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Autore: Swish_    21/08/2014    3 recensioni
Il protagonista in questa storia non è un assassino. Non è un mostro. Non è un quaderno né un Dio sovrannaturale annoiato. Il protagonista in questa storia è una lei, una ragazza normale e semplice che si ritroverà ad un faccia a faccia con la mente più geniale, cinica e calcolatrice dell'intero mondo.
Un caso investigativo avrà proprio lei come punto focale e a farle capire quanto quella situazione sia pericolosa per lei quanto per il resto del mondo, non sarà un'amica, un parente, o un ragazzo bello ricco e famoso. A farle fare la pazzia più grande della sua vita, a farla cambiare, a farla addirittura innamorare sarà un piccolo genio cresciuto nella solitudine di un ruolo ambito e irraggiungibile. Un ragazzo nelle cui mani sono passati i casi più difficili e irrisolvibili dell'intero globo, tra cui anche l'impossibile caso del Death Note, il quaderno della morte.
Ebbene sì, quel ragazzo sarà proprio L.
Lo stesso L che è riuscito a sopravvivere a Light. Lo stesso che è restato a guardare cosa poi gli sarebbe accaduto.
Come avrà fatto a sopravvivere?
E soprattutto come si comporterà di fronte ai nuovi problemi del caso, tra cui l'amore?
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Mello, Near
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quasi meccanicamente, come se non fossi più partecipe delle piccole azioni che stavo compiendo, aprii la porta al mio fianco ed entrai nella stanza che era stata assegnata a me da Mello. Ignorai la sua bellezza e i suoi colori (rosso e oro), ignorai la splendida finestra all'altro capo della stanza che dava direttamente sulla strada, ormai oscurata dalle ombre della sera inoltrata, e mi diressi verso l'armadio.
Come ormai avevo dato per scontato, era completamente pieno di abiti nuovi, e per giunta della mia taglia... anche se per la maggior parte portavano taglie uniche tra le tante opzioni di scelta, io mi decisi per un jeans chiaro stracciato con qualche borchia dorata, una semplice canotta scollata bianca e delle scarpette da passeggio dello stesso colore.
Non mi asciugai i capelli, né mi fiondai sotto la doccia, che sapevo bene si trovasse dietro la seconda porta in legno scuro della stanza, bensì mi limitai da asciugarmi quel che bastava per cambiarmi.
Tutti quegli avvenimenti, così incredibili e così repentini, mi stavano lentamente portando al limite della sopportazione.
Davvero non riuscivo a crederci.
Ryuzaki tra le mie braccia, mezzo nudo...
Io e Mello sul tetto in fuga...
Sarah...
Il mio bacio con Mello sotto la pioggia nel suo giardino...
I miei poteri.
La mia pazzia.
Troppo. Era davvero troppo da assorbire solo in una giornata. Non ce la facevo.
Fu come uno scontro frontale contro un tir, di quelli enormi e pieni di lampadine al neon sulla facciata... che ti avrebbero accecato poco prima dell'impatto.
Sentii i miei occhi pungere, ma non lasciai che altre lacrime mi rigassero il viso. No, non più.
Non avrei mai più versato una lacrima, finché portavo in me la consapevolezza di essere dotata di doti UNICHE. IO ero unica. Il mio destino si era rivelato molto più grande di quello che mi aspettavo, ma non dovevo lasciarmi intimorire. Dovevo esserne FIERA.
Strinsi così forte la maniglia della porta, poco prima di aprirla, e così intensamente da vederne la sagoma annerita dopo averla lasciata.
La rabbia cresceva sempre di più nel mio petto, e più essa aumentava, più la mia forza era alimentata dal suo calore.
Una volta uscita di nuovo dalla stanza mossi i primi passi verso la stanza di Mello... ma dopo appena qualche istante ricordai di ciò che mi aveva suggerito prima di congedarsi. Sarah.
Allora girai i tacchi e seguii la direzione opposta; in fondo non era una cattiva idea, vedere come stesse. Non dovevo dimenticarmi che lei non c'entrava proprio niente in tutta quella faccenda, se non per colpa di un'amica-coinquilina dal destino misterioso... Mi sentivo così in colpa per lei.
Accennai appena due tocchi sul legno chiaro della sua porta, prima di aprire.
- Sarah... -
La ritrovai appollaiata al centro del grande letto a baldacchino che era toccato a lei, con una Marlboro rossa in una mano e il suo telefono nell'altra, che teneva spiaccicato contro l'orecchio:
- Sì, lo so sorella. Non preoccuparti okay? - alzò lo sguardo verso di me, e in silenzio mi fece un largo gesto col braccio libero in segno di silenzio.
- O... Okay... S... Sì, sì... Cazzo ho detto già che mi dispiace ma non credevo fosse il finimondo! Sofia mi ha fatto una sorpresa, te l'ho già detto... Sì, ho ben capito che lasciare un biglietto non basta prima di fare le valige e andarsene, me l'hai ripetuto un centinaio di volte! Comunque sto bene, okay? Sono a casa sua insieme ad un suo amico e forse resto per poco... Non lo so. Comunque le chiavi ce le ho, posso tornare da te quando voglio, sempre che tu non cambi idea... - aspettò la sua risposta, approfittandone per tirar sù una lunga ed esasperata boccata di fumo dalla sigaretta.
Vidi il bagliore rossastro riaccendersi, risaltando nel buio della sera, e la cartina che si trasformava in cenere dopo il suo passaggio, mentre che mi accomodavo lentamente sul bordo del letto al suo fianco.
- Si, si... Sono all' Upper East Side, te l'ho già detto. Va bene. Ci sentiamo baby. Bye! - e senza nemmeno aspettare una risposta attaccò, con fare frenetico.
Alzò gli occhi al cielo prima di girarsi di nuovo verso di me, guardandomi in modo truce:
- Perché hai i capelli bagnati? -




Le pareti grigie del quartier generale un tempo offrivano un certo senso di conforto nel cuore di Ryuzaki, nonostante non avesse mai dato troppa importanza a quelle cose, come lo stile di una casa, o anche di una persona... Lo si capiva bene da come si conciava. Semplice, comodo, efficace. Un po' come voleva nell'intimo che fosse la sua vita, nonostante sapesse bene di viverla completamente nel verso opposto.
Non che non gli piacesse investigare... Quello era DAVVERO tutta la sua vita. Dopo i primi casi, le prime ipotesi, era riuscito a convincersi di aver trovato il senso che la sua esistenza cercava, e per un orfano non si poteva chiedere di meglio, no? Grazie a Watari aveva raggiunto la sicurezza e la caparbietà che aveva nascoste lì da qualche parte senza mai uscir fuori sin dall'infanzia.
Gli piaceva osservare, restare a guardare il comportamento dei suoi compagni, ed era stato così sin dai suoi primi anni nell'istituto dove era cresciuto.
Gli altri bambini giocavano in giardino, facendo a gara a chi raggiungesse prima lo scivolo, o chi riuscisse a raggiungere il punto più alto coi piedi lanciandosi sulle altalene. Loro miravano al cielo, e lui mirava ad esso attraverso di loro. Un po' come il riflesso di uno specchio.
Adorava restarsene all'ombra di un albero, appollaiato con le ginocchia in petto e i piedi nudi che sfioravano l'erba, mentre si divertiva ad ipotizzare cosa sarebbe accaduto di lì a poco.
“Oh, ecco un ragazzino che tira le trecce di Mary...”
- Forse gli piaci. - aveva sentito dirle da una dei professori di storia dell'investigazione... “ma no, non poteva essere così.”
Il piccolo Ryuzaki non aveva mai creduto ad un'ipotesi simile. Piuttosto avrebbe detto che era stata Mary ad essere colpita da lui, tant'era vero che gli stava sempre attorno... e forse lui ne era stufo. Non riusciva a dargli tutti i torti, in fondo.
“Come può un maschio volere la compagnia di una femmina? Sono noiose, per la maggior parte, e quando non lo sono, sono anche peggio. Sono presuntuose, e portano solo guai. Chi bambino avrebbe mai voluto un'amica femmina?”
Lui non ne sopportava nemmeno uno maschio, figurarsi... Era troppo, per lui. Non era bravo con le relazioni, non lo era mai stato. Non gli piaceva sforzarsi di farsi piacere, e sapeva che una qualsiasi relazione al di là della conoscenza richiedeva quello sforzo.
- Ad ogni affetto un compromesso. - aveva detto una volta a Watari, all'età di dieci anni, mentre che concludeva con fare passivo e annoiato l'ennesimo caso di omicidio simulato che il professor Dothman gli aveva assegnato, tra un biscotto ed una cioccolata calda fumante, appollaiato sul letto nella sua stanza.
Watari veniva a trovarlo spesso nella sua stanza. Sapeva bene che lo faceva grazie ai numerevoli casi reali che era riuscito a risolvere prima di tutti gli altri, ad un'età sorprendente. Spesso si sentiva chiamare “genio”, ma a lui dava fastidio quel nomignolo. Lo categorizzava, e a lui non piaceva.
Dopo aver sentito quella frase, Watari distolse lo sguardo dalle innumerevoli cartine di dolci sparse per terra e lo alzò dritto su di lui, esibendo dopo un attimo di sorpresa un sorriso dolce:
- Anche la pace, è fatta di compromessi. - si sentii rispondere.
E lui non fu più capace di dimenticare.
A distanza di anni ora si ritrovava all'ennesimo quartier generale al suo ennesimo caso, e frugando nella sua mente con lo sguardo perso sul grigio pallido delle mura di fronte a lui, ripescò quell'attimo.
E non solo quello purtroppo.
Aveva ridotto a ferro e fuoco ogni piano, prima e dopo la fuga di Mello e Sofia. Era furibondo, come mai prima di allora.
Tutta quella rabbia così improvvisa lo sconvolse, lo inquietò profondamente, così che quando Near, col suo solito sangue freddo, gli intimò con educazione che camminare avanti e indietro tra gli agenti mordicchiando qualsiasi cosa di commestibile nell'edificio non avrebbe aiutato nessuno, lo ringraziò e si isolò in un angolo, come faceva da piccolo.
Fu come se la parte razionale di se stesso l'avesse ripreso, attraverso le parole di Near... e così, appollaiandosi su una delle tante sedie girevoli nella stanza, e piazzandosi un dito sulle labbra per impedirsi di farle sanguinare a morsi, cercò di trovare l'autocontrollo che per la prima volta nella sua vita doveva ammettere a malincuore di aver perso.
Non gli era successo nemmeno quella volta che davvero avrebbe dovuto farlo, ovvero quando vide per la prima volta, con meraviglia e panico di tutti, uno Shinigami. Neanche allora si era ridotto in quello stato... perché quindi doveva succedere proprio adesso?
Aveva davvero avuto ragione sin da piccolo...
Le donne. Portavano solo guai.
L'unica donna che avesse conosciuto dal vivo in prima persona, infatti, prima di Sofia... si era rivelata una serial killer, nonché una terribile oca. Le parole “Secondo Kira” gli straziarono le meningi come un lento e lungo stridio...
E il suo migliore amico, l'unico che avesse mai avuto, si era rivelato il primo vero Kira in persona... proprio come le sue ipotesi avevano da sempre teorizzato.
Fu capace di intuire tutto... TUTTO, di quel giorno. Quando Light Yagami, o Kira, anni prima aveva deciso di ammazzarlo grazie all'aiuto di uno Shinigami. Lo aveva capito, che se le sue ipotesi fossero state davvero corrette, ci stava per rimettere la pelle... Peccato per Light che quel ragazzo dai capelli neri e le occhiaie profonde, non era che un' ombra del vero L. Una semplice mano che continuava ad usare la mente.
Aveva calcolato tutto, tutto. Sin dall'inizio.
Dopo il suo primo incontro con gli agenti della polizia al suo hotel di turno a Tokyo, di quei tempi, fu costretto a verificare di persona l'innocenza di ognuno di loro, e questo non poteva farlo nessun altro. Ma... dopo quell'incontro, aveva pensato bene di ingaggiare un attore al suo posto, che imitasse alla perfezione ogni sua movenza senza davvero sapere che lo stesse facendo così bene, controllandolo con auricolari, microfoni e telecamere.
E così in quello stesso giorno, quello in cui l'attore prese il suo posto nel regno dei morti, quando capì davvero di aver visto fin troppo attraverso i suoi occhi, e vissuto attraverso il suo corpo, sentì che non mentiva quando disse a Kira che era davvero l'unico amico che avesse mai avuto. Si era affezionato a lui, e questo non poteva succedere per nessuna ragione al mondo. Nessuna.
Fu lui stesso, in prima persona, a farsi trovare sul tetto sotto la pioggia quella volta. Voleva poter guardare dritto negli occhi il suo miglior amico e il suo carnefice, perché sapeva che l'avrebbe raggiunto. E tutto ciò che fece anche dopo, come prendersi cura dei suoi piedi bagnati, con sua meraviglia, gli fece capire che era tutto davvero fatto con affetto, tanto da inquietarsene proprio come in quel momento, a distanza di anni.
Fortuna volle che poco dopo capì di dover sparire al momento giusto, così che lo Shinigami uccidesse qualcun altro al suo posto.
Quasi sembrò di averlo scelto, di uscire fuori dai giochi una volta per tutte. Il suo affetto lo stava accecando, non rendeva giustizia alla sua bravura sul campo, non gli permetteva di fermare quel terribile genocidio che si nascondeva sotto profana giustizia. E fu per questo che decise di non intervenire più, di restarsene sulle sue e sparire per un po'. Confidava in Near e Mello, e sapeva che se fossero riusciti a collaborare avrebbero anche potuto superare quei limiti che invece Ryuzaki si era segnato da solo. Non a caso, anche se dopo anni, la storia gli diede ragione.
Sapeva che avrebbe potuto e dovuto intervenire di nuovo dopo quell'avvenimento, mettere le manette a Light e continuare a combattere quella guerra. Dire: ”Ehi, sono ancora vivo! Non puoi sconfiggermi!”... ma non ne ebbe la forza.
Riconobbe i suoi nuovi limiti, e con infinita amarezza li accettò.
Addirittura in quegli anni pensò seriamente di non riprendere mai più il suo lavoro, di continuare a vivere da solo perché in fondo poteva farselo bastare, con qualche sforzo, e finire la sua vita nell'anonimato, nascosto dal mondo come uno spettatore a teatro, seduto nel buio.
E l'avrebbe fatto, se non fosse stato per la notizia non poco curiosa della resurrezione di Mello dopo la sua morte. Sapeva bene che fosse realmente morto, aveva analizzato ogni documento, ogni briciola di notizia inerente a quell'episodio. Furono trovati resti di ossa tra le macerie, e tutti avevano pensato che fossero le sue insieme a quelle di Takada. Invece ora sapeva bene che erano semplicemente le ossa di chissà chi, sostituite dagli scagnozzi di Bustri.
Trovò il coraggio di rimettersi in gioco, ricontattare Near in persona e con lui combattere quel nuovo nemico.
Eppure, nonostante tante avventure, nonostante tante esperienze... Nulla, NULLA, riusciva ormai a superare la priorità che ora nella sua mente aveva solo un pensiero: lei. La sua pelle chiara quasi quanto la sua, i suoi occhi castani, i suoi capelli lunghi e quel sorriso incerto che gli faceva venir voglia di baciarla, come non gli era mai successo.
Sin dalla prima volta che l'aveva vista, in una pozza di sangue delirante, sentì qualcosa di diverso, che non aveva mai provato prima. Qualcosa che addirittura superava l'affetto malato per Light... era qualcosa di molto, molto più grande e importante. Un colpo imponente che ti cambiava il ritmo del cuore.
Sin dalla prima volta sentì di doverla proteggere, di doverla studiare... e quell'attaccamento così malsano e inspiegabile lo rese ancor più cinico. Aveva sbagliato una volta con Light, e nessuno poteva dire che non lo stesse per fare ancora una volta. E forse quella volta avrebbe anche potuto rimetterci davvero la pelle. Di fatti fu solo con lei che lui iniziò a decidersi di farsi rivedere al di fuori di Near e Mello. Non l'aveva mai fatto con nessun altro... e aveva deciso che non l'avrebbe più fatto, se non all'interno del quartier generale e dei suoi agenti.
A volte si arrovellava ancora il cervello nel capire perché non fosse riuscito a mantenere la sua parola, a restarsene lì da solo e agire nell'ombra... ma anche in quel caso non trovò risposta.
Con lei era diventato tutto così inspiegabile, così illogico, così... fin troppo umano, da farlo sentire completamente inerte.
Come una foglia d'albero in autunno caduta dal suo ramo si poggiava sulle rive del fiume, e si lasciava trasportare dalle sue onde verso una meta che non conosceva, allo stesso modo si sentiva Ryuzaki quando si trovava di fronte a quella creatura così straordinaria, dalla bellezza così feroce, selvaggia ma allo stesso tempo così innocente.
Lo stava distraendo troppo, si stava lasciando prendere e sapeva che sin dalla prima volta che era successo non poteva più reputarsi un detective.
L'immagine di Mello e Sofia mano nella mano che fuggivano via dal tetto balenò di nuovo come una fotografia vecchia e consumata dal tempo nella sua mente... e senza pensarci addentò il polpastrello del dito che teneva premuto sulle labbra. Li aveva visti attraverso uno dei tanti monitor del quartiere, insieme a Near e al resto degli agenti.
Non fece caso alla reazione confusa del primo, come se non riuscisse a capire quel gesto romantico, e nemmeno a quella dei secondi, che lo imitavano anche se in modo meno accentuato. Non fece caso a più niente, se non lei, e la sua mano stretta in quella di lui.
La furia di aver scoperto di aver avuto ancora ragione pensando a quell'ipotesi si riversò insieme al rumore dei proiettili degli agenti che aveva inviato sul tetto di sua stessa iniziativa. In quel momento non riuscì a capacitarsene, non riusciva a ragionare, voleva solo che non se ne andasse, e lo voleva a qualsiasi costo.
Dopo poco però, capì che quello non era per niente un giusto pensiero. Se ne vergognò per tutto il resto del tempo, ripromettendosi di non pensarlo mai, mai, e mai più.
Era restato così tanto tempo al suo fianco... sin dalla prima volta che l'aveva vista non fece che quello. La osservò mentre dormiva i primi giorni, quasi interamente ricoperta da gesso e bende... la sorvegliò anche i giorni dopo il suo risveglio, da lontano, in modo che lei non potesse vederlo. E anche dopo lo faceva di nascosto così spesso che l'aveva trovata quasi come un'abitudine... e non averla più in giro, sapere in cuor proprio che non sarebbe bastato un paio di minuti in ascensore per raggiungerla, lo rendeva nervoso. Inefficiente ancor più di quanto già non lo fosse diventato.
- Ryuzaki... - lo chiamò Near, dall'altro lato della sala.
Con la punta del piede, come sempre scalzo, Ryuzaki si diede lo slancio per girare la sedia verso di lui.
- Si? -
Near dal canto suo non si sforzò di fare lo stesso, così che mantenendogli le spalle e tenendo lo sguardo fisso su un monitor, in una posizione molto simile alla sua, gli rispose:
- Sta succedendo qualcosa... All'East River. -
- Spector? -
- Si... e no. Non uno qualunque. Il nostro. -
Ryuzaki drizzò la schiena
- Mello? -
- L'altro. - rispose ancora, con appena un accenno di insicurezza nella voce.
Al suono di quella risposta Ryuzaki balzò sù dalla sedia e lo raggiunse, spalancando gli occhi sullo schermo.
- E' molto peggio di quanto pensassimo... - sentii Near borbottare.
E sapeva che quando capitava di borbottare proprio a Near, significava che non era nulla di buono.




- Oh, va bene, va bene... farò finta di non avervi visto dalla finestra a limonare come due adolescenti sotto la pioggia... - sentii dire da Sarah con finto disinteresse.
- Oh che palle, Sarah! Non mettertici pure tu. E' tutto così... difficile. Non posso pensare anche a questo ora. - divagai, con tono esasperato.
- Comunque ora devo andare... - dissi, rialzandomi dal morbido materasso ricoperto con lenzuola di lino chiaro.
- Ah, un'altra limonata in privato? O forse sarà proprio una piantagione di veri limoni? - continuò a scherzare lei, con non poca malizia.
Alzai gli occhi al cielo e le voltai le spalle, dirigendomi verso la porta.
- Attenta ai semi, sorella... Meglio non fare frutti al momento! - le sentii urlare poco prima che la porta si richiudesse alle mie spalle.
Buona parte di me era seriamente tentata di tornare lì dentro e strangolarla, ma capii che non era il caso, soprattutto con tutti quei nuovi poteri... così mi limitai ad un'alzata di spalle e uno sbuffo appena accennato, mentre che tornavo a muovere i passi verso la stanza di Mello.
Attesi appena qualche istante, poco prima di aprire quell'ennesima porta chiusa. La maniglia era diversa, rotonda, come quelle vecchio stile.
Sbarrai d'improvviso gli occhi: una forte sensazione ostile, come un sesto senso, allertò tutti i miei sensi superdotati... Non sapevo né come né dove, ma stava accadendo qualcosa di strano. Come dell'aria calda che riuscivo a sentire oltre quella porta in legno...
Quando vidi del fumo volare sopra la mano stretta sulla maniglia dorata, capii che non potevo più esitare, stavo esplodendo, dovevo sapere.
Spalancai la porta in un solo gesto violento, esaminando la stanza con una certa sorpresa mista a nervosismo. La stanza era quasi completamente avvolta nel buio, se non per i raggi pallidi della luna ormai sorta in cielo in tutto il suo splendore, che invadeva la zona oltre le ante delle finestre spalancate. Non sembrava esserci nessuno, ma ancora non ne ero convinta. Quella sensazione appena accennata di poco prima ora stava divampando come un incendio, senza più controllo. Avanzai ancora di qualche passo, lentamente, concentrando lo sguardo nelle zone più buie alla ricerca di qualcosa, o meglio, di qualcuno.
- Mello? -
Il suono improvviso della porta che si chiudeva alle mie spalle mi fece sobbalzare in un attimo, voltandomi di scatto. Istintivamente ripiegai la schiena e le ginocchia, quasi come se mi stessi accovacciando. Alcune scintille cominciarono a brillare di nuovo dai palmi delle mie mani, risplendendo ad intermittenza nel buio. Tutto il mio corpo era teso ed elettrizzato. L'ansia e la paura diedero di nuovo vita al mio istinto di sopravvivenza, e non mi sentii mai come in quel momento così spietata.
Una risata maschile echeggiò nella stanza dal buio:
- Se fossi in te non darei troppo sfogo alle tue scosse... Potresti mandare l'intera casa in fiamme. -
Quella voce non l'avevo mai sentita prima, e anche se buona parte di me ormai doveva saperlo che Mello non c'era, ne restò comunque delusa.
- Chi sei? - sibilai a denti stretti, mentre che con lo sguardo ispezionavo ogni angolo alla ricerca di anche solo un accenno di sagoma umana... niente.
- Nessuno di cui ti possa importare direttamente, purtroppo... - quella risposta mi sembrò arrivare da un posto diverso dalla prima volta... Stava cambiando posto ogni volta che parlava, in modo da disorientarmi. Sapeva di star avendo a che fare con uno Spector... ma soprattutto, temevo davvero di non essere l'unica in quella stanza.
- Dov'è Mello? -
Un'altra risatina diabolica arieggiò nella stanza:
- Tranquilla, lo rivedrai... Forse. -
No, quell'essere non aveva nessun'intenzione rassicurante, era certo. L'ansia di non sapere cosa fosse capitato a Mello si stava presto mescolando alla preoccupazione per Sarah, incosciente di tutto a pochi metri da quella stanza.
Quei pensieri fomentarono le cariche, e con grande piacere le lasciai fare. Ora erano diventate come l'ultima volta, linee sottili blu elettrico che si dilungavano nell'aria in modo discontinuo per qualche secondo, prima di scomparire.
- Vattene. - ringhiai, ormai furibonda.
Qualche istante dopo una stretta morsa mi colpì alla gola, quasi soffocandomi. Mi aveva raggiunta e afferrata... ma perché non crollava per le scosse?
- I tuoi trucchetti con me non funzionano, Sofia. - sibilò lui minaccioso, mentre che stringeva ancor di più le dita attorno al mio collo. Erano lisce e morbide, seppure strette attorno alla mia pelle...
Gomma.”pensai subito.
Annaspai e mi dimenai senza controllo, sentendo i sensi affievolirsi sempre di più... L'ossigeno che non arrivava più ai polmoni...
- Adesso tu vieni con me. - continuò, con una certa nota di compiacimento nella voce.
Sentivo il suo fiato mentre parlava sul collo.
- ...Al richiamo di un padre non si rifiuta mai, nemmeno se si è un figliuol prodigo avvenente come te. -
Non ebbi il tempo di rielaborare il significato di quelle strane parole, che il buio mi accolse di nuovo come un buon amico che non ti rivede da molto tempo.

   
 
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