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Autore: northerntrash    25/08/2014    3 recensioni
"Grazie per aver ascoltato" disse Thorin, alzandosi in piedi. "Spero di poter ricambiare il favore, un giorno."
L'uomo nel letto non rispose, ma dato il fatto che era in coma da più tempo di quanto Thorin lo conoscesse, non fu del tutto sorpreso.
Bagginshield Modern AU | SlowBurn | Not a somnophilia story | Storia originale su Archive of Our Own | 38 capitoli
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Bilbo, Dìs, Fili, Thorin Scudodiquercia
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note della Traduttrice
Ve l'avevo già accennato, ma scusate comunque il ritardo nella pubblicazione. Comunque non credo riuscirò a continuare col ritmo di un capitolo al giorno d'ora in poi, mi dispiace tanto ;_;
Io adoro Thorin, l'ho già detto?
Come sempre non esitate a farmi notare eventuali errori! Buona lettura! ♥


Capitolo 5
 

 "Dicono che possiamo portare Kili a casa tra una settimana circa," disse Thorin, quasi sentendo di confessare qualcosa. "Quando accadrà non verrò più qui ogni giorno."

Fece una pausa, osservando la pioggia scorrere giù sui vetri, la vista sull'esterno oscurata dalle pesanti gocce, poteva udire chiaramente il rombare dei tuoni anche ora che aveva chiuso la finestra. Stava per lasciare l'ospedale quando la tempesta era scoppiata sulla città, e si era ritrovato ad esitare nell'ingresso prima di ritornare lentamente al reparto di terapia intensiva e scivolare oltre la porta nella stanza che ormai conosceva così bene. La sua scusa fu che aveva parcheggiato all'estremità lontana del parcheggio, e non voleva inzupparsi; era suonata vana e falsa anche nella sua testa.

C'era stata una fitta di amarezza quando il medico aveva annunciato loro la notizia, nonostante la sua felicità per il fatto che Kili non era più a rischio.

"Quindi dubito che ti vedrò ancora spesso," disse infine, sentendo le unghie premere nei palmi, un'azione così radicata che non si era neanche reso conto di aver cominciato a stringere i pugni fin quando non aveva sentito il dolore.

Li rilasciò, lentamente, regolarizzando il respiro; le incisioni a mezzaluna erano di un bianco livido sulla sua pelle.
Perché si sentiva così frustrato?

"So che non fa nessuna dannata differenza per te se vengo o no," sputò fuori dopo un lungo momento di silenzio, la voce dura e quasi fredda, come se davvero incolpasse l'uomo per non accorgersi della sua presenza, anche se sapeva di non farlo. "So che non te ne renderai conto comunque. Ma volevo dirtelo in ogni caso. In caso… in caso lo facessi"

Allungò leggermente la mano, un movimento poco convinto che ritirò subito, pentendosene quasi immediatamente.

Il lampo di un fulmine lontano illuminò la stanza per un istante, quasi impercettibilmente: se Thorin non stesse fissando la finestra, deliberatamente allontanando gli occhi dal letto, non se ne sarebbe accorto.

"Sarà un bene avere Kili con noi, Dis e Vivi si stanno stremando, a correre tra qui e casa. Non penso che Dis abbia speso più di una notte nel suo letto da quando è successo, sai. Ed è un bene anche per Frerin: lui prova a non darlo a vedere, ma è stanco, e non sta ancora bene, non completamente. E Fili - è un bravo ragazzo, ma gli manca avere le sue madri intorno. Non è giusto per lui, essere sballottato tra noi quattro."

Il sonoro rombo di un tuono tagliò il silenzio della stanza, e Thorin continuò a fissare fuori dalla finestra, distrattamente, senza vedere nulla in particolare.

Era egoista, lo sapeva, ma c'era una strana parte di lui che sapeva che queste conversazioni a senso unico gli sarebbero mancate, gli sarebbe mancata la possibilità di scaricarsi su uno sconosciuto non consenziente. Per quanto lo facesse sentire colpevole ogni volta che osava pensarci (cosa che cercava di evitare ad ogni costo) sapeva che non sarebbe mai stato in grado, egoisticamente, di pentirsi delle ultime settimane. Uscire dalla stanza d'ospedale lo lasciava con un infallibile e pervasivo senso di sollievo, di calma, in un modo che nessun amico o parente o terapista era mai riuscito a creare.

Non poteva andare avanti, non indefinitamente; lo riconosceva anche se se ne rammaricava.

Ma non poteva passare la vita al capezzale di uno sconosciuto addormentato, scaricando la sua tensione sulle spalle di un uomo incapace di ribattere; questa non era una pena che l'uomo doveva subire, niente di tutto questo era come sarebbe dovuto essere. L'uomo avrebbe dovuto vivere la sua vita, come Thorin avrebbe dovuto continuare con la sua, senza affondare lentamente in questa routine confortante ma moralmente ambigua.

Doveva andarsene, allontanarsi dal letto dell'uomo addormentato prima che cominciasse a sperare che si svegliasse, prima che cominciasse a pensare a lui non come a uno sconosciuto.

Thorin fece un mezzo sorriso a sé stesso, una piccola, amara smorfia.

Voleva già che si svegliasse, e non solo come un osservatore causale; e quello era già troppo.

"Quello che sono venuto a dire, è… grazie. Per aver ascoltato," disse Thorin, alzandosi in piedi. "Anche se non avevi molta scelta. Spero di poter ricambiare il favore, un giorno."

L'uomo nel letto non rispose, ma d'altronde, non lo faceva mai. Thorin lo fissò per un lungo momento, prima di rilanciarsi sulla sedia con un udibile verso di frustrazione, l'espressione severa spaccata da qualcosa che somigliava al rimorso.

Si strofinò gli occhi con le mani.

"Chi sei?" chiese, deglutendo. "Ti ho detto tutto di me, ma non conosco nemmeno il tuo nome. Non mi sembra giusto."

L'orologio sopra la porta continuò a ticchettare, il suo costante suono improvvisamente assordante. Thorin avrebbe giurato di poter sentire il proprio battito del cuore, in sincronia con l'orologio.

"Sai," disse, la voce bassa e stranamente calma, come se si aspettasse che qualcuno stesse origliando. "Mi piacerebbe davvero che ti svegliassi. Non so nulla di te, ma non penso che nessuno si meriti questo."

Allungò la mano, cautamente, e per la prima volta toccò l'uomo nel letto, sfiorando il suo polso con la punta delle dita. La pelle era fredda e asciutta, quasi cartacea sotto il suo tocco, e lo alleggerì, come se avesse paura che in qualche modo potesse rompere l'uomo; le dita si avvolsero intorno al dorso della sua mano nella curva dove il pollice si univa al palmo, il pollice di Thorin scivolò sotto per premerci contro.

"Io… solo, svegliati," disse Thorin, la voce ancora più bassa.

Il fragore di un altro tuono echeggiò per la stanza, distante ora che la tempesta si stava spostando.

"Voglio sapere com'è il suono della tua voce."

Strinse, solo un po', e poi sentì qualcosa.

Fissò le loro mani per un lungo, lento momento, e poi lo sentì di nuovo.

Il leggero, ma inconfondibile, movimento delle dita dell'uomo contro le sue.

Thorin lasciò cadere la mano come se l'avesse scottato, alzandosi lentamente in piedi mentre cercava di elaborare cosa era accaduto. Poi il suo corpo si lanciò in movimento, corse alla porta, aprendola abbastanza forte da farla rimbalzare contro il muro, girando la testa avanti e indietro nel corridoio finché non vide un membro dello staff dietro la postazione degli infermieri.

"Hei," chiamò, e dovette suonare urgente, perché l'infermiere si alzò immediatamente e si avviò velocemente verso di lui.

"Si è mosso," disse mentre l'infermiere si avvicinava, "l'uomo, l'uomo lì dentro, si è mosso." 

L'infermiere alzò le mani, implorando.

"Signore, per f-"

"Dovete fare qualcosa," Thorin disse, la voce strozzata. "Significa che si sta svegliando, vero? I pazienti in coma non si muovono e basta, e gli stavo parlando, e-"

"Lo sappiamo," lo interruppe l'infermiere, pazientemente. "Non ha sentito? Abbiamo contattato i parenti del signor Baggins l'altro ieri. I dati delle macchine indicano che ha cominciato a svegliarsi martedì."

Thorin barcollò, facendo un mezzo passo indietro nella stanza.

"Ci può volere molto perché i pazienti tornino in piena coscienza, particolarmente quando sono stati in come per tanto a lungo.

Ci vorranno giorni, se non settimane perché si svegli completamente. Ma , si sta svegliando."

L'infermiere gli sorrise, e sbuffò una risatina all'ovvio sconcerto sul viso di Thorin.

"Stia nei paraggi, signore. Riuscirà a parlare con il suo amico presto, ha la mia parola."

Thorin guardò oltre la sua spalla, all'uomo nel letto, che non sembrava diverso dal solito, e cercò di credere.

---------------

Undici giorni dopo -

Bilbo si svegliò un po' stordito - fortunatamente da un semplice sonno questa volta, anche se la consapevolezza non fermava l'ondata di sollievo che lo invadeva ogni volta - per trovare una figura alta seduta di fianco il suo letto. Lo fissò per un po', l'uomo che lo fissava di rimando senza remore, cercando di capire perché l'uomo sembrasse stranamente familiare. Non era un viso che riusciva a collocare immediatamente, né era qualcuno dalla massa di visitatori che aveva ricevuto dopo essersi svegliato dal coma.

L'uomo non disse nulla; né lo fece lui.

Ma poi, dopo un lungo, lento momento, qualcosa scattò nella sua testa.

"Tu!" disse, un po' confuso, e l'uomo sorrise.

 Era un sorriso caldo e familiare, il sorriso di qualcuno che ti conosce troppo bene, anche se tu stesso non riesci a ricordarlo, forse, o il sorriso di qualcuno che ti ha visto da l'altro lato della strada, e ha capito chi sei solo dal modo in cui tieni le spalle o inclini la testa. Gli occhi dell'uomo erano di un blu straordinario, e lo fissavano dalla sedia accanto al letto, con l'aria rilassata e a proprio agio nella sedia dura come se fosse la sua poltrona preferita, nella quale aveva passato l'ora precedente con comodità.

"Io," l'uomo assentì. "È bello vederti sveglio, Bilbo."

Bilbo premette il bottone che alzava il letto, sentendosi non poco a disagio a stare sdraiato mentre cercava di fare conversazione, la sua mente lavorava velocemente cercando di posizionare la faccia, la voce, mentre cercava di calmare i doloranti recessi della memoria, cercando frammenti abbandonati, cercando di ricordare.

C'era l'eco di un sorriso, e l'odore di qualcosa che non riusciva a definire propriamente.

Il sorriso luminoso di sua madre apparve senza freni nella sua testa. 

"Gandalf?" Bilbo chiese, dopo quella che sembrò un era.

"Infatti."

Il sorriso di Gandalf si allargò ancora un po', gli occhi scintillavano nel modo che Bilbo ricordava, come se fossero pieni di taciturna malizia.

"Non ti ho visto da… il funerale di mia madre, vero?"

"È passato tanto tempo" Gandalf concordò, qualcosa di oscuro e non detto passò sulla sua espressione per un istante. "Mi dispiace tanto di non essere potuto venire prima, mio caro ragazzo. Sono stato fuori del Paese per un po' di tempo; ho saputo che tu fossi qui solo quando sono tornato. Sarei passato molto prima, l'avessi saputo."

Bilbo sorrise di rimando, allora; non aveva avuto molte occasioni di sorridere recentemente, ma era stranamente rinfrescante sentire qualcuno essere onesto riguardo la sua assenza dal suo capezzale. Sospettava alquanto che molti dei suoi parenti stessero esagerando la loro presenza nella stanza d'ospedale, un fatto che era stato confermato dalla sua delicata pressione sugli infermieri per avere informazioni. L'unico visitatore regolare che aveva avuto, almeno nell'ultimo paio di mesi, era stato l'uomo la cui identità rimaneva ancora un mistero per lui; lo aveva mancato il giorno prima, e da allora l'uomo non era ritornato.

"Non preoccuparti, vecchio amico," disse, completamente sincero. "In ogni caso non mi ricorderei se tu ci fossi stato."

Gandalf alzò un sopracciglio.

"Non ricordi nulla degli ultimi cinque mesi?"

Bilbo scosse la testa, sussultando leggermente quando cercò coraggiosamente di tirarsi un po' più su sul letto.

"È piuttosto l'idea di un coma, sai. È presunto che non ci si ricordi nulla."

Gandalf alzò le spalle.

"Lo sai meglio di me, mio caro. Ma dicono che a volte ci si ricorda di voci, persone che ti parlano, quel genere di cose."

Bilbo fece spallucce, in procinto di negare completamente, ma poi qualcosa ronzò all'angolo della sua mente, qualche pensiero mezzo-formato o voce che gli fece venir voglia di protestare. Aggrottò le sopracciglia per un momento, prima di scacciare il pensiero.

"Non sono completamente sicuro," rispose dopo una lunga pausa. "Ma certamente non c'è niente che riesca a riportare alla mente con molta ch-"

La parola gli sfuggiva.

La frustrazione doveva essere evidente sul suo viso, perché Gandalf allungò la mano, e diede una leggera pacca sulla sua, né interrompendo né completando la frase di Bilbo, semplicemente aspettando che ci arrivasse da solo.

"Chiarezza" Bilbo completò infine, con evidente sollievo, imbarazzato mentre realizzava quanto debole dovesse sembrare. "Chiarezza," ripeté, la voce ora un po' tirata.

"Abbastanza," disse Gandalf, sorridendo ancora. "Gli infermieri mi dicono che questi vuoti di memoria  scompariranno col tempo. Sembravano pensare che avessi bisogno di un avvertimento su come stai, ma penso piuttosto che abbiano esagerato: mi sembri stare abbastanza bene."

Bilbo alzò un sopracciglio.

"Se con bene intendi incapace di muovermi o di finire le frasi, allora si." Se il suo tono era forse un po' deprimente, beh non pensava che qualcuno glie ne avrebbe fatto una colpa.

Gandalf si limitò a fare di nuovo spallucce.

"Hai sempre avuto molto potenziale, mio caro ragazzo, l'ho detto a tua madre per anni. Troverai un modo di uscirne. Ho la più completa fede in te."

Non era la prima volta che Bilbo si era sentito dire una cosa del genere negli ultimi giorni, ma per la prima volta qualcuno l'aveva detta senza sforzo deliberato, come se stessero cercando di convincere loro stessi più che lui.

Gandalf continuò, appoggiandosi allo schienale della sedia. "Cos'è successo?"

"Mi dicono che sono caduto dalle scale," disse Bilbo, con un'amara risatina. "Sospetto che di essere inciampato sul gatto, sono sempre lì lì per farlo. Immagina, tutti questi anni ad aver timore di lanciare all'aria la cautela e finisco per quasi morire a casa mia. Mi ha trovato il mio giardiniere, sai; fortunatamente le portefinestre che danno sul porticato sono ai piedi della scala, oppure avrei potuto rimanere lì steso fino a morire."

"A volte casa tua è il posto più pericoloso dove puoi essere," Gandalf rispose, la voce calma e sicura. "E se non fosse per una piccola spinta, puoi non rendertene mai conto."

Bilbo sbuffò un'altra risata secca.

"Preferisco sperare che Smeagol non mi abbia spinto. È un vecchio gatto irascibile, ma penso che gli manchino i pollici opponibili e le funzioni cerebrali necessari per metter su un piano per uccidermi."

Gandalf fece un gran sorriso mentre Bilbo si rilassò, soddisfatto di essere riuscito a dire tante parole senza incertezze; si sentì di nuovo come un impaziente quattordicenne, pronto a buttare ogni parola che aveva letto in una conversazione per sembrare più intelligente, solo che ora voleva farlo per provare, più a sé stesso che ad altri, di riuscirci ancora.

Davvero, ci riusciva ancora.

Sarebbe stato bene.

E con Gandalf lì, un sorriso estatico sul viso, Bilbo cominciò davvero a crederci.

Continua...
 


Note della Traduttrice - reprise
Nel prossimo capitolo... succederà quello che aspettiamo tutti! Più o meno ;)
Alla prossima
KuroCyou
   
 
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