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Autore: Tigre Rossa    11/08/2014    2 recensioni
" “Leonardo!” gridò Raffaello, sconvolto, sollevandolo da terra e dal suo stesso sangue “Leo, Leo!”.
Leonardo posò lo sguardo, già molto lontano ed oscurato, sul volto del fratello e alzò con difficoltà e dolore la zampa destra per accarezzargli la guancia.
“Ra-raffaello . . .” sussurrò con le ultime forze che gli erano rimaste “. . . prendi gli altri e scappa . . . occupati della nostra famiglia e . . . e abbi cura di Yakumo e Yamiko anche . . . anche per me . . . io . . . io . . .”
L’ultimo respiro gli sfuggi tra le labbra prima che potesse terminare la frase e la sua zampa e cadde inerme nella pozza di sangue.
Gli occhi ramati non stavano più guardando quelli dorati e tremanti di Raffaello.
Né l’avrebbero più fatto.
. . .
Raffaello doveva essere forte, più forte della sofferenza e del dolore.
Doveva esserlo per suo padre, distrutto dal dolore e dalla vecchiaia, per i suoi fratelli, mutilati nel corpo e nello spirito, e per Yakumo e Yamiko, i figli di suo fratello, ancora feriti nel profondo per la sua morte.
Doveva esserlo per la sua famiglia, la sua amata famiglia, così terribilmente fragile e debole, più fragile e debole di quanto si sentisse lui stesso.
Doveva farlo."
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Karai, Nuovo personaggio, Raphael Hamato/ Raffaello, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Preoccupazioni

 
 
 
 

 
Raffaello, dopo essersi sciacquato il volto per tentar di togliersi dalla mente gli ultimi frammenti del suo incubo, si guardò per un attimo allo specchio.
 
Attraverso la fredda superficie riflettente, una grossa e muscolosa tartaruga mutante lo fissava con aria ostile.
Mille e una cicatrici, alcune vecchie e sbiadite, altre più recenti, alcune piccole e sottili, altre grosse e terribilmente visibili, attraversavano la sua pelle verde smeraldo.
Addosso aveva solamente da una cintura ed da una serie di fasce che avvolgevano zampe e piedi alla maniera della lotta libera.
Due fedeli Sai, ormai datati ma ben affilati, lucidi e letali, erano infilati nei lati della sua cintura ed una vecchia maschera rossa, sbiadita e rovinata in più punti, incorniciava un paio di occhi dorati, simili a quelli di una vecchia tigre, occhi stanchi eppure forti, occhi spezzati eppure dignitosi, occhi da vecchio e allo stesso tempo da padre.
 
Il ninja sospirò.
 
Come era diverso dal giovane quindicenne testardo ed attaccabrighe che esplorava il mondo insieme ai suoi tre fratelli, convinto sul serio di poter fare la differenza, o dal ragazzo che aveva accusato il fratello maggiore, diventato padre ad appena diciotto anni, di avere tradito la loro famiglia, oppure dalla tartaruga sconvolta ed in lacrime che scuoteva disperatamente il fratello morto tra le sue braccia, incapace di accettare la realtà.
 
A quei tempi non si sarebbe mai aspettato di diventare così, di fuori forte ed irremovibile, un vero ninja e un vero capo, ma dentro rotto, spezzato, senza più alcuna forza.
No, non avrebbe mai creduto di diventare così.
 
Beh, dopotutto non aveva mai nemmeno immaginato di diventare zio, di perdere la persona a lui più cara e di ritrovarsi con l’intero peso di una famiglia sulle sue spalle.
Ma era successo.
Ed a lui non restava che andare avanti, nonostante se stesso e tutto il resto.
Perché era quello che doveva fare.
Era il suo compito, e lui lo doveva portare a termine.
Tutto qua.
 
 
Cercando di scacciare quei cupi pensieri, Raffaello si stiracchiò, uscì dal piccolo bagno e si affacciò al salone, il locale più grande della casa dove lui ed il resto della sua famiglia abitavano ormai da quindici anni.
 
Situata sotto una biblioteca abbandonata, la ‘nuova’ dimora era molto simile alla tana doveva avevano vissuto subito dopo l’attacco degli AcchiappaTopi di Stockman, solo che era molto più piccola e con meno camere, e Donatello l’aveva trasformata in una vera e propria fortezza inaccessibile.
Visto la mancanza di spazio, il salone era diventato nello stesso tempo soggiorno, laboratorio e dojo e le quattro tartarughe avevano dovuto condividere le camere: Michelangelo infatti dormiva con Donatello, mentre in passato Raffaello aveva diviso la sua camera con Leonardo.
 
La tartaruga con la maschera rossa si guardò attorno, osservando il grande e silenzioso soggiorno completamente vuoto.
O meglio, quasi completamente vuoto.
 
Nell’angolo destro della stanza, infatti, di fronte ad un piccolo altare costruito in memoria di Leonardo, stava seduta una giovane tartaruga.
 
Raffaello sorrise con amarezza e scosse lentamente la testa.
Avrei dovuto immaginarlo pensò, e poi si avvicinò senza far rumore al maggiore dei suoi nipoti e gli si sedette accanto, guardandolo con tenerezza.
Era molto esile, ma muscoloso e forte, soprattutto considerato che aveva solo quindici anni, e la sua pelle era di un tenero verde muschio.
I suoi occhi, ramati e profondi come quelli del padre, erano fissi sulla foto posta al centro dell’altarino ed erano incorniciati da una maschera color blu notte. Le sue zampe, dotate di cinque dita, erano posizionate come durante la meditazione, ed accanto a lui era poggiata la sua katana Takumi.
Dio, gli assomiglia così tanto. . . la stretta attorno al cuore di Raffaello si rafforzò dolorosamente, ma lui cercò di ignorarla, per quanto fosse difficile.
 
 “Mattiniero come al solito, Yakumo?”.
L’interpellato non mosse neanche lo sguardo verso di lui “Non riuscivo a dormire.” si giustificò “E comunque, anche gli altri sono svegli. Zio Mich e zio Don stanno preparando la colazione per tutti e il nonno è in camera sua a bere un tè.”.
 “Quando ti sei alzato?”.
Il ninja più giovane si strinse nelle spalle “Un paio d’ore, credo. O forse tre. Non lo so con certezza.”.
Raffaello sospirò “Da quand’è che non ti fai otto ore filate di sonno?”.
“Dormo a sufficienza, stai tranquillo.”
“Certo, e io ti credo.”
“Dai, zio! Sto bene!”
“Sul serio, pulce. Non devi dormire così poco. Non ti fa bene, e lo sai.” lo rimproverò Raffaello.
“Sul serio, zio. Non devi preoccuparti così tanto.” ribatté il giovane, voltandosi verso di lui “Non ti fa bene, e lo sai.”.
 
Se fosse stato qualcun altro a rispondergli in quel modo, Yamiko magari, l’avrebbe punito molto ma molto duramente. Ma si trattava di Yakumo, ed a lui Raffaello perdonava quasi tutto.
Tra loro c’era sempre stato un legame speciale, fin da quando l’aveva stretto tra le braccia per la prima volta. Voleva molto bene anche al suo nipote più giovane, sia ben chiaro, ma quello che lo legava a Yakumo era qualcosa di unico.
Per lui, quel ragazzino dall’animo gentile e dagli occhi caldi era una delle poche ragioni per cui continuava ad andare avanti ed ad essere forte. Bastava un suo sorriso per farlo sentire l’essere più fortunato della terra e un suo sguardo di biasimo per farlo sentire il più terribile dei traditori.
Sarebbe morto per lui.
 
 “Uh, stai passando troppo tempo con Sharon, a giudicare dalla tua linguaccia lunga.” commentò ironico, limitandosi a lanciargli uno sguardo di rimprovero “A proposito, oggi non dovrebbe venire? è sabato, se non sbaglio.”.
Gli occhi ramati di Yakumo si illuminarono, come ogni volta che parlava di Sharon, del resto “Si, dovrebbe essere qui a momenti.” rispose sorridendo.
 
Proprio in quel momento la porta del salone si spalancò con un tonfo e qualcosa di incredibilmente simile ad un piccolo uragano entrò.
Non si trattava di un vero e proprio uragano, anche se ne aveva tutta l’energia, bensì di un ragazza di quindici anni con una lunga treccia color delle fiamme e con due frammenti di cielo al posto degli occhi.
Indossava un vecchio jeans e una semplice maglietta verde e al collo portava un ciondolo in agata, rappresentante lo Yin e lo Yang. Dalla spalla destra pendeva un zaino militare che probabilmente aveva visto giorni migliori e al fianco destro era legata la sua fedele Ninjato*, Yuuki.
 
Non appena la ragazza vide le due tartarughe le raggiunse di corsa con un grande sorriso.
“Yakumo!” esclamò felice, abbracciando il ninja più giovane, per poi buttarsi a terra accanto a lui, togliersi dalle spalle il grosso zaino militare ed iniziare a frugarci dentro “Devi vedere che cosa ti ho portato, davvero, sono certa che ti piacerà da morire! Ci ho messo tantissimo a trovarlo e finalmente ci sono riuscita! Ho dovuto fare un milione di ricerche, ma.  . .”.
“Buon giorno anche a te, Sharon.” le fece in modo ironico Raffaello, alzandosi e scuotendo lentamente la testa. Le buone maniere non erano mai state una sua caratteristica. Ma, dopotutto, cosa altro poteva aspettarsi dalla figlia di Casey Jones? “Non badare a me, eh, fai pure come se non esistessi!”.
Sharon  alzò appena la testa e lo guardò con i suoi occhi azzurrissimi “Non c’è bisogno che me lo ricordi, zio, lo faccio già di mio!” gli rispose tranquillamente, facendo ridacchiare Yakumo.
Il ninja dei Sai sbruffò “Vedremo se nel Dojo sarai così arrogante, ragazzina.” disse con aria severa, per poi dirigersi verso la camera del maestro Splinter per organizzare con lui gli allenamenti mattutini.
 
Da quando Leonardo era morto, infatti, era lui ad affiancare il maestro nell’addestramento quotidiano di Yakumo, Yamiko e Sharon. A dire il vero, la salute dell’anziano topo era peggiorata enormemente nell’ultimo periodo e così il rosso spesso si ritrovava da solo a dirigere sia gli allenamenti dei ragazzi sia quelli dei suoi fratelli.
E questo non faceva che aumentare le sue responsabilità e la sua frustrazione.
 
“Ah, ecco, l’ho trovato!” esclamò la ragazza, tirando fuori dallo zaino un grosso volume dall’aria vissuta scritto in giapponese “Un’antichissima raccolta di tutti gli haiku** più belli di Matsuo Basho!” disse orgogliosamente, porgendo il libro alla tartaruga.
“Uau!” Yakumo prese il libro tra le zampe, stupito. Adorava la poesia giapponese, come lei, del resto “Come hai fatto a trovarla?”.
“Segreto!” rispose Sharon facendogli l’occhiolino “Ti piace?”.
Il ninja strinse il volume al cuore “Tantissimo.” rispose con un sorriso.
Anche Sharon gli sorrise, per poi voltarsi e guardarsi attorno “Gli altri sono ancora a letto?” chiese contrariata.
La tartaruga dagli occhi ramati scosse al testa “Zio Mich e zio Don sono in cucina, mentre il sensei sta bevendo il tè.”.
“Yamiko si è già alzato?”
 “Stai scherzando? A quest’ora non lo sveglierebbero nemmeno delle cannonate.”.
 
A quelle parole negli occhi color del cielo della ragazza brillò una luce maliziosa, una luce di cui il ninja conosceva fin troppo bene il significato.
Guai.
Tanti, ma tanti guai.
 
“E una bella doccia gelata, invece?” domandò con un sorrisetto Sharon.
 
Come volersi dimostrare.
 
“Prova, se hai voglia di morire in modo prematuro e molto, molto doloroso.” rispose Yakumo, alzandosi e stiracchiandosi. “Ma io non ho alcuna intenzione di condividere la tua sorte.”
“Come sei esagerato!” sbruffò la rossa “Dai, Yamiko non è poi così tremendo!”.
“Ah si? Te lo ricorderò quando verrò a trovarti in ospedale.” ribatté il ragazzo, prendendo la sua katana e legandosela al fianco destro.
“Uffa, quanto sei noioso!” si lamentò Sharon, alzandosi a sua volta “Beh, io lo faccio, con te o senza di te!”.
“Buona fortuna, allora.” le disse l’altro “Se fossi in te, però, subito dopo partirei per qualche terra lontana, tipo il Polo Nord o la Foresta Nera . . .”.
“Conoscendo Yamiko, sarebbe più sicuro nasconderti sulla Luna, Sharon” obbiettò una voce divertita dietro di loro “Anche se credo che riuscirebbe a raggiungerti lo stesso.”
I due adolescenti si voltarono verso la grande tartaruga con la maschera arancione che li aveva appena raggiunti.
 
Michelangelo indossava un vecchio grembiule tutto consumato, reggeva un grande vassoio con sopra ogni ben di Dio e gli sorrideva, mentre i suoi occhi ciechi vagavano nel nulla.
Erano anni che,  dopo quella maledetta esplosione, aveva perso la capacità di vedere, e, per quanto ciò lo facesse soffrire, ormai si era rassegnato e si affidava in tutto e per tutto agli altri sensi rimasti per continuare ad andare avanti.
“Ciao, zio Mich!” esclamò la ragazza, abbracciandolo e dandogli un veloce bacio sulla guancia. “Mmm, tu e zio Don avete fatto faville in cucina! Senti che odorino! Posso rubare una ciambella?”.
La tartaruga rise “Forse ti conviene restare a stomaco vuoto, visto ti toccherà scappare. Rifugiati pure in camera mia e di zio Don, se vuoi. E chiuditi a chiave. Yamiko è identico a zio Raph: se ti prende sei finita. Tanto, tanto finita. Ma dovresti saperlo, in fondo.”.
“Lo sa fin troppo bene.” intervenne Yakumo “Ma, anche dopo quindici anni e passa di scherzi, non ha ancora imparato a lasciarlo stare. Un giorno ti farà finire al cimitero se continui così.”
“Ma no!” ribatté Sharon, sorridendo “Yamiko fa tanto il duro, ma alla fine non mi farebbe mai del male! Sono troppo carina e coccolosa!”.
“Ceeerto.” fece il ninja con la maschera blu, scuotendo la testa “Carina e coccolosa come un cucciolo di piranha!”.
La rossa gli fece la linguaccia “Visto che qualcuno non ha intenzione di darmi una mano, vedrò di cavarmela da sola.” e così dicendo corse in cucina sotto lo sguardo divertito della tartaruga più giovane.
 
“Buongiorno, zio Don! Posso prendere il secchio e un po’ d’acqua?” gridò Sharon, entrando nella piccola cucina di corsa.
La tartaruga con la maschera viola si voltò verso di lei e le sorrise. “Ciao, Sharon. Sei bella vispa già di prima mattina, eh?” disse con dolcezza, sistemandosi i suoi occhialini da ‘strizzacervelli’, come li chiamava la ragazza, con la zampa robotica.
Anni fa, infatti, nella stessa esplosione che aveva sottratto la vista al più giovane dei quattro fratelli, lui aveva perso la zampa destra, ed era stato molto fortunato a non rimetterci anche al vita.
Per sostituire l’arto, comunque, aveva costruito con l’aiuto di April una zampa artificiale che reagiva agli impulsi nervosi del suo cervello e che funzionava come un vero arto, anzi, quasi meglio.
“Io sono sempre bella pimpante! Cioè, tranne quando è il mio turno in cucina . . . “ rispose guardandosi attorno alla ricerca del necessario.
“Cosa devi fare con l’acqua? Uno scherzo a Raph o . . .”
“Una bella doccia a sorpresa per Yamiko” rispose orgogliosa la ragazza, prendendo il secchio poggiato accanto alla porta ed aprendo il rubinetto del lavello per riempirlo d’acqua “Scherzi a zio Raph non ne faccio più, l’ultima volta mi ha tenuto nel Dojo per tre ore. A fare flessioni!”.
Se c’era una cosa che la rossa odiava più di tutto al mondo, dopo gli ipocriti, lavorare in cucina e il rosa, erano proprio le flessioni.
Don la guardò in modo scettico “Vuoi proprio farti ammazzare, eh?”.
“Uffa, ma perché mi dite tutti così? E no che non mi fa nulla! Magari si arrabbia un po’, ma poi gli passa subito, tranquillo!” ribatté la giovane riempiendo il secchio.
“Certo, gli passa . . . dopo averti rotto qualche osso, però.”
Sharon, che non aveva sentito l’ultima battuta della tartaruga, chiuse l’acqua ed uscì dalla cucina dicendo “Ecco, vado ora! Ci vediamo dopo!”.
Il genio scosse al testa, sconfortato ma anche divertito. L’allegria – o forse è più giusto chiamarla pazzia?- di quella ragazzina era una delle poche cose che impediva alla loro famiglia spezzata di cadere del tutto.
 
 
“Maestro, posso entrare?” chiese Raffaello, bussando lentamente alla porta del vecchio topo.
“Certo, entra pure, figliolo.” mormorò una voce rauca dall’interno del locale.
La tartaruga con la maschera rossa aprì la porta ed entrò.
Al centro della piccola stanza, seduto dietro il basso tavolino e con una tazza di tè ormai fredda tra le zampe, stava l’anziano Splinter.
 
Il tempo, il dolore e le preoccupazioni avevano lasciato più segno su di lui che su chiunque altro in quella famiglia. Numerose rughe attraversavano il suo viso ed il suo corpo iniziava a mostrare segni di debolezza e cedimento. Le vecchie ferite avevano iniziato a dargli più problemi del dovuto, il pelo cominciava a diventare sempre più rado e corto e la sua voce era sempre più bassa e sofferente.
Ma erano soprattutto il cambiamento avvenuto negli occhi che colpiva e faceva sanguinare di dolore i cuori dei suoi tre figli.
I suoi non erano più gli occhi forti e tenaci di una volta, occhi di pietra eppure amorevoli nel cui sguardo si erano tante volte rifugiati; erano occhi di granito, fragili, sul punto di sgretolarsi da un momento all’altro. In essi si potevano vedere riflesse tutte le disgrazie e tutte le sofferenze che aveva dovuto affrontare e tra tutte, vivida e chiara, brillava la morte del figlio maggiore, del suo amato Leonardo, per il quale non aveva mai smesso di piangere.
 
Splinter, per quanto avesse tenuto duro e cercato di farsi forza per i suoi figli superstiti e per i suoi giovani nipoti, era ormai troppo vecchio, troppo ferito, e, soprattutto, troppo, troppo stanco.
Aveva vissuto una vita lunga e piena, ed ora non aveva più la forza di continuare ancora per molto ad affrontare le insidie di quel mondo crudele e giovane.
Ma continuava a lottare, nonostante tutto.
Anche se sapeva che non sarebbe riuscito a farlo ancora a lungo.
 
“Avvicinati, figlio mio, ed inginocchiati.” sussurrò, guardando attentamente il suo secondogenito, il figlio che tanto l’aveva aiutato e sostenuto in tutti quegli anni.
Raffaello fece come gli era stato comandato e, dopo un attimo di silenzio, domandò “Come ti senti oggi, padre?”.
Splinter sorrise “Oh, non preoccuparti per me, Raffaello.”.
Sapeva che i suoi tre figli erano molto in ansia per la sua salute. Più volte, negli ultimi tempi, era stato preda di febbri acute e di una debolezza tale da costringerlo a letto per molti giorni. Ma non voleva che loro pensassero a lui, non con tutto ciò con cui dovevano fare i conti. L’educazione di Yakumo e Yamiko, ad esempio. O gli ultimi ed insistenti attacchi del Clan del Piede.
“Per oggi, comunque, vorrei che fossi tu a dirigere gli allenamenti, sia per quanto riguarda i tuoi fratelli sia per quanto riguarda Yakumo, Yamiko e Sharon. Non ti lascio direttive: decidi tu su cosa farli lavorare, per quanto tempo e in che modo. Ti lascio il comando, diciamo. io resterò a guardare.”.
La tartaruga parve sorpresa da quella richiesta.
“Sei . . . sei sicuro? Forse sarebbe meglio che te ne occupassi tu. Dopotutto, sei tu il maestro, qui.” chiese esitante.
 “Voglio osservare con calma l’andamento generale di tutti” spiegò il vecchio topo “E mi troverei molto meglio se non dovessi dirigere io tutto. Lo so, è una richiesta . . . bizzarra, per così dire, ma vorrei che tu mi accontentassi.”. Non voleva spiegare la vera ragione che stava nascosta dietro a quella inusuale richiesta. Non ancora almeno.
“Io . . . d’accordo, come desideri, padre.” accettò Raffaello, seppur confuso.
Splinter sorrise.
 
Anche il suo sorriso, come il resto del suo corpo, era cambiato molto. Era più fragile, più freddo, più triste. Non era più un vero sorriso. Ne lo sarebbe più stato.
 
L’anziano genitore osservò il figlio per un attimo, con occhi socchiusi, e mormorò  “La tua anima è preda di un forte turbamento, Raffaello. Un turbamento più forte del solito. Vuoi parlarne?”.
 “Non è niente, padre, stai tranquillo.” negò, scuotendo leggermente la testa.
Il volto del topo si rattristò “Figlio mio, non devi tenerti tutto dentro. Ti fa solo male.”.
Raffaello si morse un labbro, insicuro se confidare al vecchio le sue preoccupazione, le preoccupazioni che lo tormentavano e gli toglievano il sonno, o meno.
Non voleva preoccuparlo più di quanto già fosse.
Ma qualcosa nello sguardo di Splinter, un qualcosa di ormai raro, un’antica scintilla di dolcezza, cancellò i suoi dubbi.
“Ecco . . . è che non so più come comportarmi con i ragazzi. Yamiko continua a chiedere insistentemente di poter andare in superficie da solo, come facevamo e facciamo tuttora noi, e anche Yakumo inizia a sentirsi chiuso in gabbia, qua dentro. Vogliono uscire, essere più liberi, iniziare a combattere sul serio. Vogliono vivere. Sono forti, sono giovani, e sono impazienti.
Ed io li capisco. E non me la sento di continuare a tenerli qui come due prigionieri, quando noi . . . noi quattro, alla loro età, giravamo liberi per la città e ci buttavamo in tutte le risse possibili ed immaginabili. “ esitò, ma poi prese un respiro profondo e continuò a parlare “Ma mandarli fuori è troppo pericoloso, soprattutto ora che le attività del Clan stanno aumentando e i ninja di Karai hanno ripreso a cercarci. Se i ninja li trovassero, non so cosa potrebbe accadergli.
E poi mi chiedo se . . . se continuare a nascondergli la verità sia la cosa giusta, soprattutto ora che non sono più bambini. Se sapessero, farebbero sicuramente qualche sciocchezza. Ma forse potrebbero farne anche senza essere a conoscenza della verità. Anzi, sicuramente.
In fondo, Karai ha ucciso . . . ” la voce gli si spezzò” . . . ha ucciso loro padre. E tu meglio di tutti noi puoi immaginare la rabbia ed il desiderio di vendetta che ciò ha causato nel loro animo, e, soprattutto, nell’animo di Yamiko. Lui è così arrabbiato con il mondo, così furioso, così . . . così simile a me. Se lo lasciassi uscire liberamente, alla prima occasione cercherebbe sicuramente di vendicarsi. Anche al costo di perdere la vita.”
Splinter continuò a guardarlo in silenzio.
“Non so che cosa devo fare, padre. Non so cosa sia meglio per loro. Io . . . io . . .” Raffaello sbatté un pugno sul tavolino, stringendo gli occhi con forza  “Dovrebbe esserci Leonardo a prendere queste decisioni! Dovrebbe esserci lui, non io! Era lui il capo della squadra ed il padre dei ragazzi, lui! Non io!” gridò quasi, per poi prendersi la testa tra le zampe e mormorare “Non io . . .”.
 
Il cuore di Splinter ebbe un fremito, vedendo il suo povero figliolo in quello stato.
 
Da quando Leonardo era morto, Raffaello aveva assunto il suo ruolo di leader e protettore della famiglia, il ruolo che tanto a lungo aveva desiderato e che molte volte era stato causa di scontro con il fratello, ma l’aveva assunto per necessità e con riluttanza.
Lui non era nato per fare il capo, per quanto avesse molte delle qualità necessarie.
Era sempre stato una creatura solitaria, una persona che badava per di più a sé stessa e che faceva tutto ciò che gli pareva.
Ma, quando aveva dovuto raccogliere il peso di un’intera famiglia, si era reso conto di essere inadeguato.
Aveva capito che ogni sua distrazione o debolezza era pericolosa per il resto del gruppo.
Aveva scoperto che ogni sua azione o sbaglio si ripercuoteva sulle persone che amava, danneggiandole.
Aveva scoperto che, se lui cadeva, tutti cadevano.
Era stato dura per lui, soprattutto all’inizio. Occuparsi di tutta la sua famiglia e proteggere addirittura due bambini! E con l’anima a pezzi, poi.
Splinter stesso aveva dubitato che ci sarebbe riuscito. Anzi, aveva creduto che il suo secondogenito sarebbe caduto sotto tale peso.
Ma Raffaello l’aveva stupito. Si era fatto carico di tutto e tutti, lentamente, ma l’aveva fatto.
Aveva cambiato molti aspetti della sua vita e del suo carattere per riuscire a proteggere la sua famiglia ed a educare i suoi nipotini.
Aveva addirittura smesso di fare giri in moto, di uscire ogni sera con Casey Jones per dare la caccia ai delinquenti, di guardare film horror fino alle due di notte, di portare birre di nascosto in camera sua, di infrangere le regole e di agire d’istinto.
Era cambiato molto, dentro e fuori, per essere all’altezza del suo compito.
Raffaello riusciva a portare quel peso, nonostante tutti i suoi barcollamenti.
Ma detestava tutte quelle responsabilità di cui era pieno ed era terrorizzato al pensiero che, a causa di un suo sbaglio o di un suo errore di giudizio, le persone che amava e, soprattutto, i ragazzi che Leonardo gli aveva affidato e che costituivano per lui tutto il suo mondo, potessero soffrire.
Era un compito troppo pesante per lui.
Troppo pesante.
Ma nessun altro poteva farsene carico.
 
Lentamente, l’anziano padre si alzò da suo posto, girò attorno al tavolo e, con le sue sottili e vecchie braccia, abbracciò Raffaello, proprio come faceva quando era bambino.
E Raffaello, come quando era bambino, si strinse a lui, cercando nel conforto delle braccia paterne il coraggio e la forza che gli mancavano.
“Hai ragione, figlio mio.” mormorò dolcemente, accarezzando la testa del suo secondogenito “Avrebbe dovuto essere Leonardo a prendere queste decisioni, e non tu. Ma se lui ha affidato i suoi figli, il suo bene più prezioso, proprio a te, è perché sapeva che tu saresti riuscito a prenderti cura di loro al posto suo. Non temere. Vedrai che, quando sarà il momento, riuscirai a capire qual è la cosa migliore da fare. E ricorda, Raffaello, che non sei da solo. Io ed i tuoi fratelli siamo qui con te. E Leonardo, anche se non puoi vederlo, ti è sempre vicino.”.
Una lacrima, una sola, scivolò lungo la guancia della tartaruga, ma il suo cuore aveva trovato finalmente un po’ di conforto.
I due si sciolsero dall’abbraccio, lentamente, e Raffaello sussurrò un tremulo “Grazie . . . padre.”.
Splinter sorrise e per un fragile istante gli parve di avvertire una terza presenza nella stanza, una presenza che conosceva fin troppo bene e il cui volto gli mancava da morire.
Ma fu solo un attimo, e la presenza scomparve, silenziosamente e dolcemente come era venuta.
 
Raffaello si alzò e, con il pugno chiuso, si pulì il viso, per poi fare un inchino al maestro e dire con voce ferma “Vado, ora.”.
Il vecchio topo si inchinò a sua volta ed aprì la bocca per dire qualcosa, qualcosa che però fu coperto da un grido di rabbia .
 
“Shaaaaaron!!!”
 
 
 
* Ninjato: anche se tutti credono che l’arma principale dei ninja fosse, come per i samurai, la katana, in realtà era la ninjato, ossia una spada molto più corta e dritta, con un‘impugnatura più lunga. Era fatta di metalli differenti da quelli usati dalla katana e, essendo più piccola e leggera, era ottima nei combattimenti a corta distanza e/o in luoghi chiusi e poteva essere facilmente nascosta.
 
** Haiku: è una forma di componimento poetico tipicamente giapponese, nato nel XVII secolo, composto da tre versi; il primo doveva – nella poesia odierna non è più obbligatorio- avere cinque sillabe, il secondo sette e il terzo di nuovo cinque. Molti dei più famosi haiku furono realizzati dal poeta Matsuo Basho, il maggior esponente di questo tipo di poesia. Uno dei suoi più noti haiku è questo: Nel vecchio stagno/ una rana si tuffa/ il rumore dell’acqua.
  
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