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Autore: Laylath    16/08/2014    1 recensioni
(Spin off di Un anno per crescere )
Più di venti anni prima che un gruppo di ragazzi intrecciasse i propri destini in un piccolo angolo di mondo, a New Optain, una pasticciera ed un poliziotto fanno il loro primo incontro.
Ecco la storia di Vincent e Rosie, i genitori di Vato.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Vato Falman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo XI

1885 - 6. Un bambino troppo accademico.

 

Le stagioni calde si erano succedute con regolarità e la scuola era ormai iniziata da due mesi.
Dopo cinque anni passati con un bambino che praticamente la seguiva passo dopo passo, Rosie trovava strano avere quelle mattinate a disposizione, senza Vato di cui preoccuparsi. Non che il bambino avesse mai alterato i suoi orari e le sue faccende, ma faceva effetto non sentire più la sua silenziosa presenza in giro per la casa.
La scuola non si trovava per niente lontano dal paese, si trattava di dieci minuti di camminata: dopo la prima settimana Vato aveva chiesto il permesso di andare da solo assieme ad Elisa, iniziando a pretendere un’indipendenza maggiore. Una cosa che a New Optain sarebbe stata impensabile per dei bambini di prima elementare in quel posto così tranquillo e dove tutti si conoscevano era fattibile e così, nonostante i primi giorni di apprensione, Rosie accettò quella concessione fatta dal marito e lasciò che Vato facesse la strada assieme alla sua amichetta.
Sembrava che tutto procedesse nel verso giusto, che ormai la famiglia Falman fosse perfettamente inserita in quel piccolo angolo di mondo. Ma questo fu prima che Vato tornasse a casa un sabato mattina e annunciasse ai genitori che la sua maestra voleva parlare con loro.
 
La maestra di Vato era una giovane di nemmeno trent’anni che, nonostante l’età, aveva un’ottima reputazione tra genitori e bambini. Era una di quelle persone che vedono il proprio lavoro come una vocazione e per lei niente era più importante che il benessere e la crescita dei suoi dodici alunni di prima elementare.
“Vi ringrazio per essere venuti a questo incontro che ho richiesto con voi, signori – sorrise, mentre li faceva entrare nella classe occupata dalla prima, i banchi perfettamente allineati e diversi disegni, opera dei bambini, appesi alle pareti – per i piccoli di prima elementare è mia abitudine avere dei colloqui con i loro genitori in modo che si venga a creare un buon rapporto. In genere aspetto che le vacanze di natale siano alle porte, ma per Vato ho preferito anticipare considerata la particolarità del caso.”
Vincent e Rosie rimasero perplessi davanti a quell’ultima dichiarazione: Vato non era molto loquace su quanto succedeva a scuola, ma non sembrava incontrare problemi. Aveva sempre parlato in termini molto affettuosi della sua maestra ed il fatto che fosse in classe assieme ad Elisa era una garanzia che tutto andasse per il verso giusto.
Lo sguardo dei tre adulti si spostò quindi alla finestra, da dove era possibile vedere il bambino che, nell’attesa, si era accoccolato per terra e si era messo a leggere un grosso libro, escludendo il mondo circostante tra cui una piccola farfalla che volava a pochi centimetri dal suo naso.
“Il bambino le crea qualche problema?” chiese Vincent, non riuscendo a credere che il suo educatissimo e timido figlio potesse creare qualche tipo di guaio durante le ore scolastiche.
“Se si riferisce a problemi comportamentali, assolutamente no, capitano – scosse il capo la donna – non ho mai conosciuto un bambino così educato come Vato. E’ sempre corretto, attento, silenzioso: non credo di averlo mai richiamato in questi mesi che lo conosco. Sotto quel punto di vista è un alunno modello.”
“Anche Vato è molto contento di lei, signorina – disse Rosie – dice sempre che è una persona molto buona e gentile ed è raro che mio figlio si affezioni così a qualcuno.”
“Sì, è vero, ho notato che è molto restio a dare confidenza. Eccetto Elisa devo dire che non ha fatto amicizia con gli altri bambini. In genere quando un bambino non stringe rapporti con gli altri compagni è perché è preso in giro o gli altri lo rifiutano, ma in questo caso è l’esatto contrario… no – si corresse con aria pensosa – non è nemmeno corretto parlare di rifiuto: è come se avesse deciso che a lui basta la compagnia di Elisa. Con gli altri riduce i rapporti al minimo: li saluta, risponde se gli chiedono qualcosa, sempre in maniera molto educata e tranquilla, ma è come se non volesse andare oltre. E’ molto solitario sotto questo punto di vista e, forse è un po’ forte come affermazione, pare che preferisca la compagnia dei libri a quella delle persone.”
Vincent si passò la mano tra i capelli con aria leggermente imbarazzata, constatando come la maestra di suo figlio non avesse sbagliato di molto la realtà dei fatti. Anche lui col passare del tempo si era convinto che Vato avesse instaurato un rapporto privilegiato con la parola scritta piuttosto che con i suoi coetanei e le persone in generale. La scuola oltre che luogo di apprendimento è anche luogo di socializzazione e per i bambini è naturale giocare insieme, relazionarsi e quanto altro. Ma eccetto Elisa non era stato mai pronunciato altro nome nei resoconti del bambino e non c’era mai stato nessun compagnetto che fosse stato invitato a casa o viceversa.
“Non è molto socievole, è vero – la voce di Rosie interruppe i pensieri dell’uomo – ha una sensibilità tutta sua e ha raggiunto un suo modo di vivere che lo soddisfa. Non avrebbe senso imporgli delle amicizie che non vuole.”
Il capitano colse una lieve urgenza nelle parole della moglie, come se Rosie avesse appena colto una minaccia per Vato e si stesse ergendo in sua difesa. Da una parte poteva anche capire questo atteggiamento, ma dall’altra gli sembrava prematuro anche perché la maestra non aveva accennato a nessun provvedimento in merito.
“La prego, signora – disse – continui a dirci di nostro figlio.”
“Ecco, ci sarebbe da parlare del suo rendimento e credo che sia il problema più grosso.”
“Problema?”
“Guardate voi stessi il libro che sta leggendo adesso in cortile… quando mai un bambino che ancora deve compiere i sei anni legge un libro con tale abilità. E sono pronta a scommettere che non è una favola e gli argomenti trattati non sono facili.”
“Uhm…”
“No, capitano, suo figlio non ha problemi di rendimento, tutt’altro – sospirò la maestra – è che... per il leggere e lo scrivere e, a quanto ho potuto constatare, la conoscenza di altre materie che in genere si iniziano più avanti, Vato è già al livello di uno studente di terza elementare, se non di quarta. Da quanto tempo sa leggere e scrivere?”
“Ecco – ammise Rosie – sicuramente dai tre anni e mezza sapeva già leggere e riconosceva alla perfezione le lettere. Per scrivere ha impiegato di più, ma nell’arco di circa otto mesi ha padroneggiato alla perfezione sia lo stampatello che il corsivo. Per quanto riguarda le altre conoscenze… adora leggere, come si poteva levargli questa sua passione? Abbiamo fatto sempre in modo che si limitasse a libri adatti a lui, ma dopo un po’ le favole non sono più bastate e così ho iniziato a dargli i miei vecchi libri delle scuole elementari.”
“Eccetto quelli di matematica, vero?”
“Sì, i numeri non gli interessavano.”
“Ed infatti in matematica è solo di poco avanti rispetto agli altri: sa scrivere le cifre e contare fino a venti senza titubare, ma per il resto è perfettamente allineato con i suoi coetanei.”
“Insomma eccetto le ore di matematica si annoia.” Vincent riassunse i pensieri della donna mettendosi a braccia conserte.
“E come non potrebbe? – la giovane andò alla cattedra e passò loro due quaderni – questo è di Vato e questo è di Elisa: vi posso assicurare che, dopo di lui, è la bambina più brava della classe. Guardate le differenze: avevo chiesto di scrivere una paginetta di ogni vocale e poi cinque nomi che iniziassero per la stessa: a fine novembre, ossia nemmeno tre mesi dopo l’inizio della scuola, è un esercizio molto impegnativo, ve l’assicuro. La calligrafia di Elisa è ancora un po’ incerta, prende una certa scioltezza solo dopo le prime righe, ma Vato… signori, vostro figlio ha scritto tre pagine per ogni vocale! Ed in ogni pagina ha scritto almeno trenta termini inizianti per quella vocale… parole a volte incredibili per la sua età, atmosfera, esoscheletro, incongruenza, onomatopea, urbanizzazione… è spiazzante. E tutte in perfetto ordine alfabetico: ha praticamente estrapolato le pagine di un dizionario.”
“E’ precoce più che altro.”
“Sì, capitano, ma è un problema in una classe di dodici bambini. E lui è il primo ad essere in difficoltà perché è ansioso di imparare cose nuove. Ma non posso pretendere che gli altri corrano e raggiungano il suo livello, non è possibile. Ed è difficile anche lodarlo perché così scoraggerei profondamente gli altri che si rendono conto del divario che c’è tra di loro.”
Rosie scosse il capo e si portò una mano alla fronte.
“Posso capire tutte le difficoltà del caso e la capisco, ma… Vato è un tesoro di bambino. Certo, sicuramente è molto precoce rispetto a tutti gli altri…”
“E’ precoce solo per alcune cose. Per il resto è un bambino di nemmeno sei anni che si trova a gestire una situazione difficile. Signori, potrei chiedervi di ridurre le letture di vostro figlio? Almeno per quest’anno scolastico.”
“Ridurre le sue letture?” Rosie sgranò gli occhi, ma subito Vincent le posò una mano sul braccio.
“Continui, signorina.”
“Ho notato che Vato è molto accademico: quello che scrive o dice pare estrapolato da un libro. E’ come se ci impedisse di conoscere veramente quello che lui pensa e prova: come se dire cose estremamente difficili sia un modo di proteggersi dal mondo. Se gli faccio una domanda semplicissima come il colore dell’erba lui inizia un discorso di clorofilla e quanto altro, come se dire verde gli creasse difficoltà.”
“Non ha problemi…” Rosie girò il capo di lato, rifiutandosi di ascoltare ancora.
“Non è che ha problemi, signora. Ma se gli limitate le letture, specie quelle complicate, e mi consentite di procedere in un determinato modo, possiamo rendere il bambino più partecipe del mondo… perché per come stanno le cose, Vato crede che il mondo sia nei libri.”
“In che modo vuole procedere?” chiese Vincent, più disposto ad accettare quella che effettivamente era una problematica di Vato.
“Lo voglio spronare a stare al livello dei suoi compagni – spiegò la donna – se gli chiedo un pensierino su qualcosa non deve rispondermi con una definizione: dovrà dirmi cosa pensa lui stesso. Sicuramente all’inizio sarà un po’ difficile, ma è meglio intervenire subito per evitare di estraniarlo troppo.”
“Sarebbe una violenza vera e propria su di lui! – esclamò Rosie – Non ha ancora sei anni, per l’amor del cielo, ha il suo piccolo mondo di letture, è vero… ma è felice così! Perché lo volete spronare a stringere rapporti di cui non ha bisogno?”
“Non rapporti, signora – corresse la maestra – per quelli non ha problemi, ed Elisa ne è la prova lampante. Per quelli Vato è semplicemente selettivo. No, io lo voglio portare a vedere il mondo reale e non quello della parola scritta. Se io gli chiedo di descrivermi una farfalla non voglio sentirmi dire dei nomi scientifici o altre cose degne di un esperto: voglio che mi parli del colore delle ali, del fatto che gli è volata vicino al naso e ha provato a prenderla… voglio che mi dica cose degne di un bambino. E per farlo deve essere spronato anche a casa, altrimenti il lavoro che faccio qui a scuola verrebbe vanificato. E poi, una volta che Vato avrà superato questo ostacolo, allora potrò fare per lui un programma un po’ diversificato in modo da favorire la sua precocità. Ma prima è necessario che abbia delle basi personali.”
“E’ giusto.” annuì Vincent.
“No – Rosie iniziò a piangere – non possiamo fargli questo, Vincent. Non possiamo brutalizzarlo in questo modo, ti prego… è così indifeso.”
“Non gli stiamo facendo del male – la abbracciò lui – ma è vero che è estraniato dal mondo che lo circonda. Rosie, è per lui che lo stiamo facendo, per il suo bene. E’ qualcosa che faremo con pazienza e per gradi, senza grossi traumi…”
“Non puoi levargli i libri.”
“Non glieli stiamo levando per sempre – le ricordò l’uomo – solo finché non avrà imparato a trovare un giusto equilibrio, coraggio. La sua maestra ha ragione: deve imparare a pensare come un bambino.”
 
“Albume? Vuoi dire la parte bianca dell’uovo?”
“No – Vato scosse il capo e guardò con aria stranita Elisa – ho detto albinismo. Proprio ieri ho scoperto che i miei capelli bianchi non sono così per questo fenomeno. Altrimenti sarebbero tutti bianchi e avrei anche gli occhi rossi.”
“Gli occhi rossi li hanno i mostri delle favole, quelli che vengono uccisi dai buoni. Se non li hai rossi vuol dire che non sei un mostro!” esclamò la bambina con sollievo mentre tornavano in classe dopo l’intervallo.
Vato annuì con un sospiro, capendo che da Elisa non poteva ottenere altro. Finalmente era riuscito a scoprire qualcosa sulla sua particolarità cromatica ed era ansioso di condividere con lei la notizia, ma sembrava che la sua amica non riuscisse ad andare oltre determinati schemi.
E tutto perché non vuole leggere i libri che le voglio prestare.
Si sedette con diligenza al suo posto, aspettando che anche gli ultimi compagni rientrassero e la maestra riprendesse la lezione. Sperava che proponesse qualche argomento interessante, ma essendo l’ora di lettere era un po’ difficile: non che la maestra non fosse brava, Vato era sicuro che avesse molto da insegnargli, ma gli altri bambini erano troppo lenti per lui. Ancora non riuscivano a leggere e scrivere decentemente, per non parlare delle altre materie. Solo in matematica erano quasi al suo livello.
C’era rimasto malissimo il primo giorno di scuola.
“Allora, oggi iniziamo ad imparare le lettere: guardate… è la A di ape. Forza tutti assieme. A – p – e.”
“A – p – e!”
Gli era sembrato uno scherzo quando aveva visto la maestra prendere quei cartoncini colorati con diversi soggetti rappresentati e mostrarli uno ad uno per insegnare un banalissimo alfabeto. Aveva sempre ritenuto che la scuola dovesse dargli nuovo sapere… che senso aveva quel ripasso di cose che lui sapeva?
Tuttavia i suoi pensieri vennero interrotti dalla maestra che si alzava dalla cattedra, segno che la lezione stava riprendendo. Allora, per istinto, si protese per dare attenzione.
“Molto bene, bambini – iniziò – avete visto che oggi è una bellissima giornata d’autunno. Sono sicura che mi potete dire un sacco di cose interessanti sull’autunno. Elisa, perché non ti alzi in piedi e ci dici un tuo pensierino?”
“Va bene, maestra – annuì la bambina – allora… l’autunno è molto bello perché ancora non fa il freddo dell’inverno e poi è tutto rosso e a me piace molto il rosso: prima in cortile ho fatto un mucchio di foglie rosse, anche se alcune erano arancioni.”
“E sì, il rosso ha molte sfumature, ma sono tutte bellissime. Anche a me piace molto il rosso, sai? E tu, Robert? Che cosa mi vuoi dire sull’autunno?”
“L’autunno mi piace tanto perché si mangiano le castagne!” esclamò il bambino, alzandosi in piedi.
“Vero, che buone!”
“Mia mamma le ha fatte ieri!”
“Waaah, che bello!”
“Ehi che entusiasmo – li calmò la maestra con un sorriso – abbiamo capito che a tutti noi piacciono molto le castagne, ma ora silenzio, da bravi. Vato, dicci tu un pensierino sull’autunno.”
“Sì – si alzò in piedi lui, pronto a sfoggiare tutto il suo sapere in merito, altro che quei pensierini banali – l’autunno inizia il 22 settembre, chiamato equinozio d’autunno e finisce il 21 dicembre, solstizio d’inverno. Però è da dire che alcuni sostengono che la data del solstizio sia il 22 e non il 21. Le caratteristiche di questa stagione sono…”
“No, Vato, aspetta – lo bloccò la donna, andandogli accanto e posandogli una mano sulla testa – non ti ho chiesto di parlarmi dell’autunno. Ma di dire un tuo pensiero in merito.”
“Pensiero?”
“Sì, un pensiero, una frase, un qualcosa che ti piace dell’autunno.”
“E’ solo una stagione dell’anno…” mormorò lui perplesso, non riuscendo a capire. Tutto quello che avevano detto fino a quel momento non significava niente: delle castagne e delle foglie rosse si doveva parlare in termini totalmente differenti.
“Ad Elisa l’autunno piace perché tutto diventa rosso e perché c’è fresco senza che però ci sia il freddo dell’inverno; a Robert perché ci sono le castagne… questi sono pensierini. Non cose che sono scritte sui libri, ma cose che pensi tu.”
“Uh, allora… ecco io… a me piace l’autunno perché – esitò, vedendo i compagni che lo fissavano perplessi dalle sue difficoltà per una cosa estremamente facile – perché… perché…”
“Ma perché esita?”
“E dai che è facile!”
“Che ci vuole?”
“Sssh, buoni bambini…”
“Uh, ma sta per piangere.”
“Scusa, maestra – mormorò il bambino mentre le prime lacrime scendevano sulle guance – non… non lo so fare un pensierino.”
“Eeeh? Ma che dice? E’ stupido o cosa?”
“Se vuoi ti presto il mio pensierino – disse subito Elisa alzandosi in piedi – non fa niente.”
“Da bravi bambini, avete sentito? Prendete il vostro quaderno e fatemi un bel disegno sull’autunno. Vieni, Vato, andiamo a lavarci il viso, non è successo niente di grave, tranquillo.”
 
“Beh, non ha mai brillato per fantasia e direi che in questo ha preso tutto da te.”
Rosie alzò le spalle quel pomeriggio come lei ed il marito poterono finalmente discutere della questione.
Vato era tornato a casa profondamente triste e solo dopo qualche ora aveva confidato ai genitori quanto era successo. Poi si era chiuso in un profondo silenzio, abbracciando Lollo, e si era sdraiato a letto fino a quando non si era addormentato.
“Sì, è vero: tra noi due sono io quello che non ha molta fantasia – ammise Vincent – ma non ho mai rifiutato la realtà per andare a rifugiarmi nei libri. Nonostante i nostri controlli Vato si è estraniato dalla realtà più del previsto.”
Guardò con attenzione la moglie, ben sapendo che lei era ancora ostile al provvedimento che avevano deciso di adottare assieme alla sua maestra. Certo, non era facile accettare che il proprio figlio avesse dei problemi, ma chiudere gli occhi poteva solo peggiorare le cose.
“Non ha niente che non si può risolvere…” riprese l’uomo.
“No! Il mio bambino non ha niente e basta – scattò lei – è intelligente ed ama leggere e questo l’ha portato a sapere molte cose nonostante sia ancora piccolo. Perché invece di andarne fieri ne stiamo facendo un problema?”
“Perché se gli chiedo di farmi un pensierino su qualsiasi cosa lui mi risponde con frasi prese dai libri. Rosie, questo non va bene: i libri gli stanno levando lo spirito d’osservazione, o meglio le capacità espressive.”
“Ha parlato il grande pedagogo! Proprio tu che non facevi che sgridarlo quando aveva paura dei tuoni.”
“Anche la maestra…”
“Quella donna non conosce Vato come me! Lei non…”
“Lei si è accorta di alcuni problemi che per ora non sono gravi, ma in futuro possono condizionare Vato. E io voglio che mio figlio sia in grado di osservare il mondo e di esprimere i suoi pensieri, come tutti gli altri.”
“Levandogli i libri pensi di aiutarlo? – lei quasi piangeva – Lo distruggerai e basta! Ma perché ce l’avete tutti con lui? Che male ti ha fatto?”
“Non ce l’ho con lui, quando mai potrei? E non gli levo i libri per capriccio: limito le sue letture per il tempo necessario, e vorrei che tu facessi altrettanto. Dobbiamo stimolarlo a parlare di cose che pensa, non di cose che ha letto, capisci?”
“E’ così piccolo…”
“Proprio perché è piccolo – la consolò lui abbracciandola, sentendo che stava cedendo – sarà una cosa relativamente facile. Hai sentito che ci ha detto la maestra: alla sua età i bambini recepiscono molto in fretta. Vedrai che entro la prima elementare si risolve. Ma per farlo c’è bisogno anche del tuo appoggio… soprattutto del tuo appoggio, piccolo fiore.”
 
Non fu una cosa facile, specie agli inizi.
I libri erano un chiaro rifugio per Vato e molto spesso li considerava uno sfogo ai suoi problemi: immergersi in letture difficili teneva la sua mente lontana dalla realtà che lo metteva in difficoltà. Le nozioni chiedevano solo di essere imparate e non gli imponevano di reagire.
Per questo quando gli vennero proibite le letture più avanzate ci rimase malissimo: in quel momento aveva estremo bisogno di quei libri. Anche perché doveva dimostrare agli adulti e alla maestra quanto valeva: se non sapeva fare i pensierini non potevano prenderlo per stupido se sapeva così tante cose.
Ma sembrava che i suoi genitori non fossero dello stesso avviso.
E nemmeno per Vincent e Rosie era facile quella situazione.
Era così strano vedere quel visino perplesso: era come se Vato avesse appena scoperto dei modi di vivere che non corrispondevano assolutamente ai suoi. La cosa gli procurava non solo smarrimento, ma anche una prima forma di autoanalisi. Come se iniziasse a chiedersi se davvero fosse lui a sbagliare e non gli altri.
Ma nonostante tutto era chiaro che aveva una strana riluttanza ad esprimere i propri pensieri ed era necessario spronarlo sotto questo punto di vista.
Certo non era facile correggere così all’improvviso un modo di agire che si è usato per così tanto tempo.
Per la prima volta iniziò ad avere difficoltà a scuola perché anche la maestra pretendeva che lui scrivesse solo e comunque pensierini che derivavano dalle sue impressioni ed osservazioni. A guardarla bene stava facendo un processo inverso rispetto a quello dei suoi compagni che, mano a mano, nei loro compiti andavano oltre la loro semplice immaginazione. Ma le difficoltà che incontrava erano molto forti perché doveva sempre combattere contro la smania di scrivere tutto quello che sapeva su qualsiasi argomento: era come se dovesse esercitare un forte autocontrollo per evitare che un secondo Vato prendesse possesso di lui, della sua parola e della mano che scriveva.
Inaspettatamente, a casa, fu Vincent a prendere in mano la situazione: ogni sera, dopo cena, si sedeva assieme a lui e gli faceva compagnia in quelli che erano i compitini supplementari. Non che Vato disdegnasse fare i compiti, tutt’altro, ma questi erano specifici per lui e ovviamente erano una sofferenza.
“L’autunno è bello perché è una stagione temperata… va bene così, papà?”
“Figliolo, è un dato di fatto che è una stagione temperata: tu devi dire qualcosa per cui piace a te.” la voce del capitano non era mai severa in quelle occasioni. Era calma, come se volesse rassicurare il bambino che andava tutto bene e quello che stava succedendo non era niente di grave.
“Ma a me non piace l’autunno – protestò il piccolo, posando la penna sul tavolo – anzi, no, non è corretto. E’ solo una stagione, perché devo trovare qualcosa di bello?”
Era difficile sentire simili ragionamenti da parte di un bambino della sua età: sembrava completamente privo di immaginazione, come se il mondo attorno a lui non fosse interessante se non dal punto di vista accademico.
“E’ solo questione di pensarci: vedrai che qualcosa di bello la trovi. Coraggio, dimmi quello che ti viene in mente. Proviamo a cambiare stagione. Adesso siamo in inverno, guarda dalla finestra.”
“C’è la neve.”
“Mh, e quindi? Ti piace la neve?”
“E’ acqua che per il freddo…”
“Ehi, signorino – l’indice di Vincent si posò sulla fronte del piccolo – niente nozioni, ricordi?”
“Ma è quello che è – scosse il capo con impazienza: succedeva sempre quando era smanioso di dire qualcosa di accademico – basta, non voglio più fare pensierini. Posso leggere un libro adesso?”
“Uno per ogni stagione – gli ricordò il padre, impassibile – è il compito di questa sera. E poi sai bene che ti devi concentrare sulle cose di scuola. Gli altri libri li puoi leggere il finesettimana, ma sempre un paio di pagine alla volta.”
“E’ un compito stupido – lui chiuse il quaderno con aria desolata, quel divieto di lettura che pesava nella sua anima – e la maestra lo dà solo a me. Agli altri bambini ha detto di fare un tema sulla neve. E io ne potrei scrivere di cose sulla neve, ne so un sacco, persino come si formano le slavine.”
“Vato, perché dovrebbe essere stupido quello che pensi tu?”
Il bambino mise il broncio e rimase con le mani sul tavolo a fissare la copertina azzurra del quaderno. Sentì la mano del padre che gli arruffava i capelli e lo incitava a parlare. Ed era più difficile di una sgridata perché in quel caso non devi rispondere ma solo stare zitto ed obbedire.
Biascicò qualcosa di incomprensibile, sperando che bastasse.
“Ehi – lo richiamò ancora l’uomo – mi piacerebbe che mi guardassi negli occhi e che scandissi le parole correttamente.”
“E’ che sono cose stupide e non interessanti – confessò – i libri dicono le cose vere. Non è neve, è acqua solidificata.”
La voce aveva il tipico tremito di quando stava per piangere e Vincent fu rapido a bloccare con un’occhiata Rosie che stava per intervenire per consolarlo.
“Vato, non c’è niente di stupido, coraggio. Ti aiuto io: a me la neve piace perché mi ricorda il primo incontro con tua madre… e perché nevicava quando sei nato tu.”
“Allora posso dire che l’inverno mi piace perché c’è il mio compleanno?” il bambino alzò lo sguardo speranzoso, tirando su col naso per evitare che le prime lacrime colassero sulle guance.
“Ecco, vedi? Questa è già un’osservazione più personale: un pensierino tutto tuo.” annuì Vincent.
 “Allora l’autunno mi piace perché c’è il compleanno di zia Daisy.”
“Ecco, questo sarebbe più un motivo per detestare l’autunno.” commentò il capitano.
“Molto bene, tesoro – Rosie si accostò al figlio e gli diede un bacio sulla guancia – però invece di pensare solo a queste cose, perché non ti guardi attorno? La natura, gli animaletti, tutto quanto… e quello che ti piace osservare vuol dire che è degno di essere un tuo pensierino.”
“Osservare... ossia guardare qualcosa o qualcuno con attenzione…”
“Beh, sì, proprio così. Coraggio,sono sicura che ci riesci.”
 
“Si chiama osservare con i propri occhi – spiegò il bambino con orgoglio il giorno successivo, mentre con Elisa camminava nel cortile della scuola durante l’intervallo – e con questo trucco fare i pensierini non sarà più un problema.”
“Perché? Non è mica un trucco: anche io osservo con gli occhi. Mica con il naso.”
“Ma no! E’ diverso! – scosse il capo lui – a volte guardiamo senza vedere…”
“Ma che stai dicendo.”
“Che guardiamo però non vediamo, almeno non veramente.”
“Se io guardo certo che vedo.”
“Ma non veramente.”
“Vato, a volte dici cose senza senso. Perché non giochiamo a mosca cieca? In quel caso allora sarò sicura di non vedere e di non guardare.”
“Ma Eli! – protestò lui – non era questo il senso del mio discorso!”
Tuttavia, nonostante persino Elisa fosse scettica sul suo nuovo modo di fare, Vato aveva deciso di impegnarsi fino in fondo in quel nuovo atteggiamento che, a quanto pareva, era quello corretto da mantenere.
“Neve – mormorò, fissando la massa bianca sotto i suoi piedi – e ci lascio le orme… e anche gli animali. E così posso riconoscere quali animali sono passati. E a me piace riconoscere gli animali.”
“Che hai detto?” chiese Elisa.
“Niente, facevo un pensierino sulla neve… vedi come rimangono le impronte.”
“Oh sì! – sorrise lei, andando a staccare un ramoscello da un cespuglio – è come un bianco foglio da disegno grandissimo! Ora ti disegno, eh: guarda… tanto è facile perché hai i capelli per metà bianchi e quindi si capisce che sei tu.”
 
Ovviamente la supposizione di Vato era stata troppo ottimista ed il suo percorso di recupero durò fino a primavera inoltrata, per quanto, piano piano, i libri vennero riammessi nelle sue ore di svago.
Le famose basi di cui aveva parlato la maestra vennero costruite con solide fondamenta e fu un grande giovamento per il bambino: nel momento in cui fu maggiormente consapevole del suo spirito d’osservazione si accorse che anche il resto della classe lo capiva con maggiore facilità. Per lui divenne quasi una piccola sfida riuscire a farsi capire dai suoi compagni quando parlava di qualche cosa: faceva ricorrente uso di esempi e metafore, ma cercando di semplificare al massimo il concetto.
“E finalmente esprime anche le sue impressioni – sorrise con soddisfazione la donna in un colloquio con Vincent e Rosie – ha capito che dire le cose che pensa non è per niente stupido, tutt’altro. E questa è una bella scarica di autostima per lui. Anche nei suoi compiti non si limita a scrivere nozioni imparate a memoria: è molto più critico nei confronti di quello che ha imparato in precedenza.”
“Quindi l’emergenza è finita?” chiese Rosie con un sospiro di sollievo.
“Emergenza, che parola grossa… comunque sì, signora, direi che ci siamo. Vato sarà ben felice di scoprire che ho creato per lui un programma più adeguato e stimolante che però va in parallelo con quello dei suoi compagni.”
Furono le parole più belle del mondo per Rosie.
Per tutti quei mesi era quella che maggiormente aveva sofferto di più, anche quando lo stesso Vato si era abituato al compito che gli era stato richiesto. Gli sembrava di aver sbagliato come madre sia per la sua incapacità di difendere suo figlio contro una problematica, sia perché se ne sentiva in parte responsabile per via di tutti i libri che gli aveva concesso di leggere.
Fu quasi automatico per lei prendere in braccio il bambino, non appena uscirono nel cortile della scuola, e singhiozzare felice mentre lo stringeva a sé.
“Mamma, perché piangi? – le chiese lui – E’ successo qualcosa?”
“Niente, amore – sorrise lei – la mamma è felice perché tra poco inizieranno le vacanze estive e ti avrò di nuovo a casa anche la mattina. Sai che mi sei mancato tanto?”
“Uh, davvero? Però io ci devo andare a scuola, mamma. E a settembre inizia la seconda elementare… non essere triste, va bene?”
“Ma no, tranquillo. E se durante le vacanze estive andassimo per una settimana a New Optain a trovare tutti quanti?”
“Sul serio? – si illuminò lui – Davvero possiamo? Papà, vieni anche tu, vero?”
“Giusto per qualche giorno – annuì Vincent – poi dovrò tornare, ma voi potrete restare di più.”
“Ah! Non vedo l’ora di vedere zia Daisy!”
“Appunto…”
  
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