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Autore: _ayachan_    19/09/2008    26 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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06
Capitolo sesto

Equilibrio precario



«E dov’ero io in quel momento? Al confine!»
Sprezzante, Akeru gettò un sasso verso la foresta e lo vide scomparire tra i cespugli dopo essere rimbalzato su un tronco.
«Maledetti Hokage...» bofonchiò chinandosi per trovare un altro proiettile tra l’erba. «Far succedere le cose interessanti mentre io sono via, come se non contassi niente!»
La partenza di Kakashi per una missione segretissima riguardante Kyuubi era diventata di dominio pubblico in sole poche ore. Prima che le famiglie di Konoha si fossero ritirate per la notte, quasi tutti sapevano che il sesto Hokage aveva lasciato il villaggio. Baka però era rientrato dalla sua missione molto tardi e aveva saputo la novità solo quella mattina.
«Tu non conti niente, in effetti» gli fece notare una voce annoiata alle sue spalle.
Akeru si voltò indignato e puntò un dito accusatore contro il vecchio appollaiato su un masso con un quaderno e una penna tra le mani. «Per quanto io la rispetti, nobile Jiraya, non ritengo opportuno che lei giri il coltello nella piaga in questo modo!»
Jiraya si grattò un orecchio sbadigliando. «Che seccante» commentò, scuotendo la testa. «Dai, vieni un po’ qui. Mi sono stufato di sentire le tue lamentele, abbiamo del lavoro da fare.»
Lo scorrere del tempo era ben visibile tra le rughe sul viso del Sannin: per quanto fossero poche, erano profonde e segnavano ogni sua espressione. I suoi capelli si mantenevano folti più per uno sforzo di volontà che per effettivo vigore, e nell’intera figura c’era un che di fragile, nonostante fosse ancora perfettamente in grado di difendersi.
Akeru gli si avvicinò. Il contrasto tra i suoi muscoli scattanti e i polsi nodosi di Jiraya fu quanto mai netto. Si lasciò cadere seduto accanto a lui, le mani appoggiate indietro, e fissò il cielo che si stendeva sopra la radura. «Dove eravamo rimasti?»
«Terzo capitolo, Miko ha incontrato il fratello di Jumon ed è rimasta colpita dalla sua straordinaria prestanza fisica.»
«E poi?»
«E poi... siamo già al terzo capitolo, dobbiamo dare un po’ di soddisfazione al lettore, no?»
«Okay, okay, capito» Akeru arricciò le labbra e rimase a guardare le nuvole, riflettendo. «C’è un casinò lì vicino?»
«Idea già usata nel Paradiso» bofonchiò Jiraya.
«Ah. Terme?»
«Idem.»
«Mm... C’è un ospedale?»
«Ehi, Stupido che non sei altro, non ti avevo detto di leggere a fondo i miei libri? Stai proponendo tutte cose già viste!»
Akeru sbuffò e lo scrutò torvo. «Oggi ho la testa altrove» ammise controvoglia.
«Commovente» masticò Jiraya. «Ma senza la tua fantasia di verginello non si va molto avanti.»
«Allora rimandiamo!» sbottò lui, alzandosi in piedi e arrossendo senza volerlo. «Che strazio. Un vecchio scrittore di porno che deve affidarsi a un ragazzino per far soldi!»
«Ehi, non è colpa mia se ormai ho provato tutto e non ho idee nuove!» si indignò il Sannin. «Ti pago per darmi ispirazione, non per lamentarti!»
«I soldi che mi dà non sono neanche lontanamente sufficienti per farmi insultare!»
«Bah! Vai a farti un giro, trovati una ragazza, e torna quando ti sarai schiarito le idee.»
Akeru grugnì una risposta, e incassando la testa tra le spalle prese ad allontanarsi. «Trovati una ragazza...» mugugnò di malumore. «Non è tanto semplice! Quella che voglio io manco mi invita alla sua festa di compleanno!»
Fermo sul suo sasso Jiraya scrutò la pagina scritta a metà, quindi sospirò e richiuse il quaderno.
«Niente da fare oggi» mormorò, alzandosi in piedi e spolverandosi i pantaloni. «Tanto vale andare a trovare Tsunade.»


«Siamo! In! Guerra!» gridò Hitoshi, mentre Kotaro schivava i suoi pugni rabbiosi con l’agilità di un ginnasta. «E non c’è nemmeno una missione per noi! Naruto è un idiota! Non sa fare il suo stupido mestiere!»
«Che scoperta» mormorò Chiharu, rannicchiata sulla solita panchina con un libro in mano. «Io lo ripeto da giorni, ma nessuno di voi mi dà retta.»
«Inizia a uscirmi il fumo dalle orecchie!» ringhiò Hitoshi, chinandosi per evitare un calcio di Kotaro.
«Sei distratto!» lo sgridò lui, abbassando il tiro all’improvviso e prendendolo in piena faccia.
Hitoshi cadde nella polvere e i bambini del parco alzarono la testa dai loro giochi, fissando i tre shinobi con occhi intimoriti.
«Testa di cazzo!» sbottò l’Uchiha, rialzandosi con una mano sulla mandibola. «Adesso resterà il livido!»
«Era un calcio da evitare ad occhi chiusi, non è colpa mia se sei un deficiente.»
«Ma tanto a te non frega niente, vero?» con rabbia, Hitoshi sputò a terra. «Ti sei sempre limitato ad obbedire agli ordini, non hai mai fatto niente di testa tua e hai solo seguito Naruto come... come... come l’idiota che è anche lui! Cosa mi è saltato in testa di farmi convincere ad allenarci insieme?» sfregò le dita sulla fronte, mentre l’emicrania martellava forte dietro le sue tempie.
«Se fumassi meno di quelle schifezze che ti porti appresso forse non avresti mal di testa, e forse una volta tanto riusciresti a non finire nella polvere quando combatti con me!» ribatté Kotaro, punto sul vivo.
«Fatti gli affari tuoi!» lo minacciò Hitoshi. «L'unica ragione per cui ti permetto di rivolgermi la parola è che purtroppo ci hanno infilato nello stesso gruppo!»
Kotaro lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Da qualche tempo gli scatti di orgoglio di Hitoshi lo portavano al limite più facilmente. Non sapeva se era la sua pazienza ad essere calata o l'Uchiha ad aver alzato i toni, ma sentiva che se gli avesse dato altra corda avrebbero finito per litigare davvero.
«Arrangiati» sbottò raccogliendo la maglia che aveva gettato sulla panchina, accanto a Chiharu. «Non sono io il più debole tra noi: se non vuoi il mio aiuto non ti costringerò ad accettarlo.»
Kotaro si rivestì e si allontanò, rivolgendo a malapena un cenno di saluto a Chiharu. Lei lo guardò andare via reprimendo un sospiro esasperato.
«Chi ha detto che sono il più debole? Ma che gli è preso?» bofonchiò Hitoshi, rialzandosi e muovendo la mandibola per eliminare il torpore.
«Spirito di squadra» mormorò Chiharu, tornando a posare gli occhi sul suo libro. «Era il suo modo di preoccuparsi per te, ma tu l’hai mandato al diavolo. Sai che è fatto come suo padre: tende ad assimilare il carattere del maestro.»
«Una vera fortuna, considerato il maestro.»
Chiharu scosse la testa senza ribattere. L'equilibrio del gruppo sette era sempre stato un po' precario, ma ultimamente era davvero fragile.
Hitoshi si lasciò cadere accanto a lei. Chiharu si fece un po’ più in là. «Puzzi.»
«Gentile da parte tua. Mi sono appena allenato, e neanche tu quando ti alleni profumi di rosa» le fece notare.
«Ma non mi spalmo addosso a te» sbuffò lei chiudendo il libro. «Che palle, senza Kotaro a tenerti occupato non riesco nemmeno a studiare in pace.»
«Cos è?» chiese lui accennando al volume, più per costringerla a restare che per vero interesse.
«Evocazioni» Chiharu scrollò le spalle. «L’ho trovato nella biblioteca dell’Hokage.»
«E che te ne fai? Nessuno di noi ha ancora stretto un contratto.»
«E’ proprio qui che siamo diversi» cantilenò Chiharu con aria saccente. «Io anticipo le cose. Verrà il giorno in cui dovrai evocare qualcosa e non saprai nemmeno da che parte girarti, mentre io sarò avanti un chilometro.»
«Ma sta’ zitta. Non sei neanche Jonin.»
Lei arrossì. «Ci godi tanto a ricordarmelo?»
«Non sai nemmeno quanto» ghignò lui, allargando le braccia sullo schienale della panchina. Ma il sorriso si spense in fretta, sostituito da una smorfia di leggero dolore.
«Hai mai pensato che forse Kotaro ha ragione?» chiese Chiharu, riconoscendo i sintomi dell’emicrania.
«No, Kotaro non ha mai ragione» rispose Hitoshi.
«Idiota. I mal di testa sono iniziati con le sigarette.»
«Che fai, ti preoccupi per me?»
«Hai bisogno della balia?»
«No» Hitoshi prese una sigaretta dal pacchetto e la accese. Inspirò a lungo ed espirò, sentendo l’acre aroma del tabacco invadergli la bocca. Chiharu scosse una mano per allontanare il fumo, infastidita, ma non si alzò dalla panchina.
«Tieni. Mettilo sulla mandibola, ti eviterà di andare in giro blu» borbottò frugando nel marsupio e tendendogli il regalo di Akeru. Hitoshi scrutò la scatolina con sospetto e la aprì per annusarne il contenuto. «L’ho usata anche io, non sto cercando di avvelenarti» sbuffò Chiharu.
«Ci sarà da fidarsi?» ribatté lui, serio a metà. «Da dove arriva?»
Chiharu scrollò le spalle e si affrettò a cambiare discorso. «Come va a casa?»
«Come sempre» mormorò Hitoshi mettendo via l’unguento. «Fugaku e Mikoto si allenano tanto che prima o poi il cervello gli schizzerà fuori dagli occhi, Liara ha iniziato a chiedere a nostra madre come nascono i bambini, Nobi si sta facendo le prime turbe sullo sharingan e Arina ha iniziato da poco l’Accademia. Itachi non ho neanche bisogno di nominarlo: papà ha deciso che vuole allenarlo personalmente, probabilmente spera di fargli finire gli studi a sette anni, come il vecchio Itachi. Non so se sia una cosa saggia, al Villaggio già qualcuno lo guarda male...» scrollò le spalle, studiando a sua volta i ragazzini nella buca della sabbia. «Con tutti questi ragazzini intorno la gente ha anche il coraggio di chiedersi perché ho sempre mal di testa.»
«Perché lo chiami ‘il vecchio Itachi’, e non zio?» domandò Chiharu.
Hitoshi non rispose subito. Inspirò ed espirò un paio di volte, soprappensiero, quindi buttò la sigaretta ancora a metà e la schiacciò sotto un piede.
Una volta ammirava Itachi. Perché era forte, il più forte di tutti gli Uchiha, un genio, il vero erede, il talento... Voleva diventare come lui e poi superarlo. Ma quando era stato chiaro che non sarebbe successo nulla di simile, che sarebbe sempre stato un Uchiha a metà, ogni sua speranza era evaporata e aveva iniziato a provare insofferenza per chi se ne andava in giro a sbandierare occhi scarlatti. Già, perché Hitoshi, che doveva essere la gloria e il riscatto di suo padre e del clan intero, non possedeva lo sharingan, nemmeno una minima traccia. Anche se si fosse impegnato fino a uccidersi, non sarebbe riuscito a immaginare una disgrazia più umiliante di quella.
«Il vecchio Itachi era un traditore» disse duro. «Ha abbandonato il villaggio, ha sterminato il mio clan, si è alleato con la feccia peggiore e alla fine non so neanche come è morto, perché mio padre evita l’argomento e anche mia madre non si lascia scappare niente. Per quel che mi riguarda, se dovesse comparire all’improvviso dall’oltretomba ce lo rispedirei al volo.»
Chiharu sorrise e lo guardò con un filo di commiserazione. «Come se potessi riuscirci.»
Lui le lanciò un’occhiata truce. «Per quanto ti ostini a non riconoscerlo, io sono forte» mugugnò.
«Quanto il celebre Itachi Uchiha?» insisté lei. Si alzò in piedi. «Permettimi di dubitarne.»
«Dove vai?» Hitoshi la afferrò per un polso.
Lei fissò la sua mano sul braccio, quindi lui che la guardava. Senza sorridere si liberò dalla stretta. «Devo cercare Yoshi.»
Hitoshi si irrigidì di colpo, sentendo la spina dorsale farsi di ghiaccio. «Divertiti» sibilò aspro dopo un lungo istante. Ostentando la massima indifferenza tornò a stendere le braccia sullo schienale della panchina e accavallò le gambe, una ruga profonda a solcargli la fronte.
Chiharu trattenne uno sbuffo. «Contaci» rispose laconica, e si allontanò tenendo il libro chiuso in mano.
Hitoshi strinse i denti ignorando le pulsazioni di protesta della mandibola.
«Idiota che non è altro!»


«Sapevo che ti avrei trovato qui.»
Naruto sorrise mesto, le mani affondate in tasca e i capelli scossi da un lieve alito di vento. Non portava il coprifronte, indossava la solita tuta arancione e nera, e se non fosse stato perché Jiraya lo conosceva così bene da sapere esattamente quanti capelli aveva in testa, avrebbe potuto quasi confonderlo con il ragazzino che aveva portato con sé tanti anni prima. Ricambiò il sorriso, guardandolo da sopra la spalla, e attese che si avvicinasse.
«Niente ispirazione, mi annoiavo» si giustificò, distogliendo gli occhi e posandoli sulla lapide nera che spiccava tra l’erba.
«Come fai a passare dalle porcate che scrivi a questo?» Naruto fece una smorfia disgustata.
«Beh, io e Tsunade...»
«No, alt, non voglio sentire altro!»
Jiraya ghignò, ma il suo non era più il sorriso malizioso di un tempo.
«Sono quasi quattro anni che mi nutro soltanto di ricordi» mormorò, assottigliando gli occhi contornati di rughe. «Quando l’abbiamo ritrovata le era rimasto davvero poco...»
«Probabilmente le era rimasto ancora meno» borbottò Naruto. «Sakura dice che gli ultimi sei mesi ha tirato avanti solo a forza di volontà... E tutti e due siamo convinti che lo abbia fatto per te.»
«Ma va’. L’ha fatto per godere della mia fantastica presenza ancora un po’, non per i miei rimpianti di vecchio scemo.»
Naruto sorrise appena, vedendo la nostalgia segnare ogni centimetro di pelle dell’ultimo Sannin.
Quattro anni prima, nella foresta, avevano seppellito Tsunade per la seconda ed ultima volta. Sia lui che Jiraya avevano voluto accertarsi che fosse veramente lei, perché nessuno dei due riusciva a crederlo, perché una parte di loro continuava a sperare che sarebbe ricomparsa come già aveva fatto una volta, perché era impensabile che quel corpo piccolo e scuro fosse quello della vulcanica Tsunade... E invece era lei, ed era stanca. Così stanca che non si sarebbe alzata mai più.
Era stata una cerimonia più che intima. Avevano partecipato solo Sakura, Naruto, Hinata, Jiraya e Kakashi, e alla fine era stata proprio Sakura ad avvicinare la torcia accesa alla pira funebre.
Piangeva, quel giorno. Al primo funerale non lo aveva fatto, e tutti avevano pensato che fosse perché era forte... Invece, quella volta, aveva pianto. Ed era stato Naruto a consolarla, perché Sasuke non sapeva nulla.
«Sono tornato ad essere l’ultimo dei ninja leggendari» sospirò Jiraya, grattandosi la nuca. «Una vecchia carcassa che si trascina come un moribondo e scrive libri senza sostanza.»
«Incredibile, non pensavo ti avrei mai sentito denigrare i tuoi libri.»
«Sappiamo entrambi quale sia l’unico lavoro con un minimo di valore nella mia bibliografia. Gli altri sono divertenti, ma nient’altro.»
«Beh, io non li ho trovati neanche divertenti.»
«Tu li hai presi come un manuale.»
«Ehi!» Naruto arrossì indignato. «Non ho bisogno di manuali, io!»
«Tu dici?» Jiraya gli rivolse un altro ghigno, più intenso. «Se tanto mi dà tanto, quella povera ragazza di Sakura ha patito non poco, con un imbranato come te.»
«Abbiamo finito con la paternale?» rognò Naruto, offeso. «Non doveva essere un momento commovente?»
«Quando arrivi alla mia età speri di trovare più momenti divertenti che commoventi... Comunque. Immagino mi cercassi perché hai bisogno di aiuto. La storia che hai spedito Kakashi in missione per Kyuubi è una montatura, vero?»
«E’ così evidente?»
«No, lo è solo per me che ti conosco: non affideresti mai niente che riguarda Kyuubi a qualcun altro.»
Naruto sorrise in lieve imbarazzo. I ricordi dell’ultima volta che Kyuubi si era rivelata un problema gli passarono davanti agli occhi un po’ confusamente: aveva demolito la sua stessa casa, un paio di piani dell’ospedale della Foglia e una vasta zona di foresta. Per fortuna da cinque anni a quella parte la Volpe dormiva della grossa in fondo al suo stomaco e sembrava essersi ritirata a vita privata.
«Kakashi è andato a ripescare la sua donna dal Paese delle Risaie, o qualcosa di simile» sospirò. «Non ho capito proprio bene, ma Shikamaru dice che secondo lui non c’è da preoccuparsi.»
«Ah, se lo dice Shikamaru puoi stare tranquillo. Hai qualche altro problema?» domandò Jiraya.
Naruto si fece serio e tornò a fissare la lapide, ormai quasi del tutto coperta di nomi. «No, non sono qui per chiederti consigli» disse imbarazzato. «E’ solo che... volevo... ecco, veramente volevo presentarmi in pompa magna e dimostrare a te e a lei che sono un grande Hokage, il migliore che Konoha abbia mai avuto. Ma temo di aver fallito. Sono stati Sakura e Shikamaru a sistemare tutto, io cercavo di aprire bocca e loro smontavano le mie idee in un attimo. Troppo poco efficiente, troppo elementare, banale... Non so neanche archiviare i documenti per argomento» si strinse nelle spalle, con un sorriso quasi di scusa. «Ora capisco perché Kakashi me li ha affiancati, e inizio a pentirmi della sfuriata che gli ho fatto prima di accettare l’incarico. Non avevo calcolato l’aspetto burocratico della faccenda» si schiarì la voce. «Comunque non mi arrendo. Se fossi uno che si arrende al primo ostacolo non sarei mai diventato ninja!» sbottò alla fine, stringendo un pugno. «Vedrai, abbiamo in ballo una gigantesca missione segreta con la Sabbia, ne ho parlato giusto stamattina con con Rock Lee e Gai: ho tutte le intenzioni di renderla un successo stratosferico!»
Jiraya lo osservò con il mezzo sorriso che riservava solo a lui, poi si lasciò scappare una risata. «Sei il solito imbranato» commentò in tono nostalgico. «E’ bello vedere che ci sono persone come te, che non cambiano mai.»
«E’ il mio credo ninja» ghignò Naruto, e Jiraya rimpianse di non potergli più posare la mano sulla testa, come un tempo.
«Un giorno il villaggio sarà orgoglioso di averti avuto come Hokage» mormorò. «Verrai ricordato come il più grande di tutti.»
«Ovvio!» sbuffò Naruto, nonostante le guance arrossate.
«Vieni, genio» riprese Jiraya battendogli una pacca sulla spalla. «Andiamo a farci un ramen?»
«Sì!» esclamò Naruto, illuminandosi immediatamente. «A proposito, hai sentito? Sembra che Ayame sia incinta! Il maestro Iruka finalmente diventerà padre!»


Yoshi aveva finito le lezioni da qualche ora quando Chiharu comparve in cima al tetto del suo palazzo. Pareva che il ragazzo odiasse gli spazi chiusi e che avesse una vera predilezione per le altezze.
«Ciao» lo salutò la kunoichi, andando a sbirciare il rotolo che aveva disteso sulle ginocchia. Quando riconobbe il manuale di strategia del secondo anno si lasciò scappare un sorriso.
«Lo so, non è degno del tuo livello» commentò lui roteando gli occhi. «Ma io sono ancora uno studentello scemo, e più leggo più imparo e bla bla bla... Gli esami sono esami.»
«Certo, la media e tutte quelle cose lì...» disse lei sedendogli accanto. Sul tetto soffiava un filo di vento freddo. Chiharu rabbrividì, assottigliando gli occhi per guardare il sole che tramontava. «Quella roba non ti servirà granché là fuori.»
«Lasciami finire il corso di studi prima di gettarmi nella fossa dei leoni» si lamentò Yoshi richiudendo il rotolo. «Già non sono entusiasta di consacrare la mia giovane vita alla difesa di un villaggio ingrato, se poi mi ci spingi ancor prima del previsto, tanto vale che tu mi metta un cappio al collo e mi faccia penzolare da quella trave.»
Haru rise sottovoce, abbracciandosi le ginocchia.
«Allora, che ci fai qui?» indagò lui, piegandosi leggermente all’indietro e chiudendo gli occhi. «Ancora niente missioni?»
«No, per fortuna» rispose lei con una scrollata di spalle. «Anche se Kotaro e Hitoshi stanno diventando insopportabili... Non sanno apprezzare il meritato riposo.»
«Oh, non sarà per molto» mormorò Yoshi. Chiharu lo fissò e lui, sentendo il suo sguardo, riaprì gli occhi e sorrise sornione. «Di qui a un paio di giorni al massimo, l’Hokage... pardon, gli Hokage vi convocheranno. Siete diretti a Suna.»
A Chiharu sfuggì un gemito, subito soffocato contro le ginocchia. «Così lontano?» si lamentò. «E immagino che sarà anche una missione tosta... oh, ma perché sempre a noi?»
«Perché voi tre siete la loro scommessa» spiegò Yoshi, con il tono di chi ha ripetuto la stessa cosa per troppe volte. «Siete potenzialmente la squadra migliore, vi terranno insieme fino alla morte, se ci riescono.»
«Che culo.»
«Egocentrica» sorrise Yoshi. «Certe volte penso che tu sia addirittura ossessionata dall’idea di essere la più forte.»
«E allora?» replicò lei stizzita.
«Mica ho detto che la cosa mi dispiace» fece lui rivolgendole una lunga occhiata.
Per un attimo Chiharu ne fu turbata.
«Che fai, ci provi?» mormorò sospettosa.
Se c’era qualcuno che fino a quel momento non aveva mostrato il minimo interesse per lei in quel senso era Yoshi, ma Chiharu ormai sapeva riconoscere un’occhiata troppo lunga quando la vedeva.
«Non ci sto provando» rispose lui, scoppiando a ridere. «Lo pensi di tutti quelli che ti parlano di cose serie?»
«Che palle» sbuffò lei, suo malgrado sollevata. «Non sfottere.»
«Credo che il terreno attorno a te sia già fin troppo affollato» sorrise Yoshi passando lo sguardo sul manuale di strategia. «Secondo questo testo metà dei meriti di un buon piano consiste nello scegliere bene l’obiettivo.»
«Se puoi sceglierlo» sottolineò lei.
«Qui dice anche che un buon generale evita di farsi intrappolare in scelte obbligate.»
«Quel libro non è mai uscito dal Villaggio, non sa cosa c’è là fuori.»
«Perché, tu sì?»
Chiharu lo guardò stizzita. «Sono una kunoichi!»
«Ah, ma certo...» Yoshi chinò il viso e lei non poté vedere la sua espressione, ma da una nota nella sua voce le sembrò che stesse sorridendo.
«Oggi sei insopportabile» sbottò.
«Sei mai stata nel paese del Tè?»
«Probabilmente ci sono passata...»
«Nel Villaggio della Seta? Sul Picco Blu? Hai mai visto il grande ponte Naruto?»
«L’ultimo te lo sei inventato!»
«Non direi proprio, chiedi al tuo maestro.»
Chiharu lo fissò stranita e distolse lo sguardo. Riflettendoci bene, era sempre stata in missione nei soliti cinque o sei posti di interesse strategico.
«Se potessi girerei il mondo» sospirò Yoshi. «Era bello essere il secondogenito, avevo molta più libertà: ora che mio fratello è morto so per certo che passerò tutta la vita bloccato al mio villaggio. Invidio le tue possibilità... Se solo volessi potresti fare fagotto e andare dove vuoi.»
«Sì, e con me verrebbe una piccola scorta di Anbu con l’ordine di uccidermi» Chiharu fece una smorfia. «Guarda il casino che è successo per il Sesto Hokage.»
«Ma sai quante cose potresti imparare? Quante tecniche segrete, quanti insegnamenti di grandi maestri, quanti tesori... Ciò che hai qui lo conosci già. Ma cosa potresti avere lontano da qui?» insisté lui.
«Probabilmente un mucchio di seccature.»
Yoshi sorrise e scosse la testa. «Sei troppo pigra per questo, lasciamo perdere... Ieri che avevi da fare di così importante?» chiese cambiando discorso.
Colta alla sprovvista Chiharu distolse lo sguardo, e un lieve rossore le colorò le guance.
Il giorno prima aveva lasciato Yoshi dicendo di avere un impegno. Cosa aveva fatto?
Una cosa davvero stupida.

Passare il tempo con Yoshi la faceva sempre sentire molto in gamba. Tanto in gamba che, visto che aveva il pomeriggio libero, Chiharu pensò di investirlo nella sua missione privata e fece vela verso casa di Sai.
Arrivò passando dai tetti, e si appostò sul palazzo accanto per cercare di sbirciare l’interno dell’appartamento. Lo scoprì vuoto. Sgattaiolò alla finestra successiva, quella della camera da letto, ma anche lì niente. Che fosse impegnato in una delle rare missioni che ancora partivano?, si chiese. Poi sentì la sua voce, e si appiattì lungo il bordo del tetto per spiare in strada.
Sai era davanti all’ingresso insieme a una ragazza. Da quella distanza Chiharu non riusciva a riconoscerla né a capire cosa dicessero, ma vide il cenno di Sai che la invitava a salire e sentì una vampata di rabbia indignata: quella stava per intromettersi nella sua missione!
Per fortuna la ragazza scoppiò a ridere e scosse la testa, e Sai non insisté - non lo faceva mai. Con un cenno si salutarono e il Jonin entrò nell’androne del palazzo.
Il cuore di Chiharu aumentò i battiti. Ben prima che Sai potesse aver raggiunto l’appartamento lei si avvicinò alla finestra della cucina. Non appena lo vide comparire lungo il corridoio batté contro il vetro, e come l’ultima volta riconobbe la sua espressione stupita.
«Le porte ti sembrano così orribili?» domandò lui aprendo la finestra.
«Preferisco i tetti» rispose lei con un’occhiata eloquente alla gente che passava in strada. «Mi fai entrare?»
Sai esitò, quindi si fece da parte. Chiharu saltò dentro, e di punto in bianco si rese conto che non aveva idea di cosa avrebbe fatto da lì in poi.
«Chi era quella donna?» chiese prima che il silenzio diventasse troppo opprimente.
«Mi controlli?» ribatté Sai chiudendo la finestra.
«Perché no?» Chiharu sollevò il mento.
Lui sorrise e la oltrepassò. «Posso offrirti qualcosa? Tè?»
«Sì, grazie» bofonchiò lei a disagio.
«Accomodati.»
Chiharu si sedette rigidamente al tavolo. Si sentiva come una bambina di sette anni che aspettava la merenda a casa di un amichetto. Sai non fece nulla per rompere il silenzio, quindi lei si scervellò disperatamente per trovare un argomento di conversazione.
«Tutti senza missioni, eh?» esordì pateticamente.
Sai ridacchiò piano, mentre posava il bollitore sul fuoco. «Gli Hokage sono impegnati» commentò brevemente. «Biscotti?»
Ora sì che sembrava proprio la merenda. «No grazie.»
«Come vuoi.»
Silenzio.
«Mi spieghi come diavolo fai ad avere la coda di donne fuori dalla porta se sei così noioso?» sbottò Chiharu quasi subito.
Lui la guardò. Sollevò un angolo della bocca. Lei arrossì furiosamente. «Sono noioso perché non sto cercando di infilarti tra le mie lenzuola» spiegò con semplicità, appoggiandosi al bancone della cucina e incrociando le braccia. «Se non sbaglio quello era il tuo progetto.»
«Non ho mai detto...» iniziò lei.
«No, non lo hai detto» la interruppe lui. «Ma cosa pensi che serva per ‘far perdere la testa’ a un uomo della mia età?»
Chiharu si morse l’interno della guancia. Non aveva mai approfondito la questione. I suoi piani erano infarciti di momenti eccitanti ma molto nebulosi e di qualche casto bacio, tutto lì. In fondo non aveva mai neanche avuto un fidanzatino da preadolescenza.
«Sei carina, sei maggiorenne, ma sei peggio di una neodiplomata, Chiharu» continuò Sai, implacabile. «Le ragazzine che adesso escono dall’Accademia sono molto più avanti di te in questo campo. Tu sei stata troppo impegnata a tenere il passo dei tuoi compagni di squadra per perdere tempo a imparare l’arte del corteggiamento.»
«Ehi, io non devo ‘tenere il passo di Hitoshi e Kotaro’!» scattò lei sbattendo una mano sul tavolo.
Sai rise. «Qualunque altra ragazza si sarebbe infuriata per il paragone con le neodiplomate.»
Chiharu ammutolì. Ok, sapeva di essere un po’ più indietro delle sue coetanee in campo sentimentale. Ma era stata malata, aveva dovuto recuperare dopo l’incidente a casa di Naruto, poi c’erano state le missioni e la guerra, e un mucchio di altra roba che aveva la precedenza... Non poteva perdere tempo a flirtare se doveva sopravvivere.
«Valgo molto di più di una qualunque di quelle imbecilli che si diplomano con il lucidalabbra» sbottò.
«Lo so» rispose Sai. «Ma questo avrebbe senso se volessi sfidarmi in combattimento.»
«Potrei tenerti testa.»
«So anche questo. Sono vecchio per essere uno shinobi. Ma tu non vuoi sfidarmi a combattere, tu vuoi sfidarmi su un campo di cui non sai nulla - si vede lontano un miglio.»
«Sono problemi miei, non tuoi.»
«Sono anche problemi miei, se non ti rispedisco a casa ogni volta che bussi alla finestra. Sarebbe anche divertente passare il tempo a flirtare, ma tu non ti impegni, cambi discorso appena te ne offro l’occasione. Non è così che funziona il corteggiamento.»
«Mi dispiace di non essere una delle quarantenni che ti girano intorno» insinuò lei.
«Certe quarantenni sono sorprendentemente giovanili senza vestiti.»
Chiharu fece una smorfia. Quell’argomento la metteva a disagio. Eppure era certa che buona parte del fascino di una donna consistesse nell’essere irraggiungibile, i libri di Jiraya lo dicevano chiaramente - sì, li aveva letti. C’era qualcosa che le sfuggiva?
«Le quarantenni sono giovanili anche con la pelle cascante?» borbottò tra i denti.
Questa volta Sai scoppiò a ridere platealmente. «Sono certo che tu senza vestiti sia molto gradevole, Chiharu... Ma quando arrivi alla mia età importa anche quello che fai mentre sei nuda, non solo come ti presenti.»
Chiharu scosse la testa. Il giovanotto si stava spingendo troppo in là, iniziava a sentire lo stomaco contrarsi per l’imbarazzo.
La teiera sul fuoco fischiò leggermente e Sai si voltò per prendere due tazze.
«Mi stai dicendo di lasciar perdere?» sbottò lei stringendo le mani l’una all’altra.
«Non durerai molto in queste condizioni. Io sono annoiato e tu ti stai conficcando le unghie nella pelle. Un corteggiamento dovrebbe essere divertente, non ti pare?»
«E la parte di tormentosa incertezza?»
«La che?»
«Ah, dimenticavo... Tu sei tipo da storie leggere.»
«Altrimenti non sarei arrivato a quest’età senza una moglie e un paio di marmocchi.»
Chiharu si rilassò e appoggiò la schiena alla sedia. «Ma sì, versa quel tè e tira fuori due biscotti» sospirò, sentendo la tensione che evaporava rapidamente.
L’idea della femme fatale non funzionava, non ci era tagliata. Sai era troppo scaltro e lei troppo ingenua, pensare di impegolarsi in quella cosa era stata una pessima idea. Le serviva un piano alternativo. Per oggi poteva comunque continuare a trattarlo male, la cosa dava le sue soddisfazioni... un po’ misere, se confrontate con il bacio che era riuscita a strappargli l’ultima volta, ma sempre meglio di niente.
«Ti arrendi già?» Sai sedette, posando sul tavolo due tazze di tè fumante e un pacco di anonimi frollini.
«E’ stupido insistere quando non c’è speranza» ribatté lei aprendo i biscotti e tuffandone uno nel tè. «Sono sicura che per consolarti avrai una nutrita riserva di quarantenni ansiose di mostrarti le loro giovanili performances.»
Sai rise, appoggiando il viso su una mano. Restò a guardarla mentre sgranocchiava il suo biscotto con le labbra piene di briciole e un’espressione di lieve disappunto; poi, del tutto inaspettatamente, allungò una mano a sfiorarle il gomito.
Chiharu si bloccò a metà del boccone.
«Così va meglio» disse lui. «Ti si addice di più questo atteggiamento.»
Lei deglutì. «Strafogarsi di biscotti non ha mai conquistato nessuno...» borbottò sentendo le guance arrossarsi. Era certa che Sai avesse sentito il tuffo che aveva fatto il suo cuore. Si affrettò a pulirsi la bocca.
«Sono abbastanza certo che invece sia una tecnica piuttosto sfruttata» ribatté Sai annuendo.
«Davvero?» le sopracciglia di Chiharu raggiunsero l’attaccatura dei capelli. Ok, non aveva proprio capito niente del corteggiamento: avrebbe tirato in testa a Jiraya i libri che le aveva regalato.
Sai ritirò la mano e prese la propria tazza di tè. «Un po’ sono curioso di vedere cosa potresti inventarti.»
Chiharu lo studiò per un lungo istante, quindi pulì le mani dalle briciole e sollevò la tazza con entrambe, i gomiti saldamente appoggiati al tavolo. «Hai detto che ti annoio» replicò cercando di controllare il lieve tremito. «E io ho poca pazienza. Perciò...» si strinse nelle spalle. «Pensavo mi avresti cacciato fuori di casa due minuti fa.»
«Due minuti fa hai iniziato a diventare interessante.»
«Perché ho lasciato perdere?»
«Per i biscotti.»
Chiharu ci rinunciò. Sorseggiò il suo tè, purtroppo bollente, lo posò sul tavolo e si alzò. «Mi dispiace non poter restare più a lungo, ma ho lasciato a metà un libro interessante. Come hai detto tu, passo la maggior parte del mio tempo a studiare» annunciò in un tono che voleva essere leggero e tronfio, ma che non riusciva a nascondere completamente le note di esasperazione.
«Mi hai fatto preparare il tè per niente?» ribatté Sai.
«Tanto non era un granché.»
Chiharu fece svolazzare la coda mentre si voltava verso la finestra. Nonostante tutto si sentiva piuttosto brava e molto seducente, anche più in gamba di quando aveva lasciato Yoshi, poco prima. L’uscita di scena se non altro funzionava. Quindi doveva semplicemente essere sgradevole e menefreghista per attirare l’altro sesso? Se avesse saputo che quello era stato l’atteggiamento di Shikamaru che aveva conquistato Temari sarebbe rimasta stupefatta.
Si tese per aprire la finestra, ma la mano di Sai fu più veloce, frusciando accanto al suo braccio. Chiharu si accorse che si era spostato alle sue spalle, così vicino che poteva sentire il calore del suo corpo, e senza volerlo inspirò bruscamente.
«Le buone maniere» mormorò Sai, pericolosamente vicino al suo orecchio. Posò una mano sul suo fianco e la tirò leggermente indietro, per aprire la finestra senza urtarla. Chiharu avvertì il suo fiato sul collo e cercò disperatamente di soffocare un brivido.
«Grazie» replicò con voce di cornacchia, ma la mano di Sai sul suo fianco non si spostava. Oh, sicuramente ora il suo cuore era udibile a orecchio nudo.
«Figurati» Sai scostò la mano delicatamente, e si arrotolò una ciocca della coda di Chiharu attorno al dito. «Mi sembri un po’ tesa.»
Lei fece una risatina. «Beh...» farfugliò indecisa.
«Vedi, bambina...» mormorò lui risalendo con la mano a sfiorarle la nuca. «Ciò che ti sconvolge tanto per me è un gioco. Mi fa sorridere, ma non mi eccita. Dovrai impegnarti più di così se vuoi ottenere qualcosa da me. E, prima di tutto, dovrai almeno imparare a sopportare questo» concluse allontanando la mano.
Chiharu deglutì rabbrividendo. Annuì, poi corrugò la fronte indispettita. Fino a un attimo prima stava andando tutto così bene! Si forzò a prendere un respiro profondo e lanciò un’occhiata a Sai da sopra la spalla.
«Farò i compiti, promesso» assicurò in tono polemico. «Troverò qualcuno per fare pratica e poi verrò a insegnarti qualcosa che le tue creative quarantenni non sanno.»
«Auguri!» rise Sai. «Questa sì che sarà un’impresa!»

Chiharu si ripiegò su se stessa, quasi schiacciata dall’imbarazzo riesumato dal ricordo. Yoshi la osservò con curioso interesse, ma lei si affrettò ad assicurare che aveva solo dovuto litigare con sua madre per una cena di famiglia a cui non voleva partecipare.
In quale guaio si era cacciata, il giorno del suo compleanno?





Nota: so che in Giappone la maggiore età non si raggiunge a 18 anni, ma se a Konoha li mandano in guerra a 16 non vedo che problemi ci siano!




* * *

Non è pedofilia,
se lei è maggiorenne e consenziente.

(Operazione paraculo: mode on.)
  
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