Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: thefireplanet    22/08/2014    1 recensioni
Ci sono dei pesi, quando sei regina, che non hanno niente a che fare con una maledizione. Ci sono dei doveri, quando sei principessa, che non hanno niente a che fare con l'essere una sorella. E la strada per il vero amore non è mai stata in discesa.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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"Ma sei certo che sia sicuro permettergli di andare sottocoperta?" Viktor si pulisce i denti con la punta del proprio pugnale, guardando in tralice il fratello.

"No," Niels risponde. Sembra vagamente a disagio, come se il leggero rollare non andasse a genio al suo stomaco; si stringe forte al petto un pesante tomo nero. "Ma non è la mia nave, quindi non m’importa granché"

"Intendo," Viktor, accigliato, si toglie il pugnale di bocca—un po’ di sangue secco era incrostato in punta—"non avevi detto che si è fatto strada nel castello bruciando i muri, quasi?"

Niels grugnisce, vago.

"Intendo," Viktor continua, strofinando accanitamente la lama contro la manica della tunica per pulirla, e nello stesso tempo picchiettando il parapetto di legno con le nocche, "fuoco e legno non vanno d’accordo, vero?"

Niels gli lancia un’occhiata fulminante. Di norma, Viktor era abbastanza saggio da non contrariarlo; ma qualcosa del mare aperto rendeva Niels meno uno stregone minaccioso e più simile a un gatto randagio malaticcio. "Oh cielo," suo fratello abbaia, "Ma sei proprio intelligente! Dovremmo stare tutti in guardia quando ci sei."

Il mare luccica sotto al sole del pomeriggio, il blu profondo che ha quando l’autunno si avvicina; Viktor sputa oltre il parapetto, per buona fortuna e tanto per essere sicuri. "Beh?" scatta.

"Beh, cosa?" Niels borbotta cupo a denti stretti. Ha un colorito molto verde.

"Beh, non hai intenzione di richiamarlo su?"

"Non sono l’addestratore di Hans. Se vuoi che risponda quando lo si chiami, faresti meglio ad andare a prendere il suo padrone."

Viktor guarda alle spalle del fratello, dall’altra parte del ponte in direzione della nave ancorata a cento metri di distanza; un vascello molto più grande, con la poppa più ampia, bordato d’oro, la polena d’oro massiccio. Quando allunga il collo oltre e attorno a sé non c’è nient’altro che oceano blu, a perdita d’occhio. Uno sprazzo di nuvole temporalesche all’orizzonte, lontano e sfocato, promette pioggia, ma pensa che il cattivo tempo non avrebbe colpito affatto la loro nave.

"Forse lo farò," dice, scrocchiando il collo.

Sanno tutti e due che è una minaccia senza sostanza.


Il volto di Anna assume un’espressione spaventosamente assente; sente i nervi tendersi dalle parti degli occhi e delle labbra. Ha i denti stretti. Ha paura che a muoversi o ad aprir  bocca o qualsiasi cosa possa fare un gesto completamente soddisfacente ma completamente indiplomatico, e, considerato che è prigioniera in una nave straniera, presumibilmente nel bel mezzo dell’oceano, si accorge che deve giocarsi bene le carte, o non giocarle affatto—

Inspira profondamente, tremula, attraverso il naso, e trattiene; espira al tre; ciao, Anna. Dice, "Hai un aspetto orribile."

La parte bella è che non è una bugia detta per darsi un po’ di coraggio—ha davvero un aspetto orribile. Gli occhi hanno una specie di luce maniacale che le dà i brividi, e sembrano più pronunciati a causa delle ombre scure sotto di essi. C’è un livido viola, quasi nero, che va dall’angolo della bocca alla punta dell’orecchio, e gli contorna la mascella.

E osa persino fare un sorrisetto

"Sei per caso convinta," domanda lui, "di stare meglio di me?"

Anna spalanca la bocca per l’indignazione; il movimento della mascella le fa avvertire qualcosa di secco e pastoso sul lato del viso. Si spacca e fa male, tirando pelle. Porta le punte delle dita a investigare, e trova una lunga traccia di qualcosa che va dall’attaccatura dei capelli alla guancia. Quando toglie la mano, essa è tutta ricoperta di una specie di polvere di un bel rosso ciliegia.

Sangue. E poi, alquanto più isterica, sangue. Sbatte le palpebre. Una volta. Due. Tre. Ma quando si riporta le dita alla fronte per continuare a investigare niente fa male nel modo in cui si aspettava che dovesse fare, nel caso di squarci—non è mio?

Chiude di scatto la bocca con un clack, poi, a denti stretti, "Per una che è precipitata da sessanta metri, penso di avere un aspetto bello a sufficienza—la tua scusa qual è?"

Hans sorride, ma è precario, e non arriva agli occhi. Il fantasma di un bell’uomo permane dietro il suo aspetto selvaggio e spezzato—ma bello in un modo clinicamente perfetto. Nel modo in cui i principi dei libri di fiabe sarebbero dovuti essere. Per niente uguale a come erano effettivamente, nella vita reale, coi nasi grossi e gli occhi espressivi e le mani piene di calli e—

Kristoff.

E se il sangue non era il proprio—

Il cuore le balza in petto.

Era caduto?

Era caduto anche lui?

Pensa, pensa, pensa, ma tutto quello che riesce a ricordare è il suo viso, spaventato e che non si vede più, sopra di lei—

Raddrizza le spalle, stringendo i pugni contro i fianchi. Tomas è appoggiato a una delle travi di supporto della nave, illuminato a strisce dalla luce che filtra da sopra, con tutta l’aria di uno che si sta godendo lo spettacolo. Rivolge a lui il suo sguardo arcigno, mettendoci dentro tutta la forza della rabbia, sentendo le labbra tendersi—"Che ne è stato di Kristoff?"

Il bianco tagliente del ghigno da lupo lampeggia nell’oscurità. Risponde, innocente, "Chi?"

Anna scatta. Garantito, vuole fare l’intimidatoria, ma inciampa sui propri piedi, e praticamente casca contro le sbarre di metallo, ma è il pensiero che conta, no? Le sente pressate contro il petto e le spalle e le guance ed è così fastidioso visto che Tomas era così vicino—allunga la mano, il pugno stretto come se volesse dargli un livido che poteva far coppia con quello del fratello—

Una mano guantata le afferra il polso.

La rabbia di lei svanisce per un momento, per essere rimpiazzata dal disgusto. Vuole strofinare via la sensazione di quel tocco, e i ricordi che vengono con esso, ma si accontenta di scostarsi un poco dalle sbarre e voltare la testa lentamente, lentamente, tanto lentamente. Dice, "Lasciami andare."

Hans la guarda quasi lascivo a occhi mezzi chiusi, la stretta tanto forte da lasciare un livido.

E poi lo sente.

E’ un bruciore lento e pastoso come la melassa, inizia alla base del palmo come una specie di calore piacevole, che cresce in temperatura, e intensità, finchè non si sente la pelle che va a fuoco, e tutto quello che può fare è guardare con orrore affascinato mentre il tessuto del guanto sfrigola, le cuciture si dissolvono, fumano—

Rantola, liberando la mano con uno strattone e capitombolando all’indietro. Inciampa sui propri piedi e cade pesantemente sul pavimento, dolorosamente, perché non era normale. Oh, non era affatto normale, e ahi, ahi, ahi—guarda, a occhi spalancati, prima il proprio polso, stretto al petto, e poi la mano di Hans, piena di vesciche. "Oh, Anna," dice, fissandosi la mano. Se solo qualcuno ti amasse davvero. Si accovaccia davanti alla sua cella, le ginocchia che scricchiolano, ed eccola che lo guarda di nuovo negli occhi. "Conosci la storia di Icaro?"

Il suo avambraccio è un reticolo di dolore intenso. Voglio Elsa, pensa con chiarezza, fervidamente, e si sforza di trattenere la risata che le scaturisce in gola. Controllati, controllati

"Volò troppo vicino al sole," Hans dice, guardandosi la mano come se non l’avesse mai vista prima, "e andò in fiamme."


Britta ha vagamente la stessa corporatura di Anna, ed Elsa sa che è questo ciò che l’ha condannata dall’inizio—quasi la stessa altezza, magra, asciutta; troppa energia per i muri del castello. Elsa non la conosceva, e adesso non sa che farsene, di lei morta sul letto. Tutto quello che riesce a pensare, le mani allacciate avanti a sé, è che la povera ragazza non assomigliava per niente alla sorella, col sudario tirato giù sulle spalle. Aveva i capelli biondo platino; il naso grosso; una sola lentiggine sotto l’occhio destro.

La porta si apre, e poi passi, leggeri e incerti. Con un po’ meno forza, sente, "Sono ven—sono qui—per il corpo. Per quello. Devo dir loro di entrare?" Pausa. "Elsa? Stai—stai bene? Aspetta. È una—domanda stupida. Scusa."

Elsa abbassa lo sguardo sulla ragazza e scuote la testa con le sopracciglia lievemente aggrottate. "Non sono triste. So che dovrei esserlo. Tutto quello che provo è—pietà." Adesso è il suo turno di fermarsi. "E gioia," aggiunge con un bisbiglio colpevole, spezzato.

"Bene," Albert risponde all’improvviso, distintamente. Si ferma in piedi accanto a lei. Lei lo guarda; si concentra sulla sua spalla destra per qualcosa che non sia la morte. Lui osserva dall’alto del naso storto la ragazza con una specie di esausta rassegnazione profondamente impressa in quegli occhi dal colore così particolare.

Come se ci fosse abituato.

"Bene?" chiede stridula, serrando la bocca contro la risata che minaccia di salirle a fior di labbra—controllati, controllati

"Sì," Albert dice serio. "Se ti sentissi effettivamente triste, direi bene, di nuovo. O anche se fossi arrabbiata. O sconvolta. O qualsiasi cosa, sul serio. Anche assassina."

"Non credo sia la reazione appropriata," fa lei piano, rivolgendosi di nuovo alla ragazza sul letto, "quando una persona ti dice che vuole ammazzare qualcuno."

"Lo vuoi?"

"No."

"Sei arrabbiata?"

Aspetta di avvertire il sentimento bollente, giù nelle profondità dello stomaco—ne avverte l’inizio, l’irritazione che va e viene contro quello che stava iniziando a riconoscere come il modo di comportarsi di Albert—forzare, forzare, forzare—ma niente di troppo opprimente, come si era sentita di recente. Solo—

"Sono stanca," ammette, troppo tesa e spezzata per provare vergogna; iniziano a bruciarle gli occhi. Ha caldo. Perché ha caldo? Guarda, rapidissima, i quattro angoli del soffitto, ma non c’è ghiaccio appeso, lì; e non ce n’è che si dirama dai suoi piedi. Apre e chiude in fretta le mani.

Dov’era?

"Lo so." Albert sembra sgonfiarsi, e si passa le dita tra la massa di capelli. Non aveva nemmeno tentato di darsi un contegno, quel giorno—cascano, completamente disordinati, sopra la fronte. Ha un aspetto orribile, una piccola parte di lei pensa, la parte che è ancora una regina, la parte che non è una sorella—stanco, e debole. Non dovrebbe essere in piedi.

Dov’era?

Sente, poi, soffocato, dal corridoio dietro di loro—"No, dovete permettermi di vederla. Voi dovete. State mentendo!"

Una baruffa. Il premere piatto di stivali sul pavimento di legno. Poi la porta viene spalancata, sbattendo contro il muro con tanta forza da far sussultare Elsa, che si era subito aspettata si fosse frantumata; si volta, velocemente, col collo che scrocchia, trovandosi di fronte un giovane che entra, e ha l’aria selvaggia di un animale intrappolato in un angolo. Kai è dietro di lui, urla fermo, fermo, ma tutto si confonde—tutti sembrano così tristi, pensa debolmente. Sente Britta, morta e pesante, fissarle la nuca.

Il ragazzo li oltrepassa con violenza; Albert subisce la parte peggiore dell’impatto, volando di lato come il ramo di un salice, inciampando col piede nella sponda del letto. Cade. Il giovane si lancia su Britta, ed Elsa si spinge nel baldacchino del letto, e vuole affondarci dentro. E’ in troppi posti nello stesso momento. È lì che sente la colonna del letto scavarle nella schiena. È dovunque Anna sia. È lì che vuole andare ad aiutare Albert.

È lì che osserva il ragazzo sul letto. Quello che sta morendo di crepacuore.

"Sander, datti una regolata!" Kai ruggisce, il petto tremante. "Mostrarsi alla presenza della Regina in tale modo—"

"Al diavolo il decoro!" il ragazzo ulula, rivolgendosi a loro, gesticolando verso la ragazza. "Chi è stato?" Quando nessuno dà una risposta dopo due, tre, quattro secondi, si volta di nuovo in direzione della figura silente, immobile nella morte. "Oh, Brit, non ti volevo urlà contro. Brit, ti prego…"

"Vostra Maestà, porgo le mie scuse per questo giovanotto—le sue azioni sono—dettate dal dolore—"

La mano di Elsa le copre la bocca. Ha troppo caldo. Il guanto è come acido sulle labbra. Scuote la testa. No, va bene; no, non va; no, no, no—non sa dire, cosa significhi. Deglutisce a fatica. Ecco Kai, che la fissa, e Albert, che si alza in piedi, e le guardie fuori, e—

E—

Abbassa piano la mano. "Scusatemi," esclama debolmente, cortese.

L’aria più fresca del corridoio la colpisce come uno schiaffo sul viso. Stringe in mano gli orli della gonna e si affretta quanto a una regina sia concesso affrettarsi, e tutto quello che riesce a pensare è che non sta gestendo la questione come una regina dovrebbe—come una—come una persona dovrebbe—

Tutto quello che riesce a pensare è, Anna è viva.

E nient’altro ha importanza.


"Quindi come ci sei riuscito, eh?"

Viktor posa il pugnale sul palmo, lo soppesa, lo considera, e poi lo tira con forza contro l’entrata del corridoio che porta in coperta. Si conficca, facendo un dente nel legno. Va a riprenderlo, continua, annoiato, "A fare di Hans più uno spostato di quanto non sia?"

Viktor afferra l’elsa, tira. Quando si volta, c’è un pezzo di legno infilato in punta. Riattraversa il ponte a grandi passi, preparandosi per un altro tiro. Niels lo guarda, cupo. "Ho invocato i demoni che abitano le profondità più oscure dell’inferno e ho offerto loro la mia anima in cambio dei poteri del fuoco e dello zolfo."

Viktor inizia a ridere. "E’ ridicolo, fratello."

Niels manda giù un’altra boccata di vomito ed esclama in tono piatto, "Hai ragione. Lo è. Ho offerto loro la mia anima molti anni orsono."

C’è qualcosa nel suo tono che fa morire in gola la risata a Viktor, e fa scivolare via il sorriso dalla sua faccia. Grugnisce a disagio, e lancia.

Questa volta, non si conficca.

Viktor sbuffa, infastidito, e va ancora una volta a riprenderlo. Quando si volta di nuovo verso Niels, il pugnale in mano, suo fratello lo sta osservando a occhi stretti. Non gli piace quello sguardo. Non gli piace proprio. Vorrebbe poterlo tagliar via dalla faccia del fratello—invece, si accontenta di fare un movimento fluido, veloce, che fa volare il pugnale—

Si conficca, fino all’elsa, a pochi centimetri dal naso di Tomas.

"Non ti ho sentito salire," Viktor dice, una specie di scusa.

Tomas dà un colpetto alla lama, poi passa al di sotto di essa. "Sì, beh, dubito che avresti smesso comunque. Bel tiro, a proposito."

Viktor ghigna. "Sì."

"Dovresti essere la sua scorta." La voce di Niels sembra carta vetrata.

Tomas guarda dietro di sé, giù dalla scalinata che si fa sempre più buia. "Ha chiesto un po’ di tempo da soli."

"E pensi che sia saggio?"

"Penso sia furbo. Paura e tutto il resto. E poi," Tomas continua, fermandosi al parapetto e osservando l’acqua luccicante, "sa cosa gli accadrà se alcun male venga fatto alla principessa prima che sia tempo."

Niels sbatte le palpebre, ma si calma—o, meglio, si sente di nuovo male. Chiude gli occhi, e Viktor lo osserva contare fino a dieci. Alla fine riesce a dire, "Sono curioso di sapere come voi due buffoni ci siate riusciti. Il rapimento."

Viktor lancia un’occhiata al gemello, con un sorriso maligno. Tomas gli passa un braccio attorno alle spalle, languidamente, ed esclama, allegro—

"Ah, che storia, ragazzi."


Elsa siede sul balcone, il mento sulle ginocchia, i guanti uniti, e lascia l’orrore della situazione investirla in pieno.

Toc, toc.

Appoggia la fronte contro la stoffa nera della gonna.

Toc, toc, toc.

Le porte a vetri si aprono, con un piccolo click, e si chiudono facendo appena rumore. Solleva la testa, stringendo le labbra. Albert fa quattro pasi traballanti e si sistema a mezzo metro di distanza, alla sua destra, la schiena contro il muro. Accavalla le gambe e alza lo sguardo al cielo, un azzurro luminoso, accecante; il silenzio che scende su di loro come una nuvola non è imbarazzante, e lo apprezza, seduta lì. Appoggia la testa ai vetri piombati della porta, ascoltando le grida dei gabbiani riecheggiare nel porto.

Alla fine riesce a dire, "Era sulla loro nave, allora. Quando sono partiti."

"Sì," afferma, semplicemente, "Direi."

Elsa si morde l’interno del labbro, picchiettandosi gli stinchi con i guanti. Il ritmo nervoso si interrompe; volta la testa sul collo rigido, osservando il profilo di Albert. "Come." Si sorprende dalla furia oscura e tempestose che trapela dalla propria voce. Era ingiusto da parte sua, sfogarsi su Albert—una qualche piccola, razionale parte di lei se ne accorge, anche nel preciso momento in cui parla.

E’ una parte molto piccola.

Le labbra sono tese, e secche. La guarda in tralice. "Uccidere la ragazza, scambiare i corpi. Semplice, in teoria."

"Come hanno inscenato la sua morte."

Albert si strofina la faccia. "Non lo so."

"Non lo sai," Elsa ripete. "Non lo—sono i tuoi fratelli, Albert, di certo mi aspettavo un po’ più di informazioni sui loro piani, considerando che provieni dalla stessa famiglia depravata di—"

"Io non sono i miei fratelli!"

Rompe il silenzio, riecheggia, si spegne. Si strofina la testa, questa volta, il braccio che giocherella con la manica della tunica, mentre si massaggia la pelle scoperta del polso.

Elsa chiude gli occhi. "E’ questo che rende le cose tanto difficili."

Domanda, abbandonando le braccia sulle ginocchia, "Preferiresti che fossi un tiranno affamato di potere?"

"Renderebbe di certo tutto più bianco e nero."

Annuisce, triste. "Sì."

"Chi ti ha accoltellato?" chiede, guardando dritto avanti.

"I gemelli."

Chiude gli occhi, incredula. La voce è fioca. "Perché?"

"Perché sapevano che il mio affetto per te era più profondo dell’affetto che ho per loro."

Lo guarda, attonita. "Mi hai appena conosciuta."

"Non credi nell’—affetto a prima vista?"

"Ma non era l’amore?"

"Nonstodicendochetiamo," dice, all’improvviso frustrato, il naso e le guance rosse. "Perché mai sarebbe—è una terribile—cosa terribile. Non che amarti fosse una cosa—non importa."

"Io penso che amarmi sarebbe una cosa terribile," afferma con convinzione. Credi che avrebbe potuto amarmi? Se lo ricorda? Non glielo chiederà. Sì; poteva amare molte persone, ma le persone che amava tendevano a—tendevano a —

Anna è una statua di ghiaccio e i suoi genitori sono morti e il suo mondo cade a pezzi.

"Perché dici così?"

"Perché le persone che ci tengono a me prima o poi soffrono."

"E tu—e tu, invece? Tu—tu non—non ami nessuno?"

Elsa incrocia il suo sguardo, a disagio, non è sicura di che piega stia prendendo la conversazione. Dovrebbe essere in cerca di giustizia per il suo accoltellamento, per la morte di Britta, dovrebbe essere all’inseguimento della sorella—non a discutere di sentimenti con lui su un balcone. Amo mia sorella e amo Gerda e Kai e riesco a vedermi innamorata di te, col tempo, ed è questo che mi spaventa. "Ma perché hanno rapito Anna, allora?" cambia argomento, senza tanta disinvoltura. "I tuoi fratelli. Se non riusciamo a capire il come, possiamo almeno cercare di indovinare il perché—"

L’imbarazzo irrequieto di lui è sparito, sostituito dalla curvatura esausta delle spalle. Dice, senza giri di parole, "Non è ovvio?"

Lei scuote la testa.

"Elsa—l’hanno—l’hanno fatto per arrivare a te."


"Ma guarda la tua faccia," Hans sorride, "sembrerebbe che hai visto un fantasma. Che, Anna—per caso tua sorella è l’unica che può essere dotata di talenti insoliti?"

Anna si tiene il polso saldamente stretto con l’altra mano, e ha paura di allentare la pressione. La pelle le pulsa, e si sente il cuore battere nel braccio, il che era decisamente non normale, così—Hans usa le sbarre per aiutarsi ad alzarsi in piedi, languidamente. Non riesce a sentire altro che acqua che gocciola in uno degli angoli, lo sciabordio del mare all’esterno—quasi desidera che Tomas ritorni, perché ha la netta sensazione che Hans gli avrebbe—beh, non dato ascolto, ma—beh—quasi dato ascolto—

Lo segue a ruota, sforzandosi di stare in piedi, perché col cavolo che gli avrebbe permesso di torreggiare su di lei come una specie—una specie di torre

Ok, quindi non so fare metafore sotto pressione. Similitudini? Quello che è.

Unisce i tacchi e combatte una lunga battaglia per mantenere il volto inespressivo, anche se ogni centimetro di lei avrebbe voluto essere in qualsiasi altro posto, tanto da far male; anche se non sapeva ancora niente di Kristoff; anche se non sapeva ancora niente di niente.

Fallo parlare, pensa all’improvviso, seguendo i suoi movimenti mentre inizia a percorrere tutta la larghezza, sei passi, della sua cella, indietro, avanti, avanti e indietro. Fallo parlare, tu parli tutte le volte e ti fai scappare fuori cose—"Mia sorella con la sua magia ci è nata. Mi sembra invece che tu sia stato maledetto di recente. Sulla strada di quale troll sei capitato, allora, huh? Hai provato a rubare anche il suo di regno, e uccidere anche i suoi, di fratelli?"

Hans sorride, a labbra tirate. "Anna, se credi che ti rivelerò i nostri piani, sei decisamente in errore."

"E qual è il peggio che può accadere, huh? Lo racconto ai miei amici, secchio e brandina?"

"Credi davvero di essere nella posizione di parlarmi così?" Smette di camminare avanti e indietro, e si volta a guardarla, qualcosa dello sguardo da incantatore di un tempo ancora presente, in profondità, negli occhi maniaci e selvaggi.

"Forse avresti dovuto uccidermi quando ne avevi l’occasione."

"Credimi," fa lui funereo, "Pensavo di averlo fatto. Uno sbaglio di cui mi sono pentito ogni notte, fin da allora."

Anna si lecca le labbra. La cella inizia a puzzare di carne umana bruciata, e lotta contro i conati di vomito. "Non ho paura di te."

"Oh, ma so che hai paura di me. So un sacco di cose su di te, Anna. So tutto di te. Una ragazza, tagliata fuori tutta la vita. Non sei nient’altro che una persona di troppo—non salirai mai al trono, non sarai mai importante per Arendelle, e non troverai mai il vero amore."

"Quindi sai anche che sono una persona del tutto comune," Anna dice in fretta, osservando la mano libera fare scintille come una pietra focaia, lottando contro l’impulso di fare un passo indietro. "Sai che avete rapito la sorella sbagliata."

"Pensavi che volessimo te?" Hans ringhia.

Anna quindi capisce; oh, mima con le labbra.

Hans aggrotta pesantemente le ciglia, la rabbia impressa in ogni linea di quel volto quasi bello, e con un passo deciso manda uno scoppio di fuoco controllato a malapena accanto ai piedi di lei. Ne sente il calore minacciarle la gonna, ma l’aria lo inghiotte con la stessa velocità, così rimane solo con una vaga impressione e un rantolo. "Se potessi ucciderti adesso, lo farei," dice cupo. Si volta, dietrofront, e se ne va via pestando i piedi, furioso, via, su per le scale che portano in coperta, e tutto quello che le rimane sono un polso dolorante, e una luce, sole, fuoco, impressa dietro le palpebre chiuse.

Elsa, vogliono Elsa. Serra gli occhi, e pensa, più intensamente possibile, ti prego non venire, Elsa, non lo fare, no, no, no—

E poi, poiché pensare, ripetutamente, è pesante, si accascia vicino alla brandina, crollandoci dentro, quasi strappando il tessuto. Le dita scivolano sul polso, e pensa a di troppo e inutile e vero amore.

Lascia andare la bruciatura giusto il tempo di passarsi le mani, delicatamente, sulla scollatura, dove c’è il pulsare caldo del suo cristallo.

Così, chiude gli occhi, ma non piangerà.

Non lo farà.


"Non puoi farlo."

"Stammi a guardare."

"Non puoi farlo—" Albert si fa strada tra i detriti nella sua stanza, evitando con molto tatto di dire alcunché riguardo ai pezzi sparsi che giacciono al suolo come corpi morti, "—perché è esattamente quello che vogliono che tu faccia."

"Non sanno che io so. Credono che tu sia morto. Credono che il corpo verrà sepolto. Credono che non scoprirò niente finchè non manderanno una lettera che dice Posso darti quello che più desideri al mondo—mia sorella è lì fuori, e io andrò a riprendermela. Ho già giocato a questo gioco, Albert."

"Non quanto me."

Elsa alza gli occhi. Basta parlare, hanno parlato abbastanza—il chi, il perché, il come—non era importante. All’improvviso si sente piena di energia, tesa al massimo, come una molla—si sarebbe occupata di Britta, e poi avrebbe fatto preparare una nave a Mastro Olin, e avrebbe portato un reggimento—

"Se lasci Arendelle, la lasci vulnerabile, lo capisci?"

Elsa calcia un pezzo di armadio di lato, cercandone tra la pila di vestiti uno adatto per il viaggio. Ne trova uno indaco chiaro che sarebbe potuto andare—

"Elsa."

"E’ mia sorella, Albert," Elsa si volta, il vestito ormai tutto spiegazzato e stretto freneticamente tra le sue mani. "L’hanno presa per arrivare a me. E’ mia sorella. E non la abbandonerò. Mai." Sta per aggiungere, e tu faresti lo stesso, ma poi si ricorda dei fratelli di cui sta parlando, quindi non dice niente. Invece si volta, sentendosi spezzata, e perduta, in direzione della porta, con tutta l’intenzione di invitarlo ad uscire, ma lui, maldestro, si fa strada verso di lei. Riesce a sentirlo. Si volta per bloccarlo nello stesso momento in cui le dita di lui afferrano l’estremità del suo guanto destro.

Si sfila.

"Smettila!" urla con un rantolo, nascondendo la pelle nuda tra le pieghe della stoffa che ha in mano e fissa, a occhi spalancati, l’uomo davanti a lei.

Albert non si rende conto del significato del proprio gesto. "No, tu smettila, e solosolo pensa un momento, per favore? Cosa hai intenzione di fare? Rincorrere la nave e—e ingaggiare battaglia?"

"Ridammi il guanto," ordina.

"E—e se—morissi," deglutisce, stringendo l’indumento nero in una morsa serrata; penzola senza forma, come una cosa morta, "allora cosa accadrebbe? Cosa ne sarà di Arendelle, senza te o la principessa?"

"La vita continua. Il mio guanto. Ora."

"Sei la Regina, hai un popolo a cui pensare—"

"Non volevi che io pensassi al popolo quando siamo usciti di nascosto, quindi da dove viene l’improvvisa—"

"Rimarrai ferita!"

"Per dodici anni, le ho sbattuto una porta in faccia—non le sbatterò una porta in faccia adesso!" La mano scoperta entra violentemente in contatto con la maniglia dietro di lei; sente un improvviso, inspiegabile strattone al fegato, ed ecco che il muro si ricopre di una lastra di ghiaccio sottile e acquoso. Alza lo sguardo e lo osserva con una specie di incanto strano, i cristalli che già iniziano a sciogliersi. Fanno plic-plic-plic gocciolandole sulla testa e il volto, come lacrime.

Cosa le stava succedendo?

"Elsa, manda me. La riporterò indietro."

La rabbia è sparita. Chiude gli occhi, respirando profondamente, immensamente, più che grata del fatto che non dica niente—non arretra nemmeno di un passo, nessun grido allarmato di magia, stregoneria—"Non sei in condizioni di muoverti. Dovresti essere a letto, adesso."

"Sarò l’ultima persona che i miei fratelli si aspettano! E’ un geniale—piano che penso che dovremmo portare—portare a termine—"

"Albert."

Si ferma, chiudendo lentamente la bocca, e poi osserva il guanto che ha in mano, alquanto avvilito. "Non mi piace."

"Va bene; non è una decisione che dipende da te. Anche se, tuttavia—" lo guarda in faccia e le viene voglia di piangere. "Grazie per la preoccupazione."

Silenzio. Porta in avanti la mano, per esaminarla alla luce. Incostante. Ecco come era stato il ghiaccio, fin da quando Anna era—incostante, dalla fuoriuscita e presa incespicante. Non lo sopporta. L’unica costante in assoluto della sua vita, questa maledizione che ha—

"E cosa si suppone che debba fare io, qui?"

"Ti riprenderai, ovviamente. E la mia biblioteca personale è aperta per te," gli dice, fissandosi i piedi. "Puoi leggere tutti i Tristano e Isotta che vuoi."

"Li leggo solo per i duelli di spada."

"Lo so." E alza gli occhi ad incontrare i suoi, dall’altra parte della confusione che è la sua stanza. Sono accesi e febbrili; e immagina che anche i propri non siano meglio. Poi, d’impulso, gli sorride—non un quasi sorriso, ma uno vero, piccolo e grato. Albert sbatte le ciglia, ricambiandola—anche se il suo sorriso è più ampio, e piuttosto scioccato.

Elsa fa per andarsene.

"Elsa, io—solo una—cosa egoista," fa, d’un tratto.

Si volta. "Sì?"

"Quando mi—solo—grazie. Per avermi salvato."

Sbatte le palpebre. "Niente, figurati."

Albert ride, in maniera autodenigratoria. "Sono—questa è una—è una bugia, ma, uhm, è—c’è—Ti ho detto niente? Quando mi stavo svegliando?" Battito cardiaco, battito cardiaco.

Battere di ciglia, battere di ciglia.

"Perché ho questa sensazione stranissima di aver detto qualcosa, e proprio non—non sapevo se—"

"Non hai detto proprio niente, Albert," Elsa dice, quasi credendoci lei stessa.

Credi che avrebbe potuto amarmi?


"Mi state dicendo che, dopo tutta quella fatica, non vi siete assicurati che seppellissero il corpo."

Hans sente i fratelli, che bisticciano accanto all’entrata della cella—la calma letale e inamovibile della voce di Niels, il blaterare dei gemelli. Sale le scale con una velocità furiosa, immagina di spezzare un collo; sarebbe immensamente gratificante, pensa—il crac di un osso, uno spruzzo di sangue, e quell’ oh ancora stampato sulla faccia lentigginosa—

"Il terreno era stato completamente congelato dalla regina del Ghiaccio, e non avevamo un mostro come quello che hai creato lì a sgelarlo—"

"Ed esattamente come pensiate che possiamo giocare a fare Dio," Niels domanda, la furia distintamente percepibile nel tono di voce, "quando siamo immediatamente smascherati come imbroglioni?"

Hans arriva sul ponte, si toglie la cravatta, si sente soffocato; la tiene stretta nella mano nuda, e invoca—pensa—il fuoco lavico si scioglie nel suo braccio e si manifesta nel palmo, trasformando la stoffa in cenere. Gli ci vuole un respiro, due, per tenerlo sotto controllo—solo pensando di afferrare quel piccolo bel collo che la ragazza si ritrovava, ci riesce.

Niels, a labbra serrate, pallido di rabbia, e rivolge il suo sguardo più arcigno a quel po’ di pelle scoperta. "Copriti," scatta, "a meno che tu non voglia che tutta la nave prenda fuoco—il tuo controllo è fiacco, nella migliore delle ipotesi."

Viktor e Tomas si voltano. Il secondo fa un sorriso vittorioso, da lupo. "Com’è andato l’incontro in privato con l’amabile bella fanciulla?"

"Voglio ucciderla io. Quando tutta questa storia sarà finita," Hans ringhia, afferrando con rabbia il guanto che gli porge Niels senza ribellarsi—uno che ha tutta l’aria di essere fatto di carne umana, dritto dritto dalla tasca di dietro di suo fratello, e adesso sono spaiati, che peccato—"quando tutta questa storia sarà finita, e Arendelle sarà nostra, voglio ucciderla io, per prima cosa."

"Arendelle potrebbe non essere mai nostra, grazie alla gaffe dei tuoi fratelli." Niels si trovava a quel livello di rabbia che lo portava a essere letalmente calmo—il livello peggiore, quello in cui Hans non avrebbe mai potuto dire se era sul punto di trasformare qualcuno in un rospo o sacrificare il loro primogenito alla dea della discordia—

Hans rivolge uno sguardo gelido in direzione di Viktor e Tomas, e anche a uccidere tutti e due avrebbe provato piacere. "Che, Hans," il sorriso di Tomas non ha abbandonato la sua faccia, "non ti piacciono focose? Non sai gestire una lingua?"

Hans scatta in avanti, sentendo il guanto preso in prestito scricchiolare rabbioso, ma Niels urla una parola dal suono tagliente, scivoloso, roccioso, e Hans viene scaraventato contro la parete. L’energia rende l’aria elettrica, facendogli rizzare tutti i peli sulla nuca. Scuote la testa, fulminando con gli occhi le sagome ora leggermente nebulose dei gemelli dall’altra parte della barriera.

"Non hai alcun diritto di parlare così," Niels dice a Tomas, e Hans osserva suo fratello leccarsi le labbra.

"Che gaffe?" Hans chiede. Non aveva passato i suoi giorni in quella cella, la prospettiva di vendetta l’unica cosa che permetteva di mantenere una parvenza di controllo, solo perché fosse mandata a puttane dai suoi fratelli

"Hanno lasciato il corpo non ancora sotterrato." Niels chiude un momento gli occhi al rollare della nave; quando li riapre, scattano minacciosi.

"Quindi state dicendo," Hans esclama, a denti stretti, "che è molto probabile che la regina sia già al corrente dello scambio."

Viktor scrolla le spalle. Tomas alla fine si stacca dal fratello e osserva significativamente Niels. "Non capisco perché tutto questo casino, fratelli carissimi. Se lo scopre da noi, o lo scopre da sola—in ogni modo, deve per forza venire a salvare la ragazzina."

"Faremo meno affidamento sull’effetto sorpresa, e più sull’effetto paura."

"Beh, abbiamo ancora il fenomeno da baraccone," Viktor muove con forza un gomito in direzione di Hans, ma sente il ritorno di una barriera di energia che vibra e ondeggia. "Di certo ispirerà effetto sorpresa e meraviglia—finchè tiene la bocca chiusa, però."

"Dovremo informare il re," Niels comincia. "Non può essere coinvolto in questa faccenda. Non ancora."

"Tutta questa furtività," Tomas sospira, la faccia contorta in un cipiglio quasi comico. "Non capisco perché non possiamo limitarci a ucciderle tutte e due e farla finita."

"La regina possiede qualcosa di valore."

"E cioè?"

Hans risponde, secco, tagliente—

"Se stessa."


Lukas sbuffa dalle narici.

Era sempre stato bravo coi grimaldelli, ma qualcosa nella porta di Niels lo rendeva nervoso. Probabilmente era il fatto che fosse di Niels. Giocherella per un secondo con la sottile striscia di metallo che ha in mano, altri due secondi, prima di emettere il sospiro dell’uomo troppo abituato al fatto che il destino a volte pone ostacoli non necessari, e sposta il peso sui talloni

"Che stai facendo?"

"Gesù—" sobbalza, una mano sul cuore, e poi rotea gli occhi, esasperato.

"No. Sono solo io," Stefan tira su col naso, altero. "Anche se mi è stato detto che le somiglianze tra noi sono impressionanti."

Alza gli occhi, arricciando le labbra in direzione del fratello. Stefan passeggia pigramente lungo il corridoio, e sembra un dandy con il bastone di bamboo che rotea sulle nocche. La novità del giorno, Lukas pensa, quasi divertito, è un monocolo; e suo fratello ne ha uno che pende inutilmente da una catena attorno al collo. "Spunti sempre fuori dove sei meno richiesto, lo sai?" gli dice.

"Affatto. È perché nessuno apprezza il mio acume e le mie battute piene di arguzia. Sai, non dovresti fare il tuo ingresso."

"E perché no?"

"Perché sono le stanze di Niels. Non dovresti voler fare il tuo ingresso. Ora, perché non ti unisci a me per un brandy prima che vada a teatro?"

"Mi serve qualcosa di più forte."

"Ho un rum sopraffino che riservo per le occasioni speciali, ma poiché nessuno in questa famiglia è davvero speciale, dubito che avrò mai l’occasione di farne uso."

Lukas lancia un’altra occhiata alla porta, pizzicandosi lo spazio tra gli occhi. "Ti rendi conto che questa è, abbastanza possibilmente, l’unica occasione che avremo mai per curiosare?"

"Non vuoi curiosare," Stefan dice, fermandosi finalmente accanto a lui. Lukas si accorge di star sussurrando, e che suo fratello sta facendo lo stesso—il corridoio è umido e scuro, nonostante la luce del sole. "Nessuno vorrebbe curiosare volontariamente nella versione personale dell’inferno creata da nostro fratello. No, hai ulteriori ragioni, e io non ne prenderò parte. Ho un dramma da scrivere. È una pièce esistenzialista. Ne sono piuttosto orgoglioso. No, non ti presterò il mio aiuto, Lukas, non devi nemmeno chiederlo. Comunque, puoi chiedermi quali sono i miei primi cento libri preferiti."

"E quali sono i tuoi primi cento libri preferiti, Stefan?"

"Non lo so, perché ne ho scritti solo cinque. Oh, ha! Sono sempre così arguto. Non ti presterò il mio aiuto, Lukas. E sei fortunato che io non sia uno spione, tanto più. Ciao ciao, fratello caro. Forse ti unisci a me per un brandy più tardi? Ti concederò quel rum."

Lukas osserva suo fratello tra-la-lare lungo il corridoio, iniziando di nuovo a roteare il bastone, picchiando contro il muro e la finestra e il pavimento in un ritmo senza senso. Quando abbassa lo sguardo sulla porta, scopre un grimaldello infilato con esperienza, la serratura scassinata con destrezza, e la porta quasi semichiusa.

Ghigna, togliendosi un cappello immaginario al cospetto del fratello, voltato di schiena.

Poi, si infila dentro.


"Kai?"

"Vostra Maestà!" L’uomo si sposta di lato, lasciando alle guardie più spazio per uscire dalla camera mortuaria; trasportano Britta, avvolta di nuovo nel sudario, un uomo regge la testa, l’altro i piedi. Elsa osserva il corpo e nasconde i polpastrelli scoperti nelle pieghe del vestito. Si volta, e trae conforto dal suo volto familiare—naso grosso, tanti menti, occhi gentili. "Vi sentite bene?"

"Sì. Mi—mi dispiace, per prima. Come sta—"il nome, qual era, era—"Sander?"

"Così come ci si aspetterebbe, Maestà." Kai tira fuori un fazzoletto moscio dalla tasca e se lo passa sul viso pallido. "Cosa dobbiamo dire agli altri, della principessa—"

"Niente, per ora," Elsa afferma, abbassando la voce. "No. Devo occuparmi direttamente della questione, e io stessa."

"Maestà?"

"Kai, devi mandare un messaggero da Kristoff; devo parlargli urgentemente."

"Sì, vostra Maestà."

"Dovresti anche mandare un messaggero a Mastro Olin."

"Mastro Olin?"

"Sì." Elsa fa un respiro profondo, tremulo, e guarda il cielo azzurro intenso fuori. "Ho bisogno che mi allestisca una nave."

  
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