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Autore: Dedde_Jester    26/08/2014    4 recensioni
La notizia che a Gabriel, notoriamente l’angelo più irresponsabile di tutti, era stata affidata una piccola recluta da accudire sulla Terra aveva fatto il giro di Paradiso e Inferno in meno di un’ora.
Scommesse erano volate ovunque, e la maggior parte puntavano sulla dipartita dello sventurato angioletto prima della fine della settimana.
Gabriel, tuttavia, aveva deciso di fare sul serio.

*
Gabriel deve fare da baby-sitter a Castiel per una settimana. Tra angeli maniaci, mostri nell'armadio, lezioni di volo e amici discutibili, ce la farà ad improvvisarsi un fratello responsabile? (E se tali amici sono Anna e Balthazar?)
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anna, Balthazar, Castiel, Gabriel, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Venerdì
Chiarimenti
 
Venerdì mattina, Castiel non rivolse la parola al fratello maggiore più dello stretto indispensabile.
Non che a lui sembrasse importare, beninteso. Gabriel lo accompagnò alla materna e lo tornò a prendere alle quattro del pomeriggio senza degnarlo di più di un’occhiata distratta, ma quando fece per smaterializzarlo a casa di Balthazar, Castiel lo interruppe:
«Non voglio tornare in Paradiso, Gabriel».
«Non essere stupido, certo che vuoi. Quella è casa tua» sbuffò il maggiore.
«Questa è casa mia» replicò Castiel, testardo. «Io voglio restare con te».
«Tornerò anche io in Paradiso» lo rassicurò Gabriel.
«E Sam e Dean?».
«Chi?».
«I miei amici».
Il maggiore si strinse nelle spalle. «Se chiedi a Metatron forse ti permetterà di diventare il loro angelo custode. A volte lo fa».
I due restarono in silenzio per qualche istante, poi Castiel mormorò: «Quindi tu non mi vuoi?».
Gabriel si immobilizzò, agghiacciato.
«Mi porterai in Paradiso e mi abbandonerai lì» insisté Castiel rassegnato sedendosi sul divano e abbassando lo sguardo.
«Questo non è vero» protestò Gabriel, affiancandolo.
«Però mi lascerai comunque a Michael» rilevò tristemente il piccolo angelo.
«Anche lui è tuo fratello» cercò di ragionare Gabriel.
«Ma non è te».
«Vorrei ben vedere, io sono più bello» sbuffò il maggiore con una mezza risata.  «Ma è lui ad addestrare le reclute. Io non sono stato capace nemmeno di insegnarti a volare, se restassi con me diventeresti l’angelo più inutile di sempre. Anche più di Balthazar, e lui non fa nulla dalla mattina alla sera».
Castiel sospirò, ma non rispose.
«Senti, riguardo quello che ho detto ieri ho a Balthazar…». L’Arcangelo distolse lo sguardo con un sospiro. «Non è vero che lo faccio solo per le scommesse, d’accordo? Non voglio che tu ti faccia male».
«Mi vuoi… bene?» chiese il piccolo angelo un po’ stupito.
«Non ho detto questo».
«Oh».
Alla vista dell’espressione delusa del bambino Gabriel sospirò, alzando gli occhi al cielo.
«Però sì, possiamo dire di sì. In un certo senso… ti voglio bene».
Gli occhi di Castiel si illuminarono, e lo abbracciò di slancio. «Anche io ti voglio bene, Gabriel».
Il maggiore tossicchiò, a disagio. «Cass?».
«Sì?».
«Spazio vitale».
 
Anna era nuovamente da Balthazar quando si smaterializzarono nel suo appartamento.
Il quadro era scomparso, e i due erano stravaccati sul divano a giocare alla playstation.
«Che persone mature…» commentò Gabriel con un mezzo sorriso, facendo spostare Anna e sedendosi in mezzo a loro. Castiel gli si arrampicò accanto con un sorrisone.
«Gabriel mi vuole bene!» annunciò entusiasta.
Balthazar si voltò di scatto. «Cosa?».
«Sì, me l’ha detto oggi!».
«Castiel!» protestò Gabriel tirandosi una manata in fronte, imbarazzato.
«GAME OVER, Balth, ti ho stracciato di nuovo!» esultò in contemporanea Anna.
«Cosa
Balthazar fece vagare lo sguardo dai tre compagni, confuso, allo schermo della Tv.
Poi sospirò, posò il joystick mentre Anna ribadiva che le doveva da bere e si concentrò sull’espressione felice di Castiel.
«Puoi ripetere, Cassie?» ghignò, ammiccando all’Arcangelo che aveva tutta l’aria di voler sprofondare all’inferno e non riemergerne mai più.
«Gabriel mi ha abbracciato!».
«Lui ha abbracciato me!» protestò oltraggiato il diretto interessato, alzando il mento in segno di sfida.
«Che carino» commentò Anna impostando una nuova partita con la playstation.
«Adorabile» le fece eco Balthazar ridendo.
«Piantatela, voi due. Piuttosto, Anna, passami un joystick» sbuffò Gabriel.
Giocarono per tutto il pomeriggio, tra le lamentele di Balthazar che continuava a perdere e le provocazioni di Anna; poi, dopo una veloce cena d’asporto, Castiel si addormentò sul divano tra i tre angeli.
Anna mise in pausa il videogioco e sospirò. «Allora?».
«Allora cosa?».
«Lo riporterai in Paradiso?» chiese osservando tristemente il bambino accoccolato contro di lei.
«E cosa dovrei fare, mettermi contro tutte le schiere angeliche? Michael verrà a prenderlo, lo sai. Non posso farci nulla» rispose Gabriel scrollando le spalle. «Ti consiglio di non affezionarti troppo».
«Ehi, non è mica un addio» si intromise Balthazar. «Lo rivedremo tutte le volte che torneremo in Paradiso, e tra un secolo o giù di lì probabilmente verrà inviato anche lui sulla Terra per svolgere qualche incarico».
«Non sarà la stessa cosa, forse non ci riconoscerà nemmeno. Sai com’è fatto Michael, gli farà dimenticare in fretta questa settimana e tra un compito e l’altro Cass diventerà come tutti gli altri angeli» replicò Anna accarezzandogli i capelli arruffati.
«Ah no, qui la situazione inizia a farsi deprimente. Io vado» sbuffò Gabriel, sfiorando il braccio del fratellino e smaterializzandosi dall’appartamento. Quando riapparvero nella loro cucina, però, Castiel si era svegliato e si strofinava stancamente gli occhi. «Dove siamo?».
«A casa. Ora vai a dormire, sei stanco» rispose Gabriel indicandogli il lettino.
«Gabriel, mi parli del Paradiso, di Anna e dello zio Balth?» chiese il fratellino infilandosi sotto le coperte con uno sbadiglio.
«Non è una favola della buonanotte, potresti avere gli incubi» commentò Gabriel con un sorriso storto, ma si accomodò comunque per terra con la schiena contro il letto.
Castiel gli si avvicinò e lui, sospirando, incominciò a raccontare.
Ad un certo punto doveva anche essersi addormentato, perché l’alba lo sorprese ancora sul pavimento, il braccio di Cass ad un soffio dalle sue ali.
Rimboccandogli le coperte sulle spalle, Gabriel le ritirò e con uno sbadiglio tornò in camera da letto.
 
Sabato
Il pic-nic
L’idea era stata di Anna.
«Si tratta del parco vicino casa, non della Foresta Pluviale. Cosa vuoi che possa accadere?» aveva commentato piegando la tovaglia e infilandola nel cestino.
Aveva preparato personalmente i panini per Cass, Balthazar aveva aggiunto qualche birra ghiacciata e Gabriel una manciata di caramelle e dolcetti di tutte le forme.
Soddisfatti, si erano smaterializzati tutti e quattro nel parco e una volta stesa la tovaglia si erano piazzati all’ombra di un grande albero mentre Castiel si guardava attorno stupefatto.
A parte la scuola e gli appartamenti di Gabriel e Balthazar, non aveva ancora visto nulla della Terra.
«Un vero peccato considerando che domani se ne va. Avremmo dovuto fargli visitare qualche città d’arte, o magari le sette meraviglie del mondo» aveva rimpianto Anna scuotendo la testa.
Gabriel, invece, aveva sbuffato. «Con il rischio di perderlo ad Hong Kong? No grazie».
Però il suo umore era peggiorato di colpo, e ficcandosi un lecca-lecca in bocca si era chiuso in un ostinato silenzio mentre osservava Castiel gironzolare nei dintorni esaminando i fiori e le api. 
Poi, ad un certo punto, era semplicemente uscito dalla sua visuale.
Gabriel nell’immediato non se n’era preoccupato troppo, almeno fino a quando Balthazar non aveva chiesto dove si trovasse il bambino e il piccolo non aveva risposto alle chiamate.
Così erano schizzati tutti e tre in piedi e avevano iniziato a setacciare il parco urlando il suo nome, ma di Castiel non c’era ancora nessuna traccia.
Gabriel si sentiva come se il cuore gli fosse schizzato in gola e stesse ostruendo le vie respiratorie.
Era una sensazione nuova, e non gli piaceva affatto.
Preoccupazione, gli suggerì la sua mente. Ansia. Paura.
Gabriel scosse la testa per scacciare quelle emozioni e cercò di concentrarsi su Balthazar, che stava blaterando qualcosa da almeno dieci minuti.
«Mille anime» lo sentì lamentarsi mentre frugava inutilmente tra i cespugli. «Dovrò mille anime a Crowley, e pensare che mancava solo un giorno… dove le trovo mille anime? Sarò in debito con l’Inferno per il resto della mia vita. Michael mi esilierà per questa scommessa, poco ma sicuro».
«Non perderò Cass, lui è ancora qui da qualche parte» replicò Gabriel a denti stretti. «Lo troveremo e tu vincerai la tua stupidissima scommessa, okay? Quindi zitto e cerca».
L’amico sembrò offeso da quell’uscita brusca. «Non c’è bisogno di essere così intrattabili, sai? Stavo solo pensando ad alta voce».
«Be’, non farlo. Troveremo Castiel e--».
Gabriel si interruppe di colpo.
«Cosa? Che c’è?». Balthazar  si sporse oltre la sua spalla per vedere.
Castiel era lì, in un ampio spiazzo verde con il cappotto leggero che svolazzava alle spalle quando correva. Mentre lo osservavano sollevati («Sono vivo. Altro che mille anime a Crowley, Cassie sta bene e io starò ancora meglio dopo aver vinto la scommessa!»), un lampo bianco schizzò nella loro visuale e colpì forte Castiel, facendolo cadere per terra.
Balthazar trattenne Gabriel con la forza per impedirgli di intervenire, indicandogli due bambinetti correre verso Cass, scusarsi e porgergli una mano per alzarsi.
«Sono umani, non c’è nessun peric-- metti giù la Lama Angelica, idiota!» sibilò Balthazar all’amico, prima di ordinargli: «Tu recupera Anna e digli che abbiamo trovato il bambino, io mi occupo degli umani».
Gabriel sbuffò. «Pensi che non sia capace di--».
«Penso» lo interruppe l’altro angelo. «Che Mamma Gabriel debba girare a largo per un po’».
Gli fece segno di andarsene, e con un’ultima occhiataccia Gabriel si smaterializzò.
Balthazar si infilò le mani in tasca e raggiunse il piccolo angelo, che si stava spolverando le ginocchia.
«Tutto bene, Cassie?» chiese con nonchalance.
I due bambini sembravano diffidenti, e il più grande stringeva una palla tra le mani.
«Zio Balth! Che ci fai qui?».
«Non ti trovavamo e Gabriel si è preoccupato».
«Oh» commentò arrossendo. «Mi dispiace. Loro sono Sam e Dean, i miei amici» presentò poi i bambini con un sorrisone. «E lui è lo zio Balth».
Balthazar notò con la coda dell’occhio che Gabriel e Anna erano tornati, e che lei aveva il cestino del picnic tra le braccia da cui sporgeva un lembo della tovaglia ficcata all’interno in fretta e furia.
Gli fece cenno di avvicinarsi, e in un attimo i due angeli gli furono accanto.
«Sono amici» mormorò prima che potessero iniziare ad interrogare i bambini.
D’altro canto, però, un uomo dall’aria burbera con un cappellino da baseball aveva raggiunto Sam e Dean.
Prima che i tre angeli potessero anche solo accorgersi di quello che succedeva, si ritrovarono inzuppati.
Gabriel estrasse la Lama Angelica e l’uomo si affrettò ad alzare nuovamente la fiaschetta di acqua santa.
«Non siamo demoni!» sbottò Anna mettendosi in mezzo, mentre il bambino più grande trascinava via il fratellino.
«Ma davvero?» ringhiò l’uomo.
«Signor Bobby, sono angeli» si intromise Castiel, affiancando Anna e posando una manina sulla Lama Angelica del fratello.
«Non la toccare, è affilata» borbottò lui mettendola via di malavoglia.
L’uomo, Bobby, emise un verso a metà tra uno sbuffo e un ringhio. «Non mi fido».
«Ma sono la mia famiglia» insisté Cass.
«Penso che potremmo evitare di saltarci alle rispettive gole davanti ai bambini» si intromise Anna tirandosi indietro i capelli bagnati.
«E lo dice per voi, perché io sarei capace di polverizzarvi con uno schiocco di dita» rimarcò risentito Balthazar lanciando a Bobby un’occhiataccia torva.
«Devi solo provarci, pennuto» sputò lui diffidente ricambiando la cortesia. 
Alla fine, anche quella era stata un’idea di Anna.
“Non davanti ai bambini” era diventato il suo motto, e dopo aver steso la tovaglia si era seduta a mo’ di paciere tra gli angeli e Bobby. Sam, Dean e Cass si erano invece accomodati in mezzo e giocavano tra loro mangiando i panini di Anna e ridendo.
«Lasciamoli divertire, loro vanno d’accordo» aveva ribadito lei alle proteste degli adulti.
Così le ore passarono e si fece pomeriggio. Bobby, Sam e Dean salutarono (il primo molto controvoglia) e si allontanarono, e Anna incominciò a rimettere tutto nel cestino.
«Ora di tornare a casa» annunciò, e gli angeli si smaterializzarono.
Gabriel e Cass tornarono nel loro appartamento, e dopo una cena veloce il più piccolo andò a dormire.
«Michael» chiamò Gabriel una volta che si fu addormentato. «Michael lo so che mi senti, quindi scendi; ti devo parlare».
Ci fu un fruscio d’ali alle sue spalle, e quando si voltò incontrò lo sguardo impassibile del fratello maggiore.
«Cosa vuoi?». I suoi occhi azzurri si posarono immediatamente sulla sagoma di Castiel nascosta dalle coperte. «Sta bene? Sai che Metatron--».
«Sì, lo so, lo so» lo interruppe rapidamente Gabriel. «Lui sta bene. Però non vuole tornare in Paradiso, e pensavo che magari potrebbe restare sulla Terra ancora un po’».
«Non devi pensare, non è  per questo  che sei stato creato» lo redarguì seccato il maggiore.
«E l’angelo deve tornare in Paradiso. Domani a mezzanotte verrò a prenderlo e ti consiglio caldamente di non metterti in mezzo, fratello. Il tuo compito è quasi terminato».
«Gli ho promesso che sarei venuto anche io con lui».
Michael gli rivolse un’occhiata dura. «Ti ho sempre detto di non fare promesse che non puoi mantenere. Sai che sono il solo a poter addestrare le reclute, è inutile che torni in Paradiso. Se non riesci a convincere l’angelo a venire senza di te, allora digli che resterà qui».
Gabriel storse le labbra in una smorfia rabbiosa. «Il tuo grande suggerimento sarebbe di ingannarlo? Illuderlo che resterà sulla Terra e poi portarlo via a tradimento, quando dorme?».
Michael non mosse un muscolo. «Esattamente. Trovare un modo per evitare che opponga resistenza è a tua discrezione, sappi solo che se proverà a ribellarsi mi vedrò costretto ad usare le cattive maniere. Il mio compito è di riportarlo in Paradiso, e non mi importa come ma lo farò, dovessi anche scatenare tutte le schiere angeliche contro questo sputo di cittadina» minacciò pacatamente.
«Michael, ascoltami…».
«No, ascoltami tu, Gabriel» lo interruppe il fratello. «Domani verrò a prelevare l’angelo, la storia finisce qui. Ci vediamo a mezzanotte».
Si smaterializzò in un fruscio d’ali, lasciando Gabriel ad imprecare a mezza voce nell’appartamento vuoto.
 
Domenica
Demons run
 
Castiel era felice. Quella mattina, mentre facevano colazione, Gabriel gli aveva annunciato che non sarebbe più dovuto tornare in Paradiso e che sarebbero rimasti tutti insieme sulla Terra, a mangiare pizza nell’appartamento di Balthazar e a fare pic-nic all’aperto.
Inoltre gli piaceva la domenica, anche se era la prima in assoluto che viveva.
Domenica voleva dire svegliarsi tardi e trovare Anna che cucinava canticchiando, il profumino delizioso del pranzo che invadeva la casa, e Balthazar che tirava cuscinate a Gabriel con espressione offesissima.
«Che succede?» chiese osservando il fratello maggiore piegato in due dalle risate e l’ennesimo cuscino abbattersi su di lui.
«Si comportano da persone mature e responsabili» lo raggiunse la voce di Anna, ironica, dai fornelli.
Quando riemerse dalla marea di pentole in cui  stava scomparendo, aveva i capelli arruffati e le guance arrossate. Spintonò Balthazar, che si era messo in piedi sul divano per prendere meglio la mira, e si lasciò cadere tra i due amici. «Niente scarpe sul divano» lo rimbrottò mentre Gabriel si rialzava da terra.
Castiel si affrettò a raggiungerli e acciambellarsi tra i cuscini.
«Ma si può sapere che hai combinato?» esclamò Gabriel osservando il ripiano della cucina imbrattato di ogni possibile alimento e la marea di pentole accozzate una accanto all’altra sui fornelli.
Alcune uova erano rotte sul pavimento, e ad osservarla bene Anna era sporca di farina dai vestiti ai capelli.
«Ho fatto un dolce» rispose lei tranquilla.
«A me sembra che tu abbia distrutto la cucina» rimbeccò Balthazar riappoggiando provocatoriamente i piedi sul bracciolo. Anna gli tirò una sberla. «Non dare il cattivo esempio a Cass».
Balthazar scoppiò a ridere. «Ma Cassie lo sa che non deve prendere esempio da me. Ci pensa già Mamma Gabriel a crescerlo male».
«Ma taci, persona orribile che non sei altro. Ha rifiutato il mio regalo di compleanno!» si lamentò lui con Anna e Cass a mo’ di spiegazione, melodrammatico.
«É il tuo compleanno?» chiese sorpreso Castiel a Balthazar.
«No che non lo è! Solo che Gabriel non è soddisfatto se non rompe la palle al prossimo» sbuffò Balthazar alzando gli occhi al cielo.
«Balth». Anna sollevò le sopracciglia, accennando al bambino.
«Non è colpa mia se ha il peggior fratello maggiore di sempre».
«Ingrato! Uno prova a fargli un pensierino ed ecco come lui ringrazia!» protestò offeso Gabriel.
«Lui non è il peggior fratello maggiore di sempre» disse invece Castiel. «È il migliore in assoluto!».
Gabriel tacque. Un’ondata di senso di colpa lo investì come una secchiata d’acqua gelida.
Si sentiva come se una mano invisibile gli stesse strizzando le budella, e si accorse che anche Anna e Balthazar si erano zittiti improvvisamente.
Quella mattina aveva raccontato loro dell’incontro con Michael, e si era seduti tutti e tre sul divano, per una volta seri, persi nei propri pensieri. Anna era furiosa.
«È una farsa nauseante. Mi rifiuto di ingannarlo in questo modo, è solo un bambino!» aveva sibilato. «Gabriel, devi dirglielo. Non puoi lasciare che Michael--».
«Cosa, esattamente?» aveva replicato lui stancamente. «Se scopre la verità e si rifiuta di andare con Michael, lui passerà alle maniere forti. Preferisco che pensi che io l’abbia tradito e mi odi, che vedere Michael fargli del male. Vi chiedo di fingere solo per un giorno; lasciamo che non abbia preoccupazioni e che si addormenti felice, e poi…».
Aveva lasciato cadere la frase, ma tutti e tre avevano capito.
«Solo per un giorno» aveva concesso Balthazar senza guardarli negli occhi.
Nel presente, Gabriel mormorò: «Non sono un bravo fratello maggiore».
«Sì che lo sei» replicò con forza Cass.
Prima che l’Arcangelo potesse ribattere, però, si intromise debolmente Anna: «Allora, la storia del regalo di compleanno…?».
Gabriel si costrinse a sorridere. «Ah già. Dal momento che ho saltato gli ultimi duecento compleanni di Balthazar o giù di lì, ho pensato di rimediare».
Sventolò un DVD davanti al naso di Anna e lei rise.
«Titanic? Fai sul serio?».
«Il film preferito dello zio Balth!» annunciò lui a beneficio del piccolo Cass, che vedendoli ridere si rilassò al’istante.
«Possiamo vederlo?» chiese con trepidazione.
«Ma da che parte stai, Cassie?» gemette Balthazar nascondendo il viso sotto un cuscino.
«Magari dopo pranzo» propose Anna, ignorandolo.
«Nah, meglio stasera. Oggi pomeriggio pensavo potessimo uscire per un gelato» disse invece Gabriel, e così fu. Pranzarono tutti insieme e dopo assaggiarono la torta di Anna.
Gabriel ne fu quasi commosso, e mentre si serviva la quarta fetta si fece promettere dalla ragazza di preparargliela come minimo due volte a settimana.
Poi uscirono alla ricerca di una gelateria. Balthazar, ricordandosi di una qualche asta soprannaturale, si smaterializzò e tornò mezz’ora più tardi con una tela sottobraccio.
«La Monna Lisa, quella originale» annunciò soddisfatto.
«Pensavo si trovasse al Louvre di Parigi» commentò Gabriel inarcando le sopracciglia.
«Sì, è quello che pensano anche gli umani» ghignò lui.
Dopo aver preso il gelato si incamminarono verso il parco.
Castiel corse avanti per osservare le anatre in un laghetto poco distante e per un attimo Gabriel si dimenticò di Michael e il Paradiso e si chiese da quanto tempo non era così felice.
Balthazar stava blaterando qualcosa sull’arte moderna, Castiel aveva praticamente affondato il viso nel suo gelato e Anna rideva, tenendolo per mano e sporgendosi di tanto in tanto per dire la sua a Balthazar.
Era bloccato in un’anonima, noiosissima cittadina umana con un piccolo angelo che aveva paura degli armadi e due fuggiaschi del Paradiso, eppure era felice.
Così giunse alla conclusione che forse la punizione di Dio non consisteva nello scaraventarlo sulla Terra con Cass; consisteva nel portarglielo via dopo tutto quello che avevano passato.
 
Alla scuola materna spesso le maestre li facevano parlare delle proprie famiglie.
C’era chi, come Jo, raccontava di una mamma tuttofare e di un padre sempre via per lavoro, chi come Garth descriveva un idilliaco quadretto di amore familiare, e chi, come Sam, Dean e Cass, odiava profondamente quei momenti di condivisione.
In realtà a Castiel sarebbe piaciuto parlare della sua famiglia: solo che non era certo di averne una.
Così, quando era arrivato il suo turno, aveva confidato alla maestra i suoi dubbi.
Lei aveva sorriso, accovacciandosi accanto a lui. «Certo che hai una famiglia, Castiel. Tutti ce l’hanno. Ci sono tanti tipi di famiglia, e non deve necessariamente avere legami di sangue, va tutto oltre la parentela. Dimmi, tu con chi vivi?» gli chiese.
«Mio fratello Gabriel» rispose lui in un sussurro. «E poi Anna e zio Balth, che sono i suoi amici d’infanzia. Loro in realtà non vivono proprio da noi, ma stiamo sempre insieme». 
«E tu vuoi bene a queste persone?».
«Tanto. Loro sono…».
«La tua famiglia» concluse la maestra soddisfatta.
Ma tutto quello era accaduto molto tempo fa, all’inizio della sua breve vita sulla terra.
Poi erano sopraggiunti i discorsi tra Gabriel e Balthazar su Michael e il Paradiso, e Castiel aveva avuto paura. Paura di andarsene, di abbandonare la sua vita e di essere abbandonato da Gabriel.
Paura della prospettiva di non rivedere più la Terra. Paura di non essere mai stato abbastanza.
Così si era avvicinato alla maestra Jodie e le aveva raccontato tutto, del suo arrivo, dei modi un po’ bruschi di Gabriel e della sua giacca che sapeva sempre di zucchero, di Anna e i suoi tentativi culinari incredibilmente riusciti, di Balthazar, che lo chiamava Cassie quando nessun altro lo faceva, e ancora di Michael che era lontano e che doveva venirlo a prendere, dei suoi timori, dell’appartamento a Sioux Falls, del fatto che non sarebbe più tornato, insomma, davvero di tutto.
E Jodie Mills rimase ad ascoltare in silenzio in attesa che il bimbo finisse, poi, non appena lui inclinò il capo di lato nel suo personalissimo modo per annunciare che aveva terminato di parlare, gli consigliò di raccontare tutte le cose che aveva detto a lei a Gabriel.
«È una situazione delicata, ma penso che Gabriel capirà. Di sicuro non vuole lasciarti, è solo che a volte…». Jodie tacque un attimo, alla ricerca delle parole adatte. «A volte accadono cose più grandi di noi che ci impediscono di agire come vorremmo».
«Quindi dovrò tornare con Michael» appurò Castiel, ormai rassegnato per tutte le volte in cui gli era stata  ripetuta quella frase.
«Non potresti dare una chance a questo Michael?» azzardò la maestra, ma lui scosse energicamente la testa. «Non voglio andare. Non ritornerei mai più qui, e non rivedrei più Gabriel, Anna e zio Balth. Io voglio restare con loro» insisté con una nota di angoscia nella voce.
Jodie si affrettò a mettergli una mano sulla spalla per tranquillizzarlo.
Uscirono in giardino dove giocavano gli altri bambini e si sedettero su una piccola panchina.
Poi Jodie riprese a parlare: «Sai, hai una bella famiglia. È strana, ma ti rivelerò un segreto: tutte le famiglie migliori lo sono. E tu sottovaluti l’affetto di chi ti sta accanto, perché qualsiasi cosa accada, l’amore di un genitore è sempre più forte. Quindi non pensare neanche per un istante che Gabriel ti abbandoni così senza dir nulla; da come mi hai parlato di lui, sembra che ti voglia davvero bene, e in tal caso farà di tutto per non lasciarti».
«Gabriel però non è mio padre» disse Cass, un po’ confuso.
«Ma si comporta come se lo fosse, e non è forse questo che i papà fanno? Ti lasciano salire sul letto dopo qualche incubo…».
«Il mostro dell’armadio è vero, non era un sogno!».
«… ti impediscono di cadere, fanno di tutto per renderti felice» elencò Jodie, ignorando ampiamente il commento convinto di Castiel.
«Gabriel ti vuole bene, Castiel. Non permetterà che ti accada nulla di male».
E Castiel si era fidato. Aveva atteso e sperato per un po’ di giorni, osservando come l’umore della sua famiglia scivolava sempre più basso, notando con la coda dell’occhio come ogni volta che credeva di non essere visto le spalle di Gabriel si afflosciavano e il suo sguardo diventava vitreo, distante, fisso su un punto indistinto della parete. Castiel aveva sperato fino all’ultimo, aspettando ogni sera la notizia tanto attesa, e domenica, infine, arrivò.
Sarebbe rimasto. Gabriel non lo avrebbe abbandonato. Il countdown si era azzerato, e lui non avrebbe lasciato la sua casa a Sioux Falls.
Così quella sera si era accoccolato tra Anna e Gabriel mentre inserivano il dvd di Titanic e facevano partire il film tra le minacce di suicidio di Balthazar.
 «Se non lo togliete subito» tentò lui un’ultima volta con espressione seria, alzando un grosso cuscino tra le mani. «Io mi soffocherò con questo cuscino, e poi toccherà a te, Gabriel, spiegare perché c’è un uomo morto sul tuo divano. Verrai accusato di omicidio, e mi avrete entrambi sulla coscienza! Vi giuro che lo faccio, eh!».
Gabriel, però, gli sfilò con un mezza risata il cuscino e glielo tirò in testa. «Piantala di lamentarti sempre, Balth, sei noioso».
«E inopportuno, non vedi che questa è la scena in cui Rose riconosce il disegno che le ha fatto Jack? Dovrebbe essere tragica, non rovinare l’atmosfera!» rincarò la dose Anna afferrando il telecomando e alzando il volume.
Balthazar, neanche a dirlo, sembrò provare un gusto immenso a commentare sarcasticamente ogni fotogramma del film, ma dopo meno di un’ora, mugugnando sempre più indistintamente, lasciò cadere la testa contro la spalla di Gabriel -che provò in tutti i modi a spostarlo invano- e si addormentò.
Anna resistette per un’altra mezz’ora, poi seguì l’amico nel mondo dei sogni.
Si fecero le undici, e il film ancora non finiva.
Gabriel trascorse l’ultima mezz’ora di film con gli occhi sul bambino, per imprimersi a fuoco nella mente ogni più piccolo particolare: i capelli scompigliati che avevano mantenuto quel loro non-so-che di arruffato anche dopo la guerra che Anna e le sue spazzole avevano mosso loro, i suoi occhi blu e luminosi, le manine piccole, l’espressione corrucciata che assumeva quando si concentrava, il modo in cui piegava inconsciamente la testa di lato quando parlava. Ogni volta che Castiel si voltava per incontrare il suo sguardo, faceva finta di star sporgendosi verso Anna per cercare il telecomando, un lecca-lecca, o anche solo per controllare che non cadesse dal divano per il sonno agitato. Allora Cass sorrideva in quella sua maniera speciale e le posava una manina sul braccio, cercando di trattenerla, e le labbra di Anna si piegavano impercettibilmente all’insù.
Quel bambino aveva l’innata capacità di tranquillizzare le persone con il solo sguardo, e di far sentire Gabriel in colpa anche solo respirando. Inoltre faceva schizzare alle stelle il suo desiderio di spaccare la faccia a Michael, anche più del solito, e Gabriel non era mai stato un guerrafondaio.
Non era nella sua natura.
Il film terminò quando mancavano pochi minuti alla mezzanotte.
Castiel sbadigliava, e il fratello sperò che si addormentasse prima dell’arrivo di Michael.
Non avrebbe sopportato il suo sguardo ferito, sarebbe stato semplicemente troppo.
Le lancette rotolarono verso le dodici. Castiel gli si strinse contro e chiuse gli occhi.
Per una attimo, Gabriel ebbe paura e aprì la bocca per dirgli tutto ciò che non aveva mai detto e che non avrebbe mai più avuto occasione di dire.
Ti voglio bene, Cass.
Mi dispiace per averti mentito.
Non voglio lasciarti andare.
Ma il suo respiro si era già regolarizzato. Gabriel allungò un braccio sulle sue spalle e lo strinse a sé con maggior forza.
Avrei dovuto abbracciarti più spesso, dedicarti più tempo.
Avrei dovuto trattarti meglio.
Mezzanotte meno un minuto. La nausea montò insormontabile in Gabriel, mista al senso di colpa che lo stava corrodendo avvelenandogli l’anima pezzo per pezzo.
Avrei dovuto avere il coraggio di lottare per la mia famiglia.
Chiuse gli occhi.
Un orologio, lontano, scoccò il rintocco della mezzanotte.
 
 
Demons run when a good man goes to war
Night will fall e drown the sun
When a good man goes to war
 
Friendship dies and true love lies
Night will fall and the dark will rise
When a good man goes to war
 
Demons run, but count the cost
The battle’s won but the child is lost
 
 
Epilogo

«Voglio il bambino».
Metatron sospirò, massaggiandosi le tempie in un principio di mal di testa.  «Gabriel…».
«No, niente Gabriel questa volta. Rivoglio Cass indietro» lo interruppe seccamente l’Arcangelo.
«Non puoi».
«Allora smantellerò il Paradiso pezzo per pezzo, se necessario, e lo troverò da solo».
«Gabriel».
L’angelo si voltò, incontrando lo sguardo duro del fratello maggiore.
«Michael, portalo via prima che faccia un’idiozia» borbottò Metatron.
«Io non me ne vado!» protestò lui. «Non senza mio fratello».
«Non costringermi…» iniziò minaccioso Michael, ma il minore lo liquidò con un gesto rabbioso della mano.
«A fare cosa, esattamente? Vuoi cacciarmi dal Paradiso come hai fatto con Lucifer, vuoi esiliarmi all’Inferno?».
Allargò le braccia con fare provocatorio. «Fai pure. Ma sappi che tornerò per Castiel, dovessi muovere guerra ad ogni singolo angelo del Paradiso e a paparino in persona».
Gabriel non attese replica e si smaterializzò.
 
«Lo hai trovato?» chiese Anna non appena Gabriel tornò dal Paradiso. «Michael che ha detto?».
«Non importa quello che ha detto Michael, noi riporteremo Castiel a casa costi quel che costi» ribatté lui.
I due amici alzarono istintivamente lo sguardo.
«Oh no» rise Gabriel amaramente. «Non parlo del Paradiso, quella non è casa».
Indicò con un gesto vago il piccolo, disordinato appartamento di Sioux Falls, con il divano sformato ricoperto di cuscini, la custodia di Titanic abbandonata in un angolo e il bancone della cucina ancora infarinato.
«Questa è casa. E ci riporterò Castiel, fosse l'ultima cosa che faccio. Questa è una promessa che posso mantenere».



Angolo della più o meno Autrice

Perché ci sarà un giorno in cui riuscirò a trovare dei finali decenti e a rendere i protagonisti IC, ma non è questo il giorno! 
No, okay, sul serio. Avrebbe dovuto essere una storia comica. L'avevo programmata comica, poi è spuntato fuori Michael e ha rovinato tutto con la sua logica inoppugnabile (?), dal momento che volevo conservare almeno un briciolo di coerenza con la serie. Forse.
E lo so, nell'Epilogo mi sa di aver stravolto Gabriel e averlo reso OOC con la sua eroica comparsa in Paradiso stile Aragorn, ma originariamente pensavo di terminare la storia con la poesia di Moffat (Demon's run è di Doctor Who, ma mi sembrava azzeccata), poi più di una persona mi ha fatto cortesemente notare che sarebbe stato troppo triste (leggasi "mi ha minacciato in caso non avessi cambiato finale") and here we are.
Ah, anche la frase sulle famiglie strane è una citazione un po' riadattata, questa volta di Alice in Wonderland. E ora che dire?
Un enorme grazie a tutti i lettori silenziosi e a coloro che hanno recensito; credo che tornerò con il trio Anna-Gabriel-Balth, ma non posso dirlo, quindi amen, qui termina la storia e ancora grazie a tutti coloro che l'hanno seguita. Biscotti per tutti!
Alla prossima, 
Asia

 
  
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