Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: Alex e Finger    13/08/2014    1 recensioni
— Non mi sono mai sentito così poco Mentore come vicino a lui. —
— Diceva che sei così disposto ad imparare. Diceva che gli ricordavi Ishak, in qualcosa, anche se siete profondamente diversi. —
Lo sguardo di Ezio scivolò verso il tumulo e si velò per un attimo, mentre percepiva gli occhi di lei fissi sul suo viso.
— Perché mi cercavi? —
Ràhel si prese un attimo prima di rispondere, come se stesse raccogliendo le forze.
— Perché lo amavo. E perché sento che in questo breve tempo, anche tu lo hai amato. Vorrei parlarti di lui. —
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio, Sofia Sartor, Yusuf Tazim
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

— Il Giorno del Giudizio Minore. — disse Ràhel con un brivido. — Così lo chiamano in molti, e venne il quattordici di settembre del 1509, secondo il tuo calendario. —

Nei suoi occhi Ezio vide l’orrore e la paura.

— Mancavano un paio d’ore alla mezzanotte quando la terra tremò. — continuò Ràhel. — Ero in biblioteca e all’improvviso sentii un rumore sordo, che crebbe d’intensità fino a diventare un boato assordante. Lo sgabello su cui ero seduta si spostò sul pavimento, facendomi finire per terra, gli scaffali si abbatterono al suolo e i libri volarono dappertutto. Le lampade oscillarono e l’unico braciere rimasto acceso si rovesciò. Frammenti di intonaco piovvero dal soffitto e in un attimo, una nube densa di polvere invase la stanza. Non so per quanto durò e quando finì mi sorpresi di essere ancora viva.  Il boato si spense e nel silenzio che seguì, in mezzo agli scricchiolii sinistri delle strutture danneggiate, mi accorsi che il mio braccio sinistro era bloccato da una pesante libreria. Yusuf si trovava nello studiolo e dovette sfondare la porta per poterne uscire, perchè i cardini si erano deformati. Era coperto di polvere e il sangue gli colava da un taglio sullo zigomo. Sollevò la libreria di quel poco che mi permise di liberarmi e mi aiutò a rimettermi in piedi. Il braccio mi faceva malissimo e non riuscivo a muoverlo. Yusuf, temendo che fosse rotto, si slegò la fascia dalla fronte e con quella me lo bloccò contro il petto. Poi, scavalcando i libri che solo per un miracolo le braci sparse sul pavimento non avevano incendiato, ci avventurammo sotto l’arco che conduce al salone principale. Le volte avevano retto, malgrado alcune colonne apparissero lesionate, niente si trovava più al suo posto e la passerella era andata in pezzi. Molte tramezze erano crollate e le camerate non erano raggiungibili a causa delle macerie che bloccavano il corridoio. Al di là si sentivano le voci degli Apprendisti che chiedevano aiuto. Qualcuno si era già messo al lavoro per liberarli e Sami stava trascinando fuori dal disastro dell’infermeria la sua preziosa borsa degli strumenti quando un altro suono inquietante, simile a quello di un’enorme cascata, ci fece bloccare tutti in attesa del peggio, ma questa volta la terra non tremò.

 Istanbul era in ginocchio. —

 

Istanbul,

30 Jumâda Al-Awwal 915

(15 Settembre 1509)

 











nche le notti più lunghe finiscono e fu così anche per quella, ma Sami non se ne accorse. Non si accorse che il chiarore livido di un’alba nuvolosa si era sostituito alla luce delle torce. Lo sfinimento gli annebbiava a tratti la vista e sentiva che le sue mani cominciavano a perdere la precisione necessaria. Ancora un altro paio di punti a questo orribile taglio e poi…

— Continuo io, Sami. — disse la voce di Hilal e tra la gratitudine e il rammarico di accettare una temporanea resa, lui le passò l’ago e per la prima volta da ore si guardò intorno. Il cortile degli allenamenti era affollato all’inverosimile e nel fumo che si levava dai bracieri improvvisati i suoi assistenti e apprendisti si muovevano come tante ombre indaffarate. Ovunque quelle ombre si fermassero, i lamenti si trasformavano in grida: le scorte d’oppio erano ormai esaurite. Uomini e donne dalle cui uniformi la polvere aveva cancellato colori e ranghi si affaccendavano per sgombrare i rottami delle tettoie crollate e bambini stretti in un cantuccio riducevano in strisce delle lenzuola, che poi buttavano a bollire in un gran calderone. Sui visi di tutti si potevano riconoscere la paura, il dolore  e lo sgomento, ma anni di addestramento e disciplina si imponevano su quelle emozioni e ognuno assolveva i compiti che gli erano stati affidati con efficienza. Sami conosceva bene quello stato d’animo, il distacco necessario a far il proprio lavoro al meglio. Lui stesso quella notte aveva dovuto fare scelte difficili, mettendo da parte i feriti più lievi e quelli più gravi per concentrarsi su quelli che avevano le maggiori possibilità di sopravvivere. 

Sami sospirò, riportando gli occhi sulle dita agili e sicure di Hilal che stavano concludendo il suo lavoro e le vide bloccarsi quando la terra tremò di nuovo, come aveva continuato per tutta la notte, a tratti, seppur con minore intensità. Tutti si ritrovarono immobili e impotenti, gli sguardi ai muri scrostati e le parole che morivano in gola, i respiri trattenuti. Anche i feriti tacevano, l’aria riempita da una vibrazione bassa che risuonava fin nelle viscere, scricchiolio di travi e rotolare di calcinacci. Quando la scossa si placò le attività ricominciarono quasi in punta di piedi e si riprese a parlare, ma sottovoce, come se non farsi notare potesse allontanare il pericolo.

Hilal tagliò il filo dell’ultimo punto e osservò il suo lavoro con aria critica.

— Quasi non si vede la differenza tra i miei e i tuoi. — commentò Sami, ma lo sguardo della donna si soffermò nel suo solo per un attimo, scavalcandolo poi per fissarsi su qualcos’altro. Sami si voltò: Yusuf veniva verso di lui, seguito da una pallida Ràhel. La ragazza aveva l’avambraccio sinistro bloccato contro il petto da una fasciatura improvvisata.

— Come sta andando? — domandò il Maestro.

— Facciamo il possibile, ma stiamo esaurendo le scorte. Notizie dagli altri covi? —

— Tutti i colombi sono fuggiti e ho dovuto inviare delle staffette. Stanno cominciando a rientrare, ma hanno avuto enormi difficoltà a raggiungere il Corno d’Oro e nessuna è riuscita ad attraversarlo. Le banchine sono andate in pezzi e le barche hanno strappato gli ormeggi. La Kulesi ha resistito, nessun morto al covo di Galata, per ora, ma il quartiere è nel caos, il mare si è portato via molte case ai piedi della collina. Al momento siamo isolati. — Si passò una mano sul viso cercando di pulirsi dalla polvere e tutto ciò che ottenne fu che il taglio sullo zigomo riprese a sanguinare. Yusuf accettò la pezza che Sami gli porse. — Non è niente,— sbuffò, — ma puoi dare un’occhiata al braccio di Ràhel? Credo sia rotto. — Spinse avanti la ragazza che accennò una debole protesta prima di sedersi accanto al medico. Sami sciolse la fasciatura e tagliò la manica. L’avambraccio era livido e gonfio, ma tastandolo, il medico capì che la frattura coinvolgeva solo una delle due ossa e, fortunatamente, era composta.

— Hai fatto un buon lavoro, Maestro. — disse riconoscendo sotto la polvere i colori della fascia che Yusuf portava sulla fronte, la stessa che stringeva la sua gamba la notte in cui si erano conosciuti. Yusuf gli rivolse un mezzo sorriso, mal celando un brivido, come se il ricordo si quella notte avesse attraversato anche la sua mente. Sembrava passata un’intera vita. Sami steccò l’arto di Ràhel e riutilizzò la fascia per appenderglielo al collo. — Mi dispiace, non ho niente per il dolore. — disse. — Trovati un cantuccio e riposati. — Lei annuì. — Grazie. — disse. Si alzò con una smorfia e mosse qualche passo quando la sua attenzione fu attirata fa un frullo d’ali: un colombo si era posato su una trave che sporgeva storta da un muro e arruffava le penne sollevando una nuvoletta di polvere.

— Prendilo tu. — disse Ràhel rivolta a Yusuf. — Magari è uno dei nostri e io non ce la faccio con una mano sola. —

Il Maestro si avvicinò con cautela e la bestiola si lasciò afferrare. Portava un malridotto rotolo di pergamena legato alla zampetta.

 

1 Jumâda Ath-Thânî 915

Iskender Sakin, covo di Costantino nord

Rapporto informazioni in nostro possesso

Costantino Nord: muri pericolanti, pavimento e soppalco crollati, 3 morti accertati, 8 dispersi tra i quali il maestro Serdar, la sua compagna e i suoi due bambini, 7 feriti di cui 4 gravi, 2 illesi.

Imperiale Nord: crollato, 5 morti accertati, 6 feriti di cui 2 gravi, 9 dispersi, tra i quali il Maestro Amir, non rientrato da Galata.

Bayezid Nord: crollato, 3 morti accertati tra cui il Maestro Yanos, 5 feriti di cui 3 gravi, 17 dispersi.

Si attendono ordini.

 

Sami vide un’ombra addensarsi sul viso del Maestro, che alzò gli occhi dalla pergamena, puntandoli sull’altro lato del cortile, dove Amir stava dando una mano a far cadere i rimasugli pericolanti di una tettoia. Come se avesse percepito quello sguardo su di sé, il siriano si voltò, la stessa ombra a indurirgli i lineamenti affilati.

— Undici morti e trentaquattro dispersi, senza contare i feriti. — mormorò dopo aver letto la pergamena che Yusuf gli aveva passato con un gesto stanco. — Yanos… spero che Serdar e i suoi siano vivi. E non abbiamo ancora notizie dagli altri covi. —

— Alla luce di questo rapporto, temo il momento in cui le avremo. — disse Yusuf con un’espressione ancora più cupa. — Ma dobbiamo rispondere subito. —

Il medico lo guardò allontanarsi col colombo sottobraccio, seguito da Amir. Ràhel si accodò trascinando i piedi.

 

 

— Buona parte delle mura a mare erano crollate, e non poterono fermare l’onda gigantesca che si abbattè sulla città, riversandosi nelle strade basse fino a lambire i piedi della collina di Galata. Anche la Porta Aurea e le mura di terra non avevano retto, così come quelle che circondavano il Palazzo Imperiale, in cui si era aperta una breccia fino alla porta del Giardino. Hagia Sophia rimase quasi incolume: solo il minareto fatto costruire da Bayezid nell’angolo nord-est crollò, insieme agli intonaci con cui erano stati coperti i mosaici bizantini. In compenso, più di cento moschee e più di mille abitazioni furono distrutte. Migliaia di persone morirono sotto le macerie, compresi alcuni membri della Famiglia Reale. Il Sultano si rifugiò in una tenda che fece montare nel giardino del palazzo e poi fuggì ad Adrianopoli. Le scosse si susseguirono per quarantacinque giorni. I Covi nei vari distretti della città che non furono distrutti subirono danni gravissimi. Amir era scampato al crollo del Covo di Imperiale Nord perchè al momento del terremoto era sulla via del ritorno da un incontro con Yusuf e si trovava ai piedi della Torre di Galata. Serdar e la sua famiglia erano precipitati in cantina a causa del crollo del pavimento del covo di Costantino Nord e vi rimasero intrappolati per un intero giorno. Quella notte perdemmo cinque Maestri dei Covi su sette e quasi un terzo delle nostre forze effettive. Fu un colpo durissimo, dal quale non ci siamo ancora ripresi.—

Ràhel fece una pausa e fissò Ezio negli occhi.

— So cosa stai pensando. — disse. — I segni di una tale distruzione sono appena visibili in città dopo neanche tre anni. —

Ezio annuì.

— Bayezid ricostruì velocemente, impiegando ottantamila lavoratori, quasi a voler confutare le voci dei molti che vollero vedere un legame misterioso tra l’instabilità del trono e la furia delle forze naturali. —

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: Alex e Finger