Questo
è il secondo prompt di _ems
che riesco a fillare.
Volevo scrivere qualcosa di leggero e carino, spero di esserci riuscita…
Grazie anche alla mia metà francese per avermi fatto da beta.
Two
in a flat
Di ragazze
e
cene scroccate
Stiles
aveva portato una ragazza in
casa. Quando chiuse la porta a chiave e alzò il volume dello
stereo, Derek
suppose che fosse per impedire il diffondersi di suoni molesti
attraverso le
pareti. “Oh, ma andiamo.” pensò,
maledicendo il giorno in cui gli era piombato
in casa come coinquilino. D’altronde aveva storto il naso
già quando aveva
saputo che era una matricola. Non c’è da
aspettarsi niente di buono dalle
matricole (né da chiunque altro, del resto).
Era
martedì, quattro e diciassette
del pomeriggio, Derek intento a memorizzare i concetti
dell’ultima lezione. I
suoi occhi scorrevano meccanicamente le pagine, sfiorando al volo le
parole-chiave sottolineate senza capirne davvero il senso.
Sentì battere un
paio di colpi, evidentemente un palmo contro la parete,
nell’impeto di chissà
quale passione. Alzò
gli occhi al
cielo, trattenendo un ringhio di frustrazione stretto in gola. Aveva
una minima
concezione di rispetto per la presenza altrui, quell’idiota?
La
risposta arrivò da sola quando
fu la testata del letto a cozzare contro il muro con cadenza ritmica.
Derek
scattò in piedi, la sedia che scivolava rumorosamente
all’indietro e una pagina
del libro che si sollevava per il repentino spostamento
d’aria.
Andò
a bussare alla porta della
camera adiacente, forte abbastanza da interrompere l’incontro
sessuale del suo
coinquilino. «Stiles! Non mi interessa quanto sia piacevole
la compagnia della
tua ragazza, piantala con questo casino o ti apro la gola a
morsi.» gridò, a
scanso di equivoci. Sapeva essere molto diretto e anche piuttosto
minaccioso,
Derek Hale. La musica s’interruppe ma lui era già
tornato nella sua stanza,
sicuro che le sue parole avrebbero sortito l’effetto sperato.
Non vide così
Stiles aprire la porta poco più tardi e scappare
furtivamente in compagnia
della rossa Lydia Martin. Li sentì ridacchiare in corridoio
prima di uscire di
casa, però, e tanto gli bastò.
«Nessun’offesa,
Stiles, ma come fa
a piacerti? Voglio dire… “ti apro la gola a
morsi”?» Lydia esibì la sua
approssimativa imitazione di Derek davanti a una tazza di frappuccino
«Oh
no, quella è una storia- Uh,
credo di avergli detto che ha i denti da coniglio, una volta, e lui mi
aveva
risposto qualcosa tipo “Sento l’irrefrenabile
istinto di strapparti via a morsi
le corde vocali con i miei denti da coniglio, così la pianti
di assillarmi”.»
«Hm-hm,
è inquietante lo stesso, te
ne rendi conto?»
«No,
io… No, lo conosco. Non
lasciarti impressionare dalle minacce, ormai è praticamente
una specie di gioco
fra me e lui.»
«Se
lo dici tu.»
«Ad
ogni modo, grazie per avermi
aiutato! Non riesco a credere che ci sia cascato. Siamo stati davvero
bravi a
sbattere il letto contro il muro e tutto il resto.»
«Credo
ancora che il tuo piano sia
il più bislacco di sempre, lo sai, vero? L’ho
fatto solo perché ti voglio bene.»
«Lo
so, sì, ma… funzionerà. Doveva
capire che… sai, ci so fare anch’io.
Cioè, che non sono lo sfigato vergine che in realtà sono.»
«Stiles,
dovresti smetterla di
commiserarti. Sei intelligente, sei un bel ragazzo, sono sicura che se
ti
guardi attorno troverai qualcuno che-»
«Ma
l’ho trovato, Lydia!»
La rossa
alzò gli occhi al cielo e
sospirò,
scuotendo i suoi magnifici boccoli. Il
suo migliore amico era talmente testardo da battere perfino lei.
«Sai cosa intendevo.
Un ragazzo carino, simpatico, che ti faccia stare bene.»
«Ch-
Io sto già bene!» esclamò
Stiles - con fin troppa convinzione perché fosse vero -,
nascondendo poi la faccia dietro una lunga sorsata di caffè.
Erano una
decina d’anni che Stiles
non stava bene. Era anche abbastanza bravo a nasconderlo, ma con la
morte di
sua madre si era aperta nel suo cuore una voragine, una voragine sul
cui bordo
lui camminava. La mancanza di autostima che l’aveva investito
durante l’adolescenza
aveva fatto il resto, rendendolo agitato e pieno di complessi.
Ciononostante,
tonnellate di sarcasmo e un’intelligenza arzilla come poche,
facevano di lui una mosca bianca.
Quando
rincasò - verso l’ora di
cena -,
l’ingresso era stato invaso da un
delizioso profumino che gli fece gorgogliare lo stomaco. Si diresse
verso la
cucina, naso freneticamente al lavoro, guidato dalla scia che
prometteva
qualcosa di buono e sfrigolante.
«Hmmm!»
esordì, facendo leva sulla
spalla del suo coinquilino per spiarvi oltre. Hale rimestava in padella
quelle
che sembravano uova strapazzate al curry con tocchetti di pollo.
«Gira
al largo.» disse Derek,
spiaccicandogli in faccia la mano destra per spingerlo via senza
scomporsi
minimamente.
«Andiaaaaamo,
non vorrai farmi morire
di fame!» obiettò Stiles, lasciandosi cadere su
una sedia nelle vicinanze.
«Ogni
giorno pianifico la tua morte
in mille modi diversi, ti ringrazio di avermi appena suggerito il
numero
milleuno.» rispose l’altro, voltandosi per
mostrargli un sorrisetto sardonico e
compiaciuto che l’altro catalogò sotto
“adorabile”. Sapeva bene che Derek era
solo un brontolone, un cane che abbaia ma non morde, ed il modo in cui
si
ostinava a ostentare la sua apparente aria da
“odioilmondointero” faceva sempre
più acqua da tutte le parti.
«Ma
se non mangio non riesco a
dormire, e se non riesco a dormire sarò costretto
a…»
«…restare
sveglio a guardare porno
tutta la notte?»
Stiles
colse la palla al balzo. Il
fatto che in realtà passasse le sue notti insonni pensando a
lui nella stanza
accanto era del tutto irrilevante.
«Nah,
per oggi sono a posto. Sai, io e Lyd-»
«Non
mi interessa. Non voglio
sapere.»
E quella
che cos’era? Gelosia? Il
più piccolo strabuzzò gli occhi, cercando di
capire se fosse solo uno scherzo
della sua immaginazione. Derek sembrava essere diventato nervoso al
solo
sentire nominare la rossa… Doveva esserci un inghippo da
qualche parte, oppure…
oppure il suo piano stava avendo un esito inaspettato e comunque
vantaggioso.
«Allora,
mi farai assaggiare?»
insistette, tamburellando le dita sul tavolo apparecchiato.
«Alza
le chiappe dal mio posto.» fu
la risposta di Derek.
Stiles non
si diede per vinto e,
saltando su come una molla, tornò ad appoggiarsi alla spalla
dell’altro. Non si
stancava mai di cercare il contatto con lui. Toccare Derek lo faceva
sentire
vivo, non importava se tutto ciò faceva molto "teenager
in crisi ormonale". Quelle
spalle erano solide,
fasciate da una maglietta troppo sottile, ci sarebbe volentieri rimasto
attaccato per sempre. Il ragazzo lasciò la presa non appena
Derek lo fulminò
con un’occhiataccia, impartendogli un ordine ben preciso.
Stiles cantò vittoria
quando vide le narici dell’altro dilatarsi con rassegnazione.
«Sta’ seduto, o
ti lancio fuori dalla finestra. E ti ricordo che siamo al sesto
piano.»
Di docce
fredde e colonia incustodita
Faceva di
tutto per accettare le
sue stranezze. Tante le tollerava, molte altre le osservava con una
curiosità
che quasi lo spaventava. La loro convivenza non era delle
più semplici ma, come
un giro sulle montagne russe, era uno stimolo continuo.
Ad
esempio, Stiles aveva la
capacità di trascorrere ore sotto la doccia. Non era neppure
un eufemismo, una
volta l’aveva cronometrato! Centoventisette minuti spaccati,
ed era andata
bene…
Avevano
quindi stabilito che per
ogni volta che superava i sessantacinque minuti (cinque di bonus,
perché Hale
si sentiva generoso), avrebbe dovuto pagare pegno. Pegno che
puntualmente
consisteva in una vagonata di cibo cinese ordinato dal ristorante
all’angolo.
Derek non
voleva nemmeno
chiederselo, ma cosa faceva un ragazzo sotto l’acqua per
tutto quel tempo?
Quando alla fine toccava a lui poter entrare in bagno, il termometro
del boiler
segnava ovviamente una bassa temperatura. Con la sua invidiabile
resistenza
fisica si era rassegnato alle docce fredde, eccetto per le rare volte
in cui
era abbastanza veloce da precedere Stiles.
Quello non
era uno dei suoi giorni
più fortunati, evidentemente. Lo investì un getto
tiepido ma, considerando che
gli era andata molto peggio in passato, non ebbe nemmeno la forza di
lamentarsi. Si lavò in fretta, occhi chiusi e respiro perso.
La pesantezza
delle lezioni a cui aveva assistito in mattinata scivolò via
assieme allo
stress.
Si avvolse
nell’accappatoio,
stringendosi con goduria in quel morbido tepore. Lo specchio gli
rimandava
un’immagine di sé dai capelli scarmigliati, le
ciglia scure, spesse, zigomi
gocciolanti. Stava per asciugarsi quando notò che la sua
boccetta di colonia
sullo scaffale era stappata. Lui era sempre così metodico
che si rifiutò di credere
di averla lasciata aperta.
Lì c’era lo zampino
di Stiles. Cos’è, gli fregava anche quella adesso?
Eppure non gli pareva di
avergli sentito addosso il suo profumo quando gli era passato accanto
prima.
Dopo aver
rimesso il tappo al suo
posto, Derek lasciò cadere momentaneamente la questione.
Si
asciugò i capelli, cercando di
ricordare gli orari di ricevimento del professor Collins. Quando
uscì dal
bagno, sereno e rilassato, vide che il suo coinquilino aveva lasciato
la porta
della camera aperta. Lo trovò intento a guardare lo schermo
del pc, cuffie
rosse a coprirgli le orecchie e il piede che dondolava ritmicamente a
tempo di
musica.
«STILES.»
lo chiamò a voce alta,
per evitare di ripetersi.
Il ragazzo
compì un salto sulla
sedia per lo spavento e gettò via le cuffie alzando due dita
in cenno di
saluto.
«Non
toccare più la mia roba.»
disse Derek, sollevando il mento.
«Tu
vaneggi! Io non tocco proprio
nulla.» si difese Stiles con un’innocente alzata di
spalle, prima di tornare a
quello che stava facendo.
Di regali
inaspettati
«Stiiiiiles!
Che diavolo ci dovrei
fare con questo?» gridò Derek, scuotendo la testa.
Finché il suo coinquilino
non poteva vederlo, si concesse di sorridere di fronte
all’invasore che era
stato piazzato sul suo letto.
«È
un lupastro brontolone come te,
non ti piace?» esclamò Stiles, caracollando di
corsa contro lo stipite della
porta ed esibendo il suo migliore sorriso soddisfatto.
Derek
inarcò un sopracciglio,
reggendo l’enorme pupazzo per una zampa e trovando diletto a
fingersi seccato. «L’hai
raccattato nella spazzatura?»
«Come
hai fatto a indovinare?»
«Ti
giuro che te lo faccio
ingoiare.»
La
minaccia suonò così rilassata
che Stiles neppure la sentì. Gli corse incontro con una gran
faccia tosta per
tirargli le guance all’insù. «Sorridi,
Hale. Lo so che è il tuo compleanno!»
Bastò
un’occhiata interrogativa
dell’altro perché il più piccolo si
affrettasse ad aggiungere, con aria
angelica: «Cora…»
Aveva
ancora qualche senso
innalzare delle barriere? Quello Stilinski si metteva anche a
complottare
assieme alla sua famiglia, c’era ben poco che potesse tentare
per tenerlo alla
larga ormai. E a dire il vero, non voleva realmente più
farlo.
Era strano
ma aveva dimenticato di
trovarlo irritante. Pensare ad una giornata senza Stiles voleva dire
pensare ad
una giornata vuota. Se n’era accorto quando, durante il
weekend, il ragazzo
tornava a trovare i suoi amici a Beacon Hills. In quelle quarantottore
il
silenzio della casa era dolorosamente irreale.
Perfino
quel pupazzo dall’aspetto
un po’ stupido riusciva a sembrargli carino, guardandolo
meglio. Senza dire
nulla, lo esaminò per qualche istante. Poi, sospirando, lo
sistemò di nuovo sul
copriletto.
Incrociò
le braccia al petto,
rivolgendosi a Stiles nel più disponibile dei suoi toni.
«Suppongo che ti
aspetti qualcosa in cambio?»
L’altro
espresse la sua
indignazione battendogli una pacca sul petto e roteando la testa come
se stesse
dicendo la più grande assurdità del mondo.
«Pfff!»
Derek
alzò gli occhi al cielo,
stringendosi maggiormente nelle braccia. Non era quello che si poteva
definire
un tipo festaiolo. «Non amo i compleanni.»
«Perché
la cosa non mi sorprende?»
disse Stiles, prima di tirarlo per il polso con entusiasmo.
Era come
un bambino esaltato, non
riusciva neanche a dirgli di no. Si lasciò trascinare,
mentre la curiosità gli
montava dentro in maniera sorprendente.
In cucina
troneggiavano una torta
al cioccolato e una bottiglia di vodka. Sul dolce, Stiles aveva
disegnato un 42
con la glassa, invertendo di proposito l’età di
Derek. «Che idiota.» appurò
lui, sghignazzando sotto i baffi.
Di
confessioni
e dita intrecciate
«È
la mia prima volta.» Stiles lo
sussurrò, coprendosi di imbarazzo.
«Intendi
con un ragazzo?» disse
Derek, senza riuscire a smettere di divorargli la pelle tesa e morbida
del
collo.
«No,
la prima volta in assoluto.»
si costrinse a dire l’altro, occhi puntati sul soffitto.
Fu allora
che Derek si fermò,
issandosi sul materasso per guardarlo. «Ma con…
Lydia? Lydia, giusto?» domandò,
visibilmente confuso.
Ecco la
resa dei conti. Quel
momento doveva arrivare prima o poi, no? «Era per
te.» ammise l’altro,
mordicchiandosi il labbro.
«Cosa?!»
«Perché
non mi vedessi come uno
sfigato…» sospirò Stiles, buttando
fuori anche quella confessione.
«Stiles,
non ti ho mai visto come
uno sfigato. Un po’ insopportabile, questo
sì.»
Lo sguardo
di Derek era una carezza
che lui percepì non sulla pelle ma sul cuore. Strinse forte
la sua schiena
nuda, sollevandosi dal cuscino quel tanto che bastava per baciarlo. Le
loro
labbra non si scontrarono, si vennero invece incontro. Le lingue,
riscoprendosi
con lentezza, erano un sigillo umido e caldo che non voleva saperne di
chiudersi.
La destra
di Stiles si dischiuse
per fare spazio alle dita dell’altro. Palmo contro palmo, fra
lenzuola fresche
e senza alcuna fretta addosso, tutto quanto era perfetto.
Il
più piccolo si sentiva
incendiare in più parti del corpo. Il cavallo dei jeans,
strusciando contro
quello di Derek, si era fatto stretto da far male. La frizione, pigra
ed
elettrica, lo faceva sospirare di piacere contro la guancia
dell’altro. La
sensazione della barba incolta che sfregava sulla sua pelle liscia, al
pensiero
dei segni rossastri che avrebbe lasciato dopo, gli fece mordere a
sangue le
labbra. Incrociò le gambe attorno al bacino del suo
coinquilino ed arcuò la
spina dorsale, spingendosi senza riserve verso di lui.
«H-hai
presente la tua col-colonia?»
balbettò Stiles, sciogliendosi nell’odore buono di
Derek «L’ho annusata di nascosto.
Tante, tante volte…»
Fu allora
che l’altro realizzò. Il
tappo sullo scaffale, tutto tornava. Gli morse il petto, artigliandosi
alle sue
costole con la fame di un predatore. «Sei un piccolo
inquietante ficcanaso.»
ringhiò, strappandogli un gemito. Il primo di una lunga
serie.
Epilogo
Fra i
vantaggi del vivere nella
stessa casa con il proprio fidanzato, la possibilità di
dedicarsi senza freni a
certe attività è da piazzare senz’altro
ai primi posti. Si poteva anche dire
che, in fondo, era l’unico dettaglio mutato nella loro
convivenza. Si
punzecchiavano come una coppietta sposata prima e continuarono a farlo
anche
dopo.
Riguardo
al bucato.
«Non
puoi lavare i bianchi con i
colorati, Stiles! Guarda come hai ridotto i miei calzini!»
«Me
ne ricorderò, okay? Il rosa ti
dona, comunque.»
Riguardo
alla televisione.
«Amo
quest’attore! Guardalo, è…»
«Chi
ami tu?»
«Oh,
andiamo, non puoi essere
geloso di Charlie Hunnam! È patrimonio
dell’umanità! Puoi apprezzarlo anche tu,
ti do il permesso.»
O riguardo
ad altre cose…
«Piantala
di chiamarmi Coniglietto!»
«Ti
chiamo come mi pare, vecchio
Coniglietto brontolone.»
«Ti odio, Stiles. Dico sul serio.»
Il fatto
che il loro autocontrollo
fosse davvero povero, però, si rivelò
più sconsiderato del previsto. Come
quella volta che il padrone di casa aveva dimenticato di avvisarli che
sarebbe
passato l’idraulico a far riparare quel problemuccio al
rubinetto.
Stiles non
era mai silenzioso,
nemmeno a letto. Il proprietario e l’ignaro operaio che si
era portato appresso
avrebbero avuto qualche problema a dimenticarlo…