arendelle e quest’uomo mi dirà perché si trova qui e perché ha bisogno di una nave».

 Neanche un momento dopo, alla sua vista apparve la cella e, davanti a essa, stavano le due guardie addette alla sorveglianza. Annunciò a loro che desiderava rimanere da sola con il prigioniero per un paio di minuti. Le guardie la guardarono diffidenti: era ovvio che avessero sentito le chiacchiere su quanto era successo il giorno prima, i solidi blocchi di ghiaccio che le avevano ricoperto le mani. Ma nessuno dei due aveva intenzione di essere la persona che diceva di no alla regina, e la lasciarono passare.

 In confronto al resto delle prigioni, la temperatura in quella cella era ben superiore, proprio come prima, anche se era comunque tollerabile se paragonata alla calura torrida del giorno precedente. Prima o poi Elsa avrebbe convocato degli esperti per scoprire la causa del caldo intenso in tutto il castello.

 Hans fissava il paesaggio fuori dalla finestra e si voltò soltanto quando la porta si chiuse dietro di loro.

 Aveva lo stesso aspetto malandato di ieri e le sue braccia incrociate avevano le maniche rimboccate. Le sue sopracciglia si sollevarono in segno di interesse, che si tramutò in sorpresa quando vide che il suo visitatore era di nuovo la regina.

 Elsa avanzò alcuni passi all’interno della piccola stanza. Vederlo di nuovo le ricordò l’incontro disastroso del giorno prima. No, questa volta non avrebbe perso la calma. Hans si irrigidì ed Elsa si mise a canticchiare mentalmente che era lei la padrona della situazione.

 «Regina Elsa?» chiese Hans, sciogliendo le braccia incrociate. «Avete forse cambiato idea sulla mia nave?»

 «Forse no» rispose Elsa. Tuttavia, i suoi occhi rimasero puntati sulle mani di lui. O meglio, le sue mani inguantate. Le maniche erano state senza dubbio rimboccate per rinfrescare le braccia, ma Elsa era dell’opinione che con i guanti addosso il prigioniero avrebbe sofferto maggiormente il caldo…

 Poteva darsi che Hans si fosse accorto del fatto che lei lo stava fissando. A ogni modo, si mise le mani dietro la schiena, senza dare a Elsa altra scelta che guardare qualche altra parte. Lei optò per il viso.

 «A cosa devo l’onore?» domandò Hans, le sopracciglia tornate risolutamente al loro posto dopo la sorpresa iniziale. «Credevo di aver allontanato la regina, dopo che l’ho indotta a congelare le proprie mani».

 Le dita di Elsa formicolarono al ricordo, dei piccoli frammenti di ghiaccio che si formarono, ma non fu niente che non potesse gestire.

 «Avete creduto male» ribatté lei altezzosamente. «Per vostra sfortuna, l’amore che provo per mia sorella supera il disprezzo che nutro nei vostri confronti. Non ho ancora ricevuto una spiegazione».

 «Una spiegazione?» chiese l’altro, un sopracciglio che si sollevò di nuovo.

 «Diverse spiegazioni, in realtà. Voglio sapere perché siete qui e perché avete bisogno di una nave. La verità, avete capito? In passato le vostre bugie avranno anche funzionato, ma adesso non siete più il reggente delegato dalla principessa. Siete un uomo miserabile rinchiuso in prigione».

 Hans le lanciò un’occhiata obliqua, come se stesse cercando di trovare un secondo significato nelle parole di Elsa.

 «E se non dicessi la verità?» domandò dopo un momento.

 «Lo saprò» mentì Elsa. Sollevò le mani e creò una sottile nebbia di neve nell’aria. «E questa volta non ci saranno i guanti a fermarmi».

 Hans fissò i fiocchi di neve che cadevano a terra, ricevendone alcuni sulla giacca come se i fiocchi stessero tentando disperatamente di farla tornare al suo originario colore bianco, ma si sciolsero (quello che Elsa aveva sentito era uno sfrigolio?) non appena vennero in contatto con lui. Dopo che passò diversi secondi a osservarli, Hans… sorrise. Le sue labbra si curvarono all’insù in una maniera non del tutto innocente, ma nemmeno colpevole.

 «Di fronte al rischio di un’altra bufera di neve, ho deciso di darvi qualche delucidazione. Anche se alcune le troverete difficili da credere» rispose, prendendo posto sulla sua brandina.

 Ma poi tacque fin troppo a lungo. Elsa stava a testa alta, l’immagine esatta dell’autocontrollo e del potere, mentre in realtà a ogni secondo trascorso in silenzio si innervosiva sempre più. Hans invece non si muoveva affatto. Esaminava i suoi stivali da un pezzo, senza dare indizio di essere sul punto di parlare. Elsa non lo sopportava più.

 «Quando siete pronto» disse freddamente.

 Lui finalmente mostrò segni di vita, sollevando leggermente la testa così che i suoi occhi potessero incontrare quelli di lei.

 «Voi siete una primogenita» enunciò. «Sin dalla vostra nascita, sul vostro nome è stata posata una corona. Siete sempre stata educata a comportarvi come una regina perché un giorno assumeste la carica al trono».

 Elsa batté le palpebre, perdendo quell’implicita gara di sguardo fisso. «Scusatemi, ma cos’ha a che fare questo con il furto di una nave?»

 «Se foste così cortese, Vostra Maestà» continuò Hans, gli occhi che non lasciarono mai i suoi. «Ma penso che voi non possiate capire quello che ho passato».

 Dentro Elsa cominciò a nascere qualcosa. Cos’era? Non era rabbia, né shock. No, era qualcosa che la spingeva a controbattere alla sfida che le era stata lanciata.

 «State forse insinuando che la vostra vita è stata in qualche modo peggiore della mia?» chiese, avvertendo un raffreddarsi delle dita.

 «Sì» replicò Hans schiettamente. La semplicità di quell’affermazione la colpì talmente che desiderò gettarsi in un’invettiva sulla sua vita, su come aveva cercato di celare e non provare niente, su come aveva vissuto ogni momento di ogni giorno e di ogni notte nella paura e nel dubbio costante.

 Ma non lo fece. Quella provocazione non le sortì lo stesso effetto che avrebbe potuto ottenere con Anna. Elsa scrutò quegli occhi verdi impassibili e vi riconobbe un’emozione simile alla supplica.

 «Va bene» concesse. «Continuate. Non crederò alla vostra presunta vita travagliata, a meno che non ne abbiate le prove».

 Lui inclinò la testa, solo leggermente. Una metà della sua bocca venne attraversata da un sorriso, che fece risaltare una basetta trascurata. Hans si piegò in avanti, i gomiti sulle ginocchia e il mento in alto.

 «Immaginate di essere Anna» iniziò. «La bambina più piccola che guardava sua sorella maggiore vivere una vita in cui le veniva sempre detto che un giorno sarebbe diventata una grande regina, in cui le veniva insegnato tutto ciò che un monarca dovrebbe sapere per essere giusto e imparziale. Ora, immaginate che ci fossero dodici Elsa e solo una piccola Anna. Una piccola Anna che non sarebbe mai salita al trono perché a lei sarebbe toccata solamente una corona più piccola e meno importante, che sarebbe stata sempre meno speciale della sorella maggiore. Destinata a essere un avanzo».

 Elsa cominciò a sentirsi un po’ ansiosa, le parole di Hans che dipingevano una piccola, triste e indifesa Anna; ma poi riuscì a frenare l’immaginazione. Si aiutò con un pizzicotto superficiale alla mano. Anna non era in pericolo. Anna non la detestava.

 «Io ero Anna» disse Hans, la voce profonda che rimbombava lievemente. «Sono il tredicesimogenito della famiglia reale delle Isole del Sud. Al momento del mio arrivo, tutti avevano già fatto questo e quello e il mio fratello più anziano si era anche sposato. Piuttosto sarebbe stato strano se la mia nascita fosse stata celebrata.

 «Mia madre era la regina e lo è tutt’ora. Era… occupata. È sempre stata una persona occupata. Era tutto un trafficare tra documenti e incontri e firme, e curarsi dell’ennesimo bimbo maschio non era una sua priorità. Inoltre, il tredici non è ritenuto un numero molto fortunato. Per lungo tempo, lo sfortunato tredicesimo non è stato voluto da nessuno».

 Elsa ascoltava, aspettandosi di non provare niente per la storia strappalacrime di un assassino mancato, ma avvertendo comunque una fitta di empatia. Non era stato l’unico ad avere come genitore un sovrano distante.

 «Per la maggior parte della mia infanzia, fui affidato alle cure dei miei fratelli. Ovviamente mi accudirono finché non imparai a parlare e a camminare. E poi diventai un passatempo. Tutti piombano su una preda facile. Il tredicesimo bambino, l’errore che rovina il perfetto equilibrio di dodici figli.

 «E poi naturalmente mi sfruttarono. Mi svendettero come se fossi il buffone di corte, finché il solo membro della mia famiglia a cui importavo era mio padre, che insisteva a—» Hans si fermò di colpo, i suoi occhi verdi che si dilatarono come se avesse guardato direttamente il sole.

 «Insisteva a cosa?» lo invitò a proseguire Elsa.

 «Che… che… Non è rilevante» liquidò lui frettolosamente, incuriosendola più che mai.

 Hans prese un respiro profondo, espirando talmente a lungo da darle l’impressione che fossero trascorsi secoli. «Ho solo bisogno di una nave. Una nave che mi permetta di andarmene da qui. Specialmente dalle Isole del Sud. Non posso tornarci. Non dopo aver vissuto con loro per anni, passando la mia vita intrappolato in quella gabbia di isole. Diventerò re da qualche altra parte. Un re di cui il popolo si fiderà e che possiederà un potere assoluto».

 Il pugno di Hans si strinse ed Elsa udì il rumore dello strappo del guanto di pelle. Lui smise di parlare e lei diede per scontato che avesse finito il racconto, il quale aveva sollevato degli interrogativi ma era riuscito con successo a non rispondere a niente.

 «Come avete fatto a tornare qui?» domandò.

 «Sono scappato dalla nave» replicò Hans.

 «E allora perché non avete mai attraccato alla Catena dell’Ovest o alle Isole del Sud?»

 «Non posso dirlo».

 «State mentendo?»

 «Più che altro, omettendo la verità».

 Elsa assottigliò gli occhi, strizzandoli come se i segreti di Hans sarebbero saltati fuori se lei lo avesse fissato abbastanza.

 «Mi chiedete di fidarvi di voi e darvi una nave e tuttavia tralasciate ancora la verità» disse. Aveva sentito abbastanza da poter fare 2+2 e raccontare tutto ad Anna. Non sopportava più di stare in quella stanza.

 «Considererete la mia richiesta?» chiese lui quando Elsa si alzò dalla sua sedia.

 Lei si fermò, ritrovandosi così in una situazione che faceva eco a quella del giorno prima. «No, ma grazie comunque per la magra spiegazione del perché siete qui. La principessa adorerà sentirla».

 Prima che Elsa lasciasse la cella, si voltò ancora una volta sola verso Hans, che aveva le sopracciglia talmente aggrottate da non far intravedere gli occhi verdi imperturbabili. La sua rabbia controbilanciava l’ultimo commento fatto da Elsa, ma lei proseguì comunque.

 «Il vostro paragone con Anna non funziona» rimbeccò, una mano alla porta. «Solo uno dei vostri fratelli salirà al trono. Non siete l’unico destinato a rimanere un avanzo».

 Lui ringhiò ed Elsa poté giurare di aver visto del fumo. Apparentemente soffriva di allucinazioni a causa del caldo. «Ve l’ho detto, non mi capireste mai».

 Decise di non volergli dare più corda e tornò alla ventata d’aria fresca del corridoio.

 Ringraziò le guardie, adesso più sicura di sé di quanto non lo fosse stata il giorno prima. Le sue mani nude non avevano fatto niente eccetto che aggiungere uno strato sottile di ghiaccio sulla sua pelle. Le parole di Hans non l’avevano toccata minimamente e, anzi, avevano ferito lui stesso. La sua storia era stata interessante, certo, ma non aveva fatto cambiare idea ad Elsa riguardo alla nave. Esistevano splendide persone che risolvevano i loro problemi senza uccidere, rubare e manipolare. Niente di quello che diceva poteva giustificarlo.

 Mentre il suono dei suoi passi rimbombava per i corridoi, Elsa decise che avrebbe raccontato la storia di Hans ad Anna e che poi avrebbe affidato il destino del prigioniero a lei e a Ingvalda. Di certo l’idea di giustizia di Anna avrebbe avuto un sapore più dolce rispetto alla visione che Elsa aveva di essa. Inoltre, preferiva non dovergli prestare altra attenzione.

 La regina Elsa non aveva più intenzione di rivedere Hans.

 Era un’intenzione che, ovviamente, non fu mai rispettata.

   
 
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