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Autore: Marlene Ludovikovna    22/08/2014    2 recensioni
È il 1936 quando il giornalista inglese Thomas Bartley, durante un viaggio in Marocco, s'infatua della giovane Kitty Pfenning, una sognante ragazza austriaca sempre immersa nelle sue letture, in viaggio con i genitori.
Quando Kitty deve ripartire per l'Austria i due iniziano a scriversi condividendo tutto e continuando le loro vite. Thomas diventa un giornalista piuttosto acclamato mentre nel frattempo Kitty cresce e, con l'avvento del nazismo, è sempre più decisa a scappare per l'Inghilterra e a raggiungere Thomas.
Un legame intenso, insofferente, sincero e un po' egoistico unisce Kitty e Thomas, decisi a ritrovarsi e ad amarsi senza ritegno.
- La vide e si sentì pieno d'una gioia stridente; essa nacque spontanea dentro di lui, nel momento in cui potè risentire il corpo Kitty tra le sue braccia: ora poteva davvero sentire che era vera. Poteva toccarla, stringerla a sé e sentire il profumo dei suoi capelli.
Non erano più a Tangeri, erano a Londra. Il profumo speziato era sostituito da quello umido della stazione. Tantissimi avvenimenti si erano successi per arrivare alla loro unione e ora erano lì ed erano insieme.
“Chi tu non abbandoni, né tempesta né pioggia lo faranno tremare...” Sussurrò Kitty. -
Genere: Angst, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
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PARTE PRIMA



Capitolo sesto


 

Le giornate di Kitty a Tangeri si susseguivano l'una all'altra in una beata lentezza, cullata dal caldo secco del Marocco e di tanto in tanto scosse da un piacevole soffio di brezza marina.

Spesso, verso le quattro del pomeriggio, Kitty andava con i suoi genitori alla spiaggia riservata ai clienti del Grand Hotel du Savoy, dove si sdraiava sotto l'ombrellone e leggeva, per poi alzarsi e nuotare.

I bagni di Kitty erano quasi sempre due al pomeriggio, molto lunghi.

Uno appena arrivata, l'altro dopo la pausa per leggere sotto l'ombrellone.

Kitty a Vienna andava spesso in piscina, ma nuotare in quel mare fantastico – spesso inquietato dalle onde – non era per nulla paragonabile. Tutto era un idillio perfetto, lì: la sabbia bianca, l'acqua che si estendeva non superando l'altezza del suo ginocchio per una grande lunghezza, permettendole di fare lunghe passeggiate mentre l'oceano si estendeva davanti a lei.

Un giorno si chiese se si potesse arrivare a nuoto in Spagna o in Portogallo, dato che erano così vicine. Passò un po' di tempo a pensarci, durante il ritorno al suo ombrellone, incontrò Tom che stava facendo una passeggiata.

Kitty gli rivolse un sorriso bellissimo, tutto bagliori e fossette, mentre era quasi avvolta da un aurea di sole, che splendeva dietro di lei.

Il viso di Tom invece era completamente illuminato dalla luce, che splendeva nella sua direzione.

Lui sentiva come von Aschenbach di La morte a Venezia, con il suo Tadzio.

Guardava Kitty, che ogni giorno alternava costumi diversi, e che vedeva asciugarsi al sole. Ogni tanto andava a salutarlo e si sedeva di fianco alla sua sdraio.

Parlavano un po'; al momento Kitty stava leggendo Emma della Austen e lui I fratelli Karamazov.

Lui commentò che Kitty stava facendo un'estate di letteratura inglese, e lui di letteratura russa.

Si ritrovò a chiedersi se lei facesse sempre quel sorriso bellissimo o se fosse solo suo. Sciochezze, si disse, la gente non ha un sorriso apposta per una persona in particolare.

Spesso però lei alzava gli occhi dal suo libro e lo guardava leggere o camminare avanti e indietro o parlare con Dorothy... Oppure appuntava spesso cose sul suo taccuino nero. Kitty si chiedeva sempre cosa ci fosse scritto.

Che Tom la guardasse però raramente se ne accorgeva. C'era un'affinità elettiva che sapeva di esserci, nella sua coscienza era radicata questa certezza che lei non aveva ancora realizzato.

Ed era Kitty quando si portava l'asciugamano alle spalle perché aveva freddo dopo essere uscita dall'acqua ed esser stata accolta dal vento, era Kitty con gli occhiali da sole, era Kitty che giocherellava con la sabbia, distesa a pancia in giù.

Thomas voleva che fosse la sua Kitty.

Dorothy nel frattempo li osservava tra l'invidia e il disprezzo – nonostante singolarmente le stessero entrambi simpatici detestava l'idea che le persone potessero essere felici mentre lei non lo era -, tra un commento e l'altro.

“Ora le donne stanno ad abbrustolirsi al sole come selvagge! Dove siamo finiti!” diceva.

La cena la facevano spesso insieme. A volte si univa a loro anche un francese di nome de Touillery, e se non si univa era Maxwell a cenare con lui.

De Touillery era uno scrittore o artista o disoccupato. Nessuno aveva capito che lavoro facesse, ma secondo Dorothy era un poveraccio. Ad ogni modo, Max godeva della sua compagnia molto spesso. Kitty non capiva come Maxwell potesse essere interessato a passare del tempo con una persona simile. Le sembrava un viscidone.

C'era un sesto senso, in Kitty, che la maggior parte delle volte le permetteva di inquadrare le persone e di formare le sue prime impressioni, azzeccandole sempre. Kitty s'innammorava tantissime volte al giorno e altrettante volte rimaneva indifferente o infastidita.

Il suo amore non era amore, era la speranza che lo potesse diventare. Era affetto improvviso ed interesse.

E inoltre, sapeva perfezionare o ritrattare le sue prime impressioni, come aveva imparatto un anno addietro da Lizzy Bennett.

A volte Tom, Dott e gli Pfenning al completo cenavano insieme.

Tom dedusse in pochissimo tempo quanto fossero una famiglia disastrosa; la madre non faceva altro che parlare bene del figlio maggiore, Ansel Adolph, e il padre dava l'impressione che ogni minuto di normalità familiare fosse per lui un supplizio. Ancor più non sopportava il figlio; quel nazionalista esaltato!, diceva tra sé e sé.

Assai spesso usciva a cena o a pranzo e andava all'Hotel Sacher o al ristorante Ai tre Ussari in Weihburggasse, che in quel periodo andava parecchio di moda, tra la buona società viennese, e portava sempre con sé Kitty - con cui incantava i conoscenti per la bellezza e con cui si divertiva a conversare. Mai Ansel Adolph.

Nonostante ciò i due avevano un rapporto strano; non volevano mai fare esplicite dimostrazioni d'affetto e nel momento in cui era presente la madre, si ghiacciavano.

Cosa ancor più entusiasmante – sia per Tom che per il dottor Pfenning, neurologo e psichiatra – era che Thomas aveva assistito ad un seminario del dottor Pfenning, a Londra, nel '25, sugli effetti post-traumatici dei soldati che avevano partecipato alla guerra in trincea. Come effetti collaterali avevano nevrosi e schizofrenia.

Tom l'aveva trovato illuminante e ancor più aveva trovato agghiaccianti coloro che avevano ribattuto alle teorie di quel dottore baffuto che gli era stato da subito simpatico, nonché padre di Kitty, dicendo che chi mostrava effetti collaterali dalla trincea era solo debole d'animo e di spirito.

Karl Richard Pfenning aveva risposto che potevano avere l'opinione che preferivano, ma almeno dovevano ammettere che stare in trincea per quattro anni non fosse il miglior standard di vita.

Tom stava per alzarsi e applaudire.

Perché questi mentecatti volevano far finta che andare in trincea al freddo o al caldo soffoccante, con i nervi a pezzi e senza potersi cambiare per giorni, fosse una cosa bella? Non lo era!

Thomas si complimentò con il dottor Pfenning.

Kitty era contenta.

 

Una mattina, durante la colazione, a Kitty venne consegnata una busta che aspettava con ansia.

“È di Hans!” disse scartando la busta con ansia di conoscerne il contenuto.

“Hans chi...?” domandò sua madre.

“Hans Simmerl! Quello di teatro!” esclamò Kitty, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“L'ebreo?” domandò Helene con una smorfia tirata e un'alzata di sopracciglia.

Kitty nel frattempo aveva già iniziato a leggere la lettera, non badando minimamente alle esclamazioni di disapprovazione della madre; nessuno notava mai l'alzata di sopracciglia che faceva Richard Pfenning quando la moglie faceva protesse sul fatto che Kitty frequentasse ebrei o che respirassero. Il conte Andrassy era ebreo. Ed era un uomo sposato quando aveva conosciuto Helene.

Ed Helene era sposata, a Richard. E Andrassy l'aveva abbandonata.

A volte le diceva di non essere sciocca e infantile, riguardo alla “questione ebraica”, ma nessuno sapeva che lui era al corrente della verità e aveva da sempre fatto finta di niente.

Povera sciocca, pensava di Helene. Uno l'aveva abbandonata, allora le erano odiosi tutti.

Tutti tranne la figlia, che però doveva sentire la madre parlare bene dell'ariano Ansel Adolph continuamente.

Ogni tanto la moglie lo infastidiva, altre volte lo impietosiva, ma era un uomo facile al perdono, immune all'ira e in cui il sentimento di pena era facile a sopraggiungere velocemente quanto scompariva.

La lettera recava:

Cara Kitty,

 

A Vienna procede tutto decentemente, se non bene. O almeno per me. Sto preparando il copione per una trasposizione teatrale del Werther e se riuscirò a farmelo approvare tu sei già Carlotta.

Non vedo l'ora di fartelo leggere perché credo, in tutta modestia, che l'adorerai.

Le notizie amare in tutto ciò sono che per strada ci sono sempre più volantini con scritto “Venite ad Hilter” o “Heil Hitler”.

La sua faccia è ovunque, Kitty. Possibile che la gente non si riesca a rendere conto della volgarità e di quest'uomo?

Sarebbe impossibile da prendere sul serio, se non fosse che la gente lo fa!

Pensa che l'altro giorno stavamo uscendo dal teatro con Antoine Kuzel perché stavamo preparando alcune cose, non so se hai presente chi è, e praticamente abbiamo visto venirci incontro questi giovanotti pressapoco della nostra età che avevano delle facce che li avrei presi tutti a schiaffi.

Hanno pestato Antoine, erano in tre, e hanno dato un pugno a me rompendomi il naso. Ora va tutto bene, sono solo molto, molto arrabbiato.

A quanto pare nel nuovo secolo la volgarità paga.

Comprendo coloro che rimpiangono Francesco Giuseppe.

Spero tu stia passando momenti felici, in Marocco.

Un bacio,

Hans

 

Era tipico di Hans dire sempre che andava tutto bene anche quando non era così. Era tipico di Vienna! La vita andava avanti, no?

Ma a Kitty dava spesso fastidio il modo che avevano i viennesi di non curarsi dei fatti. Perché tutto va avanti e tutto continua.

“Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria!” avrebbe voluto urlare Kitty.

Appena finito di leggere si era sentita strana, come se vivesse estraneamente a tutto quello che le era stato raccontato, poi aveva avuto un sordo impeto di rabbia, infine le lacrime avevano iniziato ad offuscarle la vista.

Disse che andava in terrazza e in terrazza c'era Thomas.

Questo non lo disse, ma lo scoprì appena arrivata, quando lo vide; stava leggendo nella sua solita posizione e quando la vide arrivare piangente e arrabbiata le disse di sedersi accanto a lui.

Le strinse la mano tra la sua. Non una stretta forte o fastidiosa, ma solo protettiva. Kitty sentì una scossa percorrerle la spina dorsale.

Perché era sempre così, con Thomas? Avrebbe voluto essere impulsiva e baciarlo, solo per vederne la reazione. Un po' come i bambini piccoli, che sfidano le educatrici per scoprire i propri limiti.

“Cosa succede, tesoro?” chiese lui, reggendole la mano – la piccola mano che di tanto in tanto accarezzava - , sinceramente interessato.

Il loro rapporto si era evoluto ad essere molto più confidenziale in quegli ultimi giorni, ma ogni volta che lui la toccava, arrossiva.

Darling. Quel suono era ancora bello come la prima volta che l'aveva sentito uscire dalla sua bocca. La sua bocca.

Era una bella bocca, pensava Kitty. E anche le mani di lui erano belle; erano lunghe e affusolate.

Kitty non si sarebbe mai aspettata da se stessa di lasciarsi cadere sul petto di Tom e scoppiare in singhiozzi.

Lui le accarezzava la testa e non diceva niente. Kitty non arrossiva più, al suo tocco. Di fianco a loro c'era il tavolino con su la colazione di Tom. Kitty si ricordò di non avere ancora mangiato, ma aveva lo stomaco chiuso.

Pianse ancora un po' inzuppandogli la camicia blu scura. I secondi erano scanditi dai battiti di Tom.

Aveva sentito dire da una baronessa amica di sua madre che gli uomini migliori sono quelli che ti ascoltano piangere, senza dire niente.

Così fece Tom, mentre Kitty all'improvviso si sentiva lontana dal suo mondo, che stava a Vienna, e terribilmente inutile, terribilmente ansiosa e allo stesso tempo irritata perché era stata scossa la sua quiete.

“Ascoltarti piangere?” ricordava di aver domandato. Doveva essere passato almeno un anno; ora capiva e provava un sincero affetto per Tom, senza riuscire a definirlo, quell'affetto.

La gamba destra di Kitty era appoggiata sulle gambe di Tom, mentre la sinistra era distesa.

I capelli di Kitty avevano un buon profumo. Di vaniglia.

Di tanto in tanto Tom le accarezzava i lviso. Le passava il polpastrello sulla guncia e le asciugava le lacrime.

Fremeva. Era empatico nei confronti della povera Kitty, nonostante ancora non sapesse perché piangesse, e al tempo stesso così euforico!

Un metro e sessantatré di puerile splendore tra le sue braccia.

Ma non era solo quello! No! Era la consistenza candida del suo zigomo, le sue labbra! Avrebbe voluto toccarle, ma poteva immaginare come ciò l'avrebbe potuta scandalizzare o essere un'azione prematura. Era così inesperta, ma sentiva così tanta affinità con lei. Ripensandoci, se si fossero conosciuti Kitty e Tom quando aveva la sua età, sarebbero stati parecchio simili.

Kitty si era rasserenata, improvvisamente. Si rendeva conto delle cose solo quando erano già successe e avrebbe avuto tempo per vergognarsi del suo gesto da “bambinetta piagnucolona”, come l'avrebbe definito.

Al momento ogni sua ansia era però quietata; c'era silenzio, interrotto solo dai suoi singhiozzi, che scandivano il passare dei minuti, fino a diventare sempre più sporadici, fino a cessare del tutto.

Tom l'accarezzava ad intervallo regolare. Sentiva i polpastrelli di lui scorrerle sulla guancia e non provava fastidio, anzi.

Si sentiva come se nulla di brutto sarebbe potuto succedere e la vita era di nuovo bellissima.

Non parlarono per quasi venti minuti. Venti minuti erano tanti se li passavi a guardare il vuoto; Kitty fissava la camicia di Tom o alzava lo sguardo verso il mare. Di tanto in tanto chiudeva gli occhi, ma il sole del Marocco era così potente, che si percepiva anche a palpebre chiuse. Kitty e Tom in quel momento provarono qualcosa che non avrebbero mai provato: un'ansia d'infinito, che accarezzava l'area più irrazionale del loro cervello. Entrambi morivano dalla voglia di aprire la bocca e uccidere quel silenzio

Amava quella terrazza perché paradossalmente in quell'oasi di quiete si poteva sentire ancora di più il cuore pulsante del Marocco.

Tom guardava lei e tutto quello che c'era davanti a lui; i capelli di Kitty, le sue orecchie, il mare, le sue gambe nude dal ginocchio in giù, la gonna spiegazzata e il suo viso che poteva solo sentire e non vedere.

Era un dono bellissimo, quella quiete; nessuno veniva mai a fare colazione in terrazza.

Ad un tratto, quando Tom si era quasi ipnotizzato, Kitty si alzò.

Aveva i capelli spettinati, gli occhi arrossati e il viso umido per il pianto.

Lo guardò.

Dopo qualche secondo le sue gote si arrossarono per l'imbarazzo.

Sorrise.

E Tom sorrise a sua volta.

Kitty era bellissima, ma non quel tipo di bellezza banale. No, lei era qualcosa di irripetibile e Tom non riusciva mai a distogliervi lo sguardo perché ogni momento di lei lo era. Irripetibile.

Ogni suo sguardo, ogni sua espressione.

Il sorriso che fece senza mostrare i denti bianchi, tra l'ironico e l'imbronciato.

Thomas pensava che se un romanzetto da due soldi avesse potuto descriverla avrebbe detto di lei che la sua bellezza era una stessa cadente. Capitava poche volte, nell'arco della vita, ed era sempre in forme diverse.

Il sole illuminava il Marocco. Tom l'avrebbe descritta come meravigliosamente umana, eternamente bambina. Il suo volto si era fermato in un'infanzia fulgida e perenne.

La fulgida stella di cui parlava John Keats. Kitty era eterna e allo stesso tempo questione di un secondo. Contrasti. La luce arrivava subito e poi le ombreggiature, disegnate da un pittore esperto – e fu in quel momento che si rese conto di quanto assomigliasse alla Venere di Botticelli. Quello che però era indimenticabile era l'insieme. L'insieme di quei colori tanto diversi, uniti in quel quadro vivido e formidabile.

Il sorriso si fece poi più marcato nel volto di Tom quando Kitty lo guardò esitante.

Silenzio.

Kitty guardò il tavolo.

“Posso avere una crepe e un fazzoletto per soffiarmi il naso, per piacere?”

Tom rise. Bambina. E un sentimento, un Io, così adulto.

Certo che poteva avere una crepe e un fazzoletto! Poteva avere tutto quello che voleva con quella precaria eternità che aleggiava nel suo volto e lo rendeva quello che era. Bellissimo.

Sedici anni. No, quasi diciassette.

Avrebbe voluto averla con sé a Londra e a Buffington e a Marrakech!Non sarebbe partito, pur di stare con lei per sempre.

Oh, fulgida stella!

Poi il suo impeto si arrestò; patetico, disse tra sé e sé.

Quando a Kitty cadde della marmellata su un punto scoperto della coscia, la raccolse con il dito e lo leccò.

Mentre lo faceva non si rendeva conto che la sua azione sarebbe potuta essere considerata attraente. O almeno, lo sapeva, ma non ci pensava. Kitty aveva solo fame. Di vita, di cibo e di felicità, ma in quel momento solo di cibo.

“Posso bere il tuo té?” chiese, con quel sorrisino tutto fossette.

Thomas fece un gesto con la mano come ad indicare “prendi tutto quello che vuoi!” e sorrise.

Kitty bevve un sorso di té e poi, incoraggiata dagli sguardi di Tom raccontò di Hans, che amava l'Austria, e di Antoine, che era stato picchiato perché ebreo. Anche Hans era stato picchiato.

Raccontò dei volantini dei nazisti e del fatto che sua madre non apprezzasse a fatto gli ebrei, anzi, ne era infastidita, ma lo faceva in un modo che i nazisti ritenevano smidollato; Helene si divertiva a parlare male degli ebrei, ma non avrebbe sopportato di vedere veri provvedimenti. Il giorno dell'approvazione delle Leggi di Norimberga era rimasta chocata. Non lo sapeva nessuno tranne Kitty, che l'aveva vista piangere e non aveva capito la ragione della sua sofferenza; di solito sua madre non era così sensibile.

Richard l'avrebbe capito il pianto della donna, il cui più grande errore era stato innamorarsi di un ebreo e farci una figlia.

Kitty raccontò a Tom del teatro. Era tutta animata da un candido e genuino interesse quando parlava o ascoltava. Tom lo definiva romantico.

Kitty passava dalla rabbia all'entusiasmo con velocità e le sue labbra, mentre parlava, erano incurvate nell'accenno di un sorriso, il suo sguardo era vivo e brillante.

“L'ultima opera che abbiamo messo in scena è stata Il mercante di Venezia.

“Chi hai interpretato?” chiese lui, che si quasi impercettibilmete protendeva sempre verso il suo interlocutore, quando parlava.

“Porzia. In realtà ho pregato di ottenere la parte di Shylock, ma non me l'hanno data. L'ha interpretato l'Hans di cui ti ho parlato. Aveva una barba finta e una...” mimò il gesto e disse: “Non so come si dice in Inglese” ridendo imbarazzata.

“Una parrucca?”

“Sì, ecco, quello.”

“Aveva la barba finta e una parrucca grige e con il trucco lo avevano invecchiato di tantissimo!”

Sorrise.

Di tanto in tanto gesticolava in modo pacato allargando le mani o congiungendole.

Abbassava spesso lo sguardo e poi lo rialzava, penetrante e vivido, ma al tempo stesso carico di timidezza. Quando si accorgeva di aver guardato Tom in modo troppo intenso ritraeva subito quello sguardo di quel ghiaccio così caldo.

“Sai, credo che Il mercante di Venezia sia la miglior opera di Shakespeare, per quanto riguarda i testi teatrali. O almeno, è la mia preferita.

Riesce a combinare la tragedia, che lo è a causa dell'elemento della morte, e picchi di umorismo geniale. È con tutta probabilità la prima opera in cui viene inserito l'umorismo nero.”

“Oh, sì, è vero” asserì Kitty.

Si fermarono.

Non era un silenzio imbarazzato, bensì contemplativo.

Poi ripresero a parlare.

Nel frattempo gli Pfenning avevano deciso che la figlia sarebbe tornata quando l'avrebbe ritenuto opportuno.

“Ansel Adolph non sarebbe mai ricaduto in un gesto simile. In questa sciocca, debole impulsività!”

Quella non era la donna che giorni prima aveva comprato a Kitty una borsetta. Era una donna insoddisfatta e che aveva fatto troppi errori. Helene voleva fare pagare a sé stessa ogni giorno la sua ansia di felicità che aveva fatto nascere Kitty. Non capiva che non c'era alcun onore nella privazione. E continuava.

Richard le cinse le spalle con un braccio come usava fare. Significava che era in confidenza con il suo interlocutore – a Kitty di solito questo gesto dava immensamente fastidio.

“Kitty non è Ansel Adolph, mia adorata” disse semplicemente. Poi la lasciò in camera e uscì a fare due passi.

Lei gli disse che l'avrebbe raggiunto.

Il dottor Pfenning fece per appostarsi in terrazza con pipa alla mano e libro sottobraccio. Si arrestò quando vide due giovani - una delle quali aveva capelli di cui veniva riflessa la luce anche ad un chilometro di distanza - conversare animatamente.

Vide Kitty, con la camicetta bianca e la gonna che sfumava verso il rosa cascandole sui fianchi, seduta accanto all'uomo che aveva mentalmente catalogato come l'inglese cordiale della conferenza.

Non vide il volto di lui, ma ne intravide le braccia su cui la testa era appoggiata, le gambe distese nei pantaloni beige e le caviglie incrociate.

Richard dava molta importanza ai dettagli e li notava.

Quel giorno Kitty aveva una cintura di perline di un rosa chiaro molto caldo, che le cingeva la vita per poi scendere in una gonna, come andava nella moda di quegli anni.

Kitty rideva spesso quand'era con quel signore cordiale della conferenza. Sentì anche una risata maschile.

Anche l'inglese rideva.

Arretrò subito e ripercorse le scale. Questa volta nella direzione opposta.

 

angolo autrice 

 

Hola! 
Rieccomi qui dopo le vacanze. 
Ebbbene, vi chiederete - o forse no - perché ho ritardato acnora di più rispetto al ritardo preannunciato! 
Avete presente quelle persone che appena toccano una pianta, la pianta muore? 
Ecco, io faccio lo stesso con i computer. c': 
Cooomunque.
Finalmente siamo arrivati ad un punto in cui Kitty e Tom fanno

altro, oltre a pipponi mentali in cui si elogiano a vicenda!

Quindi sì, spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto il prossimo aggiornamento sarà già per questo martedì.

Un bacio e alla prossima,

Marlene Ludovikovna 

   
 
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