Videogiochi > Tekken
Segui la storia  |       
Autore: morrigan89    16/09/2008    3 recensioni
Anno 2191. Il pianeta Terra è stato devastato da una Guerra Nucleare. La città di Nuova Edo è sotto dittatura della potente Mishima Zaibatsu, la violenza è all’ordine del giorno, la libertà è un sogno destinato a pochi. Tra i resti di un mondo morente si intrecciano le vicende di alcuni personaggi, alcuni guidati dall’avidità, altri dall’odio, alcuni dai propri desideri innocenti, altri dai propri ideali.
-Perché non tutti i cuori sono morti-.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hwoarang, Jin Kazama, Kunimitsu, Ling Xiaoyu, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
2. Dead heart
 

Il White Crow era un pub, uno dei pochi della Zona Rossa che non era stato ancora fatto chiudere. Era un edificio piccolo e cadente, la sua facciata era fatta di acciaio e cemento armato e c'era un'insegna su cui, appunto, era disegnato un corvo bianco. Un uomo alto due metri, un buttafuori dalla carnagione scura e la corporatura massiccia, stava in piedi di fronte alla porta quando vide avvicinarsi una donna coi capelli rossi lunghi e una maschera da volpe sul volto.
–Salve Craig– gli disse.
–Ciao– rispose Marduk, il buttafuori.
Il gigante si spostò dalla porta e Kunimitsu entrò.
Appena ebbe fatto un passo dentro il locale fu avvolta da una spessa nube di fumo di sigaretta. Il locale era un po' buio e aveva odore di vecchio e di chiuso, c'erano tavoli e sedie di metallo incassate nelle rientranze ovali del muro, un bancone con degli sgabelli, un palco vuoto e delle porte sul fondo; era già molto affollato sebbene fosse ancora primo pomeriggio perché evidentemente molti erano subito accorsi a cercare informazioni sull’attacco notturno. Un paio di persone si girarono verso di lei sentendola entrare, altri erano seduti ai tavoli intenti a discutere, a bere o semplicemente da soli, altri ancora stavano appollaiati sugli sgabelli del bancone, fumando o bevendo.
Ricordando quello che le aveva detto Hwoarang si diresse verso il bancone e si sedette su uno sgabello, cercando di capire quale fosse il socio dell'amico.
La porta di ingresso si aprì con uno scampanellio e Kunimitsu si voltò. Sulla soglia c'era una persona dall'aria piuttosto strana avvolta in una lunga giacca nera: aveva sul volto una specie di respiratore camuffato da maschera del teatro Noh e una chioma leonina dal colore rosso acceso, che evidentemente faceva parte della maschera. La particolare figura si guardò attorno e poi, con una camminata da ubriaco, si diresse verso un tavolo nascosto in un angolo. Kunimitsu, piuttosto sorpresa, seguì con lo sguardo i suoi movimenti. "Strano" pensò "credevo di essere l'unica pazza ad andare in giro con una maschera Noh”.
–Ciao Kuni–. La kunoichi si voltò appena in tempo per vedere una donna dai capelli rossi a caschetto e con indosso un vestito rosso piuttosto succinto sbucare da sotto il bancone. Il suo nome era Anna Williams ed era l'intrattenitrice del bar. –Cosa ti servo?– chiese.
–Niente grazie: sto cercando un amico di "Pel di carota"– Kunimitsu sorrise sotto la maschera a causa dell'appellativo di Hwoarang.
Anna, capendo il senso sottinteso della frase, sorrise, rispose –Dev'essere nei paraggi– e si allontanò a servire un'altra persona.
Un uomo seduto alla sinistra di Kunimitsu, con i lati del volto coperti dal bavero di una giacca, diede due colpi di tosse. "È lui" pensò.
–Scusa, hai una sigaretta?– chiese lei.
–Come no– disse l'uomo. Sfilò una sigaretta dal pacchetto e gliela offrì mentre allo stesso tempo le passava un piccolo involucro sotto il bancone.
Kunimitsu infilò lestamente il pacchetto in tasca, sollevò di poco la maschera e si mise la sigaretta in bocca. –Grazie…–
–Prego– rispose l'uomo dal volto mezzo nascosto dalla giacca.
–Cosa posso darti in cambio?– chiese mentre si accendeva la sigaretta, incrementando la nuvola maleodorante di fumo del bar.
–Niente. Salutami Pel di Carota e digli che ci vediamo tra qualche tempo– ghignò il tipo, evidentemente divertito dal soprannome.
–Bene–.
 
–Fermi tutti! Polizia!–.
La porta d'acciaio del pub si spalancò lasciando entrare 9 uomini vestiti di elmetto e armatura e con un mitragliatore laser appeso alla cintura.
Il vociare della clientela si congelò, venti sigarette si tuffarono nei portacenere, una decina di bicchieri si posò sui tavoli con un rumore secco, Anna si voltò verso il retro del locale e gridò un nome: –Marshall!–.
Un cinese con dei baffi sottili uscì dal retro con l’aria piuttosto scocciata: –Che cosa sta succedendo?–.
Uno dei cyberpoliziotti, evidentemente il capitano, si fece avanti mentre gli altri rimasero davanti alla porta, tenendo d'occhio i presenti. –Perquisizione–.
–Perquisizione?– pronunciò il cinese con una smorfia –Avete il mandato?–.
–Ovviamente– il poliziotto gli sventolò un foglio davanti al viso e Marshall Law lo prese.
–Posso sapere il perché?– chiese Law controllando il mandato.
–Controllo anti-droga. Avanti, muovetevi!– il capo fece un cenno agli altri poliziotti: due rimasero davanti alla porta mentre gli altri si sparpagliarono per il locale, controllando i clienti con i rilevatori di droga.
 –Che cosa c'è là dietro?– chiese il capitano al proprietario del pub, indicando una porta sul fondo del locale.
–I privet, il cortile, il magazzino– rispose Law, serio.
–E là?– il poliziotto indicò una porta al di là del bancone.
–Il mio ufficio–.
–Voi due– esclamò il capitano rivolgendosi a due agenti –Andate a controllare lì–.
Kunimitsu rimase inchiodata al bancone. In condizioni normali non avrebbe probabilmente rischiato nulla, anche se sapeva che spesso la cyberpolizia usava le perquisizioni anti-droga come pretesto per fare arresti, e, dopo i fatti della notte, la cosa che più volevano era mettere sotto torchio quanta più gente possibile per ricavare qualche informazione.
Ma questa volta non si trovava in condizioni normali. Questa volta un piccolo pacchetto dall'aria innocente, ma che avrebbe potuto farle passare dei guai terribili, si trovava nella sua tasca destra.
–Ti prego riprenditelo! Nascondilo!– sussurrò al fornitore di Hwoarang, mentre osservava i cyberpoliziotti in armatura che camminavano per il locale.
–Fossi matto! Adesso sono fatti tuoi– sussurrò l'uomo, allontanandosi di un posto da quello della ragazza.
"Anna…" pensò, ma incontrò il suo sguardo smarrito e terrorizzato… non avrebbe potuto fare niente per aiutarla.
Il panico cominciava a insinuarsi nel suo cervello e nelle ramificazioni nervose… che cosa avrebbe dovuto fare? Aveva poco tempo ormai, fra poco avrebbero perquisito anche lei e in quel momento la sua vita sarebbe finita.
Tentò di calmarsi e di analizzare la situazione: due agenti si trovavano nell'ufficio di Law, due erano sulla porta, tre controllavano il magazzino e i privet, il capitano e un altro perquisivano gli avventori nella sala. Loro avevano un mitragliatore laser, lei poteva contare solo sul suo kunai, un affilato coltello giapponese nascosto nel suo stivale, e nella sua agilità, che aveva acquisito dopo anni di sforzi e allenamenti. Lo scontro non sarebbe stato decisamente pari.
Dato che la sigaretta aveva cominciato a tremarle in bocca la posò nel posacenere e si risistemò la maschera sul viso.
–Capitano, qui non c'è niente– dissero i due poliziotti che uscivano dall'ufficio di Law. Kunimitsu si girò verso di loro, e in quel breve lampo in cui la porta si richiuse vide uno spiraglio di luce: una finestra.
–Ehi tu!–. Quella voce si rivolgeva a lei e, insieme, ricevette uno strattone che la fece ruotare sul posto. Davanti a lei, piantato nella solida armatura d'assalto, ora c'era il capitano.
–Non lo sai che è vietato girare con il volto coperto? Togliti quella cazzo di maschera!– ringhiò il poliziotto, di cui Kunimitsu vedeva solo le labbra contratte in una smorfia d'ira. Tutto attorno regnava il silenzio.
–Non posso– rispose lei, d'un fiato.
–Oh… non posso…– cantilenò il comandante –Togliti quella cazzo di maschera o ti sbatto in galera!!–.
–Ho detto che non posso– affermò lei, stavolta con un tono di aperta sfida –A meno che non vogliate contemplare l’effetto delle radiazioni su un volto umano–. Ovviamente non era vero, ma la bugia era venuta fuori da sola. "Fanculo" pensò "non potevo tirare fuori niente di più macabro!".
–Agente– ordinò il capitano al poliziotto che imbracciava il rilevatore di droga –Perquisiscila–.
Fu un lampo, e improvvisamente avvenne. Era uno di quei momenti che aveva già tolto d'impaccio Kunimitsu molte volte in passato, uno di quei momenti in cui la ragione lasciava spazio all’istinto, le sue azioni diventavano meccaniche ed il primordiale desiderio di vivere la guidava e le impediva di sbagliare.
Tutto le apparve come al rallentatore, la scena passò sotto i suoi occhi come vista da una terza persona: sentì l'allarme del rilevatore, vide il poliziotto che cadeva all'indietro sotto i suoi calci e investiva il comandante nella caduta, vide se stessa che saltava dietro il bancone, Anna che si buttava per terra per ripararsi dai laser, le bottiglie d'alcool che si infrangevano per gli spari, il pavimento ricoperto di cocci, vide la propria mano che spalancava la porta dell'ufficio, vide lo squallido stanzino, vide la finestra e i frammenti di vetro che schizzavano come saette mentre lei ci passava attraverso.
E veloce come era arrivato, il momento finì e tutto tornò alla sua normale velocità. La kunoichi si ritrovò per strada, il corpo coperto di graffi, e come il vento prese a correre lontano dal caos che regnava nel White Crow.
"Accidenti Hwoarang, in che casini mi hai messo".

*

Jin Kazama staccò lo sguardo dallo schermo del computer pieno di cifre e schemi e si avvicinò alla finestra della sua camera. Davanti ai suoi occhi si apriva la vista del piccolo giardino di casa dove sua madre adottiva stava piantando dei garofani, una delle poche specie di piante salvate dalla distruzione. Guardandola, Jin non poté fare a meno di pensare a cosa avrebbe detto Jun se fosse stata ancora viva.
Lo sai, Jin, quante specie di piante da fiore esistevano prima della guerra nucleare? Migliaia. Adesso ne saranno rimaste solo qualche centinaio… Non trovi che sia triste?
A Jin sembrò quasi di poterle rispondere. “Sì, mamma, è triste, ma è ancora più triste che tu non ci sia più. Anche se forse nessuno vorrebbe davvero vivere in un mondo morto come questo.”
Non dire così Jin. Voi siete vivi perché il miracolo della vostra sopravvivenza è troppo grande perché lo si possa barattare con la morte. Avete una strada difficile di fronte a voi ma è necessario che voi la percorriate, avete un mondo da ricostruire. 
“No mamma, noi continuiamo a vivere solo per gratitudine alla sorte che non ci ha spazzato via dalla faccia della terra. Quando quarant’anni fa si permise lo scoppio della guerra penso che la razza umana avrebbe davvero meritato di estinguersi. E invece siamo ancora qui, come se niente fosse successo, e continuiamo a vaneggiare e a inseguire le stupide soddisfazioni di sempre. Forse quando la radioattività decadrà sarà possibile migliorare le condizioni del nostro pianeta, ma non è la Terra che dobbiamo curare: siamo noi stessi. Pensa alla condizione della nostra città, una città in cui le sparizioni sono all’ordine del giorno, governata da un dittatore senza scrupoli, abitata da persone che pensano solo al denaro e alle proprie ambizioni mentre più di metà degli abitanti marcisce segregata nella Zona Rossa, una città il cui vero aspetto è nascosto da una facciata di patinato benessere.”
Jin, sembra quasi che io non ti abbia insegnato niente… Le tue parole sono vere, questo non lo nego, e capisco benissimo il tuo scoraggiamento perché è la stessa cosa che ho provato io da bambina quando l’inverno nucleare finì e noi sopravvissuti uscimmo dai bunker sotterranei. Ma sono cresciuta e ho lottato in un pianeta morente, Jin, e quando tu sei nato io ero doppiamente felice perché sapevo di aver fatto qualcosa per migliorare il mondo in cui tu saresti vissuto. E so che anche tu lo farai perché nonostante i tuoi pensieri negativi dentro di te ami questo posto almeno quanto l’ho amato io.
 “Non ti preoccupare, so che cosa devo fare e lo sto già facendo. Forse i miei studi di Biologia saranno un contributo minimo alla scienza, ma sarò felice se anche un solo filo d’erba potesse crescere in mezzo al deserto che ci circonda, come sognavi tu. Tutto quello che faccio lo faccio per te, mamma”
Le dita di Jin si posarono sul vetro della finestra e per un breve istante gli parve quasi di scorgere nel riflesso il volto sorridente della madre, ma un attimo dopo la sensazione era sparita, ed era di nuovo solo.
Solo.
Il sorriso sul suo volto si mutò in un sorriso amaro. Ultimamente aveva indugiato troppo spesso in questa sorta di ricordi e, come sempre, il breve attimo di felicità era svanito lasciando spazio a una serie infinita di interrogativi senza risposta.
Jin diede le spalle alla finestra e il suo sguardo vagò per la camera ordinata fino a posarsi sull’unica foto di Jun che possedeva e nonostante il buio riuscì a scorgerne distintamente i grandi occhi neri.
“Sai mamma, ancora non mi capacito che tu sia sparita lasciandomi in compagnia di tanti segreti. Sono passati dieci anni e non ho ancora scoperto niente. Chi era mio padre? Perché hai insistito che assumessi una falsa identità? Perché esclusa quella foto non rimane altro segno della tua esistenza? E soprattutto… chi è stato a ucciderti?”.
Ma questa volta non arrivò nessuna risposta.
Improvvisamente il completo silenzio della camera venne rotto dal suono di una sveglia; Jin guardò l’orologio – erano le 3 e mezza – ricordandosi che doveva seguire un seminario scientifico alla sede della Biotech, quindi raccolse il portatile e corse giù per le scale.
Una volta in strada Jin assaporò l’aria fresca che si respirava in quel tranquillo quartiere residenziale della Zona B, dove piccole villette a schiera si alternavano ai giardini. Guardando verso nord-ovest poteva vedere l’altissimo Mishima Palace stagliarsi nel centro di Nuova Edo, simile a una lama nera conficcata nella carne, mentre a ovest scorgeva l’irregolare skyline degli eleganti palazzi della Zona A, simbolo della ricchezza e del fulgido progresso della città; se avesse orientato lo sguardo verso nord avrebbe intravisto le moli enorme e sgraziate dei palazzi-dormitorio della ZR, simboli di povertà e squallore attentamente occultati dagli alberi del parco. Ma la Zona Rossa era sostanzialmente un mondo estraneo a Jin poiché aveva avuto la fortuna di essere cresciuto da una famiglia benestante, e raramente guardava in quella direzione se non quando si sentiva in colpa per la sua sorte invidiabile.
La sede della Biotech si trovava nella Zona A a poche centinaia di metri dal confine che delimitava il centro burocratico ed economico di Nuova Edo: l’Inner Core, sede dei palazzi governativi, delle banche e delle grandi società, nonché del laboratorio di ricerche personale della Mishima. Con la metropolitana che avrebbe preso a pochi passi da casa sua avrebbe impiegato solo 10 minuti ad arrivare a destinazione, ma, nonostante fosse largamente in anticipo, qualcosa gli fece decidere che fosse meglio affrettarsi. Quella strana sensazione che si era risvegliata in lui pochi mesi prima e che aveva cercato in tutti i modi di reprimere e di archiviare come un malessere passeggero, forse dovuto allo stress, aveva tutto ad un tratto cominciato ad insinuarsi dentro di lui. Un lieve tremito iniziò a scuotere le sue membra e il suo campo visivo fu attraversato da una sorta di lampo nero; contemporaneamente il cuore cominciò a battere più forte, e non sapeva se fosse un sintomo o solo la paura.
Jin scosse la testa cercando di scacciare la spiacevole sensazione. "Non è nulla. Mi sa che sto solo diventando ipocondriaco". Le porte del treno a pochi passi da lui ondeggiavano al suo sguardo. Quando si sedette su uno dei sedili la sua pelle stava già cominciando a bruciare come fuoco e in quel momento Jin dovette accettare che ciò che temeva sarebbe successo ancora una volta.
 
*

–Qui volante ZR402, stiamo entrando in pattuglia nel Blocco 5, Sezione B, Zona Rossa–.
L'agente al volante, un uomo panciuto con la divisa sporca di fritto, posò il microfono della radiotrasmittente al suo posto. Non aveva mai amato essere di pattuglia nella Zona Rossa: troppe gatte da pelare.
Il collega seduto accanto, un biondino ossuto dallo sguardo vigile, esclamò ad un tratto: –Guarda laggiù!–.
–Che cosa?– rispose il conducente, con aria annoiata.
–Ho visto una persona sparire nel vicolo non appena siamo arrivati noi!–.
–Sì, ho notato… e allora?–
–E allora dovremmo andare a vedere cosa succede!– rispose l'altro, professionalmente.
–Di’, ma come ti vengono in testa certe idee? Guarda che chiunque fosse ormai non lo ripeschiamo e in ogni caso per noi è una pessima idea infilarci in un vicolo: c'è gente qui che non aspetta altro che gli capiti a tiro un novellino come te!–.
–Ma quella persona è stata aggredita!–.
–Un aggressione dici? Lascia perdere ti dico: queste cose qui sono all'ordine del giorno… noi abbiamo altro da fare. E poi non ci penso nemmeno a scendere dal veivolo in un postaccio come questo!–.
"Ma…" pensò il giovane voltandosi a guardare apprensivamente il vicolo appena sorpassato.
 
–Ma che…–
–Ssst!–
I due, immobili per terra, guardarono il veivolo della polizia che scivolava dolcemente nell'aria a pochi metri da loro e passava oltre il vicolo.
–Hai fegato ad andartene in giro così dopo quello che hai combinato nel pub–. Era una voce raschiante, metallica.
Kunimitsu poté finalmente girarsi per vedere chi era stato a trascinarla in quel vicolo buio e con somma sorpresa si trovò davanti quel tipo strano che aveva visto nel bar, quello con la maschera giapponese.
–Chi cavolo sei?–.
–Non ha importanza. Passavo di qui per caso–.
"Come ha fatto ad arrivare qui prima di me?" si chiese Kunimitsu, dubbiosa.
I due si alzarono spolverandosi i vestiti.
–Non c'era bisogno che tu mi scaraventassi a terra… mi sarei nascosta da sola dalla polizia–.
–Ok– rispose serafico –Allora sarai anche abbastanza in gamba da renderti conto che oggi ti sei messa nei guai, guai neri. La polizia non ti darà pace dopo quello che hai fatto. Vediamo un po’: volto nascosto, detenzione di droga, oltraggio a pubblico ufficiale, resistenza all'arresto!–. Mentre enumerava le effrazioni di Kunimitsu sulla punta delle dita sembrava assai divertito e compiaciuto, poi il tono della sua voce si rabbuiò: – In questo posto è roba da non farti vedere mai più la luce del sole. Non so se mi spiego…–
Kunimitsu si morse la lingua. Quel tizio e la sua mancanza di tatto cominciavano a darle sui nervi. –Questi sono fatti miei.– sbottò.
L'uomo riprese a ridere, e la sua risata divertita riecheggiò nel respiratore. –Bene bene, pare proprio che tu non abbia bisogno del mio aiuto!–
–Del tuo aiuto? Io non ho affatto bisogno del tuo aiuto!–. Kunimitsu si sentì punta sull’orgoglio. Se c’era una cosa che non sopportava era che qualcuno insinuasse che fosse debole e indifesa, cosa che del resto non era vera.
–Ne sono contento. Ma se per caso tu dovessi averne bisogno in futuro… beh, fai un salto qui– le tese un foglietto piegato. –Può darsi che per caso io mi trovi da quelle parti–.
–Fai un po' troppe cose "per caso"…– osservò lei con tono inquisitorio.
–Ho solo la fortuna di trovarmi spesso nel posto giusto al momento giusto…– sogghignò il tipo –Fammi il piacere di distruggere quel biglietto dopo averlo letto, ok? Ora, se permetti, vado a passare per caso da qualche altra parte–. Lo sconosciuto le voltò le spalle e fece per andare verso l'uscita del vicolo.
–Aspetta!– Esclamò Kunimitsu.
Lo sconosciuto si voltò senza dire niente.
–Non so chi tu sia, ma… grazie–.
Lo sconosciuto le rivolse un cenno di saluto, poi si allontanò.
Una volta rimasta sola la kunoichi aprì il biglietto e si trovò sotto gli occhi un messaggio piuttosto strano:
 
Blocco 4, ZI, al confine con la ZR.
Vai sul retro della Domestik s.P.a., cerca un tombino dietro un container.
                                                Attenta ai ratti!
 
 
Kunimitsu inarcò un sopracciglio. –Fantastico, salvata da un pazzo furioso–.
 
*

Perdersi nella folla: era tutto ciò che desiderava Ling Xiaoyu in quel grigio pomeriggio di marzo, mentre camminava in mezzo alle vetrine scintillanti, ai grattacieli vertiginosi, alla fiumana di persone sciamanti attraverso il nuovo quartiere di Shinjuku nella Zona A.
Ling stava cercando quel momento in cui ogni pensiero si perde in mezzo alla folla, i problemi si allontanano con la corrente, il battito del proprio cuore si unisce ai cuori pulsanti delle persone che ci camminano accanto, l’individuo diventa parte di qualcosa di più grande e indistinto. E lei voleva smettere di pensare, voleva essere per un po’ quello che gli altri credevano che fosse: una persona felice, una ragazzina ridente e spensierata, forse anche un po’ stupida. Nessuno la conosceva abbastanza bene da capire che non era quello che sembrava, che in realtà il suo perenne sorriso era una maschera rassicurante creata per nascondere la propria paura.
E così vagava senza meta, guardandosi attorno, incurante delle spinte che riceveva, soffermandosi su ogni sguardo, ogni sorriso, ogni smorfia, lasciando che ogni frammento di vita altrui entrasse a far parte della propria.
Mentre era nel cuore della città, lei era tutto ed era niente.
E poi l’incanto si ruppe, disturbato dallo squillo di un cellulare. Gli ci volle qualche attimo per ritrovare se stessa nel caos di Shinjuku, dopodichè si portò il telefono all’orecchio.
–Pronto!– esclamò Ling, con la voce allegra di sempre.
Ciao Xiaoyu, sono Julia! Non so perché ma ho come l’impressione che tu ti sia completamente dimenticata del seminario di oggi, quello obbligatorio per completare l’anno accademico. Ti prego, dimmi che mi sbaglio!–.
Ling si fermò mentre attraversava la strada, suscitando una lunga serie di imprecazioni e clacsonate.
–Oh. Oh mio Dio. Non dirmelo–.
Dovrebbe iniziare fra dieci minuti. Adesso sono le 4. Pensi di farcela?–.
Ma Julia non ricevette nessuna risposta perché quando aveva cominciato la frase Xiaoyu stava già correndo come un fulmine.

*

Lei Wulong avanzava spedito verso l’Edificio 3 dell’Inner Core, attorniato da una folta schiera di assistenti e poliziotti addetti a varie mansioni, quando vide l’agente Hinagawa che gli veniva incontro sbracciandosi.
–Detective Wulong!– esclamò l’agente affiancandosi al suo superiore
–Buongiorno Hinagawa. Ci sono novità?–.
–Alcune. Gli artificieri hanno già analizzato le cause delle esplosioni e sono ormai sicuri che si sia trattato di bombe. Resta solo da scoprirne il prototipo–.
–Di quanta entità sono i danni?–.
–Ehm, forse è meglio che guardi lei stesso…– rispose Hinagawa mentre il gruppo di poliziotti svoltava l’angolo di un palazzo, ritrovandosi di fronte alla loro meta.
Il Detective Wulong non poté che lasciarsi scappare un fischio di disapprovazione alla vista dell’Edificio 3 che come sempre si stagliava nei suoi 50 piani d’altezza ma che stavolta aveva un lato completamente sventrato.
“Nell’Edificio 3 sono archiviati i dati di tutta la popolazione di Nuova Edo” rifletté Lei “Mi sembra un ottimo obbiettivo per un gruppo di terroristi”.
–Mmm… vedo. La Banca Dati Elettronica è stata violata?– chiese Wulong.
–I tecnici hanno detto di no, però nei piani compresi fra il 20° e il 25° erano ancora conservati i documenti cartacei stilati subito dopo la costruzione della città e che non erano ancora stati convertiti in files elettronici–.
–Ma dato che questi piani sono stati devastati dalle fiamme non è possibile sapere con certezza se qualche cosa sia stata sottratta o meno– concluse Lei.
Hinagawa annuì.
–L’Edificio 4 è la sede della Televisione e il 7 è sede dei Laboratori di Ricerca Mishima. Che cosa è successo lì?–.
–Nell’Edificio 4 l’esplosione ha distrutto gli studi di registrazione e anche in questo caso non sappiamo se sia stato rubato qualcosa–.
“Il loro obbiettivo sarà stato quello di interrompere le trasmissioni” rifletté Lei “ma stamattina il notiziario e gli altri programmi sono stati trasmessi regolarmente. Probabilmente NE Television ha mandato in onda programmi pre-registrati e non ha accennato all’attentato di stanotte per non allarmare la popolazione...”.
–E l’Edificio 7?–
–Stesso modus operandi. In questo caso però è stata la Direzione stessa del laboratorio a non rilasciarci informazioni sui danni o eventuali furti–.
–Certo, i Laboratori sono coperti dal Segreto di Stato– rispose Wulong –E per quanto riguarda la Banca Centrale?–.
–In questo caso non c’è stata nessuna bomba: le pareti sono state sciolte con l’acido. La scientifica lo sta analizzando. Sono stati sottratti milioni di Yen sottoforma di lingotti, banconote e denaro virtuale–.
–Ottimo lavoro Agente Hinagawa– disse Lei affibbiandogli un'amichevole pacca sulla spalla –ora procurami gli indirizzi di tutti i negozi di antiquariato di Nuova Edo. Voglio visitarli personalmente–.
L'agente ebbe un attimo di esitazione. –Ehm… certamente Detective–
“Antiquariato?” si chiese perplesso Hinagawa mentre il Detective Wulong si dirigeva verso il furgone della Scientifica seguito dal folto gruppo di poliziotti.

*

La dottoressa Julia fissava il telefono che le era stato appena riattaccato in faccia con uno sguardo che esprimeva un misto di perplessità, preoccupazione e divertimento. "Povera Ling" pensò "in questo periodo ha davvero la testa fra le nuvole. Ma non me ne stupisco vista la sbandata che si è presa per quel Takeshi Kawamura". Non che Ling glielo avesse apertamente confessato, ma dato che entrambi i ragazzi le erano stati affidati dall'Università perché li aiutasse nel loro programma di studi scientifici, era inevitabile che Julia si trovasse talvolta a nominare Takeshi davanti a Ling, ed era anche impossibile che, da scienziata qual era, non notasse l'espressione che Xiaoyu assumeva in quei casi.
Julia sospirò. Era passato qualche anno da quando anche lei aveva provato sensazioni simili e aveva dovuto accantonarle per non togliere spazio a ciò che costituiva l'obbiettivo più importante di tutta la sua vita, per lei degno di ogni sacrificio e di tutta la sua abnegazione: il progetto di esperimenti sulla riforestazione.
Fin da quando era bambina si era sempre rifugiata nel mondo evocato dai ricordi di Michelle, sua madre, che le raccontava sempre di come un tempo lontano, prima che l'uomo iniziasse a rovinarlo e la guerra lo devastasse completamente, il pianeta fosse stato un'oasi di verde, popolato da miriadi di piante e animali, dove gli alberi spandevano la loro ombra sui fiori e gli oceani erano solcati da maestosi cetacei. Anche quando Julia era cresciuta e Michelle aveva smesso di raccontarle il passato, quelle immagini continuavano ad affascinarla, non mutate nemmeno dal disincanto della maturità che le aveva mostrato la realtà in tutta la sua desolazione. Per Julia, riportare il pianeta allo stato in cui era prima della guerra nucleare era diventata man mano una tacita promessa. Aveva studiato biologia e aveva iniziato a lavorare alla Biotech, dove si era dedicata anima e corpo alla sua causa. E finché avesse avuto i mezzi e le opportunità, non avrebbe mai abbandonato la sua ricerca.
Certo, l'impresa era difficile. Il mondo intero era un deserto secco, costellato da gigantesche pozze di acqua salmastra, unici resti degli oceani, e abitato solo da animali primitivi come topi e scorpioni.
I primi tentativi di impiantare i semi delle specie vegetali salvate dalla distruzione erano stati infruttuosi: i residui radioattivi impedivano la crescita della pianta nonostante l'acqua e il nutrimento che le venivano costantemente erogati. Eppure, se solo si fosse riuscito a far crescere alberi in numero sufficiente e a nutrirli artificialmente, questi avrebbero contribuito a drenare il suolo liberandolo dalla radioattività, e l'ossigeno da essi emesso, insieme al vapore acqueo scaturito dai vulcani, avrebbe contribuito a ripristinare l'equilibrio idrico e atmosferico.
Forse ci sarebbero voluti centinaia di anni, ma la Terra avrebbe potuto ristabilirsi: questa almeno era la teoria che la dottoressa Chang sostenteva da anni, scontrandosi contro la realtà; nonostante gli sforzi della Byotech e degli altri scienziati sparsi per il mondo, niente era ancora cresciuto.

La cosa che più abbatteva Julia non erano tanto gli insuccessi quanto il fatto che i laboratori di ricerca della Mishima, pur essendo plausibilmente dotati di strumenti sofisticatissimi oltre che di fondi praticamente infiniti, non aveva mai mosso un dito per questo scopo e, come se non bastasse, cercavano da sempre di allungare le sue mani sulla Byotech per impadronirsene. Ricevevano costantemente visite da impiegati dei laboratori Mishima che mostravano loro l'autorizzazione a essere informati dettagliatamente su tutti gli studi che si conducevano nella Byotech e sul personale che vi lavorava, mentre gli esperimenti della Mishima erano protetti dal segreto di stato. Nessuno sapeva che tipo di studi si conducessero al loro interno, ed erano in molti a pensare che si trattasse di qualcosa di illecito, ma finché la Mishima era al governo e i suoi laboratori facevano capo ai loro, nessuno avrebbe mai potuto lamentarsi. Del resto era già un miracolo che la Byotech, sotto la guida del dottor Boskonovitch, fosse sopravvissuta alla guerra e avesse contribuito alla costruzione delle megalopoli in cui abitavano. Forse solo la gran fama di cui godeva aveva impedito a Heihachi e al dottor Abel di cancellarla del tutto dopo averne già fatto, se non alle apparenze almeno in pratica, una succursale della Mishima.
Julia Chang, essendo l'assistente personale del dottor Boskonovitch, sapeva molto di queste faccende, ma aveva l'impressione che ben più di qualche mistero sfuggisse alla sua conoscenza. Lo stesso Boskonovitch era un'incognita per lei e c'erano molte domande che avrebbe voluto rivolgergli se solo non avesse avuto paura di essere indiscreta: che rapporti aveva avuto con il presente rivale, il dottor Abel, ai tempi del riassetto mondiale? Perché a volte si rendeva irraggiungibile per giorni interi? Chi è che gli spediva così tante lettere - mezzo assai antiquato - che poi lui bruciava sempre (lo aveva visto di nascosto)? Perché solo lui poteva accedere ai magazzini?
Benché le domande fossero tante e il dottore non si confidasse con lei, Julia si fidava di lui e quindi non dava molto peso a questa sorta di misteri. "Del resto tutti noi abbiamo dei segreti" diceva a se stessa.
Julia spense il cellulare, lo mise nella tasca del camice e uscì dal suo studio per andare ad assistere al seminario tenuto dal dottore. Mentre camminava nel corridoio si vide venire incontro un Jin Kazama molto trafelato.
–Oh, ciao Takeshi! Visto che sei in anticipo perché non vai a prendere un posto in sala per te e per l'altra mia allieva?– disse lei pensando che dopo questo Ling Xiaoyu l'avrebbe ringraziata o maledetta per tutta la vita. Ma con sua somma sorpresa Jin le passò accanto quasi correndo, senza rispondere e senza nemmeno guardarla.
"Strano ragazzo" pensò Julia sistemandosi gli occhiali.

*

Jin non si era accorto che la dottoressa Chang gli aveva rivolto la parola, non si era nemmeno reso conto di essere passato accanto a qualcuno. Riusciva ad avanzare nei corridoi della Byotech solo perché ci era stato così tante volte da conoscerli quasi a memoria, perché in quel momento i suoi occhi infuocati non vedevano altro che lampi scuri.
"Non di nuovo… non di nuovo" mormorava Jin mentre andava disperatamente alla ricerca di un posto dove nessuno avrebbe potuto vederlo, tastando i muri in cerca di qualche porta, piegato in due dai dolori lancinanti che si facevano strada nel suo corpo: la testa gli pulsava, la pelle gli bruciava come se da un momento all'altro avesse potuto staccarglisi, il midollo spinale era scosso da scariche nervose, ogni singolo filamento muscolare sembrava aver preso fuoco.
Jin cadde in ginocchio, incapace di muoversi ulteriormente. Ormai avrebbe dovuto affrontare lì la crisi, con la speranza di essersi allontanato dalla sala convegni quanto bastava per non incontrare qualche ricercatore o qualche studente, che ormai avrebbero dovuto essere tutti seduti ad attendere l'inizio del seminario.
La sola idea che qualcuno avesse potuto vederlo nello stato in cui si sarebbe ridotto di lì a poco lo riempiva di terrore. "Non voglio… non voglio diventare un mostro!".

Ma il caso volle che uno studente ritardatario e ancora poco pratico della Byotech si trovasse a passare proprio in quel momento in quel corridoio.
 
Ling Xiaoyu era immobile in mezzo al corridoio e respirava affannosamente per via della corsa appena fatta. Si era fermata di colpo quando aveva visto Takeshi Kawamura accasciato al suolo in preda agli spasmi a pochi metri da lei. 
Titubante, si avvicinò di pochi passi verso di lui, mentre il suo cuore batteva all'impazzata un po' per la fatica un po' per la paura.
–Ka…Kawamura?– sussurrò lei senza ottenere altra risposta che un gemito di dolore. Allora Ling decise che doveva farsi coraggio e, trattenendo il fiato, allungò lentamente una mano a toccare la spalla del ragazzo. Nello stesso istante Jin si sollevò di scatto, urlando per il dolore che il semplice contatto gli aveva provocato, e in quel momento Ling restò pietrificata dal terrore alla vista di qualcosa che non si sarebbe mai potuta immaginare: quegli occhi, che la fissavano con un'espressione mista di spavento e odio, non avevano più niente di umano.

Xiaoyu inciampò indietreggiando maldestramente e si ritrovò seduta per terra, incapace di distogliere il suo sguardo da quello di Jin Kazama. I suoi occhi, iride e sclera comprese, erano completamente neri, e le sue pupille, ridotte a fessure verticali, rilucevano di riflessi sanguigni.
I due restarono a fissarsi con reciproco orrore per un tempo che parve un'infinità, l'una pietrificata dallo spavento e dalla sorpresa, l'uno immobilizzato dalla vergogna e dal dolore che continuava a farsi più acuto. E c'era poi quella rabbia inspiegabile, un odio immotivato e inumano che inondava l'anima di Jin Kazama come un fiume in piena. Ora che i suoi occhi erano cambiati e la sua vista era tornata, la visione di quella ragazza che lo guardava con orrore gli faceva venire il mostruoso desiderio di ucciderla, di vederla in un lago di sangue. Ma Jin era ancora abbastanza in sé da rendersi conto di ciò che stava provando.
–Vattene!– urlò rabbiosamente alla ragazza.
Ling Xiaoyu continuava a guardarlo mentre le lacrime le salivano agli occhi. –Kawamura…–.
–Vattene stupida ragazzina!–.
La ragazza scosse la testa, piangendo.
–Morirai se non te ne vai! Non capisci?– gridò selvaggiamente mentre sentiva che la ragione lo abbandonava lentamente per dare il posto a un furore disumano.
–Che… che cosa ti sta succedendo?– chiese lei singhiozzando mentre la pelle di Jin si ricopriva di strani segni scuri e si dilatava, come se qualcosa stesse crescendo sotto di essa. La sua massa muscolare pareva aumentare a vista d'occhio.
Jin digrignò i denti, avvertendo qualcosa che si muoveva dentro di lui, all'altezza delle spalle. –Vai… via…–.
–No!– urlò Xiaoyu gettandosi al collo di Jin, abbracciandolo, senza nemmeno pensare a cosa stesse facendo, che cosa stesse rischiando. Sapeva solo che quel ragazzo aveva bisogno di aiuto.  
Fu allora che avvenne qualcosa di inspiegabile.
A quel contatto umano Jin sentì il suo cervello frantumarsi in mille pezzi, centinaia di voci riempirono le sue orecchie, la sua vista si oscurò di nuovo e ogni percezione della realtà si infranse.
Uccidila, uccidila!
Disse una voce grottesca dentro la sua testa, una voce così terribilmente simile alla propria.

"No… non posso!" rispose.
Non vuoi assaggiare il suo sangue?
"Non sono io che lo desidero!"
Ma sei tu che lo stai pensando, sei tu che ti stai trasformando in un mostro.
"Sei tu il mostro, non io".
Ma io sono te, non vedi?
"Bugiardo! Tutto ciò non può essere vero!".
Per quanto ancora pensi che riuscirai ad ingannarti? Non frenare il tuo corpo, lascia che la metamorfosi abbia termine. Non vuoi vedere cosa diventerai? Non vuoi liberare il tuo potere nascosto? Puoi abbandonare ogni dolore, se solo lo desideri.
"Non posso permettere che tu mi faccia uccidere qualcuno!".
Potresti perfino vendicare tua madre.
"Lasciami stare!"
Per questa volta ti accontento. Ma sappi che non ti libererai mai di me, perché io e te siamo la stessa cosa, io sono sempre stato dentro di te anche se te ne sei accorto solo da poco. È solo questione di tempo…
"Non importa…" rispose con l'ultima forza di volontà rimastagli "ora lasciami in pace".
 
Spalancò gli occhi. Davanti a lui il corridoio della Byotech splendeva di un bianco accecante.
Le fitte del dolore abbandonavano il suo corpo come la bassa marea lasciando il campo ad un tremendo senso di spossatezza.

–Mio Dio. Che cosa…–. Solo in quel momento si rese conto che qualcuno lo stava abbracciando.
–Kawamura!–. Ling allentò di colpo la presa e si ritrovò a pochi centimetri dal viso di Jin, i cui occhi erano tornati normali. Entrambi indietreggiarono bruscamente arrossendo per la sorpresa e per l'imbarazzo.
–Stai bene adesso?– chiese la ragazza azzardando un sorriso nonostante le lacrime che continuavano a scendere lungo le sue guance.
Jin annuì. Tremava ancora e respirava a fatica, per cui aveva difficoltà a parlare. Squadrò la ragazza, chiedendosi se si trattasse di una persona affidabile. Vedendola aveva sempre avuto l'impressione che fosse infantile e superficiale, ma il coraggio che aveva dimostrato nel restare con lui lo aveva sorpreso. –Promettimi… che non dirai a nessuno… ciò che hai visto–.
–Lo prometto– giurò lei, pur essendo ancora scossa da ciò a cui aveva assistito.
–Adesso andiamo al seminario– disse lui sforzandosi di riguadagnare un po' di autocontrollo –O ci butteranno fuori dall'università–.

*

–Questo è l'ultimo– disse l'agente Hinagawa.
Lei Wulong e il suo assistente, entrambi in borghese, si trovavano di fronte a un piccolo e cadente edificio a due piani ai margini della Zona A, a poche centinaia di metri dagli sbarramenti che la divideva no dalla Zona Industriale.
Dalla vetrina del negozio al piano terra, piuttosto buio e angusto, si affacciava una variopinta moltitudine di cianfrusaglie, mascheroni africani, statuette rococò, ceramiche Ming e Buddha sorridenti; una marea di oggetti che qualcuno aveva salvato dalle esplosioni e che per qualche ragione erano finiti tutti là, per essere acquistati da qualche nostalgico dei tempi andati.

Lei aprì la porta con uno scampanellio e i due entrarono nella penombra polverosa dell'antiquario. Dopo qualche istante un vecchietto cinese si fece strada verso di loro passando tra uno Shiva danzante e un jukebox del 1960.
–Buonasera, sono Wang Jinrei. Cosa posso fare per voi?– chiese il negoziante sorridendo lievemente.
–Buonasera, signore. Siamo agenti della Polizia– disse Lei mostrando il distintivo –Se non le dispiace vorrei farle alcune domande su un oggetto–.
Alla vista del distintivo il vecchio smise di sorridere e si fece serio –Mi dica–.
Wulong gli mostrò una fotografia che raffigurava il terrorista mascherato immerso nel fumo. –Riconosce questa maschera?–.
Il vecchietto portò la fotografia sotto la luce di una lampada e inforcò un paio di spessi occhiali. Dopo che la ebbe studiata per qualche secondo annuì. –Impossibile per me non riconoscerla. È una maschera demoniaca del teatro Noh risalente al 1200, un oggetto unico e prezioso. Io la possedevo insieme ad altre maschere fabbricate dallo stesso artigiano, ma le ho vendute tutte in blocco un bel po' di anni fa–.
–Sapreste dirmi il nome di chi le ha acquistate?–.
L'anziano con i suoi profondi occhi scrutò il poliziotto con sospetto. –Perché volete saperlo? Chi è la persona nella foto?–.
–Mi dispiace ma non sono tenuto a dare queste informazioni. Mi auguro che sarà così gentile da non ostacolare le indagini– rispose Lei con professionalità, tentando di dimostrarsi cortese. Non aveva mai amato le dimostrazioni di potere compiute dagli altri poliziotti.
L'antiquario se ne andò senza dire niente nel retro del negozio. Pochi minuti dopo ritornò con due giganteschi cataloghi, che appoggiò su una scrivania sollevando una nuvola di polvere. Lei prese a starnutire violentemente e tentò di allontanare la polvere sventolando le mani.
–Sono allergico– si scusò sorridendo
–Questo è il registro delle vendite degli ultimi anni e quest'altro è il registro delle opere d'arte.– disse il vecchio con freddezza mentre apriva i cataloghi. –L'acquirente si chiama Sunichiro Kunikata e ha comprato queste maschere il 27 settembre del 2163. Qui ci sono le polaroid che ho scattato per l'inventario–.
I due poliziotti si chinarono a osservare le fotografie raffiguranti nove eleganti maschere di legno, tutte smaltate di bianco, una delle quali conoscevano bene.
–È proprio lei– mormorò Wulong ponendo l'indice sulla foto del demone Hannya.
 
Un'ora più tardi il detective Wulong sedeva alla sua scrivania con le mani intrecciate dietro la testa, assorto nella riflessione. Le ricerche che aveva svolto negli archivi elettronici dell'anagrafe avevano avuto qualche risultato. Sunichiro Kunikata, morto nel 2183 all'età di 85 anni, era stato proprietario di un dojo prima dello scoppio della guerra e, scampato alla morte, aveva continuato ad esercitare la sua professione fino all'età di 64 anni, quando la sua palestra era fallita per mancanza di fondi; suo figlio e sua moglie erano morti parecchi anni prima in un incidente, lasciando a lui il compito di occuparsi della nipote ancora bambina. Nonno e nipote avevano vissuto insieme in un piccolo appartamento nella parte più povera della Zona B, dove pare che il vecchio si fosse dato all'artigianato e in particolare alla forgiatura di spade e altri oggetti metallici, che poi rivendeva agli antiquari ricavandoci da vivere. Questo fino al 2183 quando era morto di vecchiaia. Da quel momento in poi la nipote allora sedicenne, Motoko Kunikata, era scomparsa senza lasciare traccia, forse perché era morta o forse perché si era data alla clandestinità, cosa che non era affatto difficile in una città popolosa e caotica come Nuova Edo. Considerando le varie ipotesi Lei Wulong era più propenso a credere che fosse ancora viva e che abitasse nella Zona Rossa insieme ad altre migliaia di senza nome; e, sebbene non potesse ancora definirsi sicuro al 100%, pareva che ne avesse avuto una prova.
Controllando le denunce sporte quel giorno dagli altri poliziotti, si era ritrovato davanti ad un identikit che, pur non avendo all'apparenza niente di speciale, gli aveva fatto venire un colpo: –Donna bianca, età sconosciuta, corporatura media, altezza 1.70 circa. Ricercata per: detenzione di droga, aggressione a pubblico ufficiale, resistenza all'arresto, volto non identificabile. Ultimo avvistamento: White Crow Pub, Blocco 5, Zona Rossa–.
Quello che lo aveva fatto saltare sulla sedia non erano tanto i reati commessi quanto il disegno che la raffigurava: una donna dai capelli rossi che indossava una maschera bianca. A quel punto Lei Wulong aveva febbrilmente frugato fra le foto delle maschere acquistate da Sunichiro Kunikata e ne aveva tirato fuori una per confrontarla col disegno.
–"Kitsune"– aveva sussurrato mentre la osservava –La maschera della volpe–.
Un attimo dopo aveva inviato alcuni agenti ad interrogare i proprietari del pub sull'identità di quella donna, il cui nome era probabilmente Motoko Kunikata e che, ancora più plausibilmente, era una dei terroristi che stava cercando.    



Nota: la maschera del demone Hannya è questa qui. Vi dice nulla? :P



Appendice

Nuova Edo (NE)

Scheda della città.

Abitanti: 170 milioni circa.
Etnia principale: asiatica.
Lingue ufficiali: Giapponese, Cinese, Inglese.
La città di Nuova Edo ha pianta circolare e si divide in quattro quarti (A, B, C, D) più una zona concentrica situata nel cuore della città, l'Inner Core.
Zona A (sud-ovest): Centro città.
Non è il centro geometrico della città ma è il luogo in cui si concentra la vita di Nuova Edo: vi si trovano tutti gli uffici, le scuole, i negozi, i punti d'incontro e tutte le altre attività che non siano sotto il controllo diretto della Mishima. All'interno di questa parte della città esistono anche alcune zone residenziali ma è possibile abitarvi solo se si è in grado di pagare cifre astronomiche.
Zona B (sud-est): Zona residenziale
Frazione della città completamente adibita a contenere abitazioni per individui e famiglie di classe alta e media. Il costo dell'abitazioni diminuisce man mano che ci si avvicina al confine con la zona residenziale C, rendendosi accessibile anche a individui di classe medio-bassa.
Zona C (nord-est): Zona Rossa.
Zona-dormitorio per le classi sociali meno abbienti di Nuova Edo, per cui sono stati costruiti giganteschi palazzi denominati Edifici Abitativi. L'alta densità abitativa e le cattive condizioni di vita hanno portato ad un alto sviluppo della criminalità. Per favorire l'ordine e i controlli da parte della polizia, questa zona ha subito una divisione geometrica più severa rispetto a quella adottata nelle altre frazioni. La Zona rossa è divisa in 4 parti, ognuna dei quali è divisa in 10 blocchi che comprendono un numero variabile di edifici abitativi.
Zona D (nord-ovest): Zona Industriale.
In questa parte della città sono situate tutte le fabbriche e le industrie di NE, insieme alle coltivazioni in serra e agli allevamenti. Ogni fabbrica è munita di filtri per l'aria per evitare che lo smog si diffonda in tutta la città. Gli scarichi e lo smog non filtrati sono incanalati in tubi che li portano fuori dal confine di Nuova Edo.
Inner Core.
E' il centro della città, separata dal resto da un parco a forma di anello e da una spessa muraglia presieduta da militari. E' la sede del Mishima Palace e di tutti gli organi a cui essa fa capo, come il palazzo del governo, i laboratori mishima, l'archivio di stato, l'anagrafe, la banca centrale di NE, NE Television, la sede della Cyberpolizia e molti altri. Alcuni di questi edifici sono stati denominati unicamente con un numero per mantenere il segreto sulle mansioni che vi si svolgono. Per accedere all'Inner Core e agli edifici che ne fanno parte è necessario possedere un pass speciale.




Questa è la prima volta che pubblico una fanfiction in internet  ed è quindi con grande emozione che inauguro il mio primo "angolo dell'autore" (cosa che dà un'aria molto profescional, sisi).
Grazie ad Angel Texas Ranger, Valy_Chan, Elilly, AleTokio, Miss Trent e DarkTranquillity per aver recensito positivamente il primo capitolo, rigenerando il mio ego! Questo è lungo il doppio del precedente ed è anche doppiamente incasinato, ma spero che non vi abbia dispiaciuto.
Valy Chan: Anche io come puoi ben vedere ho amato "1984". Mi è rimasto impresso così tanto da diventare di fonte di ispirazione per questa fiction, non solo per quanto riguarda l'atmosfera generale ma anche per certe caratteristiche: i manifesti del dittatore sparsi per tutta la città, le persone continuamente bombardate dai media, la mancanza di informazione e memoria storica ecc ecc. La mia paura era che questa fiction risultasse un po' troppo "pretenziosa" visto gli argomenti trattati, ma spero di essere riuscita a evitarlo (spero <_<)
Dark Tranquillity: evvai un altro fan dei Nevermore! :D Sarei molto curiosa di sapere su cosa era basato il tuo racconto. Io stessa ero lì per lì per dare a questa fiction il titolo della canzone ma poi l'ho tagliato
Miss Trent: Grazie per i complimenti! La mia intenzione è proprio quella descrivere ogni scena in modo che possa facilmente essere immaginata. Per quanto riguarda lo scrivere un paragrafo per personaggio devo ammettere che lo faccio più che altro per comodità, perché così invece di andare in ordine cronologico posso scrivere prima le parti per cui ho ispirazione e lasciare per dopo quelle che non mi riescono (tanto poi riordino tutto una volta che ho finito il capitolo xD). Insomma, se in futuro dovesti notare delle incongruenze ora sai perché.
Angel Texas Ranger: A dire il vero non ho fatto molto caso all'età... Comunque direi che valgono quelle che i personaggi hanno fra tekken 4 e 5 (anche perché non so quale sia l'anno mondiale che ha usato la Namco <_<)

Al prossimo capitolo (che sicuramente non arriverà veloce come questo)!
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Tekken / Vai alla pagina dell'autore: morrigan89